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Autore: telesette    26/11/2013    2 recensioni
L'uomo avanzò lentamente, senza apparentemente alcuna emozione sul freddo volto rigido dai lineamenti induriti, e si fermò dinanzi a Harry squadrandolo da capo a piedi.
Entrambi non dissero nulla.
Probabilmente non sapevano neanche cosa dire, in effetti. Gli ultimi accadimenti, nonché le insospettate rivelazioni su ben diciassette anni di segreti e di verità mai svelate, non rendevano certo facile né il controllo né la piena consapevolezza delle proprie emozioni. Tuttavia, anche nel silenzio, gli occhi di Piton e quelli di Harry esprimevano il bisogno reciproco che avevano di chiarirsi l'uno con l'altro...
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Severus Piton
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Con l'affetto di un padre

( immagine di: MathiaArkoniel su deviantART )

Nella bianca foschìa lattiginosa che rendeva indistinguibili i contorni, Harry si ritrovò smarrito e confuso.
Il suo corpo, inspiegabilmente e completamente nudo, non presentava nulla di strano o tantomeno di diverso dal solito. Nulla lasciava intendere al suo trapasso, ad eccezione delle immagini impresse nella memoria, ma rimaneva un mistero il "perché" si trovasse lì e nondimeno "come" avesse fatto ad arrivarci...
Voldemort lo aveva ucciso.
Il dolore bruciante dell'Anatema-che-uccide era troppo intenso per non essere reale.
Harry lo aveva sentito sulla propria pelle: la fiamma della sua vita, piena di affetti e di ricordi assieme, estinta d'un sol colpo dal verde fascio bruciante che già tante anime aveva così ingiustamente spezzato.
Che luogo era, quell'ambiente così strano e solitario in cui si era appena svegliato?
Che fosse dunque questo il mistero della morte?
Un candido e gigantesco spazio vuoto, senza nessuno a parte lui, dove l'unica percezione era appunto il lieve torpore del nulla.
Harry si guardò attorno, cercando disperatamente qualcosa... qualunque cosa, anche solo un segno che gli permettesse di sfuggire all'orrenda prospettiva di vagare solitario in eterno.
Quella non poteva essere la morte.
Suo padre, sua madre, Remus, Sirius... nessuno di loro aveva accennato ad una cosa del genere. Aprire gli occhi e ritrovarsi da soli, in pieno possesso dei propri sensi e capacità di cognizione, con la prospettiva di non avere alcuna forma di vita accanto e forse per sempre... Beh, quell'idea senza alcun dubbio, era addirittura peggio che sostenere le più orribili forme di tortura medievale mai sperimentate dall'uomo.
La mente può impazzire per il dolore, può desiderare la morte come lenitìvo, ma non può sopportare il nulla a livello conscio.
Per un attimo Harry fu sul punto di gridare ma, stringendosi la testa tra le mani, con la coda dell'occhio intravide qualcosa ai suoi piedi. I suoi vestiti erano lì per terra, piegati e ordinati accuratamente, e così pure i suoi occhiali. D'istinto Harry li raccolse e li indossò, troppo sconvolto per darsi una spiegazione anche di quella stranezza, e nel rivestirsi subito gli balenò il dubbio di non essere solo.
La nube di fumo bianco e sottile si diradò a poco a poco, mostrando e rivelando con molta più chiarezza il luogo. Sembrava una specie di salone rettangolare, forse addirittura più spazioso della Sala Grande di Hogwarts, con due file di colonnati per tutta la sua lunghezza ma senza soffitto o pareti a delimitarne l'esatta profondità.
Un lieve rumore di passi alle sue spalle lo fece voltare di scatto.
Qualcuno, una figura vestita di scuro, emerse pian piano dalla nebbia fino a mostrarsi al ragazzo per colui che era realmente.

- Pro... Professore - esalò Harry, con occhi sbarrati dallo stupore. - Professor... Piton ?!?

L'uomo avanzò lentamente, il freddo volto rigido dai lineamenti induriti, e si fermò dinanzi a Harry squadrandolo da capo a piedi.
Entrambi non dissero nulla.
Probabilmente non sapevano neanche cosa dire, in effetti. Gli ultimi accadimenti, nonché le insospettate rivelazioni su ben diciassette anni di segreti e di verità mai svelate, non rendevano certo facile né il controllo né la piena consapevolezza delle proprie emozioni. Tuttavia, anche nel silenzio, gli occhi di Piton e quelli di Harry esprimevano il bisogno reciproco che avevano di chiarirsi l'uno con l'altro.
Ora Harry sapeva.
Piton aveva fatto in modo che lui sapesse, mostrandogli la verità attraverso il liquido argenteo dei ricordi di tutta la sua vita, e di conseguenza molte cose erano chiare agli occhi e alla mente del giovane figlio di James Potter e Lily Evans.
Piton aveva amato, nella sua vita, e aveva anche sofferto... non allo stesso modo di Harry, bensì di un tipo diverso di sofferenza, ma entrambi conoscevano il dolore di perdere i propri affetti e le persone più importanti.
Harry aveva perso i suoi genitori, una privazione durissima e frutto di una crudeltà inaudita; Piton aveva perso Lily, un po' per le circostanze e un po' soprattutto per colpa degli errori e delle scelte sbagliate che aveva compiuto da solo.
Due vite, due storie, due tragedie.
Diverse ma simili, comunque legate tra loro, e ora finalmente vi era l'occasione di oltrepassare il baratro che divideva le loro rispettive sofferenze... per condividerne una sola, con tutto il peso che essa comportava, ma con la forza e la capacità di comprendersi.
Un lieve rumore, come di un pianto soffocato, richiamò di colpo l'attenzione di Harry.
Circa un paio di metri più lontano dal punto in cui lui e Piton erano immobili a fissarsi, miseramente rannicchiato sotto una panca rettangolare di marmo, un essere dalle sembianze di un piccolo bambino nudo e con la pelle rossa scorticata gemeva e singhiozzava in modo pietoso.
La sola vista di quella creatura, chiunque essa fosse, suscitò in Harry un misto di pietà e repulsione assieme. D'istinto avrebbe voluto aiutarla ma, per qualche ragione a lui ignota, sentiva il bisogno di starle il più lontano possibile. L'essere piangeva e singhiozzava disperatamente, con una voce pari a quella di tante persone sofferenti chiuse in un unico corpo, e tale era il suo tormento che Harry non riuscì comunque ad ignorarlo...

- Fermo Potter - esclamò Piton gelido, levando appena il braccio da sotto il mantello.

Harry passò il suo sguardo interrogativo, da lui al misero moribondo, tuttavia obbedì inconsciamente all'ordine del suo ex-insegnante.
Prima d'ora, non ricordava neppure di aver mai acconsentito così volentieri ad un suo monito esplicito.
La voce di Piton era tale e quale a come la conosceva, dura e tagliente nella profondità apparentemente priva di emozione del suo tono basso, ciononostante aveva un che di autorità e sincera preoccupazione insieme... come se gli importasse realmente che Harry desse ascolto al suo monito, piuttosto che permettergli anche solo di avvicinare quell'infelice creatura.

- Seguimi - mormorò dunque l'uomo, senza neppure bisogno di sottolineare l'imperativo esplicito dietro al suo invito.

Harry fece per venirgli dietro ma, sentendo l'ennesimo grido disperato accanto a sé, gli sorse spontaneo chiedere se non si poteva far niente per quel povero essere disgraziato.
La risposta di Piton, oltre ad una lieve alzata di spalle, fu semplice e inoppugnabile.

- Tu hai già sofferto il tuo dolore... Lascia che, adesso, lui patisca il suo!
- Ma...
- Non puoi aiutarlo in ogni caso - proseguì l'altro impassibile. - Quando un uomo si rovina l'esistenza con le sue stesse mani, essendo lui stesso l'artefice, può solo aspettare la morte in silenzio... o rassegnarsi a un dolore che non potrà mai finire!

Harry rabbrividì.
Era ovvio che Piton si riferisse più che altro a sé stesso, dando libero sfogo alle constatazioni maturate nel corso degli anni, e tutto per distogliere l'attenzione del ragazzo dalla miserabile condizione che un uomo ambizioso ma stupido è destinato a scontare senza alcuna possibilità di scampo.
Il destino di quella povera creatura raggrinzita non li riguardava.
Severus aveva ancora un compito da assolvere.
L'ultimo.
Per quanto difficile fosse stata la sua posizione, sia prima che dopo la nascita di quel giovane ribelle, Piton aveva una parola sola. Nella vita, come nella morte, un uomo è chiamato a redimersi degli errori commessi... quanto più gravi essi sono, tanto più caro è il prezzo per riscattarli, almeno in parte.
Con Lily aveva sbagliato tutto.
Tutto!
Si era bruciato ogni possibilità di amarla, impotente dinanzi all'Oscuro Signore che ne aveva decretato la fine, e il dolore della successiva e volontaria solitudine era stato la sua punizione. Oltre a questo però, il fato aveva inteso giocargli un altro terribile scherzo: Harry, figlio della donna da lui amata e dell'uomo da lui più odiato. Quel ragazzo portava in sé gioia e amarezza insieme: gioia per Lily, chiaramente disposta a morire, in nome del suo amore di madre; e fonte di amarezza per Piton, per ciò che avrebbe potuto essere e non era.
Piton non era il padre di Harry.
Non era neppure un amico per lui, non come Remus e Sirius almeno, né aveva mai desiderato esserlo.
Per Harry, lui non era niente.
Nessun sentimento li univa, ad eccezione di un forte rancore e disprezzo reciproco, e tuttavia Piton aveva accettato di proteggerlo senza che lui lo sapesse.
Per tutti quegli anni, laddòve molti lo giudicavano un uomo sinistro e privo di umanità, Piton si era invece fatto carico di un dolore in grado di distruggere molti uomini. Senza volerlo, aveva allontanato da sé la donna che amava; si era ridotto a "supplicare" Silente, quandanche il tentativo di salvare lei e la sua famiglia risultò purtroppo inutile; non poteva neppure suicidarsi, vincolato moralmente a proteggere la vita del figlio di Lily al posto di quest'ultima...
Questo e altro faceva di Severus Piton l'uomo che era.
Un uomo solo.
Solo e costantemente afflitto dal peso di una catena forgiata, in parte, proprio da lui stesso.
La catena che lo legava ad Harry, più forte persino del magico Voto Infrangibile, era un lungo intreccio di passioni ed emozioni che portavano fino a lui. Piton poteva scegliere di rompere quella catena, ma solo rinnegando l'amore per la defunta Lily, e di fatto aveva scelto di sopportarne il peso per ben diciassette anni.

- Siediti Potter - fece Piton, indicando un'altra panca di marmo poco lontano.

Lui e Harry si sedettero uno di fianco all'altro, con i rispettivi sguardi fissi nel vuoto, e così rimasero in silenzio per circa un paio di minuti.

- E' questo il vero aspetto della morte, professore? - domandò Harry, ancora un po' frastornato. - Voglio dire... Il vuoto e il nulla, per sempre?
- Questo è solo il transito - sottolineò Piton, come se la cosa non lo sfiorasse neppure. - Il tramite spirituale, tra questo mondo e quell'altro, il momento in cui la vita non è ancora morte e la morte è ancora vita; per questo siamo qui, per una scelta definitiva, per addormentarci del tutto... o per svegliarci di nuovo!
- "Svegliarci" - ripeté Harry, sbarrando gli occhi. - E' possibile... E' possibile farlo ?!?
- Per te, sì - tagliò corto Piton. - Il legame che avevi con l'Os... con Lord Voldemort si è spezzato: solo una parte di te è morta, quando l'incantesimo ti ha colpito; quella parte era il simulacro, l'Horcrux dentro al tuo stesso corpo, e solamente UN anatema-che-uccide ti è stato scagliato contro!

Ora finalmente Harry cominciava a capire.

- Tom avrebbe dovuto colpirmi DUE volte, non una, per uccidere sia me che...
- Lo avrebbe fatto, se lo avesse saputo, ma fortunatamente ignorava ciò che io e Silente abbiamo provveduto a tenere nascosto per tutti questi anni - fece notare Piton, non senza una forte nota sprezzante nella voce. - E questa è senza dubbio la tua salvezza, Potter!
- Ma allora, quello... quello è...

Di nuovo il pianto e lo stridore di denti, la creatura alle loro spalle si contorceva nel tormento che non poteva fuggire in alcun modo.
Ora Harry sapeva anche chi era e perché si trovava lì.
Ma perché Piton?
Perché l'uomo che tanto lo aveva disprezzato era ancora lì per aiutarlo?

- Professore, io... io non capisco - mormorò il ragazzo. - Voglio dire, ho visto i suoi ricordi, so com'è andata ma ugualmente non capisco il perché sia andata così...
- Ancora una volta non ti impegni abbastanza - sussurrò Piton, sollevando il capo stancamente. - Ormai dovrebbe esserti chiaro: le cose non-vanno-sempre come vorremmo; ci sono cose che accadono, altre che vorremmo non accadessero mai, ma quando accadono comportano sempre il prezzo di una determinata scelta!
- Silente - mormorò Harry con un filo di voce.
- Non giudicarlo troppo severamente - proseguì l'altro imperterrito. - Tutti quanti commettono errori, alcuni più o meno gravi, ed è la condizione che ci tiene saldamente legati alla nostra natura umana; una natura fondamentalmente sbagliata, sia sul piano morale che su quello logico, dove noi stessi giungiamo alla conclusione che tutto il potere del mondo non fa dell'essere umano un Dio... bensì un autentico pazzo! Io ho potuto comprenderlo a mie spese, e confido d'averti trasmesso almeno questo, così come spero tu faccia tesoro dell'unica vera lezione di vita che non troverai su nessun libro!
- Mia madre le... lei le voleva bene - disse Harry, quasi singhiozzando. - Non in quel modo, non come lei sperava, ma sono certo che le voleva bene!

Piton tacque.
In altre circostanze, probabilmente, gli avrebbe imposto di tacere o quantomeno di non mettere bocca su un argomento così doloroso per lui.
Ma adesso era diverso.
Il tempo di Severus Piton volgeva al termine, così come quella grande pena che racchiudeva nel cuore da anni ormai, e dunque era in un certo senso liberatorio per lui parlarne. In silenzio, l'uomo sfoderò la bacchetta da sotto il mantello e l'agitò destramente nell'aria con un abile e sciolto movimento del polso.

- Expecto Patrònum!

La cerva che si materalizzò davanti a loro, invece di correre e saltare sulle lunghe zampe sottili, rimase ferma e in attesa agli ordini di colui che l'aveva appena evocata.

- Tua madre era una donna straordinaria - mormorò Piton, guardando il suo patrònum con occhi imperscrutabili. - Io ho sbagliato con lei, questa è la verità, non è stato tuo padre a portarmela via; lei mi ha rifiutato per i miei sbagli, per i miei errori... per come sono io!
- Anche lei è straordinario, professore - osservò Harry sincero. - Lei è un grande uomo, un uomo coraggioso, migliore di molti che conosco!
- Sono l'uomo che avrebbe lasciato morire te e tuo padre - sottolineò Piton, rifiutando stoicamente qualsiasi attenuante. - Per amore, o per egoismo, avrei forse compiuto un'azione ancora più ripugnante di quelle di James... Non sono un eroe, Potter, né pretendo di esserlo; le cose giuste che ho fatto vanno oltre me stesso, è qualcosa che non posso spiegarti né intendo farlo, ma non intendo morire da ipocrita!
- Come?
- Ho agito come ho agito, Potter - concluse Piton, scandendo chiaramente ogni sillaba. - Le mie sofferenze sono solo e soltanto mie, la maggior parte dovute alle mie debolezze, e non intendo rinnegare i miei sbagli bensì fartene monito!
- Che intende dire?
- Tu hai ancora la tua vita da vivere, Potter, sta a te decidere come e in che modo: ogni cosa che farai, ogni scelta, comporterà il prezzo delle tue azioni future; una buona azione NON cancellerà una cattiva azione, piccola o grande che sia, e meno coraggio ti occorrerà tanto sarai una persona migliore!

Ora Piton non aveva più nulla da aggiungere.
Potter sapeva già che strada prendere e cosa avrebbe trovato ad attenderlo.
L'ultima vera lezione di Piton, segno di quanto questi effettivamente si fosse affezionato a lui nel tempo, si chiudeva dunque con un consiglio ed un suggerimento quasi paterno.
Harry provò il desiderio di ringraziarlo, di fargli sentire la propria gratitudine con parole vive, ma non sapeva come.
Per anni aveva pensato cose orribili di lui, ignorando quanto dolore egli avesse accettato di contenere, e solo ora scopriva di dovere la propria salvezza al coraggio e alla generosità dell'uomo che...
L'uomo che avrebbe potuto essere suo padre!
Fu così che si separarono.
Con un abbraccio, un gesto di affetto autentico per una persona speciale.
Piton non rifiutò quell'abbraccio, anzi ne accolse in pieno il calore, socchiudendo tuttavia gli occhi per non tradire alcuna commozione.
In quel momento, quell'unico momento privo di odio e rancore tra loro, Harry giurò a sé stesso che mai avrebbe scordato il senso delle sue parole e che le avrebbe fatte proprie... nel suo cuore.

FINE

   
 
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