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Autore: CathLan    26/11/2013    2 recensioni
Partecipa allo Zayn!Fest indetto dal Wanki!Fic.
Per il prompt: Army!AU
"Il mulatto alza istintivamente la testa e reggendosi su un gomito si gira a guardarlo. Ha un sopracciglio alzato e i capelli lunghi sconvolti dal sesso, dal vento. Niall lo ama, Dio se lo ama. «Perché la musica?»
«Non ha senso. Io con la musica ci vivo, non ci muoio» nel dirlo allunga un braccio verso Zayn e gli sfiora una guancia barbuta. Il mulatto inclina il capo andando incontro alla carezza e sorride.
«Tu con la musica potresti salvare molte vite».
«Quindi mi lasci per salvare qualcun altro. Uno sconosciuto».
«Non ti lascio, me ne vado per un po’. Tornerò».
Senza preavviso Niall lo afferra per la nuca e lo fa abbassare. Con la lingua gli sfiora le labbra, Zayn le schiude. Si baciano a lungo, strofinando le bocche, i denti, le gengive. Alla fine entrambi sono senza fiato, con i sapori mischiati. Sembra tutto perfetto, un'allucinazione. Ma non durerà. «E se non torni io cosa faccio?»"
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Niall Horan, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Torna sempre da me

Che cos'hai?
Mancanza.

 
 
Quando si svegliò aveva ancora sonno, un caldo strano e non sapeva esattamente che ora o che giorno fosse, ma sapeva con certezza con chi aveva condiviso il letto tutta la notte, perché l’odore di caffè appena fatto aleggiava in casa sua solo quando Zayn era presente.  
Aprì gli occhi blu lentamente, aspettandosi una luce accecante, ma c’era ancora brutto tempo e le sue pupille si adattarono quasi subito al bagliore fioco dell’alba permettendogli di intravedere le sagome infelici della mobilia della sua camera da letto.
Sospirò e sfregò il naso sul cuscino che profumava ancora dello shampoo alle mandorle di Zayn, prima di decidere di alzarsi e raggiungere l’amico in cucina.
Lo trovò assorto a canticchiare un motivetto pop del momento, mentre sbattacchiava di qua e di là le posate senza curarsi dell’ora o del fatto che lui potesse essere ancora a letto. Sbadigliando e stiracchiandosi nel mentre, andò verso Zayn e gli cinse la vita con le braccia, posando il mento sulla sua spalla. Gli baciò la clavicola sporgente e fece passare i palmi caldi delle mani sullo stomaco piatto e glabro del mulatto.
«Come hai dormito?» Zayn, con il solito tono strascicato, si voltò verso di lui brandendo pericolosamente una padella fumante.
Niall gli sorrise e gli occhi scuri dell’altro ricambiarono.
«Bene. Tu hai avuto un incubo», non era una domanda. L’aveva sentito alzarsi dal letto, imprecare e chiudersi in bagno.  
Dalla guerra non si esce. O almeno, Zayn non ne era uscito. E non solo perché di lì a due settimane sarebbe tornato in Afghanistan. Semplicemente non se sarebbe mai potuto andare, nella sua mente si sarebbero accumulate le immagini di morti ingiuste, paesi distrutti e visi piangenti. E avrebbe sentito per il resto della sua vita, addormentandosi, grida strazianti e spari di fucili e mitragliatrici.
«Diciamo che non ho chiuso occhio» nel dirlo Zayn si avvicinò al tavolo – trascinandosi dietro Niall – e  lasciò scivolare la poltiglia bianca e giallognola nei due piatti bianchi, aiutandosi con una spatola. «Grazie per avermi ospitato, di nuovo».
Niall lo lasciò andare con un altro bacio sulla guancia ispida di barba e andò a sedersi. Riscaldandosi le dita con la ceramica calda della tazza sorseggiò un po’ del caffè bollente. «Quando vuoi» disse soltanto. Per lui non era mai stato un problema offrirgli uno spicchio del suo materasso e il calore del suo corpo. Erano anni che andavano avanti così.
Zayn gli aveva ripetuto più di volta di trovarsi qualcun altro, qualcuno che non scomparisse per mesi senza dargli la minima certezza di un ritorno, che si svegliasse ogni mattina al suo fianco e ci si addormentasse addosso. Lui non aveva mai trovato nessuno. O meglio, non aveva proprio cercato. Per tre anni aveva continuato ad aspettare i ritorni sempre più radi e brevi di Zayn, per poi essere schiacciato dalla lontananza e dalla paura, sempre da solo, accompagnato da lettere e telefonate confuse, finché una sera aveva conosciuto questa ragazza, Eilis, di origini irlandesi come lui, e si erano messi insieme. Il fatto che poi al successivo ritorno di Zayn l’avesse tradita, gli aveva fatto capire che non c’era nessuno in grado di poter prendere il posto del mulatto, ma aveva deciso di non lasciare la ragazza. Una volta che Zayn era salito su un aereo con la divisa, lui aveva ripreso la sua normale vita di coppia. Eilis, ignara di tutto, era sempre la stessa. Il porto sicuro, l’ancora che lo faceva restare aggrappato a quel mondo che un po’ aveva preso ad odiare.
Perché un mondo che ti porta via la persona che ami, che razza di posto è?
Il rumore dello sfrigolio dell’acqua sull’olio della padella lo ridestò dai suoi pensieri.
Zayn aveva alzato una nuvola di vapore sul lavabo. Si lavò le mani e si voltò, fissandolo con i suoi grandi occhi da cerbiatto. «Pensi sia giusto quello che facciamo?» gli chiese, infilandosi le dita nei capelli neri per cercare di dargli una sistemata. Erano corti, molto più di quanto li avesse mai portati.
Niall infilzò con la forchetta le uova strapazzate e se ne portò un boccone alle labbra. «Certo che no».
«E allora perché sono qui?» il tono di Zayn era basso. Avanzò e rubò dal sacchetto dei biscotti due biscotti alla panna.
«Te l’ho mai raccontata la storia dei due gatti di mia nonna?»
Zayn si lasciò fuggire un breve sorriso e spostò lo sguardo sull’orologio appeso alla parete bianca. «Certo».
«Mia nonna prese due gattini che avevano solo due mesi. Sai, si sentiva sola, gliene sarebbe bastato uno solo, ma la signora che glieli diede disse che erano particolarmente attaccati l’uno all’altro e allora nonna li portò a casa e li chiamò Sunny e Ocean. Erano inseparabili come gli uccellini, hai presente? Be’, quando uno mangiava anche l’altro si metteva a sgranocchiare croccantini, quando uno dormiva l’altro gli era sopra e faceva le fusa. Quando uno giocava, l’altro lo rincorreva prendendogli la coda. Persino alla lettiera ci andavano sempre insieme. Vissero tre anni completamente in simbiosi, senza mai staccarsi. Poi Sunny un pomeriggio scappò di casa, non si sa nemmeno perché, e finì sotto una macchina» la voce gli uscì spezzata. Si grattò il mento e prese un profondo respiro. «Mio zio lo trovò in fin di vita e lo riportò a casa. Dopo qualche giorno morì e Ocean, inspiegabilmente, cominciò a non mangiare, a non giocare, a non dormire. Si lasciò morire. E’ una cosa strana, non credi? Come se Ocean senza Sunny non potesse riuscire ad andare avanti. Erano due gatti, degli animali, eppure c’era qualcosa di strano e speciale tra di loro che non poteva continuare ad esistere senza uno dei due, ma senza entrambi probabilmente sì. Capisci ciò che voglio dire? Non dico che se tu morissi in guerra io mi ucciderei, ma credo che smetterei di vivere. Ho chiesto ad Eilis di sposarmi».
Zayn, che aveva sentito quella storia già una decina di volte annuì, ma alla fine del discorso sgranò gli occhi e si aggrappò al tavolo. «Ti sposi?»
«Devi capirmi, Zy. La sola idea di te vivo, anche se a migliaia chilometri di distanza, mi fa sentire bene. Sapere che da qualche parte il tuo cuore batte e la tua voce sbiadisce nel vento, mi permette di andare a letto, di alzarmi ogni mattina, di mangiare e lavorare, ma ho comunque bisogno di qualcuno che mi tenga su, perché da solo sono solo un automa. Ho bisogno di qualcuno che si prenda tutto il mio tempo, che lo occupi e lo riempia. Eilis mi piace, non mi vedo accanto a nessun altro e credo abbia pure capito quanto io e te siamo legati».
Zayn era immobile, ma gli tremavano le mani. «E se ti sposi io cosa faccio?»
«Tu cerca di rimanere vivo, e vienimi a trovare quando sei in licenza».
«E’ una stronzata, lo sai anche tu. Non potrai tradire tua moglie con me e poi fare lo gnorri. Ti sentiresti uno schifo».
Niall scrollò la testa e si alzò, stringendo i pugni. «Quando sei in licenza tu devi venire da me, perché anche se non siamo come quei gatti e non stiamo sempre insieme, almeno quando possiamo dobbiamo stare insieme. Devi sempre tornare da me, Zayn. Sempre».
Senza ribattere nulla Zayn annuì. «Quando?» chiese soltanto.
Niall non era un’idiota. Lo sapeva di averlo ferito, che quel giorno poteva essere l’ultimo. Che sarebbe potuto finire tutto, ma rispose comunque: «ad aprile dell’anno prossimo».
Perché lo amava. E alla persona che ami non menti.

 
***
 
Il cielo era grigio e prometteva acqua. Niall sperò vivamente non si mettesse a piovere perché altrimenti i suoi capelli avrebbero fatto una bruttissima fine. Era già tanto che l’abito da cerimonia non si fosse stropicciato.
«Se piove giuro che ammazzo qualcuno» sputò tra i denti Harry, minacciando a vuoto il tempo.
Un messaggio arrivò sul suo iPhone e lo aprì con le mani grosse piene di anelli. Mentre leggeva il suo viso si fece sempre più serio, il sorriso che era apparso alla vista del mittente scomparve e Niall notò le sue dita affusolate rispondere convulsamente, di fretta.
«Tutto okay?» domandò all’amico, posandogli una mano sulla spalla. La giacca nera si scostò un po’ e il polsino della camicia bianca si mostrò dando sfoggio del gemello in rubino che aveva trovato in un cassetto di Zayn. Era assurdo che si sposasse con addosso quelli, ma gli erano sembrati i più adatti.
Attese un segno di vita che arrivò solo dopo tre estenuanti minuti – li contò – e l’espressione di Harry gli fece venire la pelle d’oca. Quella mattina non faceva freddo, seppur ci fosse brutto tempo. Non aveva senso.
«Louis dice di non dirti niente» mormorò il ragazzo riccio, con tono lieve e roco. Gli occhi verdi lucidi, la mandibola rigida.
Niall non aveva bisogno di alcuna spiegazione, aveva già capito. Strinse la spalla larga dell’amico e lo incitò. «Dimmelo» tenne un tono normale seppur dentro gli si stesse scatenando un temporale.
Gli invitati stavano riempiendo le navate. Ancora qualche minuto e sarebbe dovuto entrare e aspettare la sua futura sposa in abito bianco.
«Zayn è stato ferito» annunciò Harry, serissimo.
Niall assottigliò gli occhi e cercò di trovare qualcosa nello sguardo smeraldino del riccio. «E’ morto?»
«E’ grave, l’hanno trasferito in un ospedale qui a Londra stanotte».
La corda di dolore e preoccupazione si allargò, lasciando a Niall modo di respirare a pieni polmoni. Alzò gli occhi umidi al cielo e una goccia gli finì sulla guancia, un’altra sul colletto della camicia firmata.
«Cosa faccio?» domandò.
Non si stupì quando Harry rise e gli diede una pacca sul petto. «Va’ dalla persona che ami, al resto ci penso io, in entrambi i casi».
Niall sapeva che era vero, Harry avrebbe fatto il possibile sia se lui fosse corso da Zayn, sia se lui fosse rimasto.  «E lei?» chiese, facendo un passo avanti. Varcò la soglia della Chiesa senza rendersene conto.
«Capirà».
«Sono proprio un bastardo».
Mentre correva giù dalle scalinate lasciando a bocca aperta gli invitati  nascosti da ombrelli enormi, sentì chiaramente Harry parlare al telefono con Louis chiedendogli di avvisare Eilis e di provare a sentire Liam che era già all’ospedale. Sorrise, fermando un taxi quasi saltandogli sul tettuccio e ci montò sopra senza voltarsi indietro neanche una volta. Gridò il nome dell’ospedale e contò i secondi nella mente per non pensare a nient’altro.
Non ce la fece.
 
«Perché la guerra?»
Zayn ruota gli occhi e si avvicina a lui, spegnendo il mozzicone nel posacenere posato sul comodino. Gattona sul letto e si sdraia al suo fianco, poggiando la nuca sul suo pettorale sinistro. «Perché no?»
«Dico sul serio, cazzo» sbotta, infervorato Niall.  
Il mulatto alza istintivamente la testa e reggendosi su un gomito si gira a guardarlo. Ha un sopracciglio alzato e i capelli lunghi sconvolti dal sesso, dal vento. Niall lo ama, Dio se lo ama. «Perché la musica?»
«Non ha senso. Io con la musica ci vivo, non ci muoio» nel dirlo allunga un braccio verso Zayn e gli sfiora una guancia barbuta. Il mulatto inclina il capo andando incontro alla carezza e sorride.
«Tu con la musica potresti salvare molte vite».
«Quindi mi lasci per salvare qualcun altro. Uno sconosciuto».
«Non ti lascio, me ne vado per un po’. Tornerò».
Senza preavviso Niall lo afferra per la nuca e lo fa abbassare. Con la lingua gli sfiora le labbra, Zayn le schiude. Si baciano a lungo, strofinando le bocche, i denti, le gengive. Alla fine entrambi sono senza fiato, con i sapori mischiati. Sembra tutto perfetto, un'allucinazione. Ma non durerà. «E se non torni io cosa faccio?»
Zayn ci pensa un istante, poi alza un indice e sorride. «Conosci qualcuno, te ne innamori, ti sposi. Facile».
«Non ci credi nemmeno tu, stronzo».
«Invece sì» dice convinto il mulatto, facendo spallucce. 
«Te l’ho mai raccontata la storia di Ocean e Sunny?»
«No, racconta dai, così dormo».


Il taxi si fermò proprio di fronte all’ospedale.
Niall corse a perdifiato, ma non appena finì di salire le scale si ritrovò di fronte a troppo bianco. Ad un odore troppo forte. Si piegò su se stesso e un’infermiera gli andò vicino, chiedendogli se stesse bene.
«Cerco Zayn Malik, un soldato appena tornato dall’Afghanistan».
La donna di mezza età fece un verso sorpreso, poi annuì e gli disse il numero della stanza. Avrebbe dovuto chiedergli chi era, o robe di quel genere, invece lo lasciò andare.
A Niall la cosa preoccupò e per non correre come un forsennato fino al terzo piano gli ci volle tutta la concentrazione e l’autocontrollo dell’universo.
Una volta arrivato di fronte alla porta giusta si fermò. Sentiva il cuore pompargli nelle tempie, la nausea assalirgli il palato e le gambe molli.
Bussò tre volte. A rispondere fu la voce inconfondibile di Liam, un commilitone di Zayn. L’aveva conosciuto qualche anno prima. Non gli era piaciuto. Era assolutamente convinto facesse il filo al suo Zayn, ma il mulatto gli aveva ripetuto che Liam era eterosessuale e felicemente fidanzato, così alla fine aveva lasciato perdere e ci aveva pure bevuto insieme un paio di birre.
«Permesso» mormorò, entrando nella stanza asettica, che sapeva di medicinali e Zayn.
Quest’ultimo era sdraiato su un lettino e non appena udì la sua voce alzò il volto quel tanto che bastava per incontrare il suo sguardo liquido.
«Mi dispiace» mormorò subito, cercando di studiare un modo per cominciare un discorso sensato. Qualcosa. «Sono proprio un bastardo» disse poi, come aveva fatto mezz’ora prima.
Liam si levò dai piedi borbottando qualcosa su del caffè e li lasciò da soli.
Zayn non disse nulla, aveva un braccio ingessato, delle fasciature sulla testa e un taglio su uno zigomo.
Lo osservava con un cipiglio imperscrutabile. «Ti dispiace per cosa?» gli domandò alla fine, con l’accento straniero nemmeno tanto marcato come al solito nella voce bassa.
«Per aver pensato di potermi sposare con qualcuno che non fossi tu» rispose Niall, senza pensarci.
Zayn annuì e si raddrizzò con non poca fatica, allungando un braccio verso di lui invitandolo a farsi avanti. L’irlandese lo fece, raggiungendolo con un paio di lunghe falcate. Si accomodò sulla stessa sedia che aveva usato Liam, ma l’avvicinò il più possibile al letto, in modo da poter stringere le dita di Zayn senza farlo stendere troppo.
«Sono io il bastardo» esordì Zayn, fissando un punto imprecisato sulle lenzuola azzurre. «Dovevi sposarti. Non posso privarti delle gioie della vita solo perché a me piace saltare dagli aerei e provare a salvare le persone. Ma ti amo, davvero, e quando in guerra non c’è niente se non la paura e la solitudine mi basta pensare a te. Chiudo gli occhi, prendo un profondo respiro e guardo nei cassetti della memoria. Mi piace ricordarmi di come mi sorridi la mattina, o come ti brillavano gli occhi di paura quella volta che portai a casa il Pitbull. Mi piace canticchiarmi nella mente le canzoni che piacciono a te, immaginarti lì a suonare la tua chitarra. Lo faccio per sentirmi a casa, per salvarmi. Niall, se non sono morto è solo grazie a te. Ma non voglio che tu sia costretto a non vivere la tua vita a causa mia, quindi se vuoi sposarti fallo. Vai e vivi la tua vita. Lo credo sul serio che dovresti sposarti con lei».
Era così concentrato nel parlare che neanche si rese conto che Niall si era seduto sul letto, al suo fianco.
«Per tutto questo tempo non ho fatto altro che pensare “torna da me, Zayn”, ma tu non tornavi. Avevi detto che ci saresti stato per il mio matrimonio e non c’eri. E avrei dovuto essere emozionato, farmi prendere dai preparativi, ma la mia mente non faceva altro che chiedersi dov’eri, perché non tornavi. Una volta ti ho detto che non farei come Ocean, ma lo sappiamo entrambi che non era vero. Senza di te non ce la farei. Eilis era solo un qualcosa a cui mi stavo aggrappando per non affondare, l’ho usata. Sono un bastardo e lei si merita di meglio. Non mi sposerò, fattene una ragione. Ti aspetterò finché tu avrai anche una sola ragione per tornare».
Zayn si passò la mano buona sul viso, come a scacciare un qualcosa di fastidioso e rise, flebile. Tossì anche, perché doveva avere qualche costola rotta e alla fine buttò la testa all’indietro, prendendo a piangere a singhiozzi. Forte, come un bambino.
Facendo più attenzione possibile Niall lo cinse tra le braccia e lo cullò. Solo quando Zayn si calmò del tutto e cominciò a russare sommessamente l’irlandese si permise di chiudere gli occhi.
Sfiorò con le nocche le piastrine argentee posate sul petto scosso da profondi respiri del compagno e sospirò.
«Torna sempre da me, ti prego» sussurrò, prima di addormentarsi.



Note autore: Hola! Questa fic partecipa allo Zayn!Fest indetto dal Wanki!Fic e sinceramente avrebbe dovuto essere inserito in un contesto vero e proprio di guerra, ma sinceramente a me non è venuta nessuna idea migliore di questa e così ho buttato giù questa One Shot che okay, parla di guerra, ma Zayn e Niall non ci sono dentro per davvero in tutta la fan fiction, so.. vabbè.
Comunque spero sia piaciuta e non abbia deluso nessuno. 
Grazie a chiunque si è spinto fino qui per leggere, un abbraccio. 
Alla prossima! 

Disclaimer: Non sono miei, non ci guadagno nulla. E' tutto inventato. Sigh ;w;
 
  
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