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Autore: Dream_world    26/11/2013    9 recensioni
Questa è una vera e propria AU dove Sasori e Deidara vanno a scuola (anche se nella storia vi passeranno sì e no cinque minuti) e, mentre Deidara è il tipico ragazzo popolare e figo, sempre circondato da ragazze, Sasori è un'appassionato di fotografia. Fin qui tutto normale, ma ben presto Sasori si accorgerà che l'altro non ama farsi fotografare, e si chiederà il perchè...
Vi anticipo solo che non tutto è come sembra, ed in questa storia tutti i personaggi nascondono dietro delle maschere stereotipate dei sentimenti veri, che sono riusciti a far commuovere me mentre scrivevo, e spero riusciranno a far provare qualcosa anche a quelli che leggeranno!
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akasuna no Sasori, Deidara, Kisame Hoshigaki, Konan | Coppie: Sasori/Deidara
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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A photo to remember.



 

Le mani intrecciate, le braccia intente a strigersi, i muscoli del viso rilassati della ragazza e il sorriso del ragazzo suggerivano quanto fossero felici quei due.

Solo gli occhi rivelavano una leggera sorpresa, dovuta forse alla strana richiesta che quel ragazzo gli aveva posto.

Sasori teneva in mano quella fotografia insieme a tante altre, e ricordava con piacere la gentilezza e la simpatia di quei ragazzi, disposti a farsi fotografare insieme da lui.

Fare foto era la sua passione.

Aveva iniziato da piccolo, quando sua nonna gli aveva regalato la prima Canon a pellicola e l'aveva portato in spiaggia a fotografare il mare.

Gli era piaciuto molto immortalare le onde, la sottile schiuma che si formava sul bagnasciuga, i granellini di sabbia che si sollevavano con il vento.

Quando era arrivato il tramonto e sua nonna aveva cominciato a raccogliere le borse che aveva portato, pronta per tornare a casa, lui l'aveva pregata di restare un altro po', perchè quella luce rossastra e particolare gli avrebbe regalato delle immagini stupende che non avrebbe mai voluto dimenticare.

Lei l'aveva accontentato.

Aveva posato le borse sulla sabbia e si era seduta ad aspettarlo pazientemente a braccia conserte, dandogli ogni tanto qualche consiglio sulla messa a fuoco oppure sulla migliore inquadratura, ma dopotutto non ve ne era bisogno: Sasori era un talento nato.

Quando si era ormai fatto buio, Sasori si era ritenuto soddisfatto ed aveva permesso alla nonna di portarlo a casa.

Da quel giorno lui e la macchina fotografica erano diventati inseparabili.

Essa gli permetteva di congelare un attimo e conservarlo per sempre.

Non vi poteva essere nulla di più prezioso.

All'inizio lui e la nonna andavano in giro per mari e monti a fotografare la natura, oggetti inanimati, poi gli animali, ma con il passare degli anni ciò non lo soddisfava più. Non era abbastanza.

Le foto erano vuote, spente.

Sasori sentiva di aver bisogno di fotografare la vita, i sentimenti veri della gente.

Aveva cominciato a chiedere di fare foto alla gente a 16 anni, e niente gli dava più soddisfazione al mondo.

Passava le ricrezioni di tutto l'anno scolastico girando per la scuola, immortalando spaccati di vita quotidiana.

Si poteva dire che avesse una o più foto di tutti gli studenti del liceo, tranne di uno.

Vedeva ogni giorno un ragazzo dai capelli biondi un po' troppo lunghi per i suoi gusti che rideva e scherzava con i suoi compagni, ma che appena lo vedeva avvicinarsi con la Canon nuova di zecca appesa al collo trovava una scusa per allontanarsi.

Sasori aveva provato a capire il motivo di quel suo strano comportamento, ma dopotutto non gliene importava più di tanto.

Non conosceva quel tipo, non gli aveva mai rivolto la parola, ma sapeva quasi tutto di lui.

Si chiamava Deidara ed era il più popolare della scuola, tutti lo amavano, tutti lo seguivano e facevano ciò che lui ordinava.

Ogni mattina arrivava a scuola in sella alla sua moto rossa fiammante ed aveva uno stuolo di ragazze pronto ad attenderlo, per poi svenire non appena lui avesse rivolto loro la parola.

Sasori odiava i tipi come lui. Anzi, non odiava, ma generalmente li ignorava e basta, perchè lui era tutto l'opposto: una persona silenziosa, schiva, aveva pochi amici ed evitava il contatto con la gente (tranne per chiedere fotografie) soprattutto da quando era accaduto quel fatto.

Dopotutto lui per sentirsi felice poteva rivedere le foto di quando lo era stato e rievocare la sensazione provata in quel momento.

Però dentro di se doveva ammettere di essere incuriosito da quel ragazzo.

Era famosissimo in tutta la scuola ed aveva un sacco di amici, ma non era iscritto in nessun social network e a malapena aveva un cellulare con cui telefonare.

La cosa che più però lo rendeva perplesso, di quel ragazzo, era il fatto che rifiutasse costantemente di farsi fotografare da chiunque.

Se ne era accorto quando casualmente si era trovato nelle vicinanze e una ragazzina aveva chiesto a Deidara di sorridere con lei mentre teneva il telefono in mano e lui aveva declinato candidamente con un "Niente foto, grazie".

La stessa scena si era ripetuta più e più volte con persone diverse, e a volte anche i suoi amici più stretti si lamentavano del fatto che lui non comparisse mai in nessuna foto con loro.

"Vedi che così fra anni e anni ci dimenticheremo di te!" gli aveva detto uno con il doppio taglio e i vestiti firmati dalla testa ai piedi.

"Ah ah... Non ci riuscirete, io sono indimenticabile!" aveva scherzato su il ragazzo, ma Sasori si era accorto del fatto che lui fosse un po' deluso da quello che aveva detto colui che fino ad un attimo prima aveva chiamato "fratello".

Tutto ciò non aveva fatto altro che aumentare la curiosità di Sasori nei confronti del biondo, che a poco a poco si ritrovò a frequentare sempre più i suoi posti della scuola preferiti e a seguirlo e spiarlo, nel tentativo di procurarsi una sua foto per la sua collezione.

Non aveva proprio un'ossessione, ma voleva in qualche modo capire cosa avesse contro la sua più grande passione.

 

 

Una ricreazione, mentre Sasori rimuginava su questi pensieri, non si rese più conto di dove stesse andando e ad un tratto andò a sbattere contro qualcosa, o meglio, qualcuno di alto e muscoloso che si girò a guardarlo inferocito.

Sapeva chi fosse quel tipo: un cretino tutto steroidi e palestra, ma niente cervello che aveva la fama di picchiare duro chiunque osasse guardarlo negli occhi più di tre secondi.

Il fatto che fosse amico di Deidara non c'entrava nulla con il perchè sapesse così tante cose di lui, forse.

«Spero per te che tu abbia una fotocamera di riserva, moccioso!» disse minaccioso il tizio togliendogli la Canon dal collo e sollevandola sopra la sua testa.

«Dai, no... Non l'ho fatto apposta... Lascia stare la fotocamera, me l'ha regalata la nonna!» rispose Sasori cercando di prendere l'oggetto rubato.

«Ma sentilo, gliel'ha regalata la nonnina... Che pensiero gentile! Dovresti presentarmela» lo prese in giro l'armadio vivente.

«Mia nonna è morta un mese fa, bastardo!» sputò fuori Sasori, che era ancora sconvolto da quella morte.

Era successo appena un mese prima, quando Gaara, un suo amico, stava attraversando la strada per andare a casa sua.

Un pirata della strada lo stava per investire e nonna Chiyo, che dopo aver sbrigato delle faccende stava tornando da Sasori, si era buttata in mezzo alla strada spingendo via lui, riuscendo a salvarlo. Il fatto era finito su tutti i giornali ed il responsabile – un tizio strafatto e pure ubriaco – era stato arrestato e poi rilasciato dopo pochi giorni, nello sconcerto più totale di tutti.

Quel bulletto da quattro soldi doveva averlo saputo per forza.

 

«Che sta succedendo qua? Kisame, torna quell'affare al suo legittimo proprietario e va' a prepararti in palestra, che ora abbiamo la partita contro la IV C...»

Quella voce... nell'ultimo periodo l'aveva sentita un sacco di volte, ma mai era stata così gradita.

Deidara era spuntato da chissà dove (o forse era sempre stato lì) e aveva mandato via il suo amico, che prima di andarsene aveva tornato a Sasori la sua preziosa macchina fotografica.

«Grazie...»

«Non c'è bisogno di ringraziarmi. È stato meschino, tutti sanno la tua storia, in questa scuola. Non doveva trattarti così, non è giusto.»

«...ma non c'era bisogno che mi difendessi»

«Come scusa?»

«Mi so difendere da solo»

«Allora perdonami, non avrei dovuto immischiarmi»

Sasori stava cominciando ad irritarsi. Come faceva quel tizio ad essere così perfetto in ogni situazione?

«Non ti preoccupare. Piuttosto, tu sei Deidara, giusto?»

«Sì... Non credo che noi ci siamo mai presentati, quindi vorrei rimediare... Sono Deidara, piacere.»

«Ritengo sia inutile presentarsi se entrambi sappiamo già chi abbiamo davanti, non credi?»

«Hai ragione, Sasori! Hai un bel caratterino, non si direbbe...»

«Credi di conoscermi solo perchè mi vedi a ricreazione mentre giro da solo per la scuola, mentre tu godi della compagnia di tutti i tuoi amici?»

«Ehi, calmati! Ascolta, io volevo solo aiutarti, ma vedo con piacere che non ce n'è bisogno. Ci si vede in giro!»

Il fotografo in erba si pentì subito di ciò che aveva detto. Aveva aspettato così tanto per avere un'occasione di fugare i suoi dubbi e ora che l'aveva la mandava in fumo in questo modo?

«...Aspetta!»

«Che c'è?»

«Ti-ti va di farti una foto con me?»

«No, grazie. Qualche altra richiesta?»

«Sì... Voglio sapere perchè non ti fai mai foto»

Il suono della campanella di fine ricreazione li sorprese ed una confusione di studenti nervosi o annoiati li accerchiò, impedendo loro di continuare la conversazione e Deidara ebbe solo il tempo di dire "Te lo spiego domani".

 

 

 

Per tutto il tragitto di ritorno a casa, Sasori non potè fare a meno di rimuginare su quello che era accaduto a scuola, e l'unica parola che gli continuava a frullare in mente era "stupido".

Si riteneva uno stupido per come aveva trattato Deidara, quando lui aveva solo cercato di difenderlo da quel bruto del suo compagno di classe.

Ora non era neanche più tanto sicuro che sarebbe riuscito a cavarsela senza il suo intervento.

E poi... aveva aspettato tanto tempo prima di riuscire miracolosamente a parlargli e aveva sprecato l'occasione mettendosi a litigare.

Tirò un calcio a un sassolino che era lì sul marciapiede ombroso e si sistemò meglio lo zaino sulle spalle. La sua frustrazione era evidente. La sfogò mettendosi a camminare più velocemente, fin quando non riuscì ad avvistare il palazzo dove abitava, ed all'arrivo mancavano solo poche svolte.

Più si avvicinava a casa, però, più si avvicinava al punto in cui sua nonna aveva perso la vita, che era dietro l'angolo che si apprestava a girare.

Eccolo, quel terribile semaforo, e le inutili strisce pedonali che non erano servite a fermare quell'assassino.

Sasori da quel giorno aveva avuto una paura terribile ogni volta che doveva attraversare la strada in generale, ma quando doveva farlo lì, sentiva come una fitta allo stomaco e gli si irrigidivano i muscoli delle gambe, costringendolo a piegarle un po'.

Sarà stato lo stress della scuola, o il nervosismo dovuto allo scontro prima con il bullo e poi con Deidara, ma in quel momento gli sarebbe venuto un attacco di panico se non fosse riuscito a calmarsi.

Le macchine gli passavano sfrecciando davanti, e mentre aspettava che il semaforo dei pedoni diventasse verde, si appoggiò al muro e si passò una mano fra i capelli rosso sangue, cercando di pensare ad altro, e come sempre, riportò alla memoria le vecchie foto catturate in momenti di felicità con la nonna.

Sasori sentiva che se avesse continuato a pensare a lei, non sarebbe riuscito a fermare le lacrime, quindi andò avanti nel tempo.

La mente vagava mentre ripercorreva la cronologia delle foto scattate quella settimana: la coppietta che si baciava, il ragazzo che portava a spasso il cagnolino salvato dall'autostrada, la ragazza che dipingeva un cartellone... ma alla fine i suoi pensieri arrivarono in un'area dapprima sconosciuta che stava ormai cominciando a diventare familiare.

Pensava a Deidara, che sembrava a tutti un libro aperto, ma che per lui era un mistero. Quella gentilezza gratuita, quel rifiuto di farsi fotografare mal si associavano all'idea stereotipata di ragazzo popolare che si era fatto di lui.

All'improvviso sentì un rombo di motocicletta più forte rispetto al normale traffico che lo circondava e ciò lo costrinse a tornare alla realtà, ritrovandosi davanti Deidara in sella alla sua moto da strada modificata, quella con cui, Sasori aveva scoperto, ogni sabato sera correva delle corse clandestine in autostrada.

Vedeva i suoi occhi azzurri sotto il casco integrale decorato con adesivi vari e colorati e i lunghi capelli biondi che arrivavano alla schiena e si accorse che con una mano guantata gli stava porgendo un casco bianco e semplice.

«Metti il casco e sali!» urlò Deidara a Sasori, e quest'ultimo avrebbe scommesso che stesse sorridendo sotto quella copertura.

«Ma è normale che uno spunti con la moto e ti dica di scappare con lui?»

«Dai, voglio parlare con te»

«Va bene, dammi un secondo» e così dicendo, Sasori indossò il casco troppo stretto per lui e salì sulla moto, che partì subito.

Dopotutto non c'era nessuno ad aspettarlo a casa, e nessuno si sarebbe preoccupato se non fosse tornato.

Però, i problemi arrivarono subito, perchè il ragazzo non era mai salito su una moto, e non aveva la minima idea di come reggersi e di quale posizione assumere.

«Deidara!» urlò, facendo in modo di farsi sentire dall'altro.

«Mai salito su una moto, eh? Devi tenerti a me» gli rispose Deidara, intuendo la sua domanda.

Ma poichè Sasori era leggermente imbarazzato ed era rimasto imbambolato, rischiando di cadere dal mezzo, Deidara accostò un attimo e si girò, guardando negli occhi il passeggero.

«Tranquillo, non mordo mica!»

Sasori sbuffò leggermente e abbracciò l'altro per tenersi, e la moto partì di nuovo sgommando.

Durante il tragitto, con i capelli di Deidara che gli andavano in faccia – e in bocca – Sasori si sentì una persona nuova.

Non sapeva cosa fosse quella sensazione, forse era l'euforia dovuta alla moto, oppure era solo l'aver finalmente un'altra occasione per parlare a quattr'occhi con quel ragazzo che tanto lo incuriosiva, ma Sasori si sentiva dopo tanto tempo, felice.

Il viaggio durò poco, troppo poco per Sasori che aveva appena cominciato a prendere confidenza con il mezzo – e con Deidara – e a rilassarsi dopo l'imbarazzo iniziale avuto per il fatto di quel necessario stretto contatto fisico.

Deidara fermò la modo accostando davanti ai ruderi di quella che tempo addietro doveva essere stata una villetta elegante ed abbastanza agiata.

«Hai mai sentito parlare di questo posto?» Deidara fece quella domanda un attimo dopo essersi sfilato il casco e essersi sistemato i capelli schiacciati sulla testa e vide l'altro farsi pensieroso.

«Sì... Questa è la casa fantasma...»

«Effettivamente è un nome azzeccato...» così dicendo, il ragazzo dai lunghi capelli biondi si avvicinò a ciò che restava del cancello divelto e lo aprì, facendo segno a Sasori di seguirlo dentro.

Le mura annerite dal fuoco e dal fumo mostravano cosa era successo per mandare in rovina quella casa. Un'incendio, o forse un'esplosione.

«Ho sentito dire che circa quattro anni fa c'è stata una fuga di gas, e questa casa è saltata in aria, così come tutti i suoi abitanti. Gran tragedia, eh!» ricordò Sasori, mettendosi le mani in tasca.

«Hai ragione su tutto, tranne su una cosa.» Deidara si avvicinò alla parete più vicina e vi poggiò prima le mani e poi la fronte, dando le spalle al rosso.

Sasori stava cominciando a capire perchè l'avesse portato proprio lì, e un leggero senso di disagio si diffuse appesantendo l'atmosfera.

«In questa casa abitavano quattro persone. Tre sono morte nell'esplosione, e l'altra... è qui davanti a te. Sono l'unico sopravvissuto di una tragedia che ha distrutto la mia famiglia, la mia casa... Che ha spazzato via tutti i miei ricordi e ha reso la mia vita ciò che è ora.»

Sasori avrebbe scommesso che Deidara stesse cercando di trattenersi dal piangere.

Lo sentiva dalla sua voce, dal modo in cui gli tremavano le spalle e da come aveva irrigidito le gambe.

Si avvicinò a lui e lo abbracciò di nuovo in un gesto istintivo, ma non come quando erano sulla moto, ma in modo diverso, più dolce, gentile, confortante.

Questa volta non era lui ad aver bisogno di essere difeso, ma il suo nuovo e misterioso amico.

Deidara si girò, e Sasori ebbe la conferma ai suoi sospetti: aveva gli occhi lucidi e rossi, il viso rigato dalle lacrime.

«Ti sembrerò stupido e patetico, il ragazzo con la vita perfetta che si dispera pensando alla mammina in cielo!»

«Certo che no! Ti ricordo che io appena stamattina ho litigato con un armadio che respira, senza offesa per il tuo amico, perchè aveva parlato di mia nonna a sproposito» Sasori sciolse l'abbraccio e si allontanò un po' per guardarlo meglio negli occhi.

«Ti avevo detto che ti avrei spiegato perchè non mi va di farmi fotografare, però devi sopportare una storiella un po' lunghetta, te la senti?» disse Deidara mentre si asciugava le lacrime, recuperando il contegno perduto e sedendosi sull'erba incolta che cresceva nel giardino che una volta doveva essere elegante e ben curato.

«Certo che me la sento. Ma se per te è troppo pesante, non ti preoccupare, non c'è bisogno...»

«Tranquillo. Ho deciso di parlarne con te perchè credo che tu possa capirmi, non come quel gruppo di idioti...»

«Ti riferisci ai tuoi amici?»

«Sì, loro non si rendono conto di cosa voglia dire perdere la famiglia e la casa in un colpo solo. La più grande tragedia che hanno vissuto è stata spegnere la play station senza salvare...»

Deidara sospese la narrazione un attimo quando l'altro accennò appena ad una risata, dopodichè riprese a raccontare:«Io, mia madre, mio padre e il mio fratellino di otto anni vivevamo in questa casa felici, io andavo alle scuole medie ed ero una bomba, tutti dieci. I miei genitori erano orgogliosissimi di me e mi facevano un sacco di regali, e io mi impegnavo sempre di più.

Mio fratello andava ancora alle elementari, ma era sempre allegro e ci divertivamo moltissimo a giocare insieme e spesso ci inventavamo passatempi nuovi che coinvolgevano la mamma o papà.

Un bel giorno, avevo promesso a mamma che sarei tornato prima da scuola, che sarei corso a casa al suono della campanella così saremmo potuti andare tutti e quattro insieme ad una gita in montagna che avevamo organizzato da tempo. Non lo feci. Ma non è che non lo feci perchè non volessi farlo o perchè mi seccassi, ma perchè me ne dimenticai. Suonò la campanella ed io rimasi a chiacchierare e giocare a pallone con i miei amichetti. Passarono due ore e io ero ancora nel cortiletto della scuola, poi mi ricordai cosa dovevo fare e corsi per la stradina verso casa mia. Questa strada – quella che abbiamo appena percorso con la moto – era piena di camion dei pompieri e volanti della polizia. Vedevo una strana nuvola di fumo in cielo e sentivo un gran chiasso. Non sapevo cosa pensare, così affrettai il passo, pensando che la mamma sarebbe stata furiosa per il ritardo» mentre parlava sembrava tornare indietro nel tempo a quel terribile giorno. Sasori si passò le mani fra i capelli mentre sentiva di poter vedere ciò che il biondo stava ricordando con orrore.

«Un poliziotto mi fermò poggiandomi una mano sulla spalla e mi chiese chi fossi. Io gli dissi che abitavo in quella strada e che stavo andando dalla mia famiglia per partire. Lui mi abbracciò e mi disse che non avrei potuto farlo. Cominciai a scalciare perchè non capivo ciò che diceva e mi sembrava assurdo che un tizio che non conoscevo potesse permettersi di vietarmi di fare qualcosa con i miei genitori e mio fratello. Poi realizzai. I pompieri erano lì perchè era casa mia quella che aveva preso fuoco. Era casa mia quella da cui usciva tutto quel fumo nero. Era casa mia quella che aveva visto la morte dei miei cari. Era casa mia quella dove non sarei più potuto tornare.»

Le lacrime ripresero a scorrere dagli occhi azzurri di Deidara, e Sasori non fece altro che sedersi accanto a lui e rimanere in un rispettoso silenzio.

«Mi sono sentito uno schifo. Non perchè i miei genitori erano morti, non perchè se ne era andato pure il mio fratellino, ma perchè tutto questo era successo per colpa mia. Se io fossi tornato in tempo quel giorno forse non sarebbero morti. Magari la casa sarebbe esplosa lo stesso per via della fuga di gas, ma loro non sarebbero stati lì. Saremmo stati in montagna come era stato programmato» i singhiozzi si fecero più frequenti ed il corpo di Deidara fu colto da spasmi. Sasori si strinse a lui e cercò di trasmettergli un po' di calore, per fargli capire che non era colpa sua se la sua famiglia era stata distrutta. Quando Deidara si calmò un poco, riprese.

«Quel giorno avevo perso tutto e tutti, ogni ricordo materiale dei miei momenti felici era andato in fumo con la casa. Tutti gli album di foto, ogni portafotografie era completamente bruciato, ed i vigili del fuoco non riuscirono a recuperarne nessuno. Cenere. Era rimasta solo cenere. Cosa me ne sarei fatto della cenere? Poi mi si presentò nella mente un pensiero: le foto sono solo carta, cose inutili che truffano la mente umana, ingannandola del fatto che i ricordi rimarranno per sempre, ma non è vero. I veri ricordi si creano al momento, vivendo la vita vera, e rimangono nel cuore. In quel momento ho deciso che non mi sarei mai più fatto fotografare e che avrei vissuto ogni singolo attimo come se fosse l'ultimo, e che non avrei lasciato alcun rimpianto nella mia vita. Per questo ho raccolto un po' di soldi lavorando part-time qua e la e ho comprato la moto, perchè era una cosa che volevo e ho deciso di non pentirmi di non averla presa quando avrei potuto benissimo farlo impegnandomi un pochino, e poi...» fece una piccola pausa e si alzò in piedi, seguito subito da Sasori «...quando sono sulla moto, devo concentrarmi sulla guida e posso dimenticare un attimo il sorriso di mio fratello, quello che non rivedrò mai più.» concluso il discorso, Deidara alzò gli occhi al cielo come se potesse vedere i volti dei suoi cari scomparsi, l'altro lo imitò e rimasero entrambi in un silenzio carico di sentimenti.

«Mancano tanto anche a me» disse all'improvviso Sasori.

«Cosa?»

«I miei genitori. Mancano tanto anche a me.»

«Non sapevo avessi perso i genitori, sapevo solo della nonna» disse Deidara abbassando lo sguardo e posandolo negli occhi scuri e particolari dell'amico.

«Oh, loro se ne sono andati prima, quando avevo appena cinque anni. Non avrei neanche ricordato le loro facce, se non fosse stato per le foto che la nonna ci aveva scattato quando ero piccolo io. Ne ho una di quando ero appena nato in cui mamma mi teneva in braccio mentre papà stringeva lei. Si vede benissimo quanto si amassero e fossero felici. Credo che anche io fossi felice, sebbene non lo ricordi direttamente. Un bel giorno, papà disse che doveva partire per lavoro, essendo lui a capo di un'azienda importante, e mamma decise di accompagnarlo. Mi salutarono sulla porta, promettendomi che sarebbero tornati presto. Quella promessa non fu mantenuta. Furono uccisi da un criminale assoldato da una ditta rivale e io rimasi a vivere con la nonna. Fine della storia».

Deidara fu sorpreso dal comportamento stoico e forte del compagno, che aveva raccontato la storia della morte dei genitori con voce ferma e lo sguardo fisso nel vuoto.

Non si vergognò però di aver pianto, perchè sapeva che esistevano modi diversi di manifestare il dolore, ed il dimostrarsi forte davanti alla gente era uno di quelli. Possibilmente quando sarebbero tornati ognuno a casa propria Sasori avrebbe pianto tutte le lacrime trattenute.

«Sasori»

«Eh?» l'essere chiamato all'improvviso, fece risvegliare il rosso che guardò l'altro negli occhi.

«Facciamoci un giro in moto» era sia una richiesta che forse un'ordine, ma comunque Sasori annuì rimettendosi il casco ed entrambi salirono sul mezzo e Deidara lo fece partire sgommando.

 

 

Una serie infinita di alberi passava davanti gli occhi attenti alla strada di Deidara.

Non si sentiva tanto leggero da moltissimo tempo ormai. Era la prima volta da quando era successo il fatto, che ne parlava con qualcuno che non fosse della famiglia, e ciò lo aveva fatto sentire molto meglio. Si chiese perchè avesse aspettato tanto ad aprirsi con qualcuno, ma poi si rese conto che non si era mai presentata un'occasione adatta.

Aveva deciso tutto quella mattina, quando aveva visto la reazione del ragazzo al furto della fotocamera. Era stato sempre incuriosito ed intimorito da quel tipo che voleva a tutti i costi immortalare ogni attimo, voleva parlargli da quando aveva sentito della morte di sua nonna, ma si era sentito stranamente incapace di farlo. Erano stati i suoi occhi a bloccarlo.

Così malinconici, ma allo stesso tempo ardenti di un fuoco cupo, che sapeva come bruciare o anche solo riscaldare. Il suo sguardo aveva anche un che di dolce.

Sasori appoggiò la testa alla sua schiena, e Deidara sentì una scarica di adrenalina partire dal collo e scendere giù fino ai piedi.

Quel ragazzo così bizzarro, che passava il tempo a chiedere foto alla gente, era stato capace di ascoltarlo e di capirlo fino in fondo, perchè anche lui aveva un passato simile ed altrettanto tragico.

A pensarci, erano entrambi soli, però ciò era evidente solo nel caso del rosso. I tanti amici di Deidara erano tutti esclusivamente conoscenti e nulla di più, persone che un giorno stanno con te ed il giorno dopo ricordano a malapena il tuo nome.

Il biondo si sentì bene al pensiero che forse aveva finalmente trovato un amico vero.

 

I pensieri che si affollavano nella mente di Sasori erano del tutto simili a quelli dell'altro, e la sua felicità fu moltiplicata dal fatto che si stesse godendo un panorama unico: con la moto stavano salendo su una montagna, e dopo ogni curva si vedeva la città farsi più piccola fino a che non scomparve e fu sostituita da una foresta. La strada si snodava dentro quel bosco pieno di vita e di colori che andavano dal verde chiaro al verde scuro degli alberi più antichi, e loro la stavano percorrendo ad una velocità sostenuta, cosicchè Sasori riusciva a percepire solo delle macchie verdastre che scivolavano via senza sosta.

Alla fine chiuse gli occhi e respirò a pieni polmoni tutta l'aria fresca che gli arrivava in faccia.

Sciolse l'abbraccio che lo teneva stretto a Deidara e quando non vi fu nessun veicolo in vista aprì le braccia, piegò il collo all'indietro e mise tutto se stesso in un grido soddisfatto verso il mondo.

«Ehi, devi essere proprio contento se ti metti a fare Tarzan mentre andiamo a 160 Km/h in una strada di montagna!» la voce di Deidara superava perfino il rombo del motore ed il rumore del vento che soffiava contro la moto.

Sasori per tutta risposta rise felice e tornò alla posizione di partenza, con le braccia intorno alla vita del motociclista.

 

 

 

Dopo pochi minuti Deidara svoltò bruscamente uscendo di strada volontariamente e lasciò la moto appoggiata al lato del guardrail che dava sul bosco.

Fece scendere il suo compagno e subito dopo lo seguì, aprendo il cavalletto in un gesto ormai automatico.

«Da qui si prosegue a piedi» annunciò cominciando a camminare con un sorriso sereno stampato sul volto e le mani nelle tasche posteriori dei jeans scuri.

«Dove mi stai portando?» chiese con un pizzico di curiosità Sasori.

«Sorpresa!»

«Cavolo, odio le sorprese» disse fintamente infastidito il rosso, che si era goduto la passeggiata in moto e passeggiava rilassato dietro Deidara, lasciandosi guidare da lui.

Il tragitto fu breve e non troppo avventuroso, seguirono un sentiero battuto e ben presto si ritrovarono in una piccola radura piena di natura e di vita.

Sasori sentiva gli animali intorno a sè: gli scoiattoli che rosicchiavano nocciole, piccoli uccellini che reclamavano cibo emettendo versi acuti e insetti che compievano i loro piccoli compiti quotidiani – come posarsi su di lui alla ricerca di chissà cosa, forse cibo.

Doveva esserci anche un ruscello o un laghetto nelle vicinanze, perchè era ben udibile lo scrosciare dell'acqua.

Sasori si guardò intorno con meraviglia, perchè mai era stato in un luogo simile. Aveva esplorato mari e monti con sua nonna alla ricerca di location per fotografie artistiche, ma non gli era mai capitato per le mani un posto stupendo come quello.

«Questo posto è bellissimo, Deidara!» disse, ma si rese conto che l'amico non era li.

«Deidara, dove sei?» chiese alzando un po' la voce, preoccupato di essere rimasto solo.

«Sono qui, non vado da nessuna parte. Rilassati, amico!» la voce del biondo proveniva dal basso, attirando lo sguardo dell'altro: Deidara era steso sull'erba che doveva essere morbida, le braccia sotto la testa a mo' di cuscino, le gambe piegate e gli occhi socchiusi. Era l'immagine del relax.

Sasori sentì l'impulso di imitarlo, e si stese non troppo lontano da lui.

L'erba era davvero morbida come sembrava, ed ancora un po' umida per via della rugiada formatasi all'alba. Sopra i suoi occhi le fronde degli alberi coprivano quasi totalmente il cielo azzurrissimo – come gli occhi di Deidara, pensò Sasori – ma attraverso le foglie filtrava un po' di luce dorata che tingeva tutto di colori brillanti.

"Che meraviglia! È il posto ed il momento perfetto per scattare un paio di foto, ma temo che a Deidara possa non far piacere... dopotutto ha un motivo valido per non amarle. Però... potrei chiedegli se gli darebbe fastidio" pensò Sasori, e così chiese a voce alta «Deidara?»

«Dimmi» l'interpellato aprì gli occhi e girò la testa per guardare in faccia il rosso.

«Potrei...» cominciò, ma venne subito interrotto da Deidara.

«...fare qualche foto? Hai voglia, per me non c'è problema» disse calmo indovinando la sua domanda.

«Ma hai detto che...»

«Ascolta, Sasori. Ciò che ho detto riguarda me. È la mia storia.Tu hai tutto il diritto di scattare foto e fare in generale ciò che vuoi. Tutto cambia se vuoi fotografare me, e a quel punto devo dirti di no, perchè, come ho detto, va contro la mia filosofia».

Per Sasori quell'affermazione fu come un fiammifero la cui capocchia viene sfregata contro qualcosa di ruvido: un'idea nuova si accese nel suo cervello e un brivido gli percorse la schiena.

Se a lui qualcosa non piaceva, non voleva assolutamente che qualcuno intorno a lui ne parlasse o che perfino mettesse in pratica il tutto. Sapeva che era egoistico pensare che nessuno dovesse fare ciò che a lui non andava giù, ma non poteva evitare di farlo.

Ciò che Deidara aveva detto, invece, faceva capire come fosse di mentalità aperta.

Gli piacevano i tipi come lui, forse perchè non aveva mai avuto la possibilità di ampliare la propria, di mente.

Dopotutto, Sasori aveva vissuto con l'anziana nonna, dopo la morte dei genitori. Era normale che una donna vecchio stampo come lei gli trasmettesse i rigidi valori che lo costringevano a riflettere con i paraocchi. Non sapeva con chi avesse passato l'adolescenza l'amico, ma sicuramente con qualcuno di ben più giovane o comunque diverso.

«Deidara, ma tu con chi hai vissuto dopo che... Cioè, quando sei rimasto...» non riusciva a trovare le parole adatte a chiedere una cosa del genere.

«Sono stato per un periodo in un orfanotrofio, ma poi è spuntato dal nulla un mio lontano zio, un fratello di mio padre che tutti credevamo perduto che ha firmato qualche carta e mi ha tirato fuori da quell'inferno. Gli sarò sempre grato per questo» gli rispose come al solito prima che concludesse la domanda.

«E ora? Stai ancora da lui?» Sasori era incuriosito, voleva saperne di più di quel fantomatico zio.

«Sì. Casa sua è bella, grande, accogliente. Mi piace stare lì. Zio Harry è un tipo molto strano, viaggia spesso ed ancor più spesso sparisce senza spiegazioni, quindi sono quasi sempre solo in casa. A volte è seccante, perchè devo fare la spesa, le pulizie ed il bucato per me e per lui, ma almeno non sono costretto a vivere sotto un ponte» sospirò e staccò un fiore dal prato per portarlo vicino al viso ed annusarlo.

«Tu lo segui mai nelle sue avventure?» chiese ancora il rosso.

«Quando ero più piccolo ogni volta che lo vedevo preparare le valigie era una buona scusa per lasciare la scuola per un po' ed imparare qualcosa di veramente utile dal mondo reale, quello che si scopre passo passo con lo zaino in spalla. Ora è diverso, ho avuto modo di vedere che le incombenze scolastiche sono molto più impegnative che in passato, ed io non posso permettermi di perdere tempo importante. Voglio finire presto la scuola per poter partire finalmente per il più grande dei viaggi e decidere da solo dove voglio stare. Voglio trovare il posto che mi accoglierà al meglio, quello dove io deciderò di essere seppellito quando verrà la mia ora» mentre Deidara stava cominciando quello che sarebbe diventato un lungo monologo, Sasori lo interruppe.

«Dei, stai dicendo cose lugubri, mi metti i brividi!» e sorrise tirandogli una gomitata scherzosa. L'altro scoppiò a ridere e si stese di nuovo sul prato. «Hai ragione. Però voglio davvero partire e scegliere dove vivere»

«Lo farai. Me lo sento, ne sono sicuro» disse Sasori guardando fisso davanti a sè.

Deidara si alzò a sedere e lo fissò negli occhi, poi rise di nuovo:«Chi è che sta dicendo cose inquietanti ora?» e Sasori, riscossosi dalla strana trance in cui era caduto, si unì alla risata del compagno.

Passarono ancora pochi minuti in un rilassato silenzio, guardando il corso della vita che scorreva tranquilla e vivace intorno a loro, gli animaletti che svolgevano i propri compiti giornalieri, ma poi su Sasori ebbe la meglio il suo lato fotografo, quindi si alzò in piedi e, macchina fotografica alla mano, prese a raccogliere negli scatti ogni cosa che suscitava qualche sensazione particolare in lui. Il suo desiderio più grande in quel momento era imprimersi bene nella memoria ciò che aveva provato quel giorno. Non avrebbe mai voluto dimenticare ciò che gli aveva rivelato Deidara, nè ciò che lui stesso aveva raccontato di sè al biondo. Non voleva veder volare via nemmeno una parola che era stata detta quel giorno, nemmeno un secondo che aveva passato sulla moto o nel bosco.

L'ideale sarebbe stato farsi una foto con Deidara.

Lo sapeva.

Lo sentiva.

Non avrebbe mai osato chiederlo.

Sospirò leggermente e continuò a scattare come se quel pensiero non gli avesse sfiorato la mente.

All'improvviso Deidara, che era stato steso a terra per tutto il tempo in cui Sasori aveva dato sfogo alla propria creatività artistica, si alzò in piedi e prese a camminare ad un ritmo nervoso, come se avesse percepito la muta richiesta dell'altro, ma non riuscisse a concedere la sua approvazione.

Nel frattempo, il sole aveva cominciato la sua discesa, ed i suoi raggi rossastri filtravano fra le foglie arrivando obliqui alla radura, e migliaia di ombre grandi e piccole venivano proiettate al suolo.

Quello era il momento della giornata che Sasori preferiva: il tramonto.

Tutto si tingeva di rosso e oro grazie a quella particolare luce, e si creavano giochi di ombre stupendi.

In mezzo a quello che era un vero spettacolo della natura, fu però solo un piccolo particolare quello che attirò l'attenzione del fotografo: quando Deidara si era alzato, la sua lunga e stretta ombra aveva cominciato a seguirlo nella sua passeggiata.

Era forse un segno del destino?

Sasori certamente non se lo chiese, quando colse l'attimo e scattò una foto a quella sagoma scura, stando bene attento ad escludere dall'inquadratura ogni parte del ragazzo che gli si trovava di fronte, che sembrò non accorgersi di nulla.

L'animo di Sasori era finalmente soddisfatto, e così egli posò la fotocamera nell'apposita custodia, smontando l'obiettivo e i vari filtri che aveva usato, e chiamò l'amico.

«Deidara! Io ho finito, se vuoi possiamo andare»

«Sasori, vieni più qua e osserva con me»

«Cosa dovrei osservare?» chiese il rosso avvicinandosi a Deidara.

«Questo» disse quest'ultimo indicando con una mano qualcosa che fece rimanere Sasori a bocca aperta: da dove si trovavano in quel momento, si poteva vedere una distesa interminabile di foresta coloratissima, ma ben presto il verde brillante del bosco cedeva il passo ad un blu azzurrino del mare, che in quel momento era tinto di tutte le sfumature del rosso e dell'arancione.

A Sasori sembrò che che il Sole avesse deciso di fare un bagno, ma che si fosse parzialmente sciolto per via delle acque e del sale.

Sasori sentì la necessità di scattare una foto, così allungò la mano destra verso la custodia che teneva a tracolla, ma il suo tentativo fu fermato dalla mano di Deidara, che prese la sua.

«Sasori, goditi il momento. Cerca di fissare nel tuo cuore ciò che stai provando, e ti posso assicurare che domani, quando ci ripenserai, ti ricorderai esattamente tutto ciò che è successo oggi»

«O-ok...» disse Sasori, che non sapeva perchè il suo cuore avesse perso un battito: se per la meraviglia suscitata da quel tramonto spettacolare, o per la mano di Deidara ancora stretta intorno alla sua. Fu contento che l'amico tenesse gli occhi puntati davanti a se', cosicchè non si accorse che qualcos'altro oltre il mare e i suoi capelli era diventato terribilmente rosso.

 

 

 

Si mossero da quella posizione solo quando tutto il Sole fu sparito dietro l'orizzonte, e non appena Deidara lasciò libera la mano di Sasori, costui si girò di scatto, per non far vedere all'altro come fosse arrossito senza un vero motivo.

"Perchè mi sto comportando così? Mi ha tenuto la mano, e allora?"

I pensieri si cominciarono ad affollare violenti nella sua mente, lasciandolo senza fiato.

Quando Deidara gli passò davanti, camminando tranquillo come se nulla fosse, finse di armeggiare con la borsa della fotocamera per evitare di doverlo guardare negli occhi, perchè sapeva che non avrebbe retto il suo sguardo.

«Sasori, cos'hai?» chiese ad un tratto il biondo.

«N-niente, sto solo sistemando...»

«Ah, capisco!» Deidara aveva il brutto vizio di interromperlo mentre stava parlando, ma in quel momento Sasori si sentì sollevato di non dovergli rispondere. Continuò a parlare «Però forse dovremmo rientrare, si è fatto tardi e domani abbiamo scuola»

«Hai ragione! Caspita, il tempo è volato 'sto pomeriggio» disse Sasori emettendo un leggero fischio alla fine.

Si incamminarono indietro verso la moto, e Sasori pregò che nessuno l'avesse rubata mentre loro erano nella radura.

Quando questa comparve davanti ai loro occhi insieme alla strada asfaltata, l'incanto in cui era piombato Sasori si spezzò, facendolo ricadere nel grigiore della monotonia giornaliera.

Appena Deidara fu salito sulla moto e gli fece cenno di mettere il casco e montare dietro di lui, però, scosse quella patina negativa che gli stava facendo perdere il sorriso e si preparò all'euforia che il viaggio di ritorno gli avrebbe riservato, pensando che con quel ragazzo ogni cosa era tutto fuorchè monotona.  







Note autrice: Salve! 
Se siete arrivati fin qui vuol dire che non vi ho annoiato con quella che considero una lunghissima introduzione! (E quindi spero che almeno qualcuno riesca a leggere le note dell'autrice u.u)
La storia doveva inizialmente essere una one-shot, ma mi sono lasciata prendere la mano, e credo che a questo punto diverrà una long di massimo cinque capitoli. 
Siccome ho già in mente come andrà a finire, dovrei essere abbastanza regolare negli aggiornamenti, quindi se qualcuno dovesse appassionarsi, stia tranquillo che potrà leggere il seguito presto! ;D 
Un bacione a tutti, 
Dream ♥

  
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