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Autore: meiousetsuna    01/12/2013    5 recensioni
Mancano un paio di giorni alla vigilia di Natale e Damon è da poco stato liberato dalle segrete della società di Augustine, nelle quali ha subito ripetute torture.
Elena e Stefan si sentono in colpa, ognuno a suo modo, sia verso di lui, che verso tutti coloro che sono rimasti intrappolati nella loro lotta.
Dal testo: “Potresti preparare dei biscotti, Elena, con la ricetta di mamma; per Damon intendo e se fossero buoni anche per me”.
“Hey!”- La ragazza gli tirò un tovagliolo appallottolato su un braccio – “Cosa vuoi insinuare dicendo ‘se’? E poi, questa premura per Stefan non l’hai mai avuta!”
“Magari non ce n’era bisogno, tutti vi preoccupavate per lui. Mi sembra strano doverti ricordare che una settimana fa abbiamo liberato Damon da un laboratorio di vivisezione, dove era già stato rinchiuso per un anno nel 1953… e che questa volta non ha pensato nemmeno per un attimo a spegnere la sua umanità per non sentire più la paura e il dolore; non ti ho proposto una cosa tanto assurda”.

Scritta oggi, per una persona molto speciale…
Auguri in anticipo! Vostra, Setsuna
Genere: Fluff, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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And is this Christmas? (A Guide to Love, Loss & Desperation)
Personaggi: Damon, Elena, Jeremy, Stefan
Rating: Verde
Genere: Sentimentale, What if?, triste
Avvertimenti: Fluff, Bromance, proseguo ideale della 5x8

“Seriamente? Pensi che sia il caso di perdere tempo con una cosa del genere?”
Elena rimase con lo stampino a forma di cuore sospeso a mezz’aria; si sarebbe aspettata tutto, anche di vedere Klaus scendere giù dal camino recando un sacco rosso con i regali, ma non di sentire la voce di Damon che la rimproverava per qualcosa di carino che stava facendo per lui.
Si era alzata per prima quella mattina, spostando pianissimo il braccio con cui la cingeva tutte le notti da quando l’avevano liberato dal laboratorio di Augustine e l’unico modo in cui riusciva a prendere sonno era posare il viso sull’incavo della spalla della sua fidanzata mentre lei gli accarezzava i capelli.
La cucina era piacevolmente silenziosa in quel momento, lasciandole modo di concentrarsi; malgrado ben due ragazzi di origini italiane e uno che lavorava da tre anni nella ristorazione non era mai stata molto brava nell’approntare qualcosa di più elaborato di un hamburger con le patatine fritte surgelate.
Appena scesa al piano terra, era stata guidata da un profumo di caffè forte appena preparato e aveva trovato che Jeremy aveva apparecchiato la tavola per tutti, senza badare al fatto che sua sorella e il suo ‘quasi cognato’ avrebbero fatto colazione con una sacca di sangue rubato dalla riserva dell’ospedale di Richmond, tanto per cambiare.
Pancakes, cereali, succo d’arancia e caffè erano comunque buoni ed appetitosi, ma niente mutava la verità: Elena si trovò improvvisamente investita dalla consapevolezza che la sua, la loro sopravvivenza, era dovuta nel migliore dei casi al sottrarre il sangue donato da persone volenterose per salvarne altre che potevano trovarsi in fin di vita per un incidente, un’operazione…


Non era quello che avrebbe desiderato per sé e neppure per Damon, o Stefan, ma nessuno di loro aveva scelto pienamente quel destino.
Forse Damon costituiva l’eccezione, lui voleva trasformarsi per Katherine, ma come tutti i suoi errori era qualcosa che avrebbe fatto per amore, tanto da scegliere di morire quando si era risvegliato dopo che loro padre li aveva spietatamente giustiziati e aveva creduto che fosse bruciata nel rogo della cripta.
L’aveva accettato, riconosciuto e scendeva a patti con la verità ogni giorno, mentre Stefan cercava di sfuggire quella sensazione e lei… si era semplicemente adattata, dopo essere stata terribilmente tragica nella negazione iniziale.
Certo, sarebbe rimasta umana se avesse potuto decidere a freddo, ma adesso quanto era infelice guardandosi ogni giorno allo specchio nello splendore dei suoi eterni diciotto anni? Per niente.
Jeremy le aveva porto una tazza di caffè fumante senza dirle nulla, col suo sorriso dolce che valeva più di mille parole, aspettando che lo finisse con evidente soddisfazione.
“Potresti preparare dei biscotti, Elena, con la ricetta di mamma; per Damon intendo e se fossero buoni anche per me”.
“Hey!”- La ragazza gli tirò un tovagliolo appallottolato su un braccio – “Cosa vuoi insinuare dicendo ‘se’? E poi, questa premura per Stefan non l’hai mai avuta!”
“Magari non ce n’era bisogno, tutti vi preoccupavate per lui. Mi sembra strano doverti ricordare che una settimana fa abbiamo liberato Damon da un laboratorio di vivisezione, dove era già stato rinchiuso per un anno nel 1953… e che questa volta non ha pensato nemmeno per un attimo a spegnere la sua umanità per non sentire più la paura e il dolore; non ti ho proposto una cosa tanto assurda”.
Jeremy si era alzato senza aggiungere nulla, prendendo l’album da disegno e i carboncini, uscendo in cerca di ispirazione per disegnare, lasciandola piena di imbarazzo e sensi di colpa.


Possibile che fosse sempre così in ansia per i suoi amici, ex, compagne di stanza conosciute per un solo giorno e dovesse essere qualcun altro a ricordarle l’abisso di sofferenza nel quale era vissuta la persona di cui le sarebbe dovuto importare di più?
Inghiottendo amaro, prese il burro, lo zucchero, la farina, le gocce di cioccolato, le uova, lo zenzero grattugiato, tutto con gesti lenti, le mani che si muovevano in modo impacciato, sicura di stare dimenticando qualcosa e con tanta voglia di piangere.
Ma non era qualcosa che avrebbe fatto bene a Damon, anzi; decise che avrebbe fatto i più squisiti biscotti natalizi che avesse mai assaggiato nella sua vita, un piccolo segnale che lui avrebbe di sicuro apprezzato.
Preparato l’impasto, aprì la scatola con le formine; l’abete era adatto, ovviamente e così la stella cometa, ma quando le capitò tra le mani quella a forma di cuore non ebbe alcun dubbio.

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Damon spostò lo sguardo tagliente dalla teglia piena di biscotti bollenti, al piatto da portata dove si trovavano quelli della prima sfornata, già coperti di impalpabile zucchero a velo, al viso stupefatto della vampira.
“Sarebbe stato meglio che usassi il tempo a disposizione per studiare gli archivi della Società segreta che abbiamo rubato non senza pericolo, che per inciso è quello che sto per fare io”.
“Non ti capisco, sai? Che bisogno hai di rovinare tutto…”
Elena si bloccò improvvisamente, ascoltando le sue stesse parole rimbombare nella stanza e ricadere col loro peso come se si fossero tramutate in pietra.
“Io sono così, Elena, non ti ricordi con chi stai, adesso? Sono un ex serial killer riabilitato, una persona egoista e non dico mai la cosa più giusta, tu…”
“Io sono una stupida”.
In un attimo la ragazza aveva posato le mani sull’alto bancone della cucina e si era tirata a sedere sull’orlo tendendo le braccia verso Damon.
Lui esitò un istante prima di avvicinarsi guardandola con un malcelato bisogno di conforto e dolcezza nascosto sotto l’espressione tesa e le scintille di rabbia che brillavano come lampi nell’azzurro del cielo invernale.
Si lasciò stringere, cedendo un poco alla volta solo per salvaguardare il suo orgoglio feroce, facendosi conquistare palmo a palmo dall’abbraccio di Elena, intorno alle spalle, l’altra mano sulla schiena che lo attirava sempre più vicino fino a fargli posare la guancia contro la sua.
“Ho ascoltato te e Jeremy prima”.
“So lo, l’ho capito un minuto fa, non troppo tardi spero”.


La ragazza gli passò due dita sotto il mento, sollevandolo con delicatezza per dargli un bacio sulle labbra morbide, delle quali non avrebbe più potuto fare a meno, specialmente senza un vero motivo; non potevano dividersi per delle incomprensioni, né per la legge dell’ Universo, se era per quello.
Damon si staccò da quel contatto che lo appagava e tranquillizzava, restando con la fronte su quella di lei. “E buongiorno anche a te, Stefan”.
Il vampiro era sopraggiunto in quel momento e sebbene titubante all’idea dell’accoglienza che avrebbe ricevuto non aveva resistito ed era entrato senza troppi complimenti in cucina, deciso a prelevare suo fratello prima che il coraggio passasse, attraversandolo come una corrente d’aria che non si poteva cercare di trattenere.
“Ho bisogno di parlarti, Damon, ora; usciamo in giardino, va bene?”
Il maggiore aggrottò le sopracciglia in una riuscita imitazione del tipico atteggiamento pensoso dell’altro.
“Non so Stef, per i duelli sarebbe più corretto aspettare il tramonto, non credi? È talmente più melodrammatico!”
Prima che Stefan potesse ribattere, si sentì afferrare per una manica ed invitare poco garbatamente verso la porta.
“Si chiama humor, non affaticarti a capirlo”.
Mentre erano sulla soglia Damon tornò indietro a velocità vampirica prelevando il piatto di biscotti, lasciando Elena con un accenno di sorriso.


Il vasto giardino della tenuta Salvatore non aveva nulla che ricordasse di trovarsi in un periodo di feste: niente addobbi luminosi, o fili dorati, né la natura aveva offerto la sua partecipazione regalando loro una spolverata di neve.
Sarebbe stata la decorazione più bella e magica, quella che rende una vera atmosfera natalizia, pensarono i due vampiri, guardandosi bene dall’esprimere un pensiero talmente sdolcinato da essere assolutamente ridicolo.
Si sedettero sull’ultimo gradino della scala d’ingresso, tirando su la lampo delle rispettive giacche per difendersi dal fastidioso vento gelido che soffiava dagli Appalachi, osservando con finto interesse un albero spoglio che si trovava di fronte alla loro postazione.
“Sembrano buoni”.
Stefan non riusciva proprio a cominciare il suo discorso, pensò Damon divertendosi, magari l’avrebbe messo un po’ in difficoltà, se lo meritava.
“Credo che avrebbe dovuto farli per te, non per me, sei il tipo che apprezza queste cose – preso un dolce lo addentò con gusto -  e comunque sì, sono ottimi”.
Il minore sospirò come faceva quando aveva paura di dire qualcosa di sbagliato, poi prese a sua volta un biscotto, assaporandolo un pezzetto alla volta.
“Fino a ieri ti avrei risposto di sì, perché ci credevo veramente, Damon; pensavo di essere più giusto per lei, anzi… la verità che credevo che tu fossi sbagliato, per chiunque”.
Nessun commento seguì quelle parole, ma solo il rumore di altri biscotti che venivano sgranocchiati.


“Perché non mi hai detto niente, per sessant’anni? Sono tuo fratello, avrei fatto qualcosa per te”.
“Cosa, Stefan? Mi avresti spinto a riaccendere l’umanità per sentire tutta la rabbia e la disperazione? E la tua cara amica Lexi ti avrebbe dato il permesso, piccolo, o sarebbe venuta lei in persona venti anni prima di quando l’hai mandata, lasciandoti a rischio di tornare ad essere lo squartatore? Tu stai cedendo per degli attacchi di panico, non rispondermi che non è vero. Ti sento, quando sei seduto sul divano e cerchi di soffocarli, ma ti si spezza il respiro e ti sembra di rivivere il momento in cui stai affogando, all’infinito”.
Stefan strinse le labbra, abbassando la testa e posando un braccio sulle ginocchia.
“Hai voglia di raccontarmi qualcosa, adesso? Lo capisco se non ti fidi perché mi trovi troppo debole, ma non è una bugia, mi dispiace molto, di tutto. Lasciami fare qualcosa, per favore”.
‘Fino a poco tempo fa ti avrei chiesto di sparire, ragazzino, adesso non voglio più’, fu il pensiero che si presentò spontaneo nella mente del bruno.
“È acqua passata, Stefan, sto bene. Se vuoi fare una cosa che mi renderebbe contento aiutami a scoprire chi e cosa si nasconde dietro l’organizzazione di Maxfield, voglio distruggerli, in senso letterale. Farli a pezzi uno per uno, vendicare me e i miei amici che sono morti durante i suoi esperimenti”.
“Conta su di me”. Il ragazzo avrebbe detto qualcosa di più, ma non era abituato a trovarsi in buoni termini con suo fratello, era quasi più imbarazzante di quando si dicevano delle cose terribili.


“Lo farò”. Damon gli rispose in modo apparentemente distaccato.
“E per tua informazione, se avessi avuto il minimo sospetto che tu fossi chiuso in quella cassa, ti avrei tirato fuori io, con Elena o senza di lei”.
Stefan annuì, sapendo che Damon lo vedeva con la coda dell’occhio e allungò la mano nel piatto, per prendere un altro biscotto, ma quelle che incontrò erano le dita di suo fratello; rimasero un attimo paralizzati, per poi sottrarsi di scatto, come scottati da quel contatto.
“Sono finiti”. Stefan aveva nascosto la mano sotto l’altra, senza osare girarsi per controllare la reazione dell’altro.
“Deduzione geniale, Watson…” – Il vampiro improvvisamente scoppiò in una risata liberatoria, che distese i bellissimi tratti del suo viso – Sai cosa sembriamo? Due fidanzati che hanno litigato, muoiono dalla voglia di fare pace, ma nessuno dei due vuole dare ragione all’altro!”
Il giovane si rialzò ostentando un’aria contrariata per la battuta, dissimulando il sorriso che avrebbe dato inopportunamente ragione al suo simpatico fratello maggiore, tendendogli una mano.


“Coraggio, rientriamo, Elena si starà preoccupando e dovremo cucinare qualcos’altro oltre ai dolci, domani è Natale, Jeremy dovrà mangiare”.
Damon prese la mano che gli veniva offerta, ma quando fu in piedi non la lasciò.
Un attimo dopo erano uno nelle braccia dell’altro, stretti in un abbraccio forte, senza parole.
Si divisero a fatica, riprendendosi sulle spalle e sul collo prima di lasciarsi andare a vicenda, gli occhi brillanti di lacrime trattenute.
“Credi che Elena ci abbia visti?”
Stefan accennò un sorriso.
“Perché, ti vergogni di trattare bene il tuo fratellino? Non sapevo ci fosse qualcosa che potesse farti imbarazzare, l’avrei usata contro di te! Comunque no, non era dietro la finestra”.
“Io non so cosa significhi ‘vergogna’, intesi?”
Damon aprì la porta, badando di parlare abbastanza forte perché Elena lo sentisse.
“Forza, entra, non vorrai farmi gelare all’ingresso, devo spiegarti tutto?”
Stefan passò, sollevando gli occhi al cielo, mentre Damon lo spingeva in casa con un colpetto sulla testa che sembrava una carezza.


Il titolo è mutuato da un album ed un pezzo ‘natalizio’ dei :The Wombats. L’attinenza però finisce qui! ^_^


  
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