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Autore: Naruto89    30/11/2013    0 recensioni
Due ragazzi camminano per una strada deserta, mano nella mano. Sono diretti verso una grande costruzione a punta. Lui, il nemico finale, è lassù. L'ultima battaglia per le sorti del mondo è alle porte e loro sono l'ultima speranza. Ma cosa sono, in realtà, la Cura e la Malattia? Cosa è successo al nostro mondo e che futuro ci sarà per l'umanitò? E come mai i due protagonisti sono obbligati a tenersi per mano?
SOTTOGENERE: URBAN FANTASY
Genere: Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La cura

Il ragazzo e la ragazza avanzarono lungo una via che pareva infinita. Accanto a loro, le macerie di quella che un tempo era una grande e florida città.
A destra e a sinistra, dove prima si trovavano case grandi e piccole, ora c'erano soltanto scheletri di pietra, mattone e cemento.
I tetti erano crollati. Restavano in piedi soltanto mezze facciate, dipinte con colori tenui. I gialli, gli azzurri e i rosa formavano un puzzle multicolore.
Accanto ad esse, le carcasse color ruggine di vetro e lamiera dei grattacieli erano state distrutte, diroccate, decapitate. Le enormi vetrate, i cui frantumi erano ancora attaccati a telai piegati e arrugginiti, erano solo un pallido ricordo di quelle costruzioni avveniristiche.
Ciò che ne rimaneva, rimasugli grigiastri e marroncini, superava solo di poco le basse casupole colorate.
Davanti ai vecchi palazzi, in un interrotto duplice filare ai lati della strada, le grate e i tombini mezzi divelti sparavano fuori getti di vapore denso e biancastro.
Alternandosi, senza apparente ordine logico, queste eruttazioni riempivano l'aria, abbassavano la visibilità e sollevavano i detriti depositati sul terreno. La strada, un tempo bianca, era infatti ricoperta d'una polverina finissima e grigio chiaro. Erano i resti della metropoli, staccati e frantumati dall'azione continua degli agenti atmosferici.
Nel giro di qualche millennio, quel posto sarebbe diventato il primo esempio di deserto metropolitano.
Più in là, sulla linea dell'orizzonte, sorgeva l'unico edificio ancora integro.
Una costruzione di metallo nero, a base quadrata, si sviluppava per metri e metri. Era un grosso cubo, circondato da due piani di terrazze protette da un porticato di colonnine.
Da esso partiva una copertura a quattro spioventi curvi e scanalati, che formavano uno spazioso padiglione.
Dalla cima di questa cupola, poi, si sviluppava una torre altissima e molto sottile, decorata con una scanalatura a elica che la percorreva in tutta la sua altezza. Era inframezzata, in tre punti equidistanti, da tre stanzette cubiche, terrazzate e protette anch'esse da una fila di colonne ciascuna.
Non c'erano vetri, né finestre. L'unico punto d'ingresso era un enorme portone ad arco, color pece.
Quando i ragazzi lo videro, si strinsero la mano ancora più forte e accelerarono il passo. In città, o in quel che ne rimaneva, non c'era anima viva.
- Siamo arrivati, - sussurrò il ragazzo, raggiunto il portone. Doveva essere alto almeno dieci, quindici volte quanto lui. La ragazza, con un cenno del capo, fece segno di spingere.
Senza mai lasciarsi, i due si appoggiarono alla porta e fecero forza con tutta l'energia che avevano in corpo.
Il portone si aprì subito, con facilità. Lentamente, ma senza fare rumore. I ragazzi si guardarono, un po' perplessi, ed entrarono.
Si ritrovarono davanti un lungo corridoio, buio e scuro. Ai lati, una serie di piccole nicchie a sesto acuto.
Avanzarono con grande calma e attenzione, e le controllarono una ad una. Parevano aspettarsi un attacco a sorpresa, da un momento all'altro.
Arrivarono in fondo e si ritrovarono davanti a una tenda di velluto rosso. Il ragazzo tese la mano, le dita che gli tremavano. Non aveva la più pallida idea di ciò che avrebbe trovato al di là del passaggio.
Esitò un attimo, poi scostò il drappo. Una forte luce giallastra investì in pieno i due ragazzi.
Erano arrivati nell'enorme stanza centrale della costruzione, un padiglione che partiva dalla base e si stringeva pian piano a cupola. I quattro lati, poi, si univano in concomitanza con l'inizio della torre che li sovrastava.
I muri erano stati ricoperti con del tessuto, probabilmente velluto, rosso scuro e ornati sui lati con svariati ricami dorati.
Su tutte le pareti, sia in basso che risalendo tutta la costruzione, erano appesi dipinti e fotografie di com'era il mondo in precedenza.
A terra, poi, erano presenti svariate miniature e riproduzioni in scala dei più importanti monumenti dell'epoca appena trascorsa: la Statua della Libertà, la Tour Eiffel, casa Batlò...
Alla vista di quel particolare e ironico amarcord, il ragazzo strinse i denti e il pugno rimasto libero, quello con cui non teneva la mano della ragazza.
Attorno a quel braccio, appeso sulla spalla, portava un mantello logoro e marroncino che gli nascondeva la parte destra del corpo.
Guardò per un attimo la sua compagna. I due infilarono la lunga scala in legno ridipinto di nero che percorreva, a chiocciola, le pareti del padiglione.
Una volta giunti in cima, percorsero altre tre rampe di scale e attraversarono due salottini, sempre decorati con stoffa rossa.
In entrambi, un paio di divani e un tavolinetto molto basso di marmo e porcellana sembravano pronti per l'ora del tè.
La terza stanza, benché dall'esterno fosse impossibile indovinarlo, era molto più ampia.
Al contrario delle precedenti, l'unica illuminazione era naturale. Le pareti, spoglie e scrostate, avevano alcuni spazi aperti che fungevano da finestre e facevano filtrare giusto quel minimo di luce distorta e cadaverica.
Lo spazio era invaso da rimasugli di pietra e metallo, staccati a forza dallo scheletro di qualche vecchia costruzione. Pali di ferro arrugginito spuntavano minacciosi da alcuni blocchi di cemento lasciati lì, sparsi per la stanza.
In fondo in fondo, davanti alla scaletta diroccata che dava sull'ultimo terrazzo, c'era uno scranno d'ossa umane e macerie metalliche fuse insieme. Seduto sopra di esso, un uomo.
Era così alto da star stretto nel suo trono, con le gambe ripiegate su loro stesse e tenute un po' divaricate.
Piegato in avanti, poggiava i gomiti sulle ginocchia. Si teneva le mani nelle mani, le dita incrociate le une con le altre, protette da un paio di guanti bianchissimi.
Il corpo magrissimo era ricoperto da un lungo camicie bianco che gli arrivava fino a piedi, protetti da un paio di sandali marroni.
Le maniche erano larghissime e gli penzolavano ben oltre i polsi. Il colletto del vestito, poi, era a mo' di giacca elegante, a 'V' e con i bordi azzurri aperti verso l'esterno.
Il volto, ornato da un casco di finissimi capelli bianchi lunghi fino alle spalle, era stretto e ovale. Il naso appuntito, la bocca sottile e gli occhi così stretti e allungati da sembrare sempre chiusi lo facevano assomigliare a una volpe.
- Uh, uh, uh. - ridacchiò l'uomo, appena vide i due giovani. - Che ci fate qui, ragazzi miei?
- Quello per cui ci hai reclutato, - rispose, arido, il ragazzo. - Facciamo fronte a un grave, gravissimo pericolo che incombe sul nostro pianeta.
L'uomo sorrise appena e si mise a far giochicchiare la lingua con uno dei suoi denti. Aprì la bocca e lo lanciò, come un proiettile, contro i due.
Il ragazzo tirò a sé la ragazza e, senza mai lasciarle la mano, la nascose dietro di sé. Evitò il dente, che si conficcò nella parete subito dietro di loro.
Il colpo rimbombò nell'aria. Un bel pezzo di muro e calcinacci si staccò con violenza al momento dell'impatto.
Il ragazzo, senza nemmeno voltarsi a guardare, alzò la testa. Le labbra erano serrate e lo sguardo s'era improvvisamente incattivito.
Ma l'uomo s'era già alzato e, ancora prima di raggiungerli, tirò un calcio fortissimo a mezz'aria. La pelle delle dita dei piedi s'aprì in due e le ossa ne uscirono a tutta velocità.
Il ragazzo fece velocemente roteare il mantello davanti a sé e catturò in un sol gesto quegli strani proiettili. Quindi, quasi con disprezzo, gettò per terra quel pezzo di iuta vecchio e logoro.
Il braccio destro, lasciato scoperto dalla maglietta blu senza una manica che aveva indosso, era nero fino alla spalla.
Non era semplice colore. Era un'oscurità torbida, che pulsava, si dimenava, era in continuo movimento. Liquida e impaziente, come lava dentro a un vulcano.
L'altro braccio, coperto da una manica lunga fino al polso, pareva sano.
- La tua Infezione delle ossa progredisce bene, vedo, - disse il ragazzo con tono piatto, privo d'emozione.
L'altro ridacchiò. Il dente e le dita dei piedi scivolarono via dal muro e dal mantello, e tornarono al loro posto. - Malattia e Cura, ragazzo. Malattia e Cura nello stesso corpo.
- Mpf.
Fece un segno del capo verso la ragazza e le diede l'altra mano. Poi le porse il polso sano, ormai libero.
Lei allora chiuse gli occhi e, con le unghie lasciate deliberatamente lunghe, recise le vene del ragazzo.
Quando le sue dita entrarono a contatto con la carne dell'amico, emise un piccolo gemito. Dopo tutto quel tempo, non s'era ancora abituata a doverlo fare.
I due incrociarono per bene le dita dell'altra mano e, stretti l'uno all'altra, lei dietro la schiena di lui, cominciarono a correre. - Balestra di Sangue!
Il ragazzo mosse il braccio ad arco e schizzò ovunque proiettili di sangue. Questi si solidificarono e fendettero l'aria a tutta velocità.
L'uomo saltò il più in alto possibile, li evitò e si proiettò con una capriola verso il soffitto della stanza.
Fece leva contro il tetto con le gambe lunghe e disarticolate, e si gettò a tutta velocità contro i due.
Si passò la lingua per bene su tutta la bocca e sparò, uno dopo l'altro, a raffica, tutti e trentadue i denti.
I ragazzi si misero schiena contro schiena e, tenendosi con entrambe le mani, rotolarono in capriola l'uno sull'altra. I denti passarono esattamente sotto l'arco creato dalla mossa, conficcandosi nella calce.
Una volta in piedi, la ragazza trattenne qualche secondo il braccio sano del ragazzo, mentre lui fece forza con tutte le proprie energie.
Lei lo mollò e il movimento a frusta fu incredibilmente veloce e potente. Gli schizzi di sangue si assottigliarono così tanto da diventare grossi quanto spilli, e decuplicarono la loro velocità.
Il nemico, sempre le mani nelle mani, volteggiò come una trottola ed evitò l'attacco. Macchie di sangue si spiaccicarono contro il trono e i vetri della stanza.
Il ragazzo imprecò. - La gamba! - urlò poi, rivolto alla compagna.
Lei unì le dita fino a far diventare le proprie unghie una sorta di pugnale e, distogliendo lo sguardo, le infilò dritte dritte nella coscia sinistra del ragazzo.
Lui chiuse gli occhi e ringhiò dal dolore. Poi posò la mano sul proprio sangue, lo modellò e se lo attorcigliò attorno al polso.
Quando lo impugnò e lo liberò dal proprio braccio, ne trasse una frusta. La fece schioccare un paio di volte contro il pavimento. - Frusta di Sangue, - sussurrò, infine.
L'avversario sorrise a metà, mentre i denti tornavano al loro posto.
Arricciò le labbra per il dolore e, subito dopo, le scapole gli si staccarono dalla schiena e volarono fuori dal lungo mantello. Rotearono su loro stesse e si librarono a mezz'aria, accanto a lui. - Frisbee d'Ossa.
Il ragazzo e la ragazza si strinsero le mani con forza e, dopo un cenno affermativo, corsero dritti contro il loro nemico.
Lui fece schioccare ancora una volta la frusta per terra e saltarono entrambi in aria. La loro sincronia era perfetta.
Il ragazzo caricò il colpo e sferrò una frustata verso il suo avversario. Lui si spostò di qualche passo, evitò il colpo e fece un cenno verso le proprie ossa.
Prima ancora che i due fossero atterrati, le scapole dell'uomo volarono a tutta velocità contro di loro.
La ragazza si strinse forte alle spalle dell'amico. Lui si fece roteare l'arma attorno e creò un vortice di sangue rosso rubino che circondò entrambi.
Le scapole sbatterono violentemente contro la protezione di sangue. Arretrarono di qualche metro, quindi ritentarono l'attacco ancora due o tre volte, senza successo. Infine si scossero un po', confuse.
Il ragazzo e la ragazza atterrarono e si misero fianco a fianco, sempre mano nella mano. Lui sciolse la difesa, fece schioccare un paio di volte la frusta per terra e si preparò all'attacco.
In quel momento, però, l'avversario raggiunse le proprie ossa e le fece slittare verso i due.
Il colpo fu così veloce che il ragazzo riuscì solo ad alzare la propria frusta e pararsi da quella che gli si era diretta dritta dritta sul volto.
L'altra roteò velocemente contro la ragazza e la colpì in pieno petto. Il respiro mozzato, si ritrovò sollevata da terra e proiettata contro il muro alle sue spalle.
Il ragazzo, impossibilitato a lasciare la mano dell'amica, venne trascinato via con lei. La frusta gli cadde di mano, riacquistò forma liquida e lasciò una bella chiazza rossa sul pavimento.
I due andarono a sbattere contro uno dei blocchi di cemento. Lei lo colpì con la schiena, rotolò sopra di esso e ricadde dall'altra parte.
Lui vi piombò contro con stomaco e ginocchia, e si squarciò parte della coscia sana con uno dei pali di metallo arrugginito che spuntavano dalla pietra.
Urlò di dolore, il respiro mozzato, e riaprì gli occhi a fatica. Mille puntini luminosi gli offuscarono la vista e minacciarono di farlo svenire.
Si staccò dal bloccò e si aspettò di dover disincagliare il pezzo di metallo rimastogli incastrato nella gamba. In realtà, era stato colpito soltanto di striscio.
Si rialzò un po' barcollante, ancora incapace di vedere qualcosa. Appena fu in piedi, una delle scapole lo colpì in pieno stomaco.
Perse l'aderenza con il terreno e gli parve di ricadere molto, molto, molto lentamente all'indietro. L'altra scapola lo prese sul volto, lo fece volare qualche metro più in là e gli aprì un bel taglio profondo sulla guancia destra.
Il ragazzo atterrò di schiena e strisciò per terra per un bel tratto. Tossì, si pulì il sangue dal viso e richiuse le dita, alla ricerca della sua compagna. Lei, però, non c'era più.
Con quel poco di vista riacquistata nel frattempo, si guardò intorno. La ragazza era dall'altra parte della stanza. E, proprio nel mezzo, con un sorriso trionfante sul volto, il loro nemico.
Il magma nero nel braccio del ragazzo, che fino a quel momento era rimasto calmo e sopito, si agitò e si precipitò con foga verso il cuore.
Il ragazzo si portò una mano al petto e cercò di rialzarsi, ma ricadde sulle quattro zampe. Vomitò un abbondante fiotto di sangue nero.

Non sapeva nemmeno lui quanto tempo fosse passato da quando era stato ricoverato in ospedale. La flebo ticchettava leggermente a ogni goccia che lasciava cadere.
Il corpo del ragazzo aveva cominciato ad annerire giorni, mesi, forse anni fa. Ormai, non gli rimaneva più un centimetro di pelle del suo colore naturale.
Anche il sangue, come aveva potuto vedere durante i numerosi prelievi giornalieri, era nelle stesse condizioni.
- Sta marcendo, - avevano detto i medici. - Il suo corpo sta marcendo.
- P-perché...? - aveva mormorato lui.
- Non lo sappiamo.
Notte e giorno erano uguali, per lui, chiuso in quella stanzetta essenziale, dalle mura bianche. Tutto – il letto, il tavolino, l'armadietto con i suoi vestiti – gli arrivava sfocato.
Era sveglio da almeno quattro giorni, ma non si sentiva propriamente stanco. Semplicemente, stava morendo.
Certe persone, che aveva conosciuto durante la sua breve vita, gli avevano detto che era tutta una questione di volontà: la vita, la morte. Bastava volerlo, e poteva succedere di tutto.
Ora sapeva che non c'era nulla di vero. Lui sarebbe morto, volente o nolente. Quindi, tanto valeva accettarlo e lasciarsi andare.
Ma questo, in un certo senso, non significa che ho deciso di morire? Hanno ragione. Allora, hanno ragione, si ritrovava a pensare ogni tanto. Ed era stato proprio nel bel mezzo di questi pensieri che aveva sentito il tocco.
Era una mano gentile, dalla pelle liscia e le dita lunghe, sottili e magre. Troppo magre, aveva pensato.
Poi, la sensazione opprimente d'avere la morte appollaiata sul petto, con falce e cappuccio nero, era evaporata. E, all'interno del suo campo visivo, era apparso il volto di un uomo.
Era un ragazzo non troppo più vecchio di lui, con i capelli bianchi come la neve e la pelle diafana. Il suo viso assomigliava al muso di una volpe.
- C-chi sei tu...? Dove sono i medici? - aveva biascicato il ragazzo.
- Quelli lì non ti possono più aiutare. E' tutto inutile, - aveva scandito l'altro. - Ma, se sei intenzionato a vivere, io so che cosa ti sta succedendo.
Il ragazzo, con una forza che non credeva nemmeno più di possedere, si era alzato di scatto e s'era messo seduto sul letto.
Accanto all'uomo, una ragazza gli stava tenendo la mano. E' la sua, aveva pensato. E' lei.
- Lei è la Cura, - era intervenuto l'uomo.
- L-la Cura...? Che significa?
L'uomo aveva sorriso. - Accanto ai comuni esseri umani, può verificarsi la nascita di due altri tipi di umanoidi, - aveva spiegato, con tono preciso e scientifico. - La Malattia e la Cura. Chi nasce affetto dalla Malattia, in seguito a una causa scatenante non meglio identificata, vede le cellule del proprio corpo contenenti l'Infezione rivoltarglisi contro. Per questo motivo, nell'antichità e in parte ancora oggi, spesso la Malattia viene scambiata per un tumore particolarmente aggressivo. L'unico modo per controllare l'Infezione, è la Cura. Se le Malattie sono tutti maschi, le Cure sono tutte ragazze. Queste, posando semplicemente la propria pelle a contatto con la Malattia, riescono a confinare l'Infezione in una sola parte del corpo e a salvare la vita della Malattia. Per farlo, però, devono rinunciare a qualcosa. Lei – e indicò la giovane che lo accompagnava – per esempio, è muta.
Il ragazzo aveva osservato la ragazza, poi sé stesso. L'unica parte del corpo a essere rimasta nera era il suo braccio sinistro.
- Sono... sono guarito, - aveva mormorato.
- No, non è così semplice, - era intervenuto l'uomo. - D'ora in poi, se vuoi continuare a vivere, dovrai rimanere per sempre a contatto con questa ragazza.
Il giovane le aveva lanciato un'altra occhiata, veloce e un po' imbarazzata. Poi, era tornato a fissare il signore dal muso di volpe. - Perché mi stai dicendo tutto questo? Sei venuto qui solo per salvarmi la vita, e lasciarmi la tua amica? Nessun trucco? Possibile?
L'uomo aveva sorriso. Di nuovo. - In effetti, il trucco c'è.
- Sentiamo, - aveva sillabato il ragazzo.
- L'Infezione, se controllata, permette alla Malattia di sbloccare degli incredibili poteri paranormali. E io sto preparando un esercito di Malattie e Cure per far fronte a un grave, gravissimo pericolo che incombe sul nostro pianeta... - Un sorriso sghembo, tirato e inquietante aveva attraversato il suo volto per una frazione di secondo, e un'ombra era passata davanti ai suoi occhi. - Allora, ci stai?
- Ci sto. - E aveva afferrato la mano che l'uomo gli aveva gentilmente porto.

La ragazza aprì la bocca in un urlo muto e si gettò a capofitto contro il nemico, che le dava le spalle.
Durante la corsa, si abbassò un poco e mollò una spallata scomposta dietro al ginocchio del suo avversario, che inciampò e ruzzolò all'indietro.
Quindi, si lanciò sul ragazzo e lo abbracciò da dietro, ficcandogli la faccia nella schiena. Lui, gli occhi gonfi e socchiusi, la guardò.
Da quando l'aveva conosciuta, quel giorno, all'ospedale, non l'aveva mai vista così preoccupata. La sua espressione sembrava gridare: - Non morire! Non morire!!
L'infezione cominciò subito, ma con grande lentezza, a ritirarsi nel braccio destro. La respirazione del ragazzo tornò pian piano normale e il sudore freddo sulla sua fronte si asciugò. Il cuore riprese a battere alla sua naturale velocità.
Il giovane si rimise a sedere, pur con qualche difficoltà. Lei lasciò la sua schiena e gli diede la mano. Lui le sorrise e le accarezzo il volto, i capelli. - Grazie, - biascicò. - Quindi si rialzò, ancora tremante.
I due, di nuovo in piedi, alzarono lo sguardo. Il nemico era di nuovo dritto davanti a loro. Le scapole continuavano a girargli intorno, pronte a colpire.
- Avanti, ragazzino, - disse l'uomo. - Usalo. Non mi potrai mai battere, senza. - Il giovane strinse i denti così tanto da farli scricchiolare. - Usalo! FORZA!!
Il ragazzo lanciò un'occhiata alla sua compagna. I suoi occhi erano profondi e arrabbiati. Ma, in fondo a quello sguardo, vi era anche la certezza dell'ineluttabile.
Lui annuì. Lei unì nuovamente le dita, le infilò nel braccio malato dell'amico e lo squartò da cima a fondo. Non chiuse gli occhi nemmeno per un momento. Sangue nero colò per terra.
- Sangue Nero. Spada del Sangue Nero, - sussurrò lui.
La poltiglia nera si radunò pian piano nella mano del ragazzo e prese la forma di una grossa spada medievale a doppio taglio. Il giovane, però, non ebbe alcuna difficoltà a maneggiarla.
La fece roteare un paio di volte tra le mani, quindi guardò la compagna. Lei gli sorrise e annuì, decisa.
Il nemico, con un sorriso di soddisfazione sul volto, lanciò ancora una volta le scapole contro i due.
Il ragazzo strinse la mano dell'amica ancora più forte e, appena le ossa furono a una buona distanza, le sfiorò con la lama della spada. Queste prima si bloccarono, poi marcirono e, infine, colarono a terra in una pozza nerastra.
I due ragazzi scattarono verso il loro avversario, correndo a zig-zag. Perfettamente sincronizzati, ricoprirono in pochi passi la distanza che li separava.
Arrivato abbastanza vicino, il ragazzo si saltò ancora più in avanti, e affondò il colpo. Il nemico si gettò all'indietro e, con una piroetta a mezz'aria, lo evitò.
- Ossa Nere, - sussurrò, poi. - Spina d'Ossa Nere. - E la sua spina dorsale si dislocò sotto gli occhi dei due giovani. Uscì dal suo posto e si divise in trentaquattro vertebre nere.
Queste rotearono veloci attorno al loro padrone, creando uno scudo d'aria e d'ossa. Lui avanzò lentamente, un passo alla volta.
Quando fu abbastanza vicino, lanciò, una alla volta, le vertebre contro i due ragazzi. Appena se ne staccava una, l'altra tornava in posizione difensiva. Si muovevano a velocità supersonica, sparendo nel nulla a ogni movimento.
Il ragazzo disse alla compagna di mettersi dietro di lui, dietro la schiena. Poi, impugnò bene alta la propria spada e respinse, una per una, tutte le vertebre.
Alcune le deviò, altre riuscì a farle tornare indietro. Altre ancora lo colpirono sul volto, sul naso, nello stomaco, sulle braccia. Lividi e piccole apparvero ovunque sul suo giovane corpo.
Un osso, poi, lo colpì in piena fronte e gli aprì un bel taglio sanguinante.
Senza perdere la presa sulla spada, si asciugò sangue e sudore con il braccio. Devo fare qualcosa, comprese. O mi invento qualche cosa, o finisce qui.
L'uomo li raggiunse, pronto a lanciare l'attacco decisivo. Al ragazzo non rimasero che due possibilità: arretrare, o attaccare.
Le vertebre abbandonarono tutte quante la difesa del nemico e, continuando a roteare a grande velocità, circondarono i due giovani.
Lui abbassò le spalle. Dovevano agire adesso.
Appena le ossa si mossero contro di loro, la ragazza fece una capriola sulla schiena del ragazzo, lo afferrò per le spalle e, grazie alla spinta che s'era data, lo lanciò in aria.
Lui, allora, la prese per la mano e la tirò ancora più su. Lei si girò a mezz'aria e sollevò l'amico fino al soffitto.
Lo toccarono entrambi con i piedi e, mentre le vertebre giù si scontrarono le une con le altre, si lanciarono verso l'avversario.
Arrivato abbastanza vicino, il ragazzo affondò il colpo. L'uomo si gettò subito all'indietro, ma un piccolo taglietto gli si aprì sulla fronte.
I due atterrarono e le ossa dei due piedi, staccatesi dal loro possessore, li colpirono in pieno stomaco. Vennero catapultati dall'altra parte della stanza.
Il ragazzo si aggrappò ben stretto sia alla spada che alla mano di lei, e riuscirono entrambi ad atterrare in piedi.
Alzarono lo sguardo e i piedi del nemico tornarono al loro posto. Anche le vertebre, inoltre, ricominciarono a roteare intorno all'uomo, a velocità sempre crescente.
Una si fermò dritta dritta davanti all'avversario. Quindi, un'altra, poi un'altra ancora. Dopo qualche secondo, una spada di vertebre nere s'era formata di fronte ai due ragazzi.
Il giovane strinse la mano della compagna e la accarezzò dolcemente. Si guardarono per un momento. Annuirono.
Lei lo prese per un braccio e lui impugnò la spada con ambo le mani. Una folata di vento proveniente da là fuori si frappose tra i contenenti. I due ragazzi scattarono in avanti.
Le due spade entrarono in contatto e un boato si sparse per la stanza. L'aria parve fermarsi per un attimo.
Il ragazzo sciolse la propria arma e il sangue nero scivolò oltre la lama d'ossa, che si schiantò contro il pavimento. Le poche piastrelle rimaste intere si sollevarono da terra e frantumarono in mille pezzi.
Il ragazzo e la ragazza rotearono attorno a quel colpo. Poi, lui impugnò il sangue nero prima che ricadesse del tutto e ricreò quasi dal nulla la propria spada.
Con un passo, si ritrovarono dritti dritti davanti al proprio avversario. Un fendente, e il giovane tagliò a metà le mani dell'uomo ancora incrociate nella stretta curativa.
Pezzi di dita volarono per tutta la stanza, spargendo qua e là sangue e ossa. La parte superiore del camice dell'uomo si strappò, a contatto con la lama nera.
L'avversario ricadde all'indietro e, dopo anni e anni, aprì le braccia a croce. I muscoli, ormai intorpiditi dalla posizione che aveva tenuto per tutto quel tempo, gli dolsero come mai gli era capitato.
Nel bel mezzo del petto, si trovava un cerchio di materia nera, putrida e ribollente. Avvertì una stretta al cuore, e le cellule si animarono. Il cerchio si espanse, veloce e aggressivo.
Sangue nero gli colò abbondante ai lati della bocca e tutto il suo corpo venne travolto dall'Infezione.
L'uomo chiuse gli occhi e si liquefece. Al proprio posto, lasciò una pozza maleodorante che pareva petrolio. Accanto a lui, la spada di sangue del ragazzo fece la stessa fine.
Lui e lei si guardarono. Erano esausti, pieni di lividi, di ferite e di sangue più o meno rinsecchito. Non erano mai stati meglio.
Allentarono un poco la stretta delle loro mani e le incrociarono con una dolcezza che non conoscevano più da molto, molto tempo.
Si diressero verso la scala dietro al trono e salirono i piccoli e fragili gradini di pietra bianca. Lentamente, le ferite del ragazzo cominciarono a rimarginarsi.
Una volta giunti sul balconcino, rotondo e circondato da un basso colonnato nero, il ragazzo scostò i capelli biondi dal volto di lei. Il vento tirava forte e s'erano tutti scompigliati. Le arrivavano fino alle spalle.
Osservò per un attimo il naso minuto e pieno di lentiggini, quindi la guardò negli occhi. Erano grandi e blu, come il cielo quando si fa sera, pensò.
Le sfiorò le labbra con le proprie. - E' finita. Il mondo è libero, ormai, - disse. Si voltò verso l'orizzonte. - Non è bellissimo?
Laggiù, oltre al palazzo, c'era soltanto una distesa d'acqua che non sembrava avere fine. Che non aveva fine.
Quel che rimaneva del mondo era solo un'isoletta piena di case e grattacieli mezzi distrutti, e un bellissimo palazzo nero. Il primo, futuro deserto metropolitano.
Lui e lei erano gli ultimi abitanti della Terra.

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Buongiorno, cari lettori,
ecco il secondo racconto scritto per il concorso, anch'esso senza esito xD L'obiettivo, qui, era ricreare un'ambientazione (abbastanza originale, spero) e puntare tutto su quella e sulla sua spiegazione. Più, finale un po' a sorpresa, o almeno spero. Principalmente, è più che altro un prototipo per quella che potrebbe essere una storia lunga. La storia della Malattia e della Cura, almeno, mi sembra mooolto 'infilabile' nel contesto dello Urbann Fantasy moderno (che, diciamocelo, ultimamente pecca un po' di 'ripetitività'). In ogni caso, intanto beccatevi questo esperimento e fatemi un po' sapere!
Grazie a tutti e buona lettura,

il vostro umile autore

   
 
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