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Autore: Amens Ophelia    28/11/2013    10 recensioni
[SasuHina]
Hinata ha poche certezze, dietro quegli occhi chiarissimi: sa che il sole sorge e tramonta sempre, anche dietro le nuvole, e che il suo astro personale è un ragazzo biondo, in classe con lei. Purtroppo è anche a conoscenza del fatto che lui non lo saprà mai.
Troppe sono le cose che ignora pericolosamente, come il posto che occupa nei pensieri di Sasuke Uchiha.
(NB: accenno SasuKarin)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Neji Hyuuga, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
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11. Dritto al punto

 
 
 
Era curioso come il silenzio fosse un tratto che legasse due fratelli apparentemente simili, ma profondamente diversi, se conosciuti a fondo. Hinata non poteva certo vantare il suddetto privilegio – se ancora era possibile definirlo così, a tal punto – ma non riusciva a sostenere quel vuoto di parole per più di tre minuti.
            L’auto viaggiava a una velocità non troppo sostenuta verso villa Hyuga, ma, a differenza dell’andata, qui non vi era nemmeno la musica di sottofondo a creare un’onda sonora. L’assenza di note e voci la catapultava dritta al ricordo di quanto fosse avvenuto poco prima: lo sguardo tagliente di Sasuke, che sembrava volerla allontanare improvvisamente da sé, proprio ora che lei… No, impossibile, le sue certezze non potevano esser vacillate sulla scia dei baci che il moro aveva impresso sul suo collo! Istintivamente ripercorse il lussurioso tragitto delle labbra di Sasuke con la punta delle dita, rabbrividendo. La pelle era ancora rovente, proprio come le sue mani e il sangue che era corso alla testa, annebbiandole i pensieri. Sentiva incredibilmente caldo, nonostante il riscaldamento fosse ridotto al minimo indispensabile perché il parabrezza non si appannasse.
            «Ti senti bene?», le chiese Itachi, accorgendosi delle sue palpebre socchiuse e la mano sul collo.
            Sorrise maliziosamente, intuendo cosa potesse essere accaduto in sua assenza: conosceva bene il fratello, i suoi pensieri e il posto che Hinata occupava in essi. Eppure, notando l’imbarazzo che aveva tinto di rosso le guance della ragazza, provò un briciolo di pena, per lei. Non voleva che Sasuke l’avesse spaventata, sperava che avesse adottato un comportamento diverso, nei suoi confronti. Gliene aveva raramente parlato apertamente, ma dalle fugaci battute che aveva accennato sulla Hyuga, lui aveva colto quei dettagli atti a prefigurargli un preciso ritratto nella mente: Hinata rappresentava un’aspirazione inviolabile, una bellezza che sapeva catturare grazie alla sua innocenza, una delicatezza difficile da conquistarsi, ma assolutamente da proteggere. Quasi aveva avuto paura nel farlo notare all’otouto, ma era evidente.
 
«Ne sei innamorato», aveva tratto velocemente le conclusioni, dall’alto del proprio acume.
            «Non dire cazzate», aveva mormorato con un ghigno infastidito, il fratello. 
            Ammirava quel talento che Itachi aveva nel leggergli la mente, ma si stava sbagliando di grosso; il minimo interesse che provava verso Hinata era dovuto solo al fatto che voleva… renderla felice. Sì, era evidente che fosse così, anche se non ne comprendeva il motivo, dal momento che mai si era interessato alle vicende di chi gli gravitava attorno. Forse stavolta era diverso proprio perché la Hyuga non gli stava costantemente appiccicata, non cercava di attirare la sua attenzione in alcun modo, pur riuscendovi perfettamente. Lei non portava vanesi fronzoli fra i capelli o ai lobi delle orecchie, né nascondeva la propria fragranza naturale con profumi, e neppure ostentava il prestigio della propria famiglia onde spiccare sugli altri. Hinata era così come appariva; nessun secondo fine dietro le sue parole, né alcun intento ammaliatore al di là dei suoi timidi sorrisi. 
             «Hai mai pensato che potrebbe essere quella capace di sanarti?», gli chiese l’aniki, poco prima di uscire dalla sua stanza. 
            Sasuke strinse gli occhi e tornò a massaggiarsi le tempie: quel mal di testa non gli era ancora passato, anzi, se possibile, era addirittura aumentato, a seguito del rapporto consumato con Sakura, una mezz’ora prima. Altro che sesso terapeutico! Niente sarebbe riuscito a farlo sentire meglio, men che meno Hinata, per quanto Itachi continuasse a insistere che lei potesse essere il rimedio. 
            Era pronto a giurare che non esistesse una cura contro ciò che era diventato, a furia di perseverare nel peccato, ma quando il cellulare s’illuminò e vide la fotografia che Naruto gli aveva appena inviato, l’acuto dolore alle tempie sparì istantaneamente. 
            Sei sempre imbronciato, mi rovini anche le foto del diciottesimo!
            L’Uzumaki non aveva tutti i torti, in effetti: Sasuke osservava l’obbiettivo con aria scocciata, puntando uno strafottente dito medio in direzione dell’amico – nonché fotografo improvvisato. Nemmeno ricordava quel momento, ma ora sapeva che non l’avrebbe più scordato: dietro di lui, di tre quarti, incorniciato da una folta chioma blu notte, splendeva il dolce sorriso di Hinata, probabilmente intenta a parlare con Tenten. 
           Sorrise impercettibilmente, zoomando sulla ragazza, sul suo viso. Seppur ora l’immagine apparisse sgranata, poteva osservare anche il colore chiarissimo dei suoi meravigliosi occhi e il leggero rossore sulle gote, per niente dovuto ad alcun belletto o bicchierino di troppo. Benedì Naruto, che era riuscito a cogliere anche lei, da quella angolatura, lasciando nell’ombra del profilo il livido sull’altra guancia. 
           Quella, in qualche modo, era la loro prima foto insieme, ed era sinceramente felice che non ci fosse nessun altro ad occupare l’inquadratura, né tantomeno la ferita sul volto di Hinata, il segno di una presenza ingombrante. 
 
«Perdonalo, se puoi», le chiese Itachi, tornando a fissare la strada. “Perdonalo, perché solo tu puoi salvarlo, e solo lui può salvare te”, aveva completato mentalmente, sospirando.
            «C-credo di averlo deluso», ammise lei, tormentandosi le mani.
            Aveva avuto paura di quello che sarebbe potuto succedere, ma, più di ogni altra cosa, aveva temuto la propria impotenza, il non essersi sottratta a quella sensazione che, per quanto piacevole, non desiderava sperimentare con Sasuke. Eppure, adesso, non riusciva a pensare ad altro che alle sue labbra, i suoi occhi, i suoi polpastrelli caldi… le aveva anche sbottonato la camicia, era evidente ciò che desiderava da lei. Non riusciva a crederci e non sapeva nemmeno cosa pensare, al riguardo. Comprendeva amaramente, però, di averlo disilluso: i suoi occhi cupi, poco prima di averla lasciata uscire di casa, glielo avevano fatto presente in un modo sconcertante. Ancora una volta, pur dovendo ragionevolmente sentirsi vittima della situazione, marchiò se stessa come colpevole.
           «Credo che tu sia l’ultima persona al mondo ad averlo lasciato amareggiato, invece», la rassicurò il moro, in tutta sincerità.
           Non voleva nemmeno sapere il perché ne fosse tanto sicuro, aveva paura di conoscere già la risposta, ed era ormai stufa di lasciarsi abbracciare dal timore della realtà. Meglio aleggiare nel dubbio, per una buona volta.
 
Il suo piede s’imbatté in un piccolo fagotto raggomitolato sul tappetino. Riconobbe di cosa si trattava dal suono che la plastica emise a quel contatto e si rammaricò di aver trattato tanto malamente l’abito preso in prestito e, fuor di metafora, la speranza di una notte.
            Raccolse la busta e sorrise lievemente, appianando le piccole increspature dell’involucro.
            «Ecco… grazie per il tuo pensiero. Anche tu stai facendo tanto, per me, pur non dovendo».
            Itachi nemmeno la sentì; accostò davanti al cancello aperto di villa Hyuga e spense il motore.
            «Perché è sempre spalancato?», chiese curioso, osservando le inferriate finemente lavorate con intrecci fitoformi.
            Hinata sorrise, anche se gli occhi erano sul punto di scheggiarsi. Perché i due fratelli Uchiha riuscivano a ricordarle sempre la persona che più le mancava al mondo?
            «È stata una scelta di mia madre: lasciare aperte le porte a chi fugge, regalare parte della propria quotidianità a chi non è abbastanza fortunato, offrire ospitalità a chi ne ha bisogno, essere di conforto agli altri…».
            «Paradossale, dal momento che voi Hyuga serrate il cuore a tutti», commentò sarcastico.
            La giovane rimase sorpresa da quella constatazione. Non aveva torto, in effetti, e si trovò a sorridere. Sua madre era diversa dal resto della famiglia, non aveva mai nascosto a nessuno i propri sentimenti, né aveva mai rinunciato ad aprirsi agli altri, pur di farli sentire meglio. Ancora una volta, avrebbe voluto essere più simile a lei.
            «Tieni» e offrì a Itachi la busta.
            Il ragazzo afferrò il sacchetto con espressione curiosa e non esitò a scoprirne il contenuto.
            «Carino», sussurrò stendendo le braccia in avanti, rimirando l’abito nero. «Ma cosa dovrei farmene?». Si girò verso la ragazza, aggrottando le sopracciglia, e scoprì la sua aria stupita. «Ti ho dato per caso l’impressione di essere… Santi numi, devo tagliarmi i capelli, vero?», si preoccupò lui, accarezzando istintivamente la coda di cavallo lungo la spalla.
            Hinata non capiva quello sbigottimento. «Desideravo che tu lo riportassi alla tua ragazza, con i miei ringraziamenti. Siete stati entrambi davvero gentili a preoccuparvi tanto per me».
            «Oh, non c’è di che!», esclamò rincuorato il ragazzo, ripiegando il vestito e sistemandolo nella borsa di plastica, per poi riconsegnarlo a lei. «Se solo fossi fidanzato!», sorrise.
            «M-ma Sasuke… a-allora l’abito», cominciò a balbettare confusamente.
            «Tienilo pure, consideralo un regalo», la rassicurò lui.
            Hinata non sapeva che dire, né dove guardare. Una parte di lei era lusingata per quel dono inaspettato da parte del suo compagno di classe, ma l’altra pensava a quanto fosse imbarazzante; non sapeva spiegarsi il motivo di tanta premura… o meglio, riusciva a comprenderla solo alla luce di ciò che sarebbe di sicuro successo, senza l’arrivo di Itachi.
            Rabbrividì e scosse il capo, chiudendo gli occhi: Sasuke non era certo il tipo che l’avrebbe comprata con dei regali pur di portarla a letto. Diamine, come poteva solo passarle per la testa, un’idea del genere? L’Uchiha non l’avrebbe mai fatto! Anche perché lei non voleva credere alla fama che l’aveva preceduto, alle decine di ragazze sedotte e abbandonate… insomma, una come lei non poteva certamente interessargli. Eppure, i fatti appena accaduti dimostravano chiaramente che sarebbe bastato poco perché ciò fosse successo davvero. Non era in grado di capire cosa volesse da lei, né cosa il suo cuore si aspettasse da lui.
           «Mi ha detto che eri fidanzato», spiegò la Hyuga, cercando di cacciare quelle riflessioni.
           «Non ho una ragazza… anche se nutro un debole, per quelle con i capelli blu».
 
Nella mente gli tornò di sfuggita Konan, quella giovane per cui aveva perso il senno qualche mese prima. Frequentavano la stessa facoltà, la incrociava spesso a lezione e nella pausa pranzo, e rimaneva ore intere a fissarla, fingendo, di tanto in tanto, di prendere appunti. Si era sorpreso di sé per aver persino provato a ritrarla, qualche volta, con scarsi risultati: per quanto fosse oggettivamente bravo in campo artistico, nessun disegno era abbastanza fedele alla bellezza della modella. Konan era come di un altro pianeta, con quegli occhi color ambra calda e il sorriso sfuggente. Solo una volta era riuscito a vedere i suoi splendidi denti bianchi, perfettamente allineati, come perle in una collana, e ne era rimasto folgorato.
            Un giorno aveva preso coraggio – incredibile come un tipo così diretto avesse avuto bisogno di raccogliere le proprie forze – e le aveva proposto di bere un caffè insieme, al bar dell’università. Lei aveva inarcato un sopracciglio e con tono freddo aveva declinato l’invito, spiazzandolo totalmente e lasciandolo con un palmo di naso. Non era rimasto male per essere stato rifiutato, ma per il semplice “no” con cui l’aveva liquidato; sarebbe stata una delusione meno cocente, se lei avesse almeno posseduto la premura di addurre un motivo della sua scelta. “No, non mi piaci”, oppure “Non ci tengo a conoscerti”, “Mi stai sulle palle”, o, il colpo di grazia, “Esco già con Yahiko”. Gli sarebbe bastato poco, per sentirsi meglio.
 
Sbatté le palpebre e osservò divertito Hinata, che si attorcigliava una ciocca di capelli, con aria imbarazzata e la schiena rigida. Come mettevano in soggezione gli Uchiha, nessuno ci riusciva!
            «Sta’ tranquilla, tu sei troppo piccola, per me… senza contare che hai altri occhi, puntati addosso», sorrise serenamente.
            Lei si rianimò, incrementando il rossore sul viso. Che Naruto gli avesse confessato qualcosa? Si sentiva patetica a pensarlo, ma aveva davvero bisogno di credere che quello che era successo con Sasuke fosse irrilevante, pur intuendo, però, quanto fosse più facile che una tale confessione fosse provenuta dall’otouto che da un semplice amico, alle orecchie di Itachi.
            «Da-davvero?», balbettò con gli occhi lucidi. Aveva la necessità di sentire quel nome, per far ricomparire nella mente le immagini della chioma bionda e del sorriso rassicurante dell’Uzumaki.
            Itachi scoppiò in una risata fragorosa. «L’incanto di un diamante non è direttamente proporzionale al suo acume. Ti facevo più sveglia, Hinata».
            Troncò lì la discussione, scendendo dall’auto. Si stiracchiò e fece scrocchiare la schiena, osservando villa Hyuga. Intravide Neji, nel buio del giardino illuminato dai faretti, intento ad allenarsi con dei sacchi appesi agli alberi e dei fantocci conficcati nelle zolle di terra. Quel ragazzo non sarebbe mai cambiato; sembrava metterci tutta la grinta di chi punta alla cintura nera, se non che lui l’aveva già ottenuta da anni, insieme con il maggiore degli Uchiha.
 
Lo Hyuga non si fermò nemmeno quando Itachi gli si fece vicino, continuando imperterrito a sferrare calci e pugni ai sacconi. Era incredibilmente veloce e più centrava il bersaglio, più il suo sorriso si ampliava, tremendamente sinistro. Le gocce di sudore che gli imperlavano la fronte e avevano fatto incollare delle ciocche di capelli alle guance indicavano che si stava allenando da ore, ma non sembrava per niente fiaccato; probabilmente sarebbe andato avanti anche durante la cena, saltando deliberatamente il pasto.
            «Dovresti rientrare, o finirai per ammalarti», si preoccupò la cugina.
            Neji trasformò quel sorriso in un ghigno ancora più aspro. «Adesso te la fai anche con il fratello maggiore?», urlò in sua direzione.
            Hinata si allontanò verso la porta, imbarazzata, ma riuscì comunque a cogliere la risposta di Itachi:
            «Lasciala in pace, l’ho solo riaccompagnata».
            Le era comparso un sorriso sul volto, quando aveva sentito quelle parole, e non aveva potuto evitare di pensare a quanto i due Uchiha fossero simili nell’affrontare senza alcun remore suo cugino, per quanto, dietro le labbra sottili, fossero racchiusi e stretti fra i denti due spiriti diversi.
            «Nee-chan, mi aiuti con i compiti?», domandò con tono implorante Hanabi, dalla finestra della cucina.
            Hinata si riscosse e annuì alla sorella, salutando e ringraziando l’Uchiha. Rientrò e lo lasciò da solo in giardino.
 
Neji continuava a tirare pugni ai fantocci, ignorando la presenza del moro. Aveva mormorato uno spregevole “patetica” in direzione della ragazza, non appena chiuse la porta di casa.
            «Perché sei così stronzo con lei?», domandò l’altro, infastidito.
            «Non posso farci niente, è la mia natura». Onde sottolineare il concetto, tirò uno spietato calcio al collo del manichino, staccandogli la testa. La osservò rotolare sull’erba, finché non sparì nella zona d’ombra, ansimando soddisfatto e asciugandosi con il dorso della mano la fronte madida.
            «Tua cugina è carina, non merita un tale trattamento».
            «Cos’è, hai preso una cotta pure tu, per lei?», sbottò incredulo e disgustato.
            Itachi scoppiò a ridere. «No, è tutta di Sasuke».
            Neji strinse i denti e sferrò un ferreo pugno al sacco che penzolava a lato di Itachi, facendo piovere addosso all’ex compagno di allenamenti una cascata di foglie gialle. Non poteva sopportare che Sasuke fosse interessato alla cugina perché non riusciva proprio reggere la sua arroganza e il modo in cui lo sfidava apertamente, anche solo con uno sguardo.
            Sfogato in tal modo il malessere, si accovacciò, appoggiando la schiena contro il tronco dell’albero. Adesso la stanchezza cominciava a farsi pressante, le mani gli tremavano leggermente, arrossate, ma non avrebbe comunque smesso di tirare calci prima delle nove. L’aveva promesso a se stesso, senza contare che lottare lo faceva sentire decisamente vivo.
            Alzò il capo e concesse un sorriso tirato a Itachi.
           «Preferirei mille volte che fosse uno come te, ad esserne innamorato. Le ci vuole qualcuno che non la faccia crollare alla prima crisi, ma che la protegga e sostenga. Suo padre ha contribuito a rafforzarla, ma anche a spezzarla… e io non sono stato da meno, anzi. Sono un vero bastardo, con lei».
           Non capiva nemmeno perché si stesse confidando con un amico che non vedeva da tempo; forse ci riusciva perché Itachi era davvero tale, era suo amico. In passato, perlomeno, erano davvero stati affiatati, nonostante i cinque anni che li dividevano: Neji, già profondamente maturo, a dispetto della verde età, aveva preso l’Uchiha come modello e l’altro aveva facilmente stretto amicizia con quel ragazzino intelligente e coriaceo.
           «E perché lo fai, pur avendola a cuore?», domandò il ventitreenne, accovacciandoglisi affianco.
           Ecco, aveva letto nel suo pensiero. Perché non se n’era stato zitto?
           Neji abbassò il capo e cercò una risposta, più per se stesso, che per il proprio interlocutore, ma il responso non giunse. Dubitò che ci fosse davvero un motivo, dietro il proprio freddo atteggiamento; come aveva già detto, era la sua natura. Poteva essere cattiveria gratuita, proprio come non poteva esserlo.
           «Perché è sincera», ammise infine.
           «E con questo?». Quella ragione l’aveva sorpreso.
           «Voglio che lei mi detesti, che non si nasconda dietro sorrisi finti come gli altri, che hanno paura di guardarmi negli occhi».
           Itachi scosse la testa, ridendo sottovoce. «Non fai paura, Neji, ma vivi nella convinzione che tu intimorisca le persone».
           Il diciottenne decise di non dare ascolto a quelle parole, per quanto sagge. Non erano veritiere, a suo parere; o meglio, erano attendibili solo se abbinate al nome Uchiha: lui e Sasuke sembravano essere i soli a non temerlo. Un discorso diverso meritava Hinata che, seppur vessata dal suo caratteraccio, non si era mai arresa nel tentativo di restargli accanto. Non aveva mai capito come lei non fosse spaventata dai suoi modi bruschi e cercasse sempre e comunque di alleviare – inutilmente – i suoi tormenti interiori. Lo infastidiva, gli metteva i nervi quel buonismo gratuito… era come se davvero lui le facesse pietà, quando era lei a suscitare tale sentimento negli altri. Era una situazione intollerabile.
          «Voglio che diventi forte, una vera Hyuga. Desidero che arrivi a detestarmi: solo allora sarà invulnerabile», aggiunse, con sguardo ardito.
          «Allora aspetta e spera. Non hai proprio capito com’è fatta!», rise Itachi, rialzandosi.
          Il giovane non aveva tutti i torti: Neji non conosceva sua cugina che per il nome e quelle piccole consuetudini tutte sue, come il capo costantemente abbassato, le guance arrossate, gli occhi nascosti o bagnati da lacrime, il tono sommesso e remissivo, caratterizzato da parole balbettate… oltre queste peculiarità, non sapeva altro. Viveva da diciotto anni con una sconosciuta, era imparentato con un fantasma di cui ignorava tutto, dal numero di scarpe alla band preferita. Era paradossale, ma era la verità. Itachi gli aveva incredibilmente aperto gli occhi su un dato di fatto, e lui, inconsapevolmente, in cuor suo, se ne dolse.
            «Non glielo dirò mai, ma le sono grato. Sono grato a lei per il fatto di considerarmi ancora un essere umano. Mi guarda in faccia e dice ciò che pensa, esprime una forma… di affetto. È debole, ma…».
            «Allora non hai capito! Ha più forza di tutti voi», lo interruppe l’Uchiha, risistemando la testa decapitata al fantoccio di foglie secche. Quando finì, si voltò verso Neji, che si era intanto rialzato, e gli sorrise, accingendosi ad andarsene. «Continua a perseverare nei tuoi contorti metodi da Hyuga; non ti chiedo di diventare il suo migliore amico, ma di proteggerla e accettare le sue decisioni. Questo è ciò che vuole anche Sasuke… perché non dovresti auspicarlo pure tu?».
            «Non mi piace per niente, tuo fratello», ribatté l’altro, digrignando i denti.
            Itachi non fece una piega. «Lo so. A volte è duro, ha lo stesso carattere di merda di mio padre, ma resta pur sempre un Uchiha: quando ama, lo fa con tutta l’anima. Fatto sta che lui non è mai stato innamorato di nessuna ragazza in maniera così segreta, rapida e intensa. Non ha mai perso la testa come ora per Hinata. Farebbe di tutto, per lei, anche rinunciare ad averla solo per sé e consegnarla a colui che le piace… a Naruto».
            «Naruto?!», esclamò Neji, stupefatto.
            «Kami del cielo, non dirmi che non te ne sei accorto!», sbottò incredulo l’altro, agitando le mani. «Oh, Hyuga, allora avevo proprio sopravvalutato il vostro intelletto!». Perché cavolo non si era iscritto a Psicologia?
 
Neji osservò Itachi allontanarsi, con gli occhi sbarrati, in totale silenzio. Non avrebbe ripreso l’allenamento, al diavolo la promessa fatta a se stesso! Hinata era innamorata di quella testa quadra di Naruto, come diamine non se n’era mai accorto, prima di allora?
            Non sapeva ancora se gioirne o meno, considerando che quella notizia allontanava improvvisamente lo spettro di Sasuke dall’orizzonte. A dir la verità, non era nemmeno sicuro che comunicare tutto a Hiashi fosse una buona mossa; aveva mostrato segnali di umanità verso la figlia, e, per quanto fedele ai propri principî, non desiderava che quello sforzo dello zio nel riagganciare i fili interrotti con Hinata finisse al vento.
            A malincuore, decise che avrebbe tenuto quella confessione per sé.
 
***
 
Aveva preso la linea da cinque minuti, ma già allo scoccare del trentesimo secondo, si era rammaricato di quella decisione. Il fiume di parole che gli aveva travolto l’orecchio non sembrava dar segno di cedimento, travolgendo i suoi pensieri – e la sua pazienza. Aveva fatto vagare lo sguardo dagli articoli di cancelleria, ordinatamente riposti sul tavolo, alla finestra, soffermandosi a osservare la macchina del padre, appena rincasato. In fondo al viottolo aveva intravisto anche i fari dell’utilitaria della madre e intuì che di lì a venti minuti avrebbero cenato tutti insieme. Sospirò e decise di interrompere lo sproloquio dell’interlocutore, sedendosi alla scrivania.
            «Sono contento per te». Cercò un modo cordiale per troncare il discorso, ma era inutile, già lo sapeva.
            «Non puoi capire! È arancione! Ha azzeccato il colore già con il pacco, ma non mi sarei mai aspettato che…».
            «Senti, Naruto: non me ne frega un cazzo della tuta che ti ha regalato Sakura!», sbottò furioso, dopo l’ennesimo tono d’entusiasmo dell’amico.
            «Oh, sei solo geloso perché nessuna ragazza ti ha mai donato qualcosa del genere», lo schernì il biondo, con inflessione infantile.
            «Se vuoi proprio saperlo, tante mi hanno elargito qualcosa di più prezioso di uno stupido completo sportivo», sorrise maliziosamente, scarabocchiando il foglio che si trovava sottomano.
            «Oh, certo! Il signorino ricco avrà ricevuto orologi d’oro e vestiti firmati», ribeccò, acuendo l’intonazione scherzosamente puerile.
            Sasuke si batté la mano sulla fronte, scuotendo la testa. «Sei il solito deficiente», borbottò sottovoce. Ma, in fondo, gli voleva bene anche per questo. Naruto era ancora un bambino, spontaneo e ingenuo, proprio come lei.
            «E sentiamo, se non della mia tuta, di cosa vorresti parlare?».
            Sasuke si lasciò sfuggire la penna dalle dita e inspirò profondamente. Con Naruto non reggevano i giri di parole, bisognava andare al sodo.
            «Cosa pensi di Hinata?».
            «Che c’entra Hinata?».
            «Sta’ zitto e rispondi!».
            «Ok, ma prima spiegami come posso rispondere e stare zitto, allo stesso tempo», lo prese in giro l’altro.
            «Testa quadra!», sbraitò Sasuke. «Cosa pensi di lei?», ripeté. Voleva conoscere la risposta a quella domanda che non trovava esiti in lui. O, forse, troppi.
            «Perché me lo chiedi? È gentile, carina… insomma, lo sai! Sarà lo stesso che pensate tu e tutti gli altri. Come dovrei mai considerarla? È Hinata, lei è così evanescente…».
            «… Ma rimarchevole», completò automaticamente il moro, seguendo il filo dei propri pensieri.
 
Lei era diversa, non assomigliava a nessuna delle altre ragazze, era un campo nuovo e lui era inaspettatamente inesperto. Per certi versi, la situazione poteva apparire a suo vantaggio: era timida, ingenua, indifesa… una preda facile. Ma aveva capito che era proprio questo, il suo pregio: il candore, la purezza celestiale che si sopraelevava al fango del mondo, a quella stessa melma di cui lui era costituito. L’aveva sfiorata con le dita e con le labbra e quella sensazione era ancora fresca sui polpastrelli e nelle riflessioni; non avrebbe mai dovuto farlo, se ne pentiva amaramente, perché il pensiero della paura, negli occhi di Hinata, lo traghettava nel dispiacere. Aveva rovinato tutto, nel giro di qualche minuto. Aveva tagliato un ponte fragile edificatosi in una manciata di giorni, con sguardi sfuggenti, ma carichi di sentimento, sorrisi appena accennati, ma autentici… aveva demolito ogni cosa. Se non era certo di ciò che provava, a questo punto, era però sicuro che il tempo non si sarebbe mai riavvolto, che non sarebbe mai potuto tornare a quell’istante in cui Hinata aveva chiuso gli occhi e abbassato le proprie difese per lasciarsi sfiorare. Era sicuro di aver travisato tutto, ma non riusciva comunque a pentirsene. Bramava ancora i suoi occhi di perla e sentiva l’impellente desiderio di assaporare le sue labbra, ora.
 
Si riscosse improvvisamente, sentendo un rumore dall’altro capo del telefono: Naruto stava ancora aprendo il pacco di Sakura, probabilmente con trentadue denti sfavillanti sfoderati sul volto.
            «Secondo me è cotta!», urlò il biondo.
            «Cosa diavolo stai dicendo?», domandò Sasuke, imbarazzato. Che l’Uzumaki, a dispetto dell’ormai proverbiale ottusità che lo contraddistingueva, fosse riuscito a leggere qualcosa che lui non era riuscito a cogliere? Per lui, Hinata era…
            «Ma Sakura, no? È cotta di me, è chiaro!», trillò entusiasta.
            L’Uchiha si passò per l’ennesima volta la mano sulla fronte, sospirando. Quel tonto stava ancora pensando all’Haruno, per fortuna. Perché era fortuna, vero? La fissazione di Naruto era un segnale che gli indicava quale fosse la strada da percorre, di lì in avanti, giusto? Il batticuore non gli parve ancora un riscontro soddisfacente.
            «Insomma, a te piace Hinata, sì o no?». Dritto al punto.
            Sentì Naruto tossire imbarazzato, o, forse, stupefatto. Certo, come altro doveva apparirgli quella domanda, se non fuori luogo? Perché si stava fissando tanto sulla Hyuga? Era sul punto di fare retro-front, rimangiarsi il quesito e chiudere la chiamata, dando la colpa di quel divagare insensato alla stanchezza, ma la voce dell’amico impedì al moro di mormorare una sola sillaba.
            «No. Non nel senso che intendi tu, Sasuke». Dov’erano finiti il consueto tono solare, l’allegria, la voglia di scherzare? Naruto si era fatto improvvisamente serio e l’Uchiha tremò.
            «Pe-perché?», balbettò. Non gli bastava: doveva esserci un motivo.
            «Non c’è altro che pura simpatia, da parte mia, verso di lei. È una ragazza dolce, gentile, piacevole… ma non ne sono innamorato». “A tua differenza”, avrebbe voluto aggiungere, con un sorriso benevolo sulle labbra.
            Sasuke strinse i denti, picchiando il pugno sul tavolo. Era ciò che desiderava sentirsi dire, era la speranza che aveva nutrito inconsapevolmente – o, forse, fin troppo apertamente – fino a quel momento, eppure non era giusto! Non doveva andare così. Non era tanto egoista da voler stracciare il sogno della Hyuga, soprattutto dopo la paura che aveva provocato in lei, poco prima. L’aveva sconvolta, sapeva di aver perso in qualche modo la sua fiducia, e Naruto era l’unico che avrebbe potuto renderla serena.
            «Cazzo, Hinata è innamorata di te, Naruto! Possibile che tu non te ne sia ancora accorto?», sbottò con un velo di rabbia negli occhi. “È innamorata di te, e non potrà mai esserlo di me!”, urlava la sua voce interiore, con rancore. Non avrebbe mai immaginato di poter invidiare quella testa quadra, un giorno.
            «Non posso farci niente, Sasuke. Mi dispiace per lei, davvero, ma non credo di… insomma, lei… non è Sakura. Ha senza dubbio mille qualità ed è bellissima, ma non provo niente di tanto profondo, per Hinata. Non voglio spezzarle il cuore… non è che puoi aiutarmi a farle cambiare idea?».
           Sasuke chiuse la chiamata, senza degnare l’amico di un saluto. Non sarebbe mai riuscito ad aiutarlo, per quanto il loro legame fosse fraterno: non sarebbe mai stato in grado di deludere Hinata, né, a questo punto, di tradire se stesso.
 
Spalancò la porta della camera e si diresse al bagno. Doveva sciacquarsi la faccia e scendere a cenare, seppur controvoglia; non era il caso di creare anche problemi in famiglia.
          «E tu, Sasuke?», domandò placidamente Itachi, appoggiato con la schiena alla parete contigua alla stanza da letto del fratello. Lo fissava con la solita espressione profonda e affettuosa, le braccia incrociate al petto e quei ciuffi ribelli sfuggiti dalla coda a incorniciargli il viso.
          «Da quanto sei lì ad origliare?». Non ne era nemmeno troppo sorpreso o infastidito.
         «Abbastanza da aver sentito ciò che hai urlato a Naruto», ammise sorridendo, ricomponendosi. «E tu – riprese – ne sei innamorato?».
         «Non sono affari tuoi», lo liquidò, imboccando ancora la direzione della toilette.
         «Così come non sono affari tuoi se io abbia una ragazza o no», urlò l’aniki, trattenendo a stento una risata.
         «Cos’hai detto?», sgranò gli occhi l’altro, girandosi di scatto.
         Itachi gli diede le spalle, dirigendosi verso la scalinata che lo avrebbe portato al piano inferiore. «Niente – asserì – solo che dovresti inventarti scuse migliori, la prossima volta che intendi regalare un abito alla ragazza che ti piace», e scese con calma i primi gradini.
        Colpito ed affondato. Sì, si sarebbe dovuto iscrivere a Psicologia. Magari l’avrebbe fatto, dopo l’imminente laurea in Ingegneria, sempre più vicina.
 
Due famiglie, due storie, due colori di occhi contraddistintivi. Due tavole imbandite, due capifamiglia rispettevoli, due adolescenti solo apparentemente presenti, fra i commensali. Due scenari diversi, ma due silenzi simili, sulle labbra di Sasuke e Hinata. Infiniti dubbi, a scuotere i loro cuori, scalpitanti alla stessa velocità.
            Una sola parola: “domani”. Sì, domani ne avrebbero discusso, con o senza parole.








Come potevo lasciare a Itachi un ruolo marginale, da semplice comparsa? Impossibile! Ecco che ha fatto il suo ingresso da bravo psicologo-intelligenza superiore, cercando di chiarire le idee ai tre protagonisti... c'è riuscito? Mah, vedremo! :D 
Quanto vorrei un fratello così... anzi no, non sono per gli incesti! Oook, basta parlare del bell'Itachi, o facciamo notte! XD

Questo è stato un capitolo statico, ma nel prossimo ci sarà un po' più azione, promesso... ci sarà Sasuke e ci sarà anche Hinata... sì, insomma, saranno vicini e... *si tappa la bocca*
Vi ringrazio di cuore, come sempre, per il preziosissimo sostegno! Grazie per le vostre parole, i click nelle seguite/ricordate/preferite... davvero, siete gentilissimi! 
Non vorrei apparire impertinente, ma... potrei chiedere a qualche lettore "nell'ombra" di farsi avanti? Oh sono dannatamente curiosa di conoscervi, lo ammetto!
Mi metto già all'opera con il prossimo capitolo e farò il possibile per aggiornare presto :) Perdonate la lunga attesa, spero ne sia valsa la pena (anche un briciolo, anche un atomo). Non avrei immaginato di arrivare al capitolo 11 di questa storia, e, addirittura, superarlo indenne XD (beh, più o meno). Lo devo a voi! 
Grazie di nuovo! ;D
Baci ❤

Ophelia

 
   
 
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