Due parole per introdurre la storia, che ho scritto per il contest "Shadowhunters: Il Filo Rosso" indetto da Jakefan sul forum di EFP e scaduto ieri (la giudice ha dato il permesso di pubblicare prima dell'uscita dei risultati, così eccomi qui). In fondo ci sono delle note che vi spiegano più o meno tutto quello che c'è nella storia, almeno si capirà, penso, che non ho fatto uso di acidi prima di scrivere questa roba. Ad ogni modo, spero vi piaccia... vi lascio alla lettura della storia e delle note (che sono lunghe più o meno quanto la storia).
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Exsecratio parentum
Animus
patrius in liberos esset
[I genitori nutrono amore per i figli]
Cicerone, Orationes, Pro Roscio Amerino
«
Che cosa hai messo dentro questa valigia? » chiese Alec,
mentre cercava di tirare giù dal treno il bagaglio, che era
sicuro non pesasse
così tanto prima del litigio che aveva avuto con Magnus nel
tragitto tra Milano
e Firenze.
« Niente che non ci fosse anche prima. Saranno, forse, i
souvenir
da regalare a tua sorella, a Jace, a Clary e a Jocelyn e Luke. O
sarà che la
tua runa della Resistenza comincia a svanire. Ah, e poi
c’è il regalo per Tessa
e Jem. Si sono sposati qualche giorno fa, te l’ho detto?
»
« Sì » disse tra i denti. Almeno cinque volte,
aggiunse tra
sé, sotto lo sguardo divertito di quello che era di nuovo il
suo compagno da
qualche settimana, ormai. «Potresti anche darmi
una—»
« Serve un aiuto? » chiese una voce sconosciuta.
Alec si
voltò a guardare il ragazzo che si era avvicinato a lui e
Magnus e lo squadrò
da capo a piedi. Era proprio un gran bel ragazzo, biondo con gli occhi
verdi,
alto, col fisico asciutto e il portamento di un atleta. «
Comunque piacere,
sono Filippo. »
Alec si riscosse, rendendosi conto che il ragazzo aveva
parlato per tutto il tempo in cui lui gli aveva fatto un check up quasi
completo—si era trattenuto dal guardargli il sedere per
rispetto a Magnus, cosa
che ovviamente lui non aveva mancato di notare e lo faceva sorridere
sornione—e
strinse la mano a Filippo.
« Hai un tatuaggio fighissimo » gli disse,
portandosi la mano
verso gli occhi e osservando la sua Runa della Vista. Cosa che gli fece
spalancare gli occhi per la sorpresa. « Ed è
perfetto. Dove l’hai fatto? Ti ha
fatto molto male? Quanto ti è costato? Pensavo anche io di
farmi un tatuaggio,
sulla spalla, ma mia madre ha detto che mi caccia di casa se entro con
un
disegno sulla pelle, perché “non ha messo al mondo
un vitello da marchiare.”
Scusate, a voi probabilmente non interessa niente dei miei problemi con
mia
madre. »
« Questi non mi sembrano problemi, » rispose Alec
un po’
scocciato.
Filippo lo fissò per un attimo, perplesso, poi sorrise di
nuovo e ricominciò a parlare a ruota libera. « Hai
perfettamente ragione, non
sono problemi, però mi piace lamentarmi. D’altra
parte me ne andrò di casa
presto se il provino che ho fatto a Milano è andato come
spero che sia andato,
e allora mi farò il tatuaggio. E comunque mia madre
è una persona eccezionale,
dovreste conoscerla. Anzi, dovreste venire nella nostra pensione, sono
sicuro
che ne restereste entusiasti! » disse, mentre aiutava Alec a
togliere la
valigia dal treno.
« Ma… veramente— »
« Saremmo davvero lieti di essere vostri ospiti, Filippo.
»
Magnus lo interruppe, proprio mentre cercava il modo di dire a Filippo
che
avevano già una prenotazione in un altro albergo, con uno
sguardo che sembrava
dire “hai davvero intenzione di perdere l’occasione
di sapere come fa a vedere
i tuoi marchi e di godere della vista di un sedere come il suo per una
settimana? ” Il che probabilmente l’avrebbe fatto
arrabbiare, se non fosse stato
completamente d’accordo con il suo ragazzo.
* * *
«
Mamma! » Luisa Visconti si sentì chiamare
dall’unica voce
che avesse voglia di sentire quel giorno. Non vedeva l’ora
che Filippo tornasse
alla pensione per mettere ordine alla sua giornata. Era sempre
così, quando lui
le era lontano. Iniziava a pensare e inevitabilmente i ricordi
tornavano a
galla. Sfiorò la cicatrice bianca che aveva sulla mano
sinistra e sospirò.
« Tesoro, sono in ufficio! » rispose, senza aprire
la porta,
e tornò a dare attenzione al foglio di excel con il bilancio
del mese
precedente. Non riusciva a far tornare i conti, eppure era sicura di
aver
riportato tutte le cifre correttamente. Riaprì il registro
cartaceo e
ricominciò a controllare.
La testa di Filippo si affacciò nell’ufficio, e il
ragazzo
iniziò a parlare velocemente, come sua abitudine. Luisa
sorrise e cercò di
seguire un discorso di cui le parole “americani o
inglesi” e “tatuaggio” e
“registrazione” furono le uniche a rimanerle in
testa. Poi iniziò a parlare del
suo provino e di come pensava che fosse andato alla grande, mentre lei
non
faceva che sperare che non lo prendessero in quella squadra di Milano,
senza poterglielo
dire. Ogni madre sogna che suo figlio trovi la sua strada, e Filippo
l’aveva
fatto. Solo che non riusciva a sopportare il pensiero di averlo
lontano: era
ancora il suo bambino. Lo stesso bambino che
all’età di un anno e mezzo si
svegliava alle tre di notte per gli incubi, lo stesso bambino a cui
cantava una
canzone diversa ogni notte per farlo addormentare. « Beh, io
devo andare agli
allenamenti, ci vediamo più tardi! »
« Ma—» niente, non aveva fatto in tempo
ad aprire bocca che
Filippo era già fuori dall’ufficio, e
probabilmente anche dalla pensione.
Si alzò dalla sedia, tolse il mollettone dai capelli e
lanciò
un’occhiata allo specchio che teneva vicino allo schermo del
computer per
controllare che il trucco fosse in ordine, poi uscì
dall’ufficio. E desiderò
ardentemente non averlo fatto.
« Robert, » mormorò. Quel nome le
uscì dalle labbra prima
ancora di potersi riprendere dallo stupore di vedere qualcuno di
così familiare
nella sua pensione, ma si rese subito conto che quello non poteva
essere Robert
Lightwood, che doveva essere invecchiato, come era invecchiata lei.
Indossò di
nuovo il sorriso con cui ormai da vent’anni affrontava le
giornate. « Mi scusi,
per un attimo mi è sembrato che fosse un mio vecchio amico.
Ma, appunto, ormai
dovrebbe essere vecchio, come me. »
« Lei è una bellissima donna, non dovrebbe
sottovalutarsi
così, » le disse quello dei due ospiti a cui non
aveva degnato neanche uno
sguardo, un uomo altissimo, con il taglio degli occhi
all’orientale e le
pupille a fessura come quelle di un gatto—uno stregone, con
molta probabilità—prendendole
la mano e avvicinandola alle labbra, mentre quello che somigliava a
Robert
stringeva gli occhi come tanti anni prima lui aveva fatto di fronte ad
una
galanteria simile.
« E lei è decisamente un uomo sfacciato, signor?
»
« Bane. Magnus Bane. » Luisa cercò di
nascondere un sussulto.
Conosceva quell’uomo almeno di nome, lui e Ragnor Fell erano
i due stregoni più
potenti del mondo, quando era ancora una ragazza. Moltissimi
Shadowhunters si
rivolgevano a quei due, quando avevano bisogno di aiuti sovrannaturali.
Lei
stessa l’aveva fatto, quando era più giovane, per
proteggere Filippo e se
stessa.
« Posso avere i vostri documenti? » chiese
gentilmente,
sfilando la mano da quella dello stregone e cercando di mantenere un
atteggiamento distaccato e professionale, mentre gli occhi scivolavano
sulle
braccia dell’altro ragazzo, piene di marchi e cicatrici.
« Ovviamente, » sorrise lo stregone, porgendole due
passaporti.
Iniziò a battere al computer i dati dei due ospiti, cercando
con tutte le sue forze di non fuggire di fronte a un passato che la
stava
reclamando e che forse reclamava suo figlio, quando lesse il nome del
ragazzo
con gli occhi blu. Sollevò lo sguardo e incontrò
quello di lui, scontroso e
impaziente, e le fu chiaro perché le ricordasse tanto uno
dei suoi migliori
amici.
« Lightwood. Sei… sei il figlio di Robert?
» chiese, e subito
Alexander sbuffò, incupendosi ancora di più.
Esattamente come avrebbe fatto
Robert al suo posto.
I ricordi di Luisa iniziarono a sovrapporsi alla realtà, e
al
posto dello stregone iniziò a comparire un ragazzo
altrettanto alto e con un
sorriso altrettanto seducente, ma biondo e con gli occhi nocciola.
« Una delle due persone che hanno contribuito al mio
concepimento si chiama così, sì »
rispose acido e scortese. Proprio come
avrebbe fatto Robert.
* * *
«
I Lightwood non sono tagliati per fare i genitori, è la
nostra maledizione. È dai tempi di nonno Benedict che non
c’è un Lightwood che
sia stato un genitore decente, » urlò Robert
all’Arno, mentre ubriaco camminava
sulla ringhiera di uno dei ponti.
« Stai dicendo idiozie e lo sai anche tu » gli
rispose
Michael Wayland, altrettanto ubriaco.
Erano a Firenze da
qualche giorno, ospiti della famiglia di Luisa, e lei non ci aveva
messo molto
a capire quale fosse il problema di quei due. Erano parabatai, e ad
almeno uno
di loro due non bastava. Era come se il Conclave avesse saputo che
sarebbero
diventati molto più che amici e avesse cercato di tenerli
lontani con una
legge.
Per Luisa erano tutto ciò che si poteva avere da due
ragazzi,
erano belli da vedere e divertenti da frequentare. Non immaginava di
certo che
uno dei due le avrebbe spezzato il cuore.
* * *
«
Come conosce mio padre? Non mi risulta che abbia molti
amici tra i mondani » domandò con lo stesso tono
scortese, riscuotendo Luisa
dai ricordi.
« Come fa mio figlio a vedere i tuoi marchi? Che poi
è
l’unico motivo per cui l’avete seguito fin qui,
» rispose allora con un’acidità
simile a quella usata dal ragazzo.
Lo sguardo di Alexander si indurì prima e
illuminò di
comprensione poi. « Sei una Nephilim.
»
All’affermazione lapidaria di lui seguì una sua
altrettanto
lapidaria risposta. « Lo ero. »
« Ti hanno spogliata delle Rune, » disse Magnus,
con uno
sguardo pieno di compassione, come se sapesse quanto dolore provocasse
il
rinunciare ai Marchi, come se sapesse che quel dolore ti lacerava
l’anima e che
si desiderava morire durante il processo. L’unica cosa che
l’aveva tenuta
aggrappata alla vita era suo figlio, il piccolo che cresceva dentro di
lei. A
Luisa non piaceva essere compatita, svegliava il suo orgoglio, un
orgoglio già
pungolato dalla scortesia del figlio di Robert.
« Mi sono fatta
spogliare delle Rune. Si stava preparando una
guerra e non avrei mai cresciuto mio figlio in mezzo a dei razzisti
ipocriti. »
* * *
«
Michael è innamorato di te, » disse Luisa, con lo
sguardo
fisso nel cielo stellato, una notte di Luglio. La testa era appoggiata
sulla spalla
di Robert, che la stringeva a sé con affetto fraterno, anche
se si conoscevano
soltanto da un mese. « E anche tu lo ami. »
«Lo amo, sì. Come un fratello, Lou. Esattamente
dello stesso
amore con cui amo te. E se si concentrasse sui suoi sentimenti
capirebbe che è
amore fraterno quello che prova per me. E comunque, è
innamorato anche di te. »
Quella notte Michael non era con loro, era andato a caccia di
demoni, perché a Firenze non succedeva mai nulla e lui era
stanco di starsene
con le mani in mano. Michael era così, sempre pieno di
energia, sempre pronto a
lanciarsi in qualche attività.
* * *
Filippo è
esattamente come Michael,
pensò Luisa per
l’ennesima volta negli ultimi diciannove anni.
« Sei una codarda, » le disse Alexander con una
voce piena di
disprezzo.
« E tu non sei per niente come tuo padre. Potrai somigliargli
fisicamente, ma tuo padre non avrebbe mai detto una cosa del genere,
» gli
rispose, pensando di poterlo ferire con quelle parole.
« Lo ritengo un complimento, ma questo è
esattamente il tipo
di cose che direbbe mio padre. Quanti anni fa l’hai
conosciuto? Come fai a
sapere cosa è diventato? Chi è diventato?
»
« Michael non avrebbe mai permesso che cambiasse, »
urlò, per
poi mettersi entrambe le mani sulla bocca. Aveva perso la calma, lei
che non
perdeva mai la calma. Lei che era il ritratto
dell’aristocrazia da cui
discendeva e della buona educazione. Il pensiero di Michael, di quello
che gli
era successo e del perché Robert potesse essere cambiato
tanto da far pensare
suo figlio che avrebbe potuto dire una cattiveria del genere le aveva
reso
impossibile placare il dolore che da troppi anni serbava nel cuore,
resistendo
alla tentazione di cedere, il tutto per il suo bambino.
« Michael? » chiese Magnus perplesso. «
Parli di Michael Wayland?
»
Luisa annuì. Che senso aveva nascondersi, ormai?
L’avevano
trovata, si sarebbero presi Filippo, perché le due guerre
che avevano
affrontato avevano decimato i Nephilim, e avevano bisogno di tutti
quelli che
avevano anche solo una goccia di sangue dell’Angelo Raziel
nel loro corpo. Il
pensiero la atterrì, e sentì le lacrime
affacciarsi agli angoli degli occhi.
Non riusciva a sopportare il pensiero che Filippo se ne andasse di casa
per
diventare un calciatore, figurarsi se poteva sopportare il pensiero che
lo
portassero di peso in un mondo da cui aveva voluto tenerlo lontano.
« È lui il padre di Filippo? » chiese di
nuovo. E Luisa
annuì, di nuovo.
* * *
«
Anche io lo amo, » trovò il coraggio di
confessare, e lo
fece soltanto perché Robert le aveva assicurato di non amare
Michael che come
un fratello.
« Dovresti dirglielo, » le rispose lui, posandole
un bacio
sui capelli.
« Ma se lui ama te, come può amare
anche… me? » chiese,
confusa.
« Il cuore di Michael è molto più
grande del nostro, Lou. »
* * *
«
Forse è meglio che ci sediamo, » disse Alexander,
mentre la
spingeva verso una delle poltroncine della reception.
« So quello che stai per dirmi. Lo so da quando Filippo aveva
poco più di due anni. Ho sentito qualcosa che mi si spezzava
dentro, quando Valentine
l’ha ucciso. Michael sapeva che sarebbe successo, lo diceva
sempre che era
questione di tempo. Lo sapeva da quando qualcuno aveva detto a
Valentine delle
sue inclinazioni.
E poi mio padre è venuto a riferirmelo di persona. Quel
giorno mi ha rinnegata come figlia, mi ha detto che ero una poco di
buono e che
sapeva perfettamente che quell’imbecille di un americano mi
avrebbe rovinata.
Ha detto che era una fortuna che la Legge gli impedisse di avere
rapporti con
me. E ha detto anche che Michael aveva fatto la fine che meritava.
L’ho
cacciato da casa mia e non l’ho più rivisto.
»
« Inclinazioni? Vuoi dire che—»
« Michael Wayland era bisessuale, Alexander. Ed era
innamorato di tuo padre. Un abominio, per un uomo come Valentine che
vive con
un paraocchi e non vede che l’eterosessualità e i
Nephilim. »
« Vedeva.
È morto. E puoi chiamarmi Alec. L’unico che mi
chiami ancora Alexander è mio padre. »
« Gli è sempre piaciuto quel nome. E ha sempre
pensato di non
essere tagliato per fare il genitore. »
« Il nome di un condottiero. E aveva ragione, non
è tagliato
per fare il padre, » rispose Alec, con l’intenzione
di chiudere il discorso. «
Come non era tagliato per essere l’amico di un abominio, come
l’hai definito
tu. Non mi stupirebbe se fosse stato lui a dire a Valentine delle
inclinazioni
di Michael, per liberarsene. »
Luisa fece fatica a trattenersi dal prendere a sberle quel
ragazzo, bello e strafottente, scorbutico come pochi altri esseri
umani. « Non
potrai mai capire cosa provava tuo padre per Michael. »
« Non dirmi cosa posso o non posso capire. Tu. Non. Conosci.
Mio. Padre. » Alec era scattato in piedi, livido di rabbia.
Le ricordava molto
Filippo quando qualcuno gli faceva pesare il fatto che non avesse un
padre.
Filippo difendeva Michael, quel padre che non aveva mai conosciuto, ma
di cui
aveva sentito tanto parlare, quasi quanto Alec attaccava Robert. E
pensare che
se le cose fossero state diverse Filippo e Alec sarebbero cresciuti
insieme, sarebbero
potuti essere parabatai
a loro volta, come i loro padri. « Mio padre non mi
parla da quando gli ho detto di essere omosessuale. E innamorato di uno
stregone. »
« Tecnicamente mi hai baciato di fronte a tutta la sala del
Consiglio in sessione plenaria, prima di dirgli entrambe le cose,
» tentò di
sdrammatizzare Magnus, che si beccò due occhiatacce.
Luisa sorrise. Un sorriso pieno di sarcasmo. « E tu? Tu hai
più tentato di parlargli? »
* * *
«
Michael, aspetta! » urlò Luisa, mentre rincorreva
il
ragazzo lungo il fiume in una notte di inizio ottobre. Non aveva capito
cosa
fosse successo tra lui e Robert, ma aveva il sentore che
c’entrassero qualcosa
i suoi sentimenti per il parabatai. Afferrò una manica della
sua felpa e lo
strattonò.
« Cos’è successo? » gli
chiese, prima ancora che Michael si
voltasse a guardarla.
« Robert mi ha baciato. E tu starai pensando che era
esattamente quello che volevo, e che non capisci perché io
stia così. Hai mai
provato a baciare tuo fratello? »
« Eww, » fu la sua risposta.
« Esattamente. “Eww.” È quello
che ho provato nel baciare
Robert. E adesso mi chiedo, se baciando lui che pensavo di amare non ho
provato
che affetto fraterno, amore fraterno, chi può dirmi se ho
mai provato amore
vero per un’altra persona nella mia vita? »
Luisa rimase in silenzio, incapace di pronunciare una singola
parola. Raccolse tutto il suo coraggio, prima di alzarsi sulle punte
per
baciare quel ragazzo alto in maniera impossibile, con i capelli biondi
che gli
ricadevano sugli occhi dopo la corsa. Sentì sulle labbra il
sapore del suo
stupore, assaporò la sua resa e gustò tutta la
passione che Michael metteva nel
ricambiare il bacio. Si strinsero come se ne andasse delle loro vite,
come
soltanto i ragazzi che hanno tutta la vita di fronte a loro sanno fare.
Si
strinsero tutta la notte, una notte in cui Luisa non tornò a
casa e che
trascorsero nel letto di una pensioncina nel centro di Firenze a
scambiarsi
parole d’amore e a fondersi l’uno
nell’altro, corpo e anima.
La mattina dopo, a dare il buongiorno a Luisa c’era soltanto
un biglietto.
“Non posso trascinarti nel casino che è la mia vita. M.”
* * *
«
Nove mesi dopo è nato Filippo, » concluse il
racconto, non
riuscendo neanche a credere di aver per la prima volta svuotato il
sacco. E con
dei perfetti sconosciuti, per giunta. Neanche Tessa Herondale, che pure
era
stata con lei diversi mesi dopo la nascita di Filippo, a cui aveva
fatto da
madrina, e altrettanto tempo dopo la morte di Michael, probabilmente
aspettandosi che avrebbe ceduto al dolore da un momento
all’altro come era
capitato a lei quando aveva perso William, era a conoscenza di tutta
quella
storia. Sapeva di Michael, certo, ma non sapeva il motivo che li aveva
fatti
finire insieme quella notte.
Alzò lo sguardo dalle sue mani e vide Alec pensieroso.
« Michael ha mai saputo di vostro figlio? » chiese.
Luisa scosse la testa. « Non c’è stato
il tempo, Tessa e
Ragnor Fell mi hanno aiutata a trovare un fratello
Silente—credo si chiamasse
Zaccaria—che potesse rimuovere i miei marchi,
perché in quella frase di Michael
c’era molto di più di quello che volesse dire
fermandosi alle parole scritte. Con
lui era sempre così. E poi si è sposato, e non
volevo rovinargli la vita.
Pensavo amasse sua moglie. »
« Michael aveva un cuore molto più grande dei
nostri, ma non
c’è stato mai molto spazio per Lucinda,
» disse qualcuno dalla porta
d’ingresso. Si voltarono tutti per confermare la loro idea.
Alec perché aveva
riconosciuto la voce e Luisa perché aveva riconosciuto le
parole. « Ci ha
provato, ma non gli sei mai uscita dalla testa e dal cuore. Ha provato
a cercarti
in ogni angolo del mondo, pensando che ti fossi allontanata da Firenze,
dopo
aver rinunciato alle Rune, e tu eri qui, sotto il naso di tutti. Ha
sposato
Lucinda soltanto perché Valentine gli aveva dato un
ultimatum. E alla fine l’ha
ucciso comunque. »
« Come… Come sei riuscito a trovarmi? »
chiese, in preda
all’emozione e allo stesso tempo alla paura.
« Filippo è identico a Michael alla sua
età. Con i tuoi
occhi. E io ho avuto molta fortuna, perché la squadra per
cui ha fatto il
provino è di mia proprietà. Con
quell’aspetto e quel cognome, ho capito subito
di chi si trattasse. Così mi sono fatto dare
l’indirizzo del ragazzo dalla
società e mi sono precipitato qui prima che potessi fuggire
ancora. Non mi
aspettavo di certo di trovare mio figlio e il suo ragazzo. »
« È così ovvio che non ti saresti
mosso, se l’avessi saputo,
» gli disse Alec, sarcastico.
« Non fare il gradasso con me, ragazzo. Non mi pare che tu mi
abbia più chiamato, dopo. »
« Non avevo niente da spiegarti. »
« E io non avevo niente a cui dare peso. Mio figlio ama
qualcuno, questa è l’unica cosa che conta. Che sia
maschio, femmina, stregone,
vampiro, licantropo, fata, Nephilim o mondano a me non importa,
purché sia
felice. Perché se non è felice, stregone, puoi
stare tranquillo che ti troverò,
dovessi arrivare sulla Luna e ritorno. E lo so che probabilmente non mi
crederai, Alexander, perché sei pronto a pensare il peggio
di me e forse me lo
merito, visto quello che ho fatto a tua madre, ma sei mio figlio e ti
voglio
bene. »
« Non avrà bisogno di rincorrermi per tutto il
mondo, signor
Lightwood, » sorrise Magnus, cingendo le spalle di Alec con
un braccio. « Tu
pensi sempre troppo, » gli disse, prima
di chiudergli la bocca con un bacio.
Robert si voltò verso Luisa. Le rughe intorno agli occhi gli
davano ben più dei quarant’anni che aveva. Luisa
sapeva che anche lui aveva
fatto i suoi errori, ma li stava pagando tutti.
« Ti amava, Lou. Avrebbe rinunciato al Circolo, per te e il
bambino. »
« No, non l’avrebbe fatto, perché aveva
capito chi era
Valentine e voleva fermarlo. E non avrebbe mai messo in pericolo nostro
figlio
così, » gli rispose con un sorriso, mentre
allungava una mano per accarezzargli
una spalla.
« No, hai ragione, non l’avrebbe fatto, ma se ne
avesse avuto
la possibilità sarebbe stato un padre perfetto, a differenza
di me, » ribatté
lui a voce bassa, coprendole la mano con la sua.
Luisa guardò quell’uomo, sopraffatto dal pensiero
di non
essere stato in grado di amare abbastanza suo figlio e pieno di rimorsi
per
l’amico perduto. « Non esistono genitori perfetti,
Robert. Quando lo capirai?
Esistono solo genitori che amano i figli sperando che loro capiscano
quanto è
grande quell’amore. »
Penso
che ormai tu
sappia quanto mi affascinano i rapporti genitori-figli, e ho sempre
voluto
esplorare quelli dei Lightwood, uno dei rapporti più
complessi della
letteratura moderna. Tanto Benedict quanto Robert a modo loro amano i
loro
figli e cercano di proteggerli e aiutarli ad andare avanti, spesso nel
modo
sbagliato, ma lo fanno. Perciò, grazie di avermi dato
l’occasione per farlo.
Partendo da questo
presupposto, il filo rosso che ho voluto seguire è stato
quello delle “Generazioni
Lightwood a confronto”, incentrandomi prevalentemente sul
rapporto tra Robert e
Alexander e sulle similitudini del rapporto di Parabatai di Michael e
Robert
con quello di Jace e Alec. È probabile che prima o poi
scriva un secondo
episodio incentrato più su Gabriel e Benedict (per la
precisione, non credo che
Gabriel sia stato un pessimo genitore, ma lui è
un’eccezione, aveva Cecily
vicino). Ci sono sicuramente altri fil rouge che ho seguito: il
personaggio di
Luisa, Nephilim che ha rinunciato alle rune per amore del figlio, un
po’ come
ha fatto Jocelyn—immagino che l’atteggiamento di
Valentine abbia spinto molti
Nephilim a darsi alla macchia—mi ha permesso di legare tre
generazioni diverse
di Shadowhunters. Quella di William, Tessa e Jem, che vengono nominati
tutti e
tre—alla fine di Clockwork Princess Tessa dice chiaramente di
aver viaggiato
per tutto il mondo, quindi perché non farla finire anche in
Italia, a Firenze,
dove ha un’amica in qualche modo legata ai Nephilim, ma che
non lo è
più?—quella di Robert e Michael, alla quale la
stessa Luisa appartiene, e
quella di Alec e Filippo.
Che nel rapporto tra
Robert e Michael, parabatai, ci fossero ombre che li spingevano verso
un amore
più che fraterno l’ha
‘disegnato’ più volte Cassandra Jean, ed
è stato
affermato anche da Cassandra Clare stessa. L’idea che Robert
avesse dimostrato
a Michael che non era innamorato di lui con un bacio mi è
venuta da una scena
tagliata di City of Bones, nella quale Jace bacia Alec per dimostrargli
che lo
ama, sì, ma soltanto come un fratello, altrimenti un bacio
non sarebbe tanto
imbarazzante e disgustoso. Mi piaceva
l’idea che in qualche modo la storia dei genitori si
ripetesse con i figli, e
mi piaceva l’idea di riscattare in qualche modo la figura di
Robert Lightwood.
Che per carità, è un personaggio presentato come
negativo per tutto The Mortal
Instruments, ma bisogna ricordare che sono sempre i figli a parlare, e
i figli
adolescenti spesso non riescono a vedere i genitori come delle persone
che
possono compiere sbagli ed essere perdonati.
E poi Valentine.
Cassandra Clare non ha mai chiarito la sua posizione riguardo ai
rapporti di
coppia omosessuali, ma da tradizionalista che odia le deviazioni dalla
regola
quale è, ho pensato che non potesse essere una posizione
molto favorevole.
La storia è ambientata
a Firenze perché… boh, probabilmente
perché nello stesso momento in cui
iniziavo a scrivere questa storia iniziavo anche a progettare il
viaggio a
Firenze per incontrare Sarah Rees Brennan (e Cassandra Clare, ma
più Sarah,
Cassandra l’ho già vista) e quindi mi è
rimasta in testa questa città, e perché
sono convinta che nella tomba fiorentina di Dante (che è
notoriamente vuota) ci
sia l’arsenale di scorta degli Shadowhunters (a Roma
probabilmente è al
Pantheon, in qualche tomba, con l’Istituto dentro Castel S.
Angelo). Il momento
è post-City of Heavenly Fire, con la speranza che Alec e
Magnus ci arrivino
insieme e vivi (non nutro la stessa positività per Isabelle
e Simon, purtroppo).
E… boh, Luisa e Filippo
fanno di cognome Visconti perché almeno una delle famiglie
nobili italiane
doveva essere di sangue Nephilim. Robert possiede una squadra di calcio
perché
sono tempi duri anche per gli Shadowhunters e devono investire i loro
soldi in
qualcosa che renda bene (e il calcio in Italia rende bene in tutti i
tempi).
E poi non so se c’è
altro da aggiungere. Non credo, altrimenti finisce che le mie note
diventano
più lunghe della storia.
Ah, sì, rileggendo me
ne è venuta un’altra: Magnus ha assistito
perlomeno ad uno Shadowhunter che
veniva spogliato delle Rune. La storia di Edmund Herondale è
raccontata nella
novella “Vampiri, Scones ed Edmund Herondale”, di
Cassandra Clare e Sarah Rees
Brennan.
E aggiungendo titolo e
citazione non ho potuto che aggiungere un’altra nota: io odio
Cicerone. E odio
anche il vecchio dizionario di latino che non ricordavo di aver
conciato così
male.