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Autore: metaldolphin    26/11/2013    3 recensioni
Porterà a conseguenze inaspettate, nella notte dopo la battaglia, l concetto di famiglia, secondo Nami, e il suo tentativo di spiegarlo a Zoro...
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il lastricato che rivestiva la strada era freddo, sporco ed umido, ma non mi importava: mi ero lasciata scivolare, stanca dopo la battaglia, che era stata breve ma pesante.

Accanto a me, Zoro, era ancora privo di sensi… non aveva avuto nemmeno la forza di togliere la bandana nera che gli fasciava il capo durante i combattimenti. Se nella lotta gli conferiva un aspetto più temibile, quel nero, sul corpo abbandonato del compagno aveva un’accezione lugubre che mi dava i brividi.
Mi sistemai meglio e, con un certo sforzo, sollevai il possente corpo dello Spadaccino e me lo appoggiai al petto.
La sua testa si reclinò all’indietro sulla mia spalla, abbandonata, senza alcuna volontà.
Sorreggendolo, gli tolsi il nero copricapo con un gesto stanco, simile a quello che lui era solito fare non appena riposte le spade, ma non reagì nemmeno a quella sollecitazione; aveva il respiro regolare, anche se lento, quindi non dovevo preoccuparmi.

E allora, perché il nodo che mi serrava la gola non si scioglieva?
Perché le lacrime spingevano ancora per uscire?

Alzando lo sguardo, vidi gli altri, da soli o a gruppetti, venirsi incontro, scambiare sorrisi e pacche sulle spalle.
Solo Zoro, ancora non riapriva gli occhi…
Come sempre, era lui quello che accusava i colpi peggiori.

Strinsi la bandana nella mano, poi la portai al viso e fui assalita da uno strano miscuglio di odori, aromi familiari che caratterizzavano Zoro: sudore e sangue, ma anche alcool, acciaio e salsedine.
Nascosta da quella stoffa scura, lasciai uscire le insistenti lacrime che non volevano accennare a ritirarsi; cercai di piangere in modo composto, silenzioso, fatto da singhiozzi appena accennati, soffocati per non farmi sentire.
-Ehi, donna... puoi anche lavarla più tardi, non ho fretta!- sentii sussurrare dalla voce stentata di Zoro, che ironizzava sul mio pianto e rimasi stupita, in silenzio, mentre con una mano saliva a sfiorarmi il viso.
-Tutto ok? Sei ferita?- si informò premuroso.
-Tutto a posto- gli risposi, muovendomi, credendo che lui volesse alzarsi.
Mi fermò: -Aspetta… posso rimanere così ancora un poco?- chiese, forse confortato dal tepore che si era creato tra i nostri corpi a contatto. Sentii avvampare il viso, ma riuscii ad annuire nonostante l’imbarazzo: -Certo. Quanto vuoi.- gli sussurrai, segretamente compiaciuta per quell’inaspettato e gradito contatto da lui richiesto.

Ma con sommo dispiacere di entrambi, all’arrivo del Capitano, quel momento ebbe presto fine: -Hai visto Nami? Abbiamo vinto!- gongolava Rufy, senza riuscire a stare fermo un attimo.
-Certo!- confermai, mentre mi alzavo da terra con lo Spadaccino.
Mentre gli legavo la bandana al braccio, concordammo col Capitano di ritornare alla nave.

Quella sera, nonostante il desiderio di festeggiare di Rufy, andammo a riposare tutti presto: Sanji era piuttosto malconcio e non era in grado di assecondare i desideri di alcuno.
Il turno di vedetta era mio che, anche se non perfettamente in forma, ero una di coloro che stavano meglio; stavo affacciata in coffa a guardare nel buio, in silenziosa solitudine. I riflessi della luna che sorgeva sul mare erano argentei e la luce bastava alla vista senza dover accendere la lampada.

La mia attenzione fu attratta da un’agile sagoma scura che si muoveva furtiva sul prato lucente di rugiada: era elegante, felina e familiare e non mi stupii di vederla diretta verso la coffa, dove mi trovavo, né di vedere la strana capigliatura spuntarmi davanti, alzare un braccio e mostrare una bottiglia di un qualche alcolico, ancora piena.
-Noi possiamo festeggiare lo stesso a modo nostro, no?- propose con un ghigno.
Risposi sorridendo.
Seduti fianco a fianco, ci alternavano nel prendere un sorso dalla bottiglia e guardavamo il cielo stellato.

Avrei voluto dire qualcosa, ma esitavo.
Inspirai a lungo e decisi di esternare ciò che sentivo premermi sul cuore, quindi, senza voltarmi sussurrai:-Zoro… oggi, perché?-
Mi resi subito conto dell’assurda costruzione della frase, ma non riuscii a dire altro.
Più che vederlo, percepii il movimento di lui che si girava a guardarmi. -Perché… cosa?-
Naturalmente, chiedeva qualcosa di più preciso per potermi rispondere.
Bevve una sorsata e mi ritornò la bottiglia.
Durante questo scambio, le nostre mani si sfiorarono, come successo già altre mille volte, e fu come se un brivido improvviso mi avesse attraversato.
Tirai fuori tutto d’un fiato ciò che tenevo dentro dalla fine dello scontro: -Zoro, sei un tipo enigmatico. Non si riesce mai a capire cosa ti passi per la testa… sei solitario, non cerchi mai conforto da nessuno e anche in infermeria ci resti sempre meno di quanto ti raccomanda Chopper. Oggi, però… Oggi è stato diverso. Quando ti ho appoggiato a me, hai chiesto di poter restare. Ecco il mio perché: volevo sapere cosa ti ha spinto a farlo, nonostante non fossi ferito più gravemente di altre volte.
Il silenzio era tornato a regnare dopo la valanga di parole che mi erano uscite in quel piccolo sfogo.

Zoro prese un’altra sorsata senza accennare ad una risposta, lo sguardo gelido sembrava volersi fondere con la notte e pensai che non volesse giustificare un atto di cui, molto probabilmente, si era già pentito, per pudore o per orgoglio.
Anche se eravamo soli e nessun altro lo avrebbe sentito, capii che non mi avrebbe nemmeno rivolto la parola.

Invece, contro tutte le mie previsioni, lo Spadaccino parlò, con il suo consueto timbro basso e profondo, che mi piaceva tanto.
-Nami, so di non essere un esempio di socialità a bordo. Non voglio giustificarmi, ma per anni ho badato solo a me stesso, il che è positivo se si desidera stare tranquilli, un po’ meno se stai male e non hai a chi rivolgerti. Con voi sto imparando a ad apprezzare la vicinanza di amici fidati accanto ed ho anche scoperto di essere riconoscente per tutte le volte che mi siete stati vicino. Soprattutto Chopper e te… a Thriller Bark so che mi avete vegliato per tutto il tempo che sono rimasto incosciente.
Mentre diceva queste ultime parole, si voltò e mi sorrise, anche se un po’ mestamente, e mi sentii avvampare, quindi riprese a parlare: -Oggi, quando mi sono svegliato, ho sentito il tuo calore e il tuo sostegno e allora mi è parso più sopportabile il dolore, più leggera la fatica. Ho capito che potevo condividere queste cose con te, non per mia volontà, ma perché le avevi prese tu, spontaneamente… scusa se ho capito male e ti ho dato fastidio.
Lo guardai con gli occhi sgranati, umidi di commozione e quando provai a parlare, non ci riuscii subito.
Allora gli presi la bottiglia, tirai una lunga sorsata e trovai il fiato che cercavo: -Io… no, non devi scusarti. Mi ha fatto piacere, non hai capito male. Puoi appoggiarti a me quando vuoi, quanto vuoi.- riuscii a dire.

Mi sorrise sornione, mi prese una mano e mi poggiò la testa sulla spalla.
-Posso cominciare subito, allora?
Risi anche io e mi passai lo sfizio di carezzargli i capelli, prima di tornare a guardare il cielo stellato.
Fui presa da una strana nostalgia e pensai a mia madre.
-Sai, è stata Bellemere ad insegnarmi l’importanza della famiglia, di avere qualcuno con cui condividere dolore e gioia, anche se non avevamo dei veri legami di sangue. Ed è la stessa cosa qui: non abbiamo legami di sangue, ma siamo una famiglia, possiamo fidarci l’uno dell’altro, quindi puoi appoggiarti a chiunque…- lo incoraggiai, anche se, sotto sotto, ero felice che avesse scelto me per confidarsi.

Ma sentii che scuoteva il capo e dire: -No. Non posso appoggiarmi a chiunque. Non fraintendere: non è che non consideri tutti gli altri della famiglia… non ci considero te.

Rimasi muta, incapace di dire o fare qualsiasi cosa, anche solo picchiarlo, tanto mi sentii ferita da ciò che aveva detto. Non mi considerava al pari degli altri? Non ero all’altezza di far parte di quella strana famiglia? Poco prima tutte quelle belle parole ed ora mi trattava così?
Quando riprese a parlare, il suo tono mi parve più incerto: -Non posso considerarti come una sorella, Nami, perché altrimenti non potrei…
Mi sollevò il viso e mi trovai ad assaporare le sue labbra calde ed inaspettatamente morbide, che toccavano leggere le mie, prima di farsi più pressanti nel chiedere l’accesso alla mia bocca.

Non pensai a nulla, mentre ci stringevamo sempre più, alla ricerca di un contatto più completo, in una spasmodica lotta tra le nostre lingue per gustare il nostro sapore uguale, dopo la bottiglia che avevamo condiviso.
Ci staccammo per riprendere fiato e mi fece accomodare tra le sue gambe, per riprendere a guardare il cielo insieme e scorgere le poche stelle che riuscivano ad emergere dal bagliore prepotente della luna.

Non parlammo più per un bel po’, poi lo sentii sussurrare, con tono ironico: -E poi, di’ la verità: mi ci vedresti appoggiato al Cuoco o al Cyborg, alla ricerca di conforto?
Con quell’assurda immagine in mente, scoppiammo a ridere, nella notte, vicini come mai prima d’ora.

   
 
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