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Autore: Francesca_3107    30/11/2013    18 recensioni
Lei, un'orfana, reduce da un passato spaventoso.
Lui, bello e ricco, con un presente tormentato.
~*
-Continua pure quello che stavi per fare- si pronunciò maliziosamente, rompendo il silenzio.
-E tu chi saresti?- gli domandai, coprendomi alla bell e meglio.
-Questa è più una domanda che dovrei fare io, non credi?- mi rispose, alzando un sopracciglio.
-Non rispondermi con un'altra domanda!- dissi stizzita.
-Perché non dovrei? È lecito porti questa domanda, sei in casa mia- fece avvicinandosi.
-Oh, quindi tu devi essere Leon- realizzai.
-Indovinato. E tu saresti, di grazia?- mi sorrise.
-Violetta, il nuovo acquisto dei tuoi- risposi sprezzante.
~*
Paring : Leonetta *-*
Il resto dei personaggi sono tutti nuovi, spero vi piaccia :)
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Violetta
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Violenza
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Era un giovedì pomeriggio, di metà ottobre, quando arrivai nella mia nuova casa. Erano ormai due anni che vivevo in un orfanotrofio, quando, un uomo, di cui neanche vidi il volto, prese la decisione di adottarmi. Di solito, quando le persone venivano, per adottare qualcuno, sceglievano sempre i bambini, i ragazzi più grandi rimanevano lì fino ai loro diciotto anni e poi, i più sfortunati, iniziavano a vivere per strada. Io ero una di loro, mancavano due mesi ai miei diciotto anni. Un auto mi venne a prendere all'orfanotrofio e mi portò fuori casa di quell'uomo. Scendendo dall'auto, mi ritrovai dinnanzi ad una vera e propria reggia. Dove diavolo ero finita? Difronte, si ergeva, in tutta la sua grandezza, un cancello in ferro battuto dove mi aspettava un uomo sulla settantina, con capelli e baffi color bianco sporco, vestito da pinguino. Mr Pinguì? 
Il tipo m'invitò ad entrare, dopo aver aperto l'enorme cancello con un telecomando elettronico. Seguii l'uomo all'interno, camminando su un viottolo in pietra, decorato ai lati da fiori di mille colori, che portava ad un gazebo enorme, bianco, con fiori intrecciati tutt'intorno dello stesso, identico, colore. Lì era parcheggiata un'altra auto, nella quale fui invitata a salire, e Mr. Pinguì, si mise alla guida. Una volta in auto, poggiai i piedi sul cruscotto, ma il pinguino mi rivolse uno sguardo severo.
- Che c'è? - gli chiesi.
- Signorina, i piedi.- rispose lui.
- Io faccio quel che mi pare - sbottai acida.
-I piedi- continuò, guardandomi in cagnesco.
- Ok ok, ma si calmi! - dissi alzando gli occhi al cielo e abbassando i piedi dal cruscotto.
Ma che palle! Mica erano tutti così in quella casa? Si prospettava una permanenza "divertente". 
Sbuffando mi affacciai al finestrino e mi persi nell'ammirare l'enorme giardino, che mi ritrovai davanti agli occhi. Lo decoravano, fiori, alberi altissimi che, con le loro verdissime chiome, facevano ombra in alcuni punti. C'erano fontane, in marmo bianco, zampillanti, un piccolo fiume,  lo attraversava, con gigli bianchi sulle sponde. Sembrava il paradiso terrestre di Dante, un grande poeta italiano.
Poco dopo la macchina si fermò, Mr. Pinguì/Rompipalle scese dall'auto ed  io lo imitai, rimanendo nuovamente senza parole. Ero finita in un castello. Un dubbio iniziò a farsi strada nella mia mente. Se il loro intento era quello di trasformarmi in una principessina perfettina, avrebbero avuto pane per i loro denti! Mi piacevo così com'ero,  con le mie converse nere ai piedi, i jeans strappati, una t-shirt sformata e i capelli legati in una spettinata coda di cavallo. 
Mr. Pinguì si schiarì la voce, distogliendomi dalle mie elucubrazioni mentali, e mi fece strada all'interno del "castello", dove, era tutto, solo e unicamente, lussuoso: divani in velluto rosso screziati d'oro, tavoli di cristallo, lampadari di diamanti e soffitti altissimi. E che diamine, proprio uno schiaffo alla miseria! La mia attenzione venne catturata da un uomo bellissimo, sulla cinquantina, con occhi azzurri come il cielo, capelli biondi come il grano, alto e di bella presenza, con barba bionda ben curata, fasciato da
un completo nero con camicia bianca e cravatta. Sicuramente il mio carceriere.
- Violetta, ben arrivata - mi salutò.
-Salve- dissi con strafottenza. 
-Allora? Che ne pensi? Ti piace la casa?- mi chiese guardandosi introno.
-Si, non male- risposi con noncuranza.
-Bene-, mi sorrise, -vieni, voglio presentarti mia moglie- disse facendomi strada verso una salone spaziosissimo, al cui fianco, intravidi una specie di ,enorme, sala da pranzo. Non sto qui a descriverlo perché giuro, era indescrivibile. Su una poltrona bianca, era seduta una bellissima donna dai capelli castani legati in un'elaborata acconciatura, ed un vestito magenta molto semplice, ma allo stesso tempo elegante e lungo fino a terra, intenta a leggere. All'udire i nostri passi la donna alzò lo sguardo, chiudendo il libro e poggiandolo sulla poltrona. Rimasi folgorata dalla bellezza del suo viso. Una parola: perfetto. Neanche un imperfezione, tutto si trovava al posto giusto, era simile ad un angelo. Con un paio d'occhi color nocciola con una luce particolare. Si alzò e mi corse incontro con un sorriso a trentadue denti, bellissimo e dolcissimo, per poi abbracciarmi. Rimasi immobile e senza parole.
-Oh, scusa.. - disse sciogliendo l'abbraccio. -Io sono Emma, non volevo essere invadente, abbracciandoti- continuò con una voce melodiosa.
-N-non fa nulla- risposi scuotendo la testa e tornando in me. 
Quella donna emetteva una stana aura, troppo positiva. Iniziai a pensare che si trattasse di una strega..
-Bhè, lei è mia moglie e ti diamo il benvenuto nella nostra casa- riprese  l'uomo bellissimo, affiancandosi a quella donna stupenda e avvolgendole la vita con un braccio.
-Siamo felici che tu sia qui. Spero ti troverai bene- continuò lei.
- Abbiamo anche un figlio, Leon. Sarà in giro con i suoi amici, stasera sicuramente lo conoscerai- m'informò fiero Tom.
- Ok - dissi io, neutra.
- Oh, cara, sarai stanca, e sicuramente vorrai rinfrescarti. Rodrigo, puoi accompagnare Violetta in camera sua?- disse la voce melodiosa di Emma.
Ed ecco che riapparve Mr. Pinguì all'appello che, con un cenno della testa, mi fece segno di seguirlo.
Dovevo ammettere che erano davvero una bella coppia, entrambi bellissimi. La donna poi, mi aveva colpito profondamente.. Era come se  lei, fosse un pezzo di ferro ed io una calamita, attratta inevitabilmente da lei. Senza accorgermene mi ritrovai davanti una porta bianca.
-Questa è la mia stanza?- chiesi al simpaticone.
- Si signorina, all'interno troverà anche un bagno. Se ha bisogno non esiti a chiamarmi- rispose per poi girare i tacchi ed andarsene.
Aprii la porta della stanza. Era grandissima, più di tutte le stanze delle ragazze, all'orfanotrofio, messe insieme. Il soffitto era altissimo, come nelle altre stanze della casa, le pareti, tinteggiate di un color rosa pallido, erano disegnate da ghirigori bianchi. Al centro della stanza c'era un letto matrimoniale con coperte color crema che, riprendevano il colore delle tende, le quali, circondavano l'immenso finestrone che illuminava la stanza, con un diverso numero di cuscino sparsi sopra. Sulla sinistra c'era una scrivania, con un computer di ultima generazione.. E chi diavolo ne aveva mai visto uno così?! All'orfanotrofio c'erano dei rottami dell'epoca dei dinosauri! 
Poco distante da quella, c'era una porta, dietro la quale trovai una cabina armadio con scarpe, vestiti e cianfrusaglie di ogni genere, tipiche cose da ragazza perfettina. 
Chiusa la la porta, andai verso il grande finestrone, scostai le tende ed uscii sul terrazzo dove erano posizionati un lettino da spiaggia ed un tavolino.. Da lì si vedeva il resto dell'enorme giardino che, precedentemente, avevo attraversato in auto. Era fornito anche da una piscina, munita di ombrelloni, sdraio e lettini, e persino da un bar! Scossi la testa per riprendermi dallo shock del momento e rientrai. 
Mi diressi verso l'ultima porta della stanza, dove doveva esserci il bagno. Bingo! 
Era attrezzato da una vasca idromassaggio che, subito, mi fece venire la voglia di tuffarmici. Mentre l'acqua calda scorreva, presi delle asciugamani in bella vista, da un mobiletto somigliante ad una profumeria.. Profumi, bagnoschiuma, shampoo, olii, creme di ogni tipo. Piastre per qualsiasi pettinatura, phon con e senza diffusore. Ok, un momento, dove diavolo ero finita?Nella casa delle barbie? Riempita la vasca, mi ci tuffai dentro e massaggiata dalle bolle, chiusi gli occhi rilassandomi. Mi resi conto di aver smarrito la cognizione del tempo, guardandomi le mani. Velocemente lavai i capelli ed uscii dalla vasca, avvolgendo il corpo nel morbido asciugamano. Dopo aver asciugato i capelli, alla bell e meglio, uscii dal bagno con ancora l'asciugamano addosso. Nel momento in cui stavo per toglierla, mi accorsi della presenza di qualcuno alla mie spalle. Mi voltai di scatto e trovai un ragazzo bellissimo, alto, capelli castani con il ciuffo all'insù, occhi verdi magnetici e profondi, con qualcosa di enigmatico. Quel verde era tenebroso, ma dolce allo stesso tempo. Le labbra, molto piene, si aprivano su una fila di denti bianchissimi e perfetti. Era poggiato con la schiena alla porta della mia stanza e mi fissava. Nonostante indossasse un semplice pantalone di tuta e una t-shirt aderente, che lasciava poco all'immaginazione, trasudava eleganza da tutti i pori.
-Continua pure quello che stavi per fare- si pronunciò maliziosamente, rompendo il silenzio.
-E tu chi saresti?- gli domandai, coprendomi alla bell e meglio.
-Questa è più una domanda che dovrei fare io, non credi?- mi rispose, alzando un sopracciglio.
-Non rispondermi con un'altra domanda!- dissi stizzita.
-Perché non dovrei? È lecito porti questa domanda, sei in casa mia- fece avvicinandosi.
-Oh, quindi tu devi essere Leon- realizzai.
-Indovinato. E tu saresti, di grazia?- mi sorrise.
-Violetta, il nuovo acquisto dei tuoi- risposi sprezzante.
-Ah, quindi tu dovresti essere..mhh la mia sorellina- disse virgolettando con le mani.
-No che non lo sono, e mai lo sarò. Adesso, se non ti dispiace vorrei vestirmi. Quindi, aria!- dissi con astio.
-Uhh siamo nervosette.-
Fece dei passi verso di me, annullando, completamente, i pochi metri che ci separavano. Rimanemmo a guardarci negli occhi, occhi che sembravano voler intrappolare i miei e non lasciarli più andare. Si abbassò di qualche centimetro affiancando le labbra al mio orecchio, interrompendo così il contatto visivo con quello splendido colore che mi aveva rapita.
- È davvero un peccato,sei molto attraente, con solo quest'asciugamano addosso, e t'inviterei nella mia stanza-, prese a sussurrare, accarezzandomi la spalla nuda, - ma sono intollerante alle pulci, pezzente.- riprese con disprezzo.
Si allontanò ed uscì dalla mia stanza, ridendo, così come era venuto. Rimasi immobile a guardare la porta chiusa. Non riuscivo ancora a credere alle parole pronunciate da quelle labbra perfette, ma diaboliche allo stesso tempo. Indietreggiai fino ad arrivare a sedermi sul letto, continuai a guardare la porta, come in trans.. Come diavolo si era permesso quel bastardo a darmi della pezzente? Che ne sapeva lui della mia vita?! Il caro principino, me l'avrebbe pagata. Velocemente presi il piccolo zainetto con le mie poche cose al suo interno, indossai della biancheria pulita ed i miei soliti vestiti. Pronta, uscii dalla stanza. Non ricordandomi la strada, decisi di seguire il lungo corridoio alla mia destra e vedere dove portava. Arrivata alla fine, mi ritrovai, fortunatamente, davanti ad uno scalone enorme in marmo, dove c'era lui. Velocemente scesi le scale e, prendendolo alla sprovvista, gli mollai un ceffone dietro la nuca.
-Ahii! Ma che.. - urlò voltandosi verso di me, -Brutta stronza! Ma che cazzo ti è preso?!- continuò, portandosi una mano dietro la nuca.
-Pezzente ci chiami qualcun altro, bastardo!- gli urlai di rimando.
-Piccola stupida io ti .. - stava per alzarmi le mani addosso, quando, venne fermato dalla voce di Tom.
-Cosa sta succedendo qui?- chiese altero.
-Niente- risposi velocemente.
-Questa piccola stronza mi ha mollato un ceffone- piagnucolò il bastardo.
-Leon, modera il linguaggio!- disse, il biondo, per poi rivolgersi a me con cipiglio severo -Violetta, mi spieghi cosa è successo? Perché gli hai dato uno schiaffo?-
Vidi il bastardo sogghignare.
- Perché mi andava- risposi con nonchalance.
-Violetta, non ti trovi più in orfanotrofio. Vorrei che ti iniziassi a comportare adeguatamente- mi rimproverò l'uomo.
-Senta, non le ho chiesto io di adottarmi. Se le va bene, io sono così, altrimenti mi rispedisca da dove sono venuta. Detto questo, ho fame, che si mangia?-
Senza dargli il tempo di rispondere, me ne andai verso la sala da pranzo che avevo intravisto appena arrivata. Lì, trovai la donna di prima seduta a tavola. 
-Cara, siediti. Sarai affamata- disse accorgendosi della mia presenza. Presi posto al suo fianco e iniziai a mangiare. Dopo poco, sopraggiunsero anche i due uomini che si accomodarono.
-Di solito si aspetta che tutti arrivino al tavolo, prima d'iniziare a mangiare- disse, con astio, Leon.
-Su Leon, lasciala stare. Le ho detto io d'iniziare- mi difese Emma.
Vidi Leon bisbigliare qualcosa tra sé, ma non riuscii a captare cosa.
-Allora, Violetta. Che ne pensi della tua stanza?- mi chiese Tom.
- Carina.- risposi, atona, continuando a mangiare.
-Carina? Tesoro, tu non hai mai visto una stanza così. Ringrazia il cielo che ti abbiamo fatto mettere piede qui, con tutte le tue pulci! - sputò Leon tra i denti.
-Leon! Chiedi scusa!- disse, Tom, alzando il tono di voce.
-Non si preoccupi, quello che dice suo figlio mi scivola addosso. E se proprio vuoi saperlo,-dissi, rivolgendomi a Leon,- io non dò valore alle cose materiali. Sono stata abituata a non avere nulla, non come te che hai avuto tutto sin da quando eri in fasce! Sei ridicolo, uno che corre dal paparino ogni volta che gli succede qualcosa, come poc'anzi, si può definire uomo. Quindi, bimbo, chiudi il becco e mangia! - risposi calma, per poi portarmi un bicchiere d'acqua alle labbra.
Vidi il belloccio guardarmi con aria di sfida e allo stesso tempo stringere il tovagliolo tra le mani. Improvvisamente si alzò, facendo strusciare la sedia per terra e provocando un rumore fastidioso. 
-Io esco!- annunciò arrabbiato.
-Leon, dove vai!- lo riprese il padre.
Ma era troppo tardi, il ragazzo era già uscito sbattendo la porta alle sue spalle.
-Violetta, scusalo. Di solito non è così..- mi disse Tom.
-Non si preoccupi, io non mi offendo- gli risposi.
-Bene, allora. Sei pronta per il tuo primo giorno di scuola?- m'interpellò Emma, cambiando discorso.
-Il mio primo che?- la guardai interrogativa.
-Ti abbiamo iscritta alla stessa scuola di Leon. È già iniziata da un mese e mezzo, ma sono sicura che ti troverai bene. - Mi sorrise dolcemente.
-Io, non ci vado- risposi.
-Si, invece. Ti aspettano tutti. E questa potrebbe essere l'occasione per iniziare a farti degli amici- mi sorrise anche Tom.
-Dai, sarà divertente- mi disse, Emma, con occhi dolci.
- E va bene- Non so perché ma la mia bocca parlò prima che l'informazione arrivasse al cervello. Era appurato, questa donna era una strega!
Finito di mangiare mi alzai dal tavolo, accompagnata dai due adulti.
-Bhè a domani- dissi imbarazzata. 
-Buonanotte piccola - mi disse Tom sorridendomi.
-Notte tesoro- disse Emma,  avvicinandosi e baciandomi una guancia. 
Senza dire nulla mi allontanai e tornai nella mia stanza, mi ritrovai a sfiorarmi la guancia baciata da quella donna e sorrisi prima di coricarmi ed andare a dormire.


Quella piccola pezzente! Gliel'avrei insegnato io a mettermi in ridicolo davanti a mio padre! Presi il telefono dalla tasca dei pantaloni e composi il numero di Stefan Mills, il mio migliore amico. 
-Ehi Bró, dimmi tutto!- rispose, dopo due squilli.
-Vienimi a prendere, ho bisogno di divertirmi un po'- 
-Detto fatto! Fatti trovare fuori. Sarò lì in un baleno!- 
Chiusi la telefonata e chiamai Rodrigo, per farmi accompagnarmi fuori. Durante il tragitto continuai a pensare a quella mocciosa e alla sua strafottenza ed arroganza. Ma allo stesso tempo mi tornò in mente di quando, entrando in camera sua l'avevo trovata con solo un asciugamano addosso. Quei capelli castani, schiariti sulle punte boccolose, che le incorniciavano il volto, quegli occhi fieri ma allo stesso tempo dolci e impauriti, di una sfumatura nocciola che mai aveva visto, quelle labbra carnose, saccenti ma bellissime..
Basta! Misi le mani tra i capelli, quella era solo una pezzente! Venni distolto dai miei pensieri dalla voce di Rodrigo.
-Signorino Leon, siamo arrivati- mi avvertì.
-Grazie Rodrigo- gli risposi.
Scesi dalla macchina e fuori al cancello, trovai il mio amico ad aspettarmi, poggiato alla sua nuova porche nera decappottabile. Stefan era mio amico da sempre, si può dire che ci siamo conosciuti ancor prima di nascere, infatti, i nostri genitori erano ottimi amici fin dal liceo. Occhi verdi tendenti al grigio, naso un po' schiacciato e capelli castano scuro. Lui stava simpatico a tutti, con quell’aria affidabile da bravo ragazzo che riusciva a conquistarsi fiducia al primo sorriso. Aprii il cancello con il telecomando e lo raggiunsi.
-Ehi Bró, al telefono non avevi una bella voce, è successo qualcosa?- mi chiese porgendomi il braccio che io subito afferrai, in segno di saluto.
-Avviamoci, ti racconto per strada- gli risposi salendo in auto.
-Agli ordini!- salì anche lui.
Velocemente mise in moto e partimmo.
- Dimmi prima dove siamo diretti- mi chiese.
-Al solito posto, ho bisogno di sfogarmi- gli risposi.
- Leon, non pensi sia ora di smettere?- mi domandò preoccupato.
-Sté, fatti i cazzi tuoi- gli risposi acido.
Lui sospirò e fece retromarcia.
-Allora, cosa è successo?- mi chiese.
- Ti ricordi che i miei volevano adottare qualcuno?- gli risposi.
-Si, e allora?- continuò curioso.
-L'hanno fatto, si chiama Violetta, ed ha la nostra età- gli dissi sprezzante.
-E dove sarebbe il problema?- 
Velocemente gli raccontai l'accaduto e lui scoppiò a ridere.
- Certo che hai trovato pane per i tuoi denti! Forte la ragazza!- disse prendendomi in giro.
-Stè non farmi incazzare, è una pezzente.- gli dissi furioso.
-Leon, non puoi avercela con il mondo. Quella ragazza non ti ha fatto niente, eppure l'hai trattata peggio di uno zerbino. Anzi è d'ammirare. Non tutti avrebbero la forza di reagire in quel modo, soprattutto se hanno vissuto un'infanzia come la sua, senza genitori, in un orfanotrofio.- disse con aria matura. Quando cercava di psicanalizzare la gente, lo detestavo.
- Scusa, sei mio amico o suo? Nemmeno la conosci!- gli risposi offeso.
- Certo che sono tuo amico. Ma quando esageri devo dirtelo. - mi disse sorridendo.
-Se vabbè! - gli risposi infastidito.
Dopo un po' parcheggiammo l'auto ed entrammo nel solito locale. JOE'S. 
Salutammo tutti e ci dirigemmo al bancone dove c'era Joe, il proprietario, un uomo sulla sessantina con un parrucchino nero ed occhi dello stesso colore, con un pessimo odore e qualche tatuaggio qua e là.
-Joe, c'è qualcuno per me stasera?- gli chiesi mentre puliva dei bicchieri.
-Si, è quello seduto vicino a Stecca. - mi rispose continuando a pulire i bicchieri.
Mi voltai e vidi Stecca, un uomo sulla quarantina piuttosto magro e brutto, seduto vicino ad un uomo parecchio muscoloso e pieno di tatuaggi che, sentendosi osservato, si voltò verso di me e mi sorrise minaccioso.
- Uhh meglio che non rida, è un tantino inquietante- mi sussurrò Stefan all'orecchio.
Sorridendo alla sua battuta, andai incontro all'omaccione e, di conseguenza, lui si alzò.
- Ciao Stecca, ho sentito che il tuo amico vuole sfidarmi.- parlai, rivolgendomi al magrolino.
-Già, lui è Spacca Ossa- mi rispose.
-Salve, bhè che aspettiamo. Andiamo.- dissi a Spacca Ossa.
Lanciai uno sguardo complice al mio amico che andò ad avvisare Joe. Tutto il locale, velocemente si spostò nel retro dove c'era una specie di grande arena sotterranea, che si raggiungeva attraverso un portone scorrevole segreto, che veniva aperto ogni qual volta si teneva uno spettacolo. Mi avviai nel mio spogliatoio e mi preparai  fasciandomi le mani, qualche minuto dopo venni raggiunto da Stefan che mi guardò preoccupato.
- Sei sicuro di volerlo fare?- mi chiese.
-Stè, non rompere- buttai lì.
Lo sentii sospirare e poi mi diede una pacca sulla spalla, il suo solito modo per augurarmi buona fortuna. Finalmente ero pronto ed entrai in arena. Tutt'intorno era pieno di gente, il posto si era riempito in un battibaleno, come sempre del resto.  Anche il mio avversario, era entrato, con quel sorriso orrendo sul volto. Stefan, al mio fianco, mi diede il paradenti e suonò il gong, il round ebbe inizio. Un nuovo combattimento clandestino. 
L'avversario, mi si avvicinò e iniziò a colpire con dei pugni che io schivai velocemente, per poi colpirlo al viso, facendogli perdere l'orientamento. Ne approfittai ed inizia a riempirlo di pugni all'addome, ma subito si riprese e riuscì a sfuggirmi. Con un calcio all'addome, mi fece cadere a terra. Che male! Velocemente si avventò su di me, riempiendomi di pugni, non lasciandomi un attimo di respiro. Io mi coprii il viso con le braccia, mentre cercavo di ribaltare la situazione afferrandogli il collo tra le gambe. E così accadde, lo spinsi con la sola forza delle gambe sulla schiena e mi ci avventai sopra invertendo le posizioni. Lo riempii di pugni in viso, lui provava a rimettermi a terra, ma glielo impedii, mettendogli un ginocchio sui gioielli di famiglia e spingendo forte, provocandogli più dolore di quanto già non stesse provando. Continuai a riempirlo di pugni, finché non mi accorsi che non opponeva più resistenza. L'arbitro fece il conto alla rovescia e mi ritrovai ancora una volta vincitore. Stefan corse ad abbracciarmi e tutti intorno mi acclamarono e applaudirono, mentre alcuni medici portarono il perdente in barella. Stanco, rientrai nello spogliatoio e, aiutato da Stefan, mi cambiai e misi del ghiaccio sul labbro sanguinante.
-Sei stato grande! L'hai steso in neanche due minuti!- mi disse entusiasta.
-Che ci vuoi fare, sono troppo forte- gli sorrisi.
-Adesso andiamo, domani c'è anche scuola- mi disse annoiato.
-Già- gli risposi dolorante.
- Ce la fai? Vuoi che ti aiuto?- mi chiese preoccupato.
- No, ce la faccio- gli risposi infastidito.
- Senti Leon, per quanto tu sia fantastico, non puoi continuare così. È pericoloso.-
- Zitto una buona volta e vai a riscuotere la ricompensa, ti aspetto alla macchina. Ah, e prendimi anche una bottiglia di Tequila.- dissi, dandogli un buffetto dietro la testa.
-Sei senza speranza.- Disse andandosene.
Tutto ammaccato, mi avviai verso la macchina e dopo qualche minuto mi raggiunse anche lui, con un bel gruzzuletto tra le mani. Aprì la macchina ed entrammo, poi mi diede la busta con i soldi e la bottiglia che gli avevo chiesto.
-Altri duemila stasera- m'informò.
-Bene, tieni i tuoi mille- gli porsi la busta mentre infilai i miei nelle tasche del giubbotto.
Aprii la bottiglia di Tequila e iniziai a bere.
-Ne vuoi?- gli domandai.
- Meglio di no, non vorrei fare stronzate- mi rispose.
Continuammo il tragitto senza parlare,  mentre continuai a bere. 
Arrivati fuori casa, aprii il cancello con il telecomando e lui mi accompagnò con la macchina fino a dentro.
-Allora ci vediamo domani, Bró.- mi salutò.
-A domani, tieni il telecomando. Mi vieni a prendere tu no?- gli chiesi.
-Si, certo. A domani, e dammi quella cosa, o tuo padre ti disintegra. Già non sei messo nel migliore dei modi.- indicando la bottiglia e alludendo al mio aspetto.
- E va bene.- gli lanciai la bottiglia in macchina.
Mise in moto e se ne andò.
Barcollando, un po' per l'incontro, un po' perché brillo, arrivai alla porta di casa e lentamente mi trascinai fino alla mia stanza. Arrivato, la porta alla alla mia sinistra si aprì e scorsi la pezzente.
-Ah, sei tornato- 
-Ciao pezzente, ancora sveglia?- le chiesi ghignando.
- Ma cosa hai fatto?- mi chiese.
Era sbalordita e anche preoccupata? Nha, era sicuramente l'alcool. Lentamente mi si avvicinò e mise un mio braccio, attorno al suo collo per sostenermi.
-Vieni, ti accompagno in stanza.- mi disse sottovoce.
- Non vorrai finire di uccidermi vero?- le chiesi ridendo.
Lei non mi rispose e mi aiutò ad entrare nella mia stanza. Con fatica, arrivammo al mio letto e mi ci buttò sopra.
-Hai qualcosa per quelle ferite?- mi chiese.
-Vattene, non ho bisogno di aiuto. - le dissi bruscamente.
Quasi caddi a terra, ma fortunatamente c'era lei a reggermi. Che ho detto, fortunatamente? L'alcool mi stava proprio dando alla testa!
-Certo, hai ragione tu.- disse assecondandomi.
La vidi andare in bagno ed armeggiare nel mobiletto, per poi tornare con ovatta, acqua ossigenata e qualche cerotto. Si sedette sul letto al mio fianco e  iniziò a medicarmi, poggiando l'ovatta, imbevuta di acqua ossigenata, sul labbro spaccato.
-Ahii!- mi lamentai ritraendomi.
-Dai, non fare il bambino- riavvicinò l'ovatta.
Continuò a medicarmi e non potevo fare a meno di guardare le sue labbra così vicine alle mie. Sentivo il suo odore invadermi le narici, chiusi gli occhi ed aspirai la sua essenza, vaniglia. Allontanò l'ovatta dalle mie labbra e riaprii gli occhi. Rimanemmo a guardarci per alcuni minuti.
- Ehm.. Bene, ho fatto.- disse, distogliendo lo sguardo dal mio.
-Ah.. Si.- risposi io, riprendendomi da quella specie d'ipnosi nella quale ero caduto.
Ma a che diavolo stavo pensando?! Bere mi faceva davvero male! Avrei dovuto smettere.
-Ce la fai a spogliarti, o vuoi una mano?- mi chiese neutra.
-Allora è vero, mi vuoi proprio vedere nudo- le dissi ammiccando.
-Ecco, ci risiamo. Pensala come vuoi. Buonanotte.- rispose alzando gli occhi al cielo.
Si allontanò dal mio letto e spense la luce, per poi aprire e chiudersi la porta alle spalle.
-Buonanotte, Violetta- sussurrai prima di stendermi e finire tra le braccia di Morfeo. 



Nota autrice:
Saalve a tutti, rieccomi con una nuova fan fiction sui nostri amati Leonetta! *--*
Come abbiamo visto, Violetta è entrata a far parte della famiglia Vargas. Ha conosciuto Tom ed Emma, i suoi genitori adottivi e il loro figlio Leon che, a quanto pare, non è felicissimo della sua presenza.
La nostra Violetta  però non si lascia abbattere, è forte e tosta ;)
Il nostro Leon, invece, ha un segreto che condivide con il suo migliore amico, Stefan: il combattimento clandestino. Stefan, da buon amico cerca di farlo ragionare, ma lui non ne vuole sapere, perché?
Spero che come primo capitolo vi piaccia! 
Se vi va fatemi sapere come la pensate, un bacio :*

  
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