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Autore: PerseoeAndromeda    04/05/2008    4 recensioni
Una fic che va ad aggiungersi allo stesso ciclo di Memorie perdute e Memorie ritrovate, quindi per comprenderla appieno dovreste leggere queste mie due creazioni. Un altro tuffo nella memoria per Ikki e Shun, una memoria che, tuttavia, potrebbe rivelarsi pericolosa se intraprenderanno la via dell'errore.
Genere: Malinconico, Sovrannaturale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Shun, Nuovo Personaggio, Phoenix Ikki, Saori Kido
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NOTTURNO

NOTTURNO

 

-Dea e Madre-

 

 

 

“Com’è bella la luna stasera.”

“Credo di non essermi mai sentito così bene, fratellino.

“Niisan, che posto credi che sia questo?”

“Non ne sono certo… ma vorrei non andarmene più; sa in qualche modo… di casa… è uguale alla nostra vecchia dimora…”

Il ragazzo più piccolo non rispose nient’altro e si limitò a sospirare, tenendo i suoi grandi e profondi occhi verdi fissi sulla volta celeste punteggiata di stelle e inondata dal latteo mare d’argento di una luna quasi piena.

Ikki-Niisan aveva ragione; si stava bene su quel balcone, al di fuori del mondo, al di fuori di ciò che erano sempre stati eppure sentiva che qualcosa mancava, che non tutto ciò che Ikki-Niisan diceva era profondamente giusto. E Shun sapeva che la risposta era proprio in quegli astri ammiccanti che insieme contemplavano, seduti vicini, mano nella mano.

Cosa avevano dimenticato? Ma soprattutto, cosa ci facevano in quel posto?

“Ci siamo risvegliati da un lungo sonno” continuò Ikki “da un lungo interminabile incubo… e siamo tornati a casa… finalmente.

Era vero, Shun stesso era certo che entrambi appartenevano a quel posto anima e corpo, non importava se quella casa, quel terrazzo, si trovassero in una delle zone più povere e cadenti di Tokyo: i due ragazzi erano convinti che quel cielo non sarebbe stato altrettanto bello da nessun altra parte.

“E’ qui che, per la prima volta, le stelle di Andromeda si sono specchiate nei tuoi occhi.”

Il fratello piccolo sussultò e staccò lo sguardo dal tappeto blu per portarlo sul maggiore, rendendosi così conto che questi lo stava fissando, contemplandolo con quegli occhi nei quali si rifletteva la notte.

“Le stelle… di Andromeda…” ripeté il fanciullo facendo eco al fratello, sentendo ancora quel pizzico sul cuore che voleva lanciargli un messaggio. C’era qualcosa che non stavano tenendo in considerazione, quell’incubo di cui Ikki aveva parlato c’entrava forse qualcosa?

Shun ricacciò il pizzico in un angolino oscuro dentro di sé; si sarebbe deciso ad ascoltare il messaggio latente prima o poi ma non adesso, non era il momento. Una parte di lui gli suggeriva che riafferrare le corde della memoria e della realtà avrebbe significato spezzare quell’incantesimo nel quale finalmente, dopo tanto tempo, stavano bene ed erano felici.

Non ora, si disse e sorrise in direzione di Ikki, il quale ricambiò immediatamente, attirandolo un po’ di più verso di sé, tornerò ai miei doveri, promesso… ma non ora…

“Non ora… né mai più, figli miei… voi non soffrirete più perché io non lo permetterò.

Si voltarono insieme verso la fonte della carezzevole voce alle loro spalle; nella cornice della porta che conduceva all’interno dell’abitazione si stagliava una donna, delicata e bellissima nei lineamenti, i capelli lunghi, dalle variegate sfumature rosse e castane, si adagiavano morbidamente sulle spalle piccole e fini. Il viso nel quale spiccavano due iridi di smeraldo grandi e buone era pressoché identico a quello di Shun.

“Mamma…” mormorò il ragazzo più piccolo, riconoscendo quella figura che da poco era tornata ad affacciarsi alla sua memoria di adolescente, da poco il suo cuore era tornato in contatto con un ricordo faticosamente, dolorosamente conquistato e lo stesso ricordo, felice della ricongiunzione avvenuta, aveva preso per mano i due figli che tante terribili esperienze avevano dovuto attraversare e li aveva condotti con sé, in un sogno dal quale non voleva più scioglierli, un sogno che forse li teneva prigionieri, ma quanta felicità in quella ritrovata intimità familiare!

Ikki si alzò, abbandonò la propria posizione accanto al fratello per dirigersi verso la madre e, quando fu davanti a lei, si gettò nelle sue braccia che già si erano allargate per accoglierlo e stringerlo forte al petto: lei voleva che tornasse bambino il suo Ikki dal cuore immenso e tormentato, voleva che comprendesse, finalmente, quale profondo significato risiedesse nella spensierata gioia di un’infanzia mai vissuta. Voleva che lo comprendessero entrambi.

Dov’è papà?” domandò Ikki, staccando il volto dalla spalla della madre e nutrendosi del liquido amore di quegli occhi verdi che non aveva mai dimenticato.

“Non è potuto venire tesoro mio, lui non è stato abbastanza forte per lasciare la dimensione nella quale ci trovavamo, ma desidera che il suo amore giunga fino a voi, desidera farvi sapere che lui vi ama come vi amo io.”

Quel padre che si era preso cura di loro, quell’uomo al quale non li legava il sangue ma che era al contempo l’unico padre che riuscivano a riconoscere come tale.

Ma dove si trova lui? E dove ci troviamo… noi?”

La donna sorrise al più piccolo dei suoi due bambini, a quella voce tanto tenera e dolce da ricordarle il sottile canto di un uccellino implume… la voce di un bambino tanto buono, puro, quel bambino che avrebbe voluto proteggere e per il quale, fin dal primo istante in cui lo aveva accolto al seno, aveva sognato una vita felice, accanto a lei, accanto ad un fratello che l’avrebbe protetto da ogni male e ad un papà presente che avrebbe protetto tutti loro.

“Alla fine della vostra sofferenza” rispose “ora dovete solo dimenticare e io… non vi lascerò mai più soli, angeli miei.

Anche Shun le si era avvicinato e, mentre pronunciava le ultime parole, la donna portò una mano sotto la nuca del figlio più piccolo, attirando anche lui nel suo abbraccio con il quale disperatamente avrebbe tentato di cancellare ogni traccia di tutto il dolore accumulato nella loro esistenza di guerrieri bambini.

Nonostante la gioia che riscaldava lo spirito e il cuore, Shun non poté fare a meno di opporre una minima resistenza; non ne comprendeva il reale motivo ma era come spezzato, diviso in due, come se due differenti realtà, due differenti desideri e richiami lo attirassero verso opposte direzioni. Ma l’abbraccio di madre lo aveva sognato e vagheggiato da sempre, una nostalgia mai colmata e l’impulso ad abbandonarsi ad esso prese, infine, il sopravvento.

 

 

***

 

 

Ma perché? Cosa sta succedendo?”

“E’ talmente assurdo che non riesco a trovare una spiegazione logica.

Il ragazzo biondo e il compagno dai lunghissimi capelli lisci e corvini osservavano i due fratelli stretti l’uno all’altro, giacenti in un sonno così profondo da sembrare insormontabile.

In quel momento la porta della stanza di Ikki si aprì, per lasciar entrare una ragazza dall’aspetto notevole e il portamento solenne, avvolta in un lungo abito bianco e le spalle lievemente accarezzate dalle ciocche lucenti che danzavano in tante sottili filigrane d’oro intorno alla sua persona. Era accompagnata da un ragazzino bruno, la chioma castana un po’ arruffata e i grandi occhi d’ambra colmi d’ansia.

“Athena!” esclamarono ad una voce i due giovani che assistevano i fratelli assopiti e il più grande dei due rivolse uno sguardo intenso al ragazzino giunto insieme alla fanciulla.

I nuovi arrivati si accostarono al letto di Ikki e scrutarono attentamente le due figure abbandonate su quel giaciglio, abbracciate, in apparenza serene. Il loro respiro regolare non lasciava dubbi: dormivano, nulla più.

Ma il sonno li aveva letteralmente rapiti al mondo, l’abbraccio di Morfeo non era, in quel caso, un modo di dire figurato: forse Hypnos era tornato dall’Ade per sottrarli allo scorrere normale del tempo e, come la bella addormentata, non si sarebbero risvegliati per i successivi cento anni? O forse non si sarebbero risvegliati mai più…

Questi pensieri si rincorrevano, senza un coerente ordine razionale, nella mente del giovane biondo, che per primo aveva tentato di svegliarli, quella mattina, senza ottenere il minimo risultato, decidendosi infine a chiamare i compagni e la sua dea in soccorso.

Ma stanno solo dormendo!” osservò il ragazzino più piccolo del gruppo, portando una mano ad accarezzarsi la nuca, scrutando perplesso gli altri raccolti intorno a lui.

“Non lasciarti ingannare, Seiya” lo redarguì il giovane dai capelli neri che, nei suoi abiti di foggia cinese, ricordava con il suo atteggiamento riflessivo un maturo saggio orientale più che un ragazzo di sedici anni.

“Shiryu…” mormorò l’interpellato voltandosi ad osservare il compagno: da ogni sguardo e da ogni atteggiamento era evidente come il piccolo del gruppo pendesse dalle sue labbra.

“E’ quasi ora di pranzo… ed è da poco dopo l’alba che proviamo a svegliarli. Per quanto un sonno possa essere profondo…”

“Da quanto tempo sono in questo stato?”

Era stata la ragazza ad intromettersi nel dialogo, senza aver neanche per un istante distolto la propria attenzione dalla coppia dormiente.

“Da quando si sono addormentati la notte passata per quel che ci è dato sapere” si strinse nelle spalle il biondo.

In effetti ho fatto una domanda sciocca, ti prego di scusarmi, Hyoga” sospirò lei, scostandosi una ciocca castana dalla fronte liscia e pallida.

Colui che era stato chiamato con il nome di Hyoga allargò le braccia e proseguì, dopo averle fatto capire, con un’occhiata, che non doveva preoccuparsi per una così insignificante leggerezza:

“Questa notte Shun ha avuto un incubo. L’ho sentito perché io stesso faticavo ad addormentarmi; so che è venuto qui, nella stanza di Ikki e…”

E scommetto che ti sei ingelosito!”

L’osservazione arguta di Seiya, pronunciata con un tono da monello dispettoso, provocò nel giovane biondo una reazione rabbiosa, esternata in un insulto e in uno sguardo che avrebbe incenerito chiunque. Ma il ragazzino bruno non si impressionò e rispose all’occhiata con una linguaccia. La situazione sarebbe forse degenerata se il più grande del gruppo non avesse riportato l’attenzione su quella che era l’urgenza del momento:

“Probabilmente Ikki ha accolto Shun nel suo letto, si sono addormentati vicini… ed è accaduto qualcosa… resta da vedere se si tratta di qualcosa di esterno o… se è un problema generato dalla loro stessa mente…”

Tutti gli sguardi si puntarono su di lui, escluso quello di Athena, che rimaneva fisso sui due fratelli, apparentemente impassibile e fermo, ma una ruga leggera le incrinava la fronte, segno che la fanciulla divina stava riflettendo.

Dopo qualche istante di immobilità e silenzio assoluti, si erse divenendo in qualche modo imponente; nonostante l’involucro umano nel quale si era reincarnata fosse piuttosto basso di statura, in quel momento la ragazza sembrava la creatura più alta nella stanza e il rispetto che calamitava su di sé era palpabile.

“Sono prigionieri.”

Non era una supposizione, non si trattava di un’ipotesi e neanche di una probabilità: ciò che la Dea aveva asserito recava in sé l’incisività di una sentenza lapidaria e nessuno obiettò. Semplicemente la guardavano, attendendo da lei una spiegazione ulteriore, che chiarisse il significato di tali parole e il motivo di tanta certezza.

Percependo, pur nel silenzio, le domande inespresse dei suoi sacri guerrieri, la dea chiuse gli occhi e chinò il capo, anticipando ogni indagine che sicuramente i ragazzi si preparavano a compiere per estrapolare da lei tutte le spiegazioni possibili:

“Non sono in pericolo di vita; chi li tiene prigionieri desidera unicamente la loro felicità… ma sta commettendo un errore, anche se io la capisco. Se non la convinco a lasciarli andare, potrebbero in effetti restare addormentati per sempre finché il flusso vitale che li lega a questo mondo si spegnerà definitivamente… e allora rimarranno in eterno di là, in un limbo sospeso che non è né vita né morte.”

“Saori-san… di chi stai parlando?”

Gli occhi immensi di Seiya erano sgranati su di lei, nell’evidente tentativo di decifrare quel fiume di parole enigmatiche.

“Di Deirdre… della loro madre…”

Sussultarono; solo alla Dea, probabilmente, era chiaro cosa stesse accadendo, i ragazzi si limitarono a prendere come oro colato le sue parole, pur non comprendendone appieno le implicazioni.

“La… loro madre?” mormorò Hyoga, forse tra i membri del gruppo colui che maggiormente era rimasto sconvolto da una tale rivelazione “Come può una madre… fare del male ai propri figli?”

Athena si voltò verso di lui e gli sorrise, intenerita, ben consapevole della motivazione che aveva spinto Hyoga ad accogliere la notizia con un tale trasporto emotivo; il ricordo della propria madre era per lui un diamante infrangibile, gelosamente custodito nel cuore:

“Non è sua intenzione far loro del male; dal suo punto di vista, ritiene di salvarli sottraendoli a me.

Seguì un silenzio tombale e lei si rese conto come solo il suo spirito di Dea potesse vedere fino in fondo ciò che stava accadendo… e come solo lei avesse il potere di risolvere una situazione del genere.

“Lasciatemi sola con loro; voi ora non potete fare nulla.

Nessuno si mosse ed il suo invito fu come un segnale che riaprì le conversazioni; Seiya non poteva tacere, benché ancora non avesse compreso effettivamente nulla:

“Ma tu potresti trovarti in pericolo e anche noi dovremmo tentare di aiutarli.

Lei sorrise, scuotendo il capo:

“Non correrò pericoli; al massimo potrei non riuscire a farmi ascoltare e in questo caso il rischio maggiore che correremo sarà quello di perdere per sempre i nostri cari Ikki e Shun. Ma sono fiduciosa… almeno in loro due…”

Riluttanti e confusi, i ragazzi non poterono far altro che obbedire alla volontà della Dea e lentamente si avviarono verso la porta che, infine, Seiya richiuse dietro di sé, dopo aver rivolto un’ultima occhiata alla ragazza e ai due fratelli addormentati.

Non appena i suoi tre guerrieri se ne furono andati, la ragazza riportò il proprio sguardo sui responsabili di tanta agitazione che, ignari, galleggiavano nel loro universo di sorrisi e gioie ignote a quanti cercavano di carpirle dall’esterno.

“Dove siete ragazzi?” sussurrò all’orecchio di Shun, accucciandosi accanto al letto e portando la minuta mano bianca a scostare una ciocca castana dalla fronte del fanciullo più piccolo, per poi poggiare il palmo sulla pelle tenera. Quindi liberò il proprio cosmo, cercando un contatto con i flussi astrali dei due fratelli.

 

 

***

 

 

Shun fu il primo a venire raggiunto dal flusso energetico che avvolse tutti loro in un gentile ma fermo calore, una gentilezza che richiedeva, con decisione, attenzione ed ascolto. Ma proprio mentre lui tendeva i propri sensi per rispondere al richiamo, la stretta di sua madre si fece più ansiosa, pressante, possessiva.

“Non ascoltare, amore mio, ignora quella voce che vuole ricondurti a sé, è una voce cattiva, è colpa sua se avete sofferto tanto.

La mamma era angosciata, lacrimosa, colma di terrore e Shun si chiedeva perché: l’intrusione non sembrava malvagia, risvegliava in lui dolci emozioni, un affetto sincero, il suo richiamo era una supplica, non un’imposizione ed il ragazzo sentiva che quella preghiera meritava una risposta, anche se una parte del suo cuore era prossima a spezzarsi. Cosa potevano significare quelle sensazioni tanto spontanee quanto incomprensibili per lui?

“Amore, dolore, dolcezza, sofferenza” rifletteva tra sé “Possono emozioni così dissimili convivere ed amalgamarsi in tale armonia? Voglio ascoltare eppure, al tempo stesso, so che facendolo riaprirò la strada all’angoscia.

Un nome prese forma nella sua mente e quel nome si tramutò in sussurro che ferì dolorosamente le orecchie del fratello e della madre:

“Athena…”

“No!” esclamò la donna che lo stringeva a sé, mentre si staccava da lui per portargli le mani alle tempie, tappandogli le orecchie, per quanto fosse consapevole che non sarebbe stato sufficiente occludere il senso dell’udito nell’intento di spezzare la comunione spirituale instauratasi tra il suo bambino e quella creatura che nuovamente voleva trascinarlo in un mondo di morte, sangue e atroci amarezze.

Puntò negli occhi confusi del ragazzo i propri, altrettanto grandi e teneri, ma in quel momento più duri, impositivi, occhi di madre che desiderava ardentemente proteggere il figlio dall’errore nel quale stava per essere trascinato.

L’impeto materno aveva scombussolato anche Ikki che, fino a quell’istante, era rimasto estraneo a tutto o, più probabilmente, aveva finto di non accorgersi di nulla; era arretrato di un passo, lo sguardo perso nel vuoto e ancora tentava di ignorare, si raccolse contro il muro della casa, quasi aggrappandovisi, disperato, nel timore che qualcosa di noto, ma terrorizzante giungesse a trascinarlo via dal sogno ritrovato e ricostruito in quella magica notte.

Notando l’angoscia del figlio maggiore la donna, senza lasciare il piccolo, andò ad afferrare la mano del ragazzo più grande e condusse anche Shun nel movimento, fino a farlo appoggiare contro il muro; quindi si pose davanti a loro, simile ad una gatta posta a difesa della cucciolata sulla quale si stendeva un’ombra minacciosa.

Shun era soggiogato da lei, si trattava della sua mamma, le voleva bene e desiderava tanto restare al suo fianco, insieme ad Ikki-Niichan, in quel limbo di felicità. Ma era altrettanto materno l’altro richiamo, la voce che, lo sapeva ormai, altro scopo non aveva se non quello di ricondurlo ad un dovere dimenticato.

“Athena…” mormorò ancora.

Taci, non nominarla più, sta zitto!”

L’urlo di Ikki incrinò la perfezione della notte.

Shun lo guardò senza comprendere realmente; cosa lo turbava a tal punto da provocare una reazione così spropositata?

Mosso dall’istinto d’amore che lo legava a quel fratello da cui sentiva di dipendere anima e corpo, andò ad accucciarsi vicino a lui, aggrappandosi al suo braccio sinistro e reclinando la testa sulla spalla forte dell’altro. La mamma rivolse loro un’occhiata, nella quale era implicito il categorico ordine di non muoversi, di lasciare fare a lei.

Perché no? Si disse Shun. Era la loro mamma e voleva proteggerli. Lui, da piccolino, lo sapeva, aveva sempre obbedito alla mamma e doveva continuare a farlo.

Vattene, lasciaci in pace!”

Il grido isterico di lei lo spaventò; il pericolo doveva essere immenso per incrinare a tal punto la gentilezza di quella madre che gli somigliava tanto.

Il suo grande, forte fratello appariva piccolo e fragile in quel momento, Shun era certo che tremasse. Anche Shun tremava, eppure perché Ikki-Niichan sembrava tanto più indifeso di lui? Non era sempre stato il contrario?

Sollevò una mano, la posò sulla guancia abbronzata, tirandosi su quel poco che bastava per portare il proprio viso all’altezza di quello del fratello e, con un lieve bacio, tentò di rincuorarlo:

“Non accadrà nulla di male finché saremo insieme; la mamma è forte.

Intanto, la mamma fronteggiava la misteriosa presenza, giunta per separarli ancora, quella presenza che, tuttavia, Shun non riusciva a percepire come nemica.

 

 

***

 

 

“Non stai facendo il loro bene, lo sai, Deirdre… dentro di te lo sai, perché tu sei come loro, tu senti quanto sia importante quello che hanno fatto e quel che sono destinati a fare ancora. I tuoi figli sono speciali, ti somigliano, so che sei fiera di loro, perché vuoi privarli della vita per la quale sono nati?”

Perché quella vita li porterà alla morte tra sofferenze atroci! Sono io a volere delle risposte da te! Perché non ci lasci in pace? Perché non vuoi permettere loro di essere felici?”

“Quella che tu vuoi donare loro sarebbe illusione, non felicità autentica; avanti, Deirdre, sei consapevole tu stessa che li stai illudendo… che ti stai illudendo. Sei consapevole che solo seguendo la loro natura di saint saranno realmente se stessi… completi.”

Un singhiozzo rispose alle ultime parole di Athena, segno che la donna, copia perfetta di Shun, sentiva incrinarsi le certezze fragili costruite come un muro già crepato dentro il proprio cuore. Perché quella donna non somigliava a Shun solamente nell’aspetto e la Dea sapeva come Deirdre fosse perfettamente in grado di comprendere dove risiedesse giustizia. Ma come avrebbe potuto accettare di rinnegare il proprio ruolo di madre, come costringerla ad abbandonare i figli in balia di un destino crudele? Quale madre a par suo colma d’amore non si sarebbe aggrappata a qualunque vaga, effimera speranza pur di preservare disperatamente i propri cuccioli, anche a costo di forzarli a rinunciare a se stessi?

Athena comprendeva e condivideva il dramma che lacerava interiormente quella donna che il Fato troppo precocemente aveva separato dai suoi due bambini, amati, adorati come quanto di più prezioso esistesse nell’universo. Come avrebbe potuto, una madre, non agognare la completa felicità per simili creature?

Athena sapeva anche che Deirdre la odiava, pur non potendo realmente odiarla, perché un cuore come il suo non era in grado di concepire un sentimento tanto contrario alla sua natura, proprio come Shun; ma era anche madre e Athena rappresentava la nemica che spesso aveva usato quei ragazzi quali vittime sacrificali in nome di un ideale tanto alto quanto difficile da perpetrare se non in cambio di atroci sofferenze subite dai predestinati a perseguirlo.

“Deirdre, io ti capisco e, probabilmente, al posto tuo mi comporterei nello stesso modo; sarebbe anzi riprovevole un genitore che, di fronte alle palesi sofferenze subite dai figli, non agisse così.”

“Non usare quel tono paternalista con me, Athena, tu blandisci con belle parole, ti comporti con loro come se tu stessa fossi una madre, poi li mandi a morire!”

Non poterono trattenere una lacrima le cerulee iridi della fanciulla divina, non poteva non riconoscere, dentro di sé, la profonda verità di quelle parole ma, al tempo stesso, non avrebbe significato agire con giustizia privare la Terra della protezione di quei due ragazzi. Non sarebbe stato sensato, né moralmente etico, consentire ai suoi due guerrieri bambini di trascinarsi per l’eternità in una ossessionate illusione che, prima o poi, li avrebbe resi folli.

Inoltre l’anima di Shun lottava, come ormai era avvezza a fare, si dilaniava in un nuovo, terribile conflitto tra due diversi amori altrettanto intensi e si struggeva per capire e ricordare, implorava l’aiuto della sua Dea e anche l’aiuto di Deirdre, perché lo aiutassero a far luce su ciò che stava accadendo.

Invece Ikki era spento: la sua fragilità, in quella notte eterna nella quale era stato risucchiato, aveva raggiunto il proprio culmine; era dunque quella la verità? Non Shun, ma Ikki aveva sempre rifiutato, più di ogni altro sacro guerriero, la propria sorte? O, semplicemente, il trauma di un’infanzia felice distrutta si stava rivelando più forte di ogni altra cosa? In fondo, i suoi ricordi, rispetto a quelli di Shun, dovevano essere più vividi e la sua sofferenza nel lasciarsi per sempre alle spalle la serena esistenza di una famiglia normale, molto più consapevole, quindi intensa.

“Ascolta il più piccolo dei tuoi figli, Deirdre, ascolta il suo cuore e la sua anima che ti stanno chiedendo aiuto. Ti sta chiedendo di prenderlo per mano ed aiutarlo a riafferrare le corde della sua esistenza, non di fargli dimenticare tutto. Aiutalo a porsi nelle condizioni di scegliere.

“Non ci riuscirai, Athena!” Il grido di rifiuto fu così potente, colmo di volontà distruttiva che affondò nello spirito della Dea trapassandolo da parte a parte “I tuoi sono soltanto trucchetti per portarlo dalla tua parte, ma non ci riuscirai!”

Athena si era portata una mano al petto, nel tentativo di arginare la fitta che l’aveva aggredita: l’autodifesa di Deirdre si mutò in lama spirituale che le procurò un dolore terribile.

 

 

***

 

 

“Mamma, non farle del male!”

Shun aveva ricordato. Tutto era ormai nitidamente chiaro e sapeva cosa doveva fare.

La loro mamma aveva creduto di salvarli, ma era caduta in un terribile errore di valutazione, così com’era accaduto a loro.

Si portò le mani alle tempie e scosse violentemente il capo, per cacciare le ultime tracce di confusione: era come riprendersi in seguito ad un’ebbrezza euforica e stava male, perché la scelta imposta era così orribile che avrebbe, in quel momento, preferito scomparire piuttosto che sentirsi costretto a compierla.

“Shun…”

Il leggero sussurro di Ikki-Niichan attrasse la sua attenzione e si voltò ad osservarlo: lo sguardo del fratello era colmo di dolore.

“Shun… non farlo… io… non voglio andarmene da qui…”

Gli occhi del fratello minore si riempirono di lacrime: come avrebbe dovuto comportarsi?

Si era alzato in piedi per supplicare sua madre di essere buona con Athena ma si lasciò nuovamente cadere in ginocchio davanti al fratello, le mani a coprire i propri occhi, mentre si lasciava avvolgere dall’abbraccio di Ikki-Niichan che lo attirava contro il suo petto.

Deirdre ora li guardava, sconvolta essa stessa dalle loro differenti reazioni:

Perché vorresti tornare da Athena, Shun-chan? Non è stata terribile la vita che lei ti ha offerto?”

“Terribile come è la sua, quotidianamente!” Shun si era alzato ancora, con una mossa fulminea e puntava i suoi enormi smeraldi lucenti su quelli della madre, come in uno specchio che rimandava due diverse emozioni di un medesimo volto “Mamma, Athena porta sulle proprie spalle il peso dell’intero universo, è dea e bambina anche lei al medesimo tempo! Lei è come noi e… e anche tu sei come noi, sei come me e… al mio posto… tu…”

Il veemente fiume di parole quasi gridate era andato scemando nel tono e nella lestezza, finché le ultime si ridussero ad un sussurro soffocato da un singhiozzo.

Il silenzio assoluto scese sul gruppetto, rotto soltanto dall’aspro fruscio provocato dall’attrito del corpo di Ikki contro il muro alle proprie spalle: il ragazzo si stava alzando ma, sentendo le proprie gambe malferme, nel farlo non si staccò dalla parete. Tese una mano tremante e la strinse sul braccio di Shun, poco sotto la spalla:

“Dobbiamo… tornare… vero?”

Shun chinò il capo, le sue spalle vennero scosse da tremiti provocati da muti singhiozzi; il viso fu nascosto da una cascata di capelli lucenti, ma la sua voce sottile e bassa oltrepassò quella cortina dorata e raggiunse le due persone che lo circondavano sconvolte; raggiunse anche i sensi tesi di Athena:

“Io… sento di dover tornare ma… so di essere il cattivo della situazione… mi sento così in colpa per…”

Un unico abbraccio da due differenti entità lo racchiuse al centro di un perfetto cerchio d’amore.

“Tu sei speciale… figlio mio…”

“Dammi un po’ della tua forza, fratellino… ed io sarò sempre al tuo fianco.

 

 

***

 

 

 

Un viso di Dea sorrideva tenero verso i due fratelli prossimi al risveglio, mentre due lacrime scendevano dai suoi occhi, per andare ad accarezzare i loro volti di imberbi guerrieri:

“Grazie, Shun… Grazie anche a te, Ikki… e grazie, Deirdre… per avere capito…”

Una mano soffusa le sfiorò la spalla, una mano che aveva la vaporosa consistenza di spirito immateriale; Athena non si spaventò e, pur senza voltarsi, vide con gli occhi della mente lo sguardo di madre finalmente sereno, che sorrideva a lei e ai suoi due cuccioli in procinto di lasciare le valli nebbiose del sonno:

“Ti chiedo solo di prenderti cura di loro… mia Dea…”

Athena annuì, senza mutare la propria espressione e scostandosi un poco quando Deirdre fluttuò accanto a lei e si chinò, per posare due baci, uno ciascuno, sulla fronte dei figli, scostando al contempo le ciocche che ricadevano scomposte sui loro visi per porgere una carezza ad ognuno di loro.

Solo allora svanì, lasciando aleggiare nella stanza un sentore di materna dolcezza.

Gli occhi dei fratelli si schiusero, opachi ma pian piano più lucidi e si posarono, incerti, sulla loro signora.

“Ben svegliati… ragazzi…”

 

 

***

 

 

“Mi dispiace, Niisan… ho scelto anche per te la notte scorsa.

Ma hai scelto nel modo giusto… come sempre…”

Eppure, forse… ti ho reso triste… forse…”

“Mi hai restituito a me stesso… e anche la mamma… l’hai aiutata a capire, a prendere la decisione giusta.

“Però… sarebbe stato bello… riavere accanto la mamma…”

Ma lei è accanto a noi… sempre…”

Una stella cadente solcò la notte, Ikki seguì il suo specchiarsi negli occhi sgranati del fratellino. Sorrise, gli puntò il dito indice sul naso:

“La mamma è con noi e io l’ho appena vista sorridere attraverso te.

Il ragazzino dai capelli d’oro sussultò, schiuse le labbra, ma nessuna risposta coerente venne formulata dal suo pensiero; così sorrise egli stesso e allargò le braccia, per gettarle intorno al collo del fratello maggiore che lo accolse stringendolo forte a sé.

Dalla volta celeste un viso di donna si affacciò, unì ai loro il proprio sorriso e il suo sussurro discese nei loro cuori:

“Sarò accanto a voi… sempre…”

 

 

 

   
 
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