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Autore: nobodyishopeless    26/11/2013    2 recensioni
Conobbi Alex all'età di sette anni, restammo amici per molto tempo, ma io speravo che la nostra amicizia durasse per sempre, ma il suo suicidio mise fine alla nostra amicizia e anche alla mia vita. I miei genitori mi spedirono a Londra dalla zia Melinda. Non sarà facile sopportare il dolore, non sarà facile sopravvivere.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Prologue.
 
“L’unica cosa che amo mi sta uccidendo”
—         Eminem
23 luglio 2003
 
I bambini correvano nel campo sportivo in cui il comune aveva organizzato il centro estivo per far giocare i bambini e acquisire nuovi fondi dalle tasche dei genitori. Io e la mia metà Erica eravamo state iscritte da nostro padre, molti miei compagni di classe parteciparono a quel centro estivo e consolidarono i rapporti e ne crearono di nuovi. Gli animatori ci fecero giocare a calcio, sebbene fossi solo una bambina era uno sport che mi appassionava parecchio. Mio padre era un professore di educazione fisica e allenatore di nuoto, calcio e volano, nonché esperto di qualunque tipo di sport. Mentre giocavamo il sole era alto nel cielo e mi accecava, tuttavia i bambini che giocavano erano tutti molto simpatici e mi rallegravano la giornata, sebbene non sopportassi il caldo afoso. Ad un tratto il bambino davanti a me fece un balzo all’indietro per evitare una palla travolgendomi però e facendomi finire a terra col sedere.
Il bambino alto si voltò verso di me e il suo viso assunse un’espressione preoccupata, mi porse immediatamente la mano continuando a ripetere delle scuse con tono supplichevole. Lo guardai sorpresa. E presi la sua mano, senza sapere che non l’avrei mai più staccata.
-Io mi chiamo Alex comunque!- si presentò il ragazzino. Sorrisi.
-Io mi chiamo Valeria invece!- risposi mentre mi afferrò per caricarmi a cavalluccio, per poi cominciare a correre per il parco facendomi ridere. Eravamo solo dei bambini, che non potevano sospettare quanto la nostra vita potesse essere dolorosa, soprattutto il futuro di Alex.
 
4 Novembre 2008
Lanciai un’occhiata all’orologio, mancavano solo dieci minuti alla fine della lezione di storia che stava annoiando tutta la classe. Guardai fuori dalla finestra vedendo la pioggia scrosciante cadere a terra in balia del vento, scaricata dal cielo di piombo che non lasciava neanche uno sprazzo di azzurro, che ci facesse intendere che il cielo c’era ancora. Quando la campanella suonò mi alzai di scatto facendo strisciare la sedia e beccandomi un’occhiataccia dalla mia insegnante, ma non me ne curai. Non vedevo l’ora di uscire, per poter trovare Alex e andare a casa con lui. All’incirca una volta a settimana mi invitava a pranzo facendomi sentire un’amica speciale. Restavamo ore a chiacchierare di vestiti, a ridere per le sue battute e a raccontarci le nostre figuracce. Alex mi aspettava fuori, mi sorrise e mi porse la mano, la afferrai e ci incamminammo verso casa sua sotto l’ombrello rosso che sfoggiava una colorazione accesa. Appena arrivammo a casa sua madre ci accolse con degli asciugamani e un sorriso caloroso e contagioso. Ci aveva preparato la pasta e poi si era congedata in fretta prendendo il cappotto e la borsa, lei lavorava molto in uno studio medico, il padre di Alex lavorava ancora di più come avvocato. Era un uomo rigido dai sani principi, era un radicale religioso, era a messa tutte le domeniche. Io ed Alex mangiammo in fretta e poi corremmo in camera, il mio amico accese lo stereo e partì una canzone di Miley Cyrus “7 things”e iniziammo a saltare sul letto cantando e ridendo. Ad un tratto esausti ci sedemmo sul letto ancora con il sorriso stampato in faccia.
-Devo dirti una cosa…- mi annunciò il moro mordicchiandosi il labbro nervoso. Lo guardai sorpresa e assunsi un’espressione seria adeguandomi alla situazione che voleva introdurmi.
-Dimmi…- sussurrai. Il mio amico puntò i suoi occhi nei miei.
-Io.. sono gay Val.. non voglio nascondermi più.- mi sussurrò a sua volta.
Me lo aspettavo in realtà, avevo sempre avuto il sospetto che non fosse totalmente etero.
-Non devi nasconderti con me.. io credo che sia una grande conquista per te averlo capito.- lo rassicurai facendolo sorridere. Mi abbracciò fortissimo e mi stampò un bacio sulla guancia.
-Sei la migliore.. sapevo che avresti capito!- esclamò poi felice arruffandomi i capelli neri. Ridacchiai e in quel momento mi parse davvero felice, come se fosse all’apice della sua felicità, ed ero certa che tutto sarebbe andato per il meglio. Ma mi sbagliavo… e me ne accorsi anni dopo.
 
7 dicembre 2011 (present day)
Il canto cominciò, ma non ero proprio dell’umore per cantare in quella chiesa gremita di persone, inoltre tutte le lacrime che sto facendo scorrere dai miei occhi non mi avrebbe mai dato la possibilità di cantare, non vorrei cantare, vorrei solo urlare, vorrei alzarmi da quel banco di legno e correre fuori per poter sfogare tutto il dolore attraverso le urla le lacrime, i calci e l’atto estremo di strapparsi i capelli, finché avessi avuto forza in corpo. E invece no, invece rimasi restai per tutta la durata del funerale, non sopportando la gente che piangeva senza nemmeno conoscere Alex, che piangeva essendo la causa della sua scomparsa. Anche il senso di colpa mi aveva divorato per quei quattro giorni, mentre io ero a divertirmi al bowling il mio migliore amico si stava appendendo all’albero del suo giardino, l’enorme quercia su cui avevamo costruito la casetta sull’albero e vi giocavamo tutti i pomeriggi d’estate. Ero anche terribilmente incazzata con lui, non mi aveva lasciato un biglietto, un sms, una lettera, un messaggio in segreteria telefonica.. niente, silenzio.
Il giorno seguente mi alzai tardi sotto stress da mia madre, mi gettai nel divano e mi coprii con un pail rosso con le renne, e iniziai a piangere, mio padre arrivò puntuale e roteò gli occhi.
Passarono i giorni ed ero terribilmente triste e depressa, non riuscivo ad alzarmi al mattino, e non riuscivo ad addormentarmi la notte. Ad un tratto cominciai a sentirmi un corpo senza vita, senza anima. Passavo le mie giornate a letto, sul divano e in cimitero e non riuscivo a emozionarmi per niente, le mie amiche erano preoccupate e mi tempestavano di messaggi e di telefonate, anche il mio ragazzo era terrorizzato dalla mia situazione, ma lui lo lasciavo avvicinare di più delle ragazze, mi distraeva o almeno ci provava. Ma i miei capelli arruffati, il mio pigiama macchiato di sangue mestruale, saliva e sugo al pomodoro che mia madre mi aveva quasi imboccato a forza. Ero una vera morta, una morta che aveva ancora le funzioni vitali stabili, ma la mia morte era avvenuta con Alex. Perché l’unica persona che era sincera col mondo e cercava di essere sempre se stesso, ma poi era crollato. E allora la vita che senso aveva? Che senso aveva se la società ci metteva al mondo e poi ci uccideva? Mio padre era allucinato dalla mia reazione.
-Ora ne ho abbastanza, non voglio vederti mentre ti accartocci su te stessa. Ho preso un’importante decisione. Te ne andrai a Londra dalla zia Melinda e inizierai una nuova vita. Mi hai sempre stressato per imparare l’inglese.. beh la tua occasione è arrivata. Parti fra una settimana esatta!- esclamò mio padre, lo guardai apatica e non risposi, comunque non avrebbe fatto la differenza.
 
Ciao a tutti! Questa è la ristesura della mia prima storia, perché era veramente scritta da schifo.
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 A presto, Mar.
  
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