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Autore: DouglasSpunk    28/11/2013    5 recensioni
Le persone hanno paura di tutto: dell'amore, della morte, delle malattie, di soffrire, dei cani, degli squali, della velocità; perfino delle farfalle. Si ha paura di sbagliare, di provare qualcosa, di perdere qualcuno a noi caro. Paura. La paura ci spinge a fare scelte. Chi ha paura, di solito, sceglie di non vivere. Non completamente, comunque. Io, Kristen Stewart, non esulavo da quella definizione.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve popolo. Sì, sembrano passati secoli e invece è solo un anno... Un anno in cui sono successe tante cose, belle e brutte. Qui è Elena che vi parla e beh, avrete capito (spero) che io e la Rose siamo ufficialmente tornate. Sapete si avvicina il Natale e quindi dovremmo essere tutti più buoni... Certo. 
Sinceramente non so cosa dire. Ho - abbiamo - tanta ansia. E preferirei lasciare a voi il resto. So... Buona lettura.
P.S. Rosa ha, come ad ogni Natale -__- , il pc guasto quindi sarò io a postare anche i suoi capitoli dal suo account.


Prologo
Strong enough to leave you
 
 
Paura.

La paura, nel vocabolario, è definita come uno stato emotivoconsistente in un senso di insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte a un pericolo reale o immaginario.

Paura.

Le persone hanno paura di tutto: dell'amore, della morte, delle malattie, di soffrire, dei cani, degli squali, della velocità; perfino delle farfalle.
Si ha paura di sbagliare, di provare qualcosa, di perdere qualcuno a noi caro.

Paura.

La paura ci spinge a fare scelte. Chi ha paura, di solito, sceglie di
non vivere. Non completamente, comunque.
Io, Kristen Stewart, non esulavo da quella definizione.



"Kristen?"
"Uhm?" Lui ammiccò: labbra tese in un sorriso malizioso, occhi socchiusi, un sopracciglio alzato, voce roca.
Lei mugugnò infastidita.
"No." Il sorriso del biondo non si spense.
Avevano fatto l'amore tutta la notte, eppure la voleva ancora. Fece forza sui bicipiti, si alzò per metà e posò il suo corpo su quello della donna che cercava di recuperare
le ore di sonno 'perse' ad 'accontentare' il suo fidanzato.
"Robert... È tardi." Robert scese con la bocca sul collo di Kristen, cominciando a posarle baci lievi su tutta la mascella. Lei, in risposta, si morse un labbro per non gemere.
"Tecnicamente, Kristen, non è tardi", arrestò la sua manovra per guardare la radiosveglia che Kristen si ostinava a tenere sul comodino,
"sono le sei e due minuti del mattino. Non è tardi."
"Mh" la sentì dire, "allora è presto."
"Nah,"disse un attimo prima di baciarle la bocca con impeto. Schiusero insieme le labbra, nello stesso momento, quasi come se si fossero messi d'accordo; 
dopo furono solo gemiti, urla sommesse, sorrisi orgogliosi trattenuti in un morso e lasciati andare in un bacio frettoloso, parole sconnesse e labbra umide.
Quello che successe dopo fu l'amore senza paura. Quello vero, incondizionato.
Come se si fossero sussurrati le migliori promesse. E le promesse si mantengono. Si mantengono anche dopo giorni, mesi, anni, urla, "sì" e "no", "forse" e "se", "a domani" e "ci vediamo", "Io ti amo" ed "io ti odio".
Le promesse, quelle fatte col sangue di chi vive, col cuore di chi ama, con gli occhi di chi venera, le mani di chi adora, e la mente di chi pensa, vanno mantenute.


"Posso portarle qualcosa, signorina?" Scossi la testa in segno di diniego, e lasciai che l'hostess di volo mi sorridesse accondiscendente prima di andarsene.
Parigi. Poi Cannes. Nessuno avrebbe saputo nulla. Né mio padre, né mia madre. Nessuno.
Men che meno lui.


"signorina, posso portarle qualcosa?" Lei si morse un labbro, trattenendo una risata che altrimenti sarebbe esplosa potente.
"Si."
"Bene, cosa le porto?" La donna dagli occhi verdi fece finta di pensarci, guardandolo: Robert indossava uno stupido grembiule da cucina ed un paio di boxer,
in mano teneva un vassoio vuoto.
"Uhm" fece finta di pensarci. Lui sorrise. "Mi andrebbe un te".
"Alla pesca?" Kristen scosse la testa.
"Al limone?" Negò ancora.
"Alla men", stavolta non lo fece finire di parlare. Si alzò in piedi sul letto sovrastando in altezza il ragazzo, e posandogli due dita sulla bocca.
"Mi andrebbe del te inglese." Lui deglutì. " 'Te'. Mi andresti tu. Alla colazione ci pensiamo dopo".


Paura.
Alla paura, il nostro corpo, reagisce in determinati modi: attacchi di panico, vomito, ansia, tachicardia, addirittura infarto. Alcuni ridono. Il mio corpo aveva reagito così la prima volta.
La paura mi aveva solo sfiorata; forse era più un'inquietudine. Risi.
La seconda volta, invece, tramai. Cominciai a chiedermi se quella minaccia era davvero pericolosa. Poi risi ancora. Mi diedi della stupida.
Al terzo sms il cuore mi si fermò in gola.
La quarta volta vomitai.
Da quel momento, ogni qualvolta che il cellulare vibrava, il cuore cominciava a battere più forte, il viso impallidiva e lo stomaco si contorceva.
È la paura.
E quella... Beh, ti fa fare cose insensate.





"Kristen?"
"Ancora?" Lui rise dell'espressione shoccata della ragazza.
"No amore," le diede un bacio leggero sulla tempia destra, lei vi si adagiò sopra quasi come se si stessero dicendo 'Ti amo, sai?' 'Anche io.'
"Volevo solo dirti che tra poco devo andare. Oggi giriamo".
"No." Gli disse convinta, abbracciandogli il torace non più longilineo, ma muscoloso.
"Come no?"
"Ti voglio qui." Robert rise ancora.
"Devo andare, lo sai."
"No."
"Siamo insieme da tre giorni esatti, abbiamo fatto l'amore tutta la notte. Non sei stanca di me?". Lei lo guardò negli occhi, rivedendo in quelle iridi celesti a volte verdi, tutto il piacere che si erano donati in quelle ore, in quella notte.
S'erano amati come mai. S'erano donati a loro come mai. Avevano giocato e sperimentato. Avevano riso, poi baciato. Quasi... Quasi come se non ne avessero più avuto il tempo, l'occasione. Come se fosse l'ultima notte.

Quasi.

"Non potrei mai stancarmi di te, Rob" Si sorrisero; lei sulla pelle nuda di lui.
"Tanto torno presto. Per pranzo. Così al mio ritorno potremmo continuare a" cambiò tono di voce, usandone uno più solenne, "bearci di quella parte piccola, ma perfetta,
della nostra eternità."

Kristen lo fissò sbigottita, per secondi interi, scrutandolo, cercando di capire se stesse facendo sul serio oppure no. Poi scoppiò a ridere.

"No, non fai sul serio", gli disse fra le risate.
"Non ridere di me, ehi!"
"Ma... Hai citato Twilight!" Lui si fece stranamente serio.
"Beh... È grazie a quel libro che t'ho trovata."

Kristen smise di ridere, lasciando che le sue labbra si modellassero in un sorriso tenero. Adorante.

"Già." Lo baciò. "Robert?"
"Mh?"
"Ti amo."
"Anche io." Un altro sorriso.
"Kristen?"
"Mh?"
"Facciamo un figlio?" Che poi lei ci era abituata a quella frase. Quindi perché le si apriva il cuore?
"Tra qualche anno." E lui era abituato a quella risposta. Quindi perché ci rimaneva male?

Era come un copione ripetuto migliaia di volte. Senza modifiche.

"Ma... Sono vecchio! Ho bisogno di un erede, capisci?" Le diede un morso sul polpastrello del pollice.
"Hai Bear."
"Voglio un bambino."
"No... Io no. Non ora."
"Ma andiamo, non lo vorresti un piccolo cucciolo con i tuoi occhi e i tuoi capelli, e magari la mia altezza perché tu, amore, sei nana"
"Ehi!" Gli diede un pugno sul braccio.
"Ma è la verità. Comunque, dicevo, non lo vuoi un figlio? Un mix di noi due. Sai che figo!"
"Non ora... Lo sai, Rob."
"Ma io voglio un piccolo Pattinson. Marlowe ha bisogno di un cugino."

Lei si indispettì.

"Beh, allora fallo con... Con quella lì, la Penn." Un altro morso, stavolta più forte, come a volerla punire per quella pessima uscita.

I giornali si erano inventate troppe cazzate nel periodo in cui il loro rapporto aveva vacillato.
Ma era acqua passata.

"Io un figlio lo voglio con te."
"Spiacente."
"Kristen?"
"Che vuoi? Vuoi un figlio? Fallo con qualcuna delle troie che ti sei fatto." Robert le prese il mento tra l'indice ed il pollice, portò il suo viso ad un anelito da quello della ragazza,
 e le baciò il naso.
"Io non lo voglio il figlio di un'altra." Un bacio sulle labbra. "Non vorrò mai nessun altra madre che non sia tu per i miei figli."

Il perché delle lacrime di Kristen, Robert lo associò al ciclo.
Poi lei lo baciò. E lo fece ancora, ed ancora, ed ancora. Si baciarono tanto, troppo forse; anche mentre lui si vestiva.
Poi un ultimo bacio: a fior di labbra, dolce, ad occhi aperti, come a voler consumarsi la bocca e tutto il resto.
La promessa di un 'a dopo'.

"Ah Kristen?"
"Dimmi." Il sorriso stanco. Falso. Dai Kris, un'ultima volta. L'ultima scena e poi avrai terminato la tua miglior interpretazione.
"...a pranzo vorrei tanto le tagliatelle."

Applauso. È finita.


Guardai l'ora sul display dell'iPhone: tra poco Robert sarebbe tornato a casa. Avrebbe trovato le sue tagliatelle nel forno, ed un biglietto attaccato al frigo.

Ero decisa a lasciarlo, a salvarlo, e sapevo che lui non mi avrebbe mai e poi mai perdonata. Ma... Ma quando ami qualcuno, e lo ami così tanto da strapparti il cuore con le tue
 stesse mani, allora non ti importa.

Per Robert mi sarei presa il colpo peggiore, l'insulto più brutto, la vita meno bella.
Per Robert, per la sua vita, stavo dando la mia.
Forse in senso lato, ma lo stavo facendo. Stavo rinunciando a me.
Non lo facevo solo per lui, quello no. Non ho mai creduto alla cazzata dell'amore che ti fa annullare te stesso per l'altra persona. No. Questo no.
L'amore è anche egoismo.

Non stavo scappando per lui. Io lo facevo anche per me. Perché una vita senza avere Robert accanto non era vita; ma vivere con la consapevolezza del suo cuore muto,
beh, era la morte. Vivere in un mondo in cui lui non esisteva era morire.

Per questo l'avevo deluso una volta ancora.
Perché l'amore è egoista, ed io lo ero.







Lo lasciò andare così, trattenendo il pianto -quello vero- fino a quando non vide l'auto di Robert uscire dal vialetto.
Come un'attrice navigata. Da premio Oscar.
Poi lasciò le maschere, tornò Kristen, la ragazza innamorata, impaurita. Quella che avrebbe voluto dirgli: "Aiutami."
Lo sapeva che non l'avrebbe mai fatto.
No. Troppo pericoloso. Per lei, per lui. Per chiunque.
Si rese conto che piangere non le serviva. L'aveva fatto anche troppe volte negli ultimi tre mesi.
Non ne aveva parlato con nessuno; lui si sarebbe fatto male. O forse lei. Qualcuno, comunque, avrebbe sofferto.
No, no, no!
Non avrebbe potuto sopportare una cosa simile.
Così si asciugò le lacrime; alle dodici aveva quel volo che le avrebbe salvato la vita; lui, a lei. Ma che li avrebbe spezzati; a lui, a lei.
Mise le ultime cose nella valigia, le altre erano pronte da tempo. Poi andò in cucina, prese la farina e le uova ed impastò. Lui amava le sue tagliatelle.
 Quando ebbe finito, trascinò i bagagli nel baule della Jeep. Tornò in casa.
C'era odore di sugo, di talco e dopobarba. Profumo di Rob.

Decise che una volta arrivata a Cannes, ne avrebbe acquistato una bottiglia... Giusto per averlo con sé.

Poi vide il blocchetto giallo e la matita che scendeva, appesa ad un filo; erano incollati al frigo. Su quei post it ci scrivevano di tutto.
Dai "Ti amo", ai "...oggi esco con i ragazzi, ci vediamo stasera. Le lasagne sono in frigo. Ah Rob, il formaggio grattuggiato va messo
quando lo inforni, okay? Non dopo. Ti amo"

Staccò un foglio giallo canarino, e con la mano che tremava, cominciò a scrivere:
"Mi dispiace Rob. Non cercarmi. Non telefonarmi. Non amarmi. Io e te... Non abbiamo futuro. Scusa per quel 'Ti amo'.
Scusa per tutto. Dimenticati di noi, io lo farò. K."



In realtà avrebbe voluto scrivergli cose ben diverse.

"Le tagliatelle sono in forno; rob attento alla cottura, 5 minuti bastano", e lui, leggendolo, si sarebbe fatto sfuggire un sbuffo.
Poi, quel "Ci vediamo stasera. Ti amo. K.", gli avrebbe fatto tornare il sorriso.

O magari nulla del genere sarebbe accaduto. Aveva tremolato scrivendogli quel post it. Le parole vacillavano, e con loro, la voglia di Kristen di andare via.
Ma doveva. Lo doveva fare. Attraversò per l'ultima volta quel corridoio, all'ingresso c'era una foto di loro due. Gliel'aveva scattata Ruth.
Così prese la cornice tra le mani, e tirò fuori la fotografia. Era liscia, quasi appiccicosa; accarezzò il profilo di Robert. Quasi sorrise, tirò su con il naso.

"Io ci ho provato Rob. Ti giuro che l'ho fatto... Volevo dirtelo, volevo, ma come posso, amore, come?
Lo so che non è giusto ciò che sto facendo, che su di noi, su questa storia, io e te c'abbiamo buttato il sangue, le lacrime. Lo so che ti amo, lo so che mi ami, e so anche che è da
codardi dire tutto ciò ad una tua foto, e che non mi senti, e che mai lo saprai. E so che mi odierai, come so che ti ho amato dall'inizio.
Non faccio altro che amarti da quando ero su quel letto, stanca, e ti aspetto; sei entrato e ti ho visto.Non faccio altro che amarti da quando ti ho scelto, mi hai scelta.
In questa vita non faccio altro che amarti da quando ci siamo trovati, e persi. Ma soprattutto da quando ci siamo ritrovati.... Un centinaio di volte, forse.
Sono una codarda, Rob. Non ce l'ho il coraggio di dirti cosa sta succedendo, ma sappi che già mi manchi, che ti amo. Che ti amerò sempre. Che sei tu, che sei sempre tu.
Che se tu ora entreresti da quella porta io te lo direi, e forse mi lascerei salvare, CI lascerei salvare. Che se tu ora mi chiedessi di sposarti ti direi sì, e mille volte ancora sì.
Che lo voglio un figlio. Che se non lo avrò da te, allora non lo voglio. Che non vorrò mai nessun altro padre che non sia tu per i miei figli. Che sei tu, tu, tu e sempre tu, Robert.
E forse doveva finire così, no? Io e te non siamo destinati a stare insieme. Non oggi, non domani. Forse in un'altra vita.
 Magari ci rincorreremo per decenni, e forse ci fermeremo solo per darci un bacio e scappare ancora. Lo facciamo sempre.
T'amo da tutta una vita, Robert Pattinson... E forse, è proprio questo il problema."


Si asciugò le lacrime, diede un ultimo sguardo a quella casa, e col cuore gonfio di lacrime, uscì, chiudendosi la porta alle sue spalle.
Si strinse di più nel suo giubbotto di pelle, quello Balenciaga nero, quello che Rob amava tanto perché "è come te".
Tirò su col naso, la fotografia in una mano; la stava stropicciando.
Si tolse la giacca, alzò il coperchio del bidone della spazzatura e ce lo buttò dentro, con rabbia. Come un'ancora quella foto.
Entrò nella jeep, e finse un sorriso per Jessica, la loro vicina di casa.
Attrice fino in fondo.
Cosa dicevano i suoi fans? Che era da premio Oscar? Forse avevano ragione loro.






Guardai un'ultima volta l'ora sul display dell'iPhone: Rob era tornato a casa.
In questo momento stava accarezzando i cani... Ora si stava togliendo le scarpe.
Gli avevo chiesto scusa per quel "ti amo". Gli avevo schiesto scusa dei baci dati, e dei "ti amo" ricambiati; delle ferite inflitte, dei silenzi rispettati e dei segreti tenuti fino a farmi -farci
affogare.
Riuscivo a sentire quel suo "sono a casa, Kris"

BOOM.

Il suono di qualcosa che si rompe, forse il forno dove c'erano le tagliatelle che tanto amava. O magari il frigorifero dove c'era quel pezzo di carta giallo canarino, con una menzogna scritta
 a caratteri cubitali: dimenticati di noi, io lo farò. Bugia.

E tutto quello -io e lui fatti a pezzi, un futuro andato, lacrime amare, un giacchetto buttato nella spazzatura- accadeva solo per una ragione: paura.
Perché la paura si nutre dei sogni andati, delle debolezze.
E l'amore vive di speranze, di vita.
E la paura... Beh, la paura è il peggior nemico dell'amore.


Non che non avessi mai provato a cambiare numero di telefono, l'avevo fatto, e più volte anche; ma finiva sempre con riapparire quell'anonimo.
L'ultima volta non era bastato un sms.
Fu quello a farmi paura. A farmi decidere.
Accadde in una sera di Ottobre; eravamo a letto, ero felice quel giorno. Credevo che la mia vita stesse cominciando a girare sul binario giusto.
Robert era di nuovo con me, finalmente, e tutto andava bene.

Ci baciavamo, parlavamo, ridevamo... Ci comportavamo come un fidanzato ed una fidanzata.
Poi le luci saltarono, un sms, ed una scritta nell'auto di Rob.
Lui l'associò ai paparazzi. Io no. Fu allora che capii di essere in trappola.
A Robert non avevo mai provato a dirlo... Lui, lui avrebbe dato la sua vita per me.

Ed io non volevo.

Cannes era stata la scelta più ovvia, quasi.
Nel corridoio che portava alla nostra stanza, c'erano appese varie fotografie: io e lui ai tempi di Twilight, una a casa dei suoi, lui e le gemelle, noi e Tom, noi e Marlowe, noi con i cani,
noi a Cannes.
Scappare. Andare via. Trasferirmi nel posto in cui più eravamo stati felici; prima di Rupert, prima di Dylan, prima della paura.
Sbuffai.
Sotto di me solo nuvole.
La California era lontana. Robert era lontano.

Forse, lo era anche il pericolo.



Arrivare a Parigi, per la coincidenza, fu estenuante. I ricordi di un volo simile, il jet lag, l'insonnia... avevo riposato poco e niente.

Se chiudevo gli occhi vedevo Robert. Robert che fissava quel foglietto, quella frase, quel "ti amo" camuffato in un addio. E più tentavo di dimenticare, di togliermi quell'immagine
 della mente, più queste si moltiplicavano.

Eravamo in aeroporto.
Una volta in questo stesso luogo io e Robert ci eravamo nascosti in un bagno a fare sesso.
Sorrisi. Per poco non venimmo beccati dagli inservienti.

Il sorriso svanì.

Io non avrei più toccato il suo corpo... Lo avrebbero fatto altre persone.
Non... Non mi piaceva quell'assurda idea. Non era giusto.
Robert era mio. Robert è mio.

Perché lo stavo facendo? Perché ero scappata? E se... E se gli dicessi tutto?
Presi il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni.

Chiusi gli occhi. Pensai.

Pensai al altre mani che accarezzavano il suo corpo. E non per finta, su un set... Per davvero.
Se prendevo quella coincidenza, se lo facevo, dicevo addio. Non un arrivederci.
Se andavo fino in fondo, lo avrei salvato. Ci avrei salvato. L'avrei fatto.
Perché Robert se lo meritava. Perché tra due anni, senza di me, lui sarà vivo.

Sarà su qualche poltrona degli Oscar, ad ascoltare il suo nome accompagnato da un "e il vincitore è", pronunciato da qualche bella e perfetta attrice.
E quando verrà il momento del discorso lui sorriderà, imbarazzato -lo è sempre-, e dirà qualche assurdità.

Ed io riderò con lui. Da lontano.

Poi lo vedrò toccare e fissare quella statuetta d'oro; emozionato, incredulo. Lo capirò io quello sguardo. Solo io. Perché io e lui ci siamo sempre capiti con gli occhi...
Perché in tutti questi mesi non se n'era mai accorto? Perché aveva creduto a tutte le mie bugie? Ai miei "va tutto bene".

Perché mi hai creduto, amore mio? Se tu non l'avessi fatto...

Qualcuna, ad un party, lo punterà, gli ammiccherà, e lui forse ricambierà.
Ed un giorno lo vedrò con una donna che non è me. E dovrà andarmi bene perché l'ho scelto io. Mi andrà bene anche quando si sposerà, quando avrà dei figli.



Perché mi hai creduto Rob?



Quindi riposi il cellulare nella tasca, perché altrimenti lo avrei chiamato per dirgli "vienimi a prendere". E lui lo avrebbe fatto.

Scossi la testa, scacciando quei pensieri dalla testa: io dovevo andare via.

'Non essere una codarda', mi ripetevo. 'Fallo per lui'.

'Salvalo. Perché da una come te bisogna essere salvati. Non te lo meriti uno come lui. L'hai tradito, l'hai ferito. L'hai fatto stare male... Quindi goditi lo spettacolo quando accadrà.
E vai via, lascialo stare. Se anche lo chiamassi, gli spiegheresti tutto, e magari addirittura tornereste insieme, credi che lui non ti lascerà?
Lo farà. Perché sei tu. Sei quella che lo ha fatto soffrire, sei quella che ha preferito gli amici al proprio fidanzato. L'hai fatto scappare, ricordi?
 E altre persone l'hanno fatto sorridere, tu solo piangere. Te ne rendi conto?
Entra in quell'aereo e non farti più vedere.'


Mi asciugai gli occhi con le maniche della maglia, e tornai decisa sui miei passi.

Cannes era la mia nuova vita.
Una vita senza Robert. Una vita che forse non sarebbe mai stata tale.


Quando arrivai all'aeroporto di Cannes fui assalita dal profumo di vaniglia.
Il ché era stupido, ma sentivo quell'essenza.
Come le torte fatte con Robert.
Come il bagnoschiuma che avevo comprato e di cui si era innamorato.
Come i fiori che avevamo in giardino.
Come il nome della nostra terza cagnolina.
Come me e lui, e quel té preso alle sei del pomeriggio; alle cinque no, era troppo da inglesi, e noi eravamo in America.


Non sapevo se i ricordi potessero avere un odore, ma in questo momento era così; lui ed io eravamo vari profumi messi insieme. Ed ero sicura che questo posto mai me li avrebbe
fatti scordare.

Forse anche per questo l'avevo scelto. L'avrei avuto sempre vicino... O almeno, così amavo pensare. Accesi il cellulare,convinta a sentirlo almeno un'ultima volta.
Una chiamata in anonimo, volevo solo sentire la sua voce. Oramai ero nel taxi. La mia decisione era stata presa. Solo un'ultima volta.
Schiacciai l'icona verde sulla sua faccia, e attesi.
Attesi per sei lunghi squilli. Poi rispose qualcuno.

Non seppi mai come feci a non scoppiare a piangere, a riconoscere una voce che non avevo mai sentito.

Era Dylan.
Lui era con lei. S'era già dimenticato di me.

"C'è qualcuno?"

C'era qualcuno? Io non lo sapevo. C'ero? C'ero davvero o era il mio fantasma? Al momento mi sentivo vuota. Spenta. Inutile.
Come... Come derelitto. Un rifiuto. Uno zombie.

Staccai.



Scesi dall'auto cinque minuti dopo. Ero arrivata da Ellie.
Mi attendeva sulla soglia di casa sua: I capelli biondicci sciolti, un pigiama rosso, e ai piedi un paio di ciabatte a forma di Minions. Quasi le sorrisi.
Mi venne incontro, m'abbracciò. Mi lasciai stringere. Il suo profumo di caramelle, così dolce, così familiare, mi distese, tranquillizzandomi almeno in parte.

"Come stai, K?" La guardai, fissai i suoi occhi grigio azzurro, e mi sentii... Stanca.

Stanca di tutto. Stanca della mia vita, delle bugie. Di me e Rob.
Ero stufa di mentire.


Perché mi hai creduto Robert?
Perché amore mio?
Perché non hai letto nei miei occhi le bugie?


"Mi sono appena uccisa con le mie mani." Ecco come stavo. O non stavo.


Tre ore dopo ero su un letto non mio, con la consapevolezza che lui era con lei.
Lo odiavo... Mi aveva lasciata andare senza neanche combattare. Né una chiamata, né un messaggio. Come gli avevo chiesto.
La odiavo... Aveva già preso il mio posto. E probabilmente l'avrebbe occupato meglio di me.

Mi odiavo... Avevo fatto la cazzata più grossa della mia vita. Stupida. Stupida. Ero una stupida.

Ci odiavo... Perché ci uccidevamo a vicenda. Perché?

Ci dicevamo sempre che eravamo noi contro loro, ma non era vero: la battaglia più grande, i nemici più forti, eravamo noi stessi.
Eravamo noi contro noi. E di solito, perdevamo sempre.


Volevo... Volevo scrivergli qualcosa. Insultarlo, magari. Dirgli che era un bastardo.
E lo stavo per fare: digitai le prime parole, ma poi il suono di un sms.



Il cuore partì in quarta. L'ansia esplose. Il respiro accelerò.
La paura mi invase.

Anonimo.

Lui. O forse lei. Ancora una volta.


"Non avvicinarti mai più a lui, puttana. Resta dove sei. Non farti più
vedere... O te ne pentirai. Amaramente".



Paura.









Io non parlo. Si avvicina il Natale. Quindi abbiate Fede u.u

Baci e abbracci, frizzi e lazzi.
Helen & Rose.

 

   
 
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