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Autore: Etie    05/05/2008    2 recensioni
Un gruppo di amici, una passione comune. Comune a tutti, tranne lui, Hero, un ragazzo di sedici anni di cui tutti - compreso lui - hanno scordato il vero nome.
Lui, l'eroe di quel piccolo mondo fatto di musica e di tiri al canestro.
Lui, che pur estraneo a quel sogno, ne è comunque protagonista.
Lui, Hero.
Genere: Generale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Hero'
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Hero

Hero

La strada per la gloria


Mi piacerebbe moltissimo iniziare questa storia con il classico “C’era una volta”, ma questa è la mia storia e non potrei mai spacciarla per una favoletta. I miei amici mi chiamano Hero perché, una volta, ho rischiato la vita per salvare il fratellino del capo del gruppo del quartiere. Era caduto sulle rotaie mentre cercava di raggiungere il suo pallone da basket, proprio mentre arrivava il treno. Passavo di lì, e così... Non ricordo cosa pensai in quel momento, ma qualcosa dentro di me mi diceva che sarebbe andato tutto bene e allora, bam! Mi sono buttato! Quando il “grande capo” lo ha saputo, diciamo che mi ha preso sotto la sua ala. Da quel giorno, infatti, è diventato la mia ombra: mi ha sempre tenuto lontano dai guai e, in questi anni, mi ha insegnato a picchiare e a giocare a basket. Qui questa è la moda. C’è un piccolo campetto, nel parco vicino la scuola, dove passiamo i pomeriggi. Per molti del gruppo, il basket non è solo un gioco, ma una ragione di vita. Alcuni sognano di fare carriera in questo campo, guadagnandosi il pane facendo ciò che amano. Comunque, sembra che anche mia madre abbia saputo di quel fatto del treno, perché sembra essersi dimenticata il mio vero nome. Ad essere sincero, a volte anch’io fatico a ricordarlo...
Mia madre lavora come domestica a casa di un ricco imprenditore dell’industria automobilistica e della sua famiglia. Non è il massimo, certo, ma pagano bene. Non ho fratelli, sono solo. Per quanto riguarda mio padre...beh, a dire il vero, non so che fine abbia fatto: se ne andò che avevo sette anni... Ne sono passati nove e non mi manca per niente.

Vivo solo con mia madre: facciamo a modo nostro, ma ci vogliamo bene. Lei mi ha insegnato a credere nei sogni ed io ne ho così tanti...
Ad ogni modo, oltre il “grande capo” – Tj, per capirci – anche tutto il resto del gruppo mi rispetta e mi considera il nuovo capo. Sono diventato popolare, dal giorno di quell’incidente con il treno.
Tornando al basket, beh, a dire il vero, io non sono poi così bravo...gli altri del gruppo meriterebbero di accedere alla NBA, e non lo dico solo perché sono amici. Per quanto mi riguarda, preferisco star seduto a guardarli giocare, mentre suono la mia inseparabile chitarra. Era di un amico di famiglia: me la regalò quando mio padre se ne andò. Da allora, la porto sempre con me. Adoro suonare mentre gli altri giocano. Cerco di distrarli, ma è inutile. A questo
punto, credo potrebbe solo un’intera squadra di cheerleaders.
Comunque, due mesi fa ho conosciuto una persona, un manager o qualcosa del genere. Roy Reagers. Oggi è venuto al parco con me. Sta giocando anche lui. È buffo perché è in giacca e cravatta, eppure se la cava. Sembra simpatico: continua a sorridere e a socializzare col gruppo. Nonostante com’è vestito, è un tipo giovane.
Sta arrivando Daniel, il fratello di Tj. Oggi compie quattordici anni e sembra abbia tutta l’intenzione di interrompere il gioco, così, tanto per attirare l’attenzione. Infatti, passando, ruba la palla a Roy. Inutile dire che per poco non ci scappa la rissa. Daniel saluta tutti e chiede di Roy. Lui si presenta, porgendogli educatamente la mano ma, c’era da aspettarselo, Daniel lo guarda come fosse un alieno. Fa una battuta e tutti ridono, poi tira a canestro e ricominciano a giocare.

Vanno avanti per tutto il pomeriggio, smettendo al tramonto, il coprifuoco per un quartiere come il nostro, poi Roy mi riaccompagna a casa, continuando a ripetere quanto siano bravi i miei amici.
“Hanno talento, dovrebbero scegliersi un nome e iscriversi a qualche torneo. Magari vincerebbero. Se non ti dispiace, avrei intenzione di tornare domani. Ho un amico che potrebbe aiutarvi.”

E così fa. Il giorno dopo, alle quattro precise, si ripresenta al parco con il suo amico. Il mio amico, quello della chitarra. Vincent McFear. È un allenatore ed è anche molto bravo, da quello che so.
Continuano a giocare, i miei amici, giocano da ore e ancora non smettono, mentre io ascolto quello che Roy e Vincent stanno dicendo.

“Potrebbero essere degli astri nascenti. Dove hanno imparato a giocare?”
“Qui” rispondo distrattamente. Astri nascenti? Questi qua? Comunque, Vincent ha insistito così tanto che Tj, Daniel e tutti gli altri non se la sono sentita di rifiutare. Hanno accettato di farsi allenare da lui. Gli hanno dato tre mesi, dopo di che avrebbe mollato, si sono detti.

E i tre mesi passano, ma Vincent c’è ancora e più deciso che mai a farci conoscere nel campo. È per questo che ci ha iscritti al campionato giovanile regionale e poi al nazionale.
Non riesco a credere che siamo arrivati così lontano. McFear insiste a portarmi in panchina. Senza farmi giocare per fortuna, ma non capisco perché. Dice che sono indispensabile per la squadra, tant’è che sono il capitano. È ridicolo che il capitano non sappia giocare...

Roy? Beh, Roy ci fa pubblicità, ha anche trovato degli sponsor. E ci pagano, anche. Abbiamo “conquistato” il soprannome di Angeli perché, dicono, siamo immortali, imbattibili. Sono più di cinquanta partite che vinciamo consecutivamente. Le nostre cheerleaders sono così felici del nostro record, che saltando ora, rischiano di battere la testa al soffitto. Stasera abbiamo la finale. Manca mezz’ora. Nello spogliatoio, Vincent continua ad illustrarci la strategia della partita. Prima mi ha preso da parte. 
“C’è tua madre, stasera. Fa il tifo per te.” mi ha detto. Vorrei vedere...
Già si sente la musica nello stadio. Le nostre ragazze pon-pon ci staranno facendo onore, là fuori. Noi intanto ci alziamo e cominciamo a urlare, come barbari prima di una battaglia. Poi brindiamo con i nostri bibitoni energetici ed entriamo in campo. La folla è in delirio alla vista dei suoi campioni. Che poi saremmo noi. Io ed altri tre del gruppo andiamo a sederci in panchina, mentre Daniel va a parlare con Roy. La solita scusa per stare vicino alle cheerleaders... Tj è già in campo. Mi sfotte un po’, poi l’arbitro dà il fischio d’inizio e lui tira la palla agli attaccanti, che se la passano a vicenda, per poi andare a canestro senza alcuna difficoltà. Poi finisce il primo tempo. E il secondo. E poi il terzo. Siamo pari: 68 a 68. È così per tutto il quarto. I nostri cercano di andare a canestro, ma vengono bloccati. Idem per gli avversari. A venti secondi dalla fine, Vincent chiama il time out, dà un po’ di fiducia ai giocatori, riflette un po’ e poi, all’improvviso, fa uscire Alex, il 32, e fa entrare me.
“Cosa? Non posso, capo sono una schiappa!”
“Prova”
Mi tolgo la giacca della tuta e vado dentro. Il gioco ricomincia, Tj prende la palla, va nel campo avversario, aspetta che io sia sotto il canestro e me la passa. È un attimo, è dentro. 70 a 68. Siamo in vantaggio e quei pochi secondi che restano sembrano volare. È fatta: abbiamo vinto! Ed è stato anche grazie a me!
...Abbiamo vinto! Il classico “C’era una volta” potete lasciarlo alle fiabe, perché questa...questa è vita vera. Domani, tornando a casa, saremo accolti da campioni. Capite? Siamo i campioni!
Campioni!

Nota: Vogliano scusarmi i fan del basket se, nello scrivere questa storia, ho commesso qualche piccolo "errore tecnico": questo non è il mio campo, Ad ogni modo, sarò ben lieta di accettare qualunque commento vorrete lasciarmi.
Un saluto e tantissimi baci a Missy, Lella e Andy per aver recensito: grazie ragazze, sono commossa, davvero!
Un grazie anche a tutti quelli che hanno letto pur senza commentare. Mi riempie d'orgoglio vedere il numero delle letture crescere (sperando di non aver deluso tutti, nda)!!!
Continuate a seguirmi! Ci vediamo alla prossima, baci!
-yuna-

   
 
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