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Autore: Medea00    02/12/2013    3 recensioni
Raccolta in cui sono contenute tutte le OS che ho scritto per le Seblaine Sundays e l'iniziativa domeniche a tema, organizzata dal gruppo Seblaine Events. Tutti i rating e i generi che mi passano per la testa.
23/06: Supernatural!AU
30/06: Babysitting
21/07: Dystopic!AU
1/09: Aeroporto
15/09: Magia
22/09: Literature!AU
6/10: 4 canzoni del tuo Ipod
20/10: Raffreddore
27/10: Scommessa
17/11: Esame andato male
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU, Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa fanfiction partecipa all'iniziativa domeniche a tema organizzata dal gruppo Seblaine Events .




Sembrava una giornata come tutte le altre. O almeno, così pensava Sebastian, dal primo momento che mise piede fuori dal letto quella mattina. Si stiracchiò per qualche secondo, emise uno o due sbadigli e subito dopo si alzò dal letto, come una molla caricata pronta per essere rilasciata d’impulso. Era il giorno dell’esame, e lui non poteva sentirsi più pronto: certo, un esame di tre ore e quaranta minuti farebbe paura a chiunque, ma non a Sebastian Smythe, studente di giornalismo alla NYU, caporedattore del giornale universitario e, insomma, il migliore del suo anno. Mentre si avviava verso il bagno, Tony trotterellò verso di lui abbaiando come se non lo vedesse da una vita. Ma che problema avevano, i cani? Soprattutto i barboncini toy, che da quanto erano contenti di vedere il proprio padrone se la facevano addosso, certe volte. Lasciò che il suo cagnolino bianco gli saltasse addosso e lo leccasse dovunque, perchè una volta messi i vestiti buoni non avrebbe più potuto farlo.
Incrociò le braccia, e abbassò lo sguardo solo per un momento. Lo stava guardando con i suoi occhioni chiari, il pelo batuffoloso e la piccola coda a ricciolo svolazzante di quà e di là.
Bastò.
Si accucciò su di lui e giocò per dieci minuti abbondanti, promettendogli che al suo ritorno lo avrebbe portato fuori per più di un’ora. Avrebbe dovuto saltare la colazione per colpa di quel piccolo intermezzo: cosa non si fa per amore.
Con aria stranamente sovraccarica, salutò il suo coinquilino Dean intento a fare un’abbondante colazione con i muffin: Dean era un bravo ragazzo, studente di chimica, intelligente, bello, sempre pronto ad aiutarlo nel momento del bisogno. L’unico difetto? Si scopava sua sorella.
Cacciò dalla mente quell’immagine grottesca per fargli un piccolo cenno di saluto, prima di chiudersi in bagno. Dal corridoio, lo sentì esclamare: “Gran bel giorno oggi eh? Piuttosto importante direi.”
Sebastian si passò una mano trai capelli, leggermente sorpreso: si era ricordato del suo esame? Dannazione, quel Dean era davvero un bravo ragazzo. Non doveva pensare a lui e sua sorella. Non poteva pensare a lui e sua sorella.
“Sì, grazie”, mormorò. Era sempre strano ringraziare ad alta voce, si sentiva a disagio, come un pesce fuor d’acqua. “Farò del mio meglio.”
Dean non aggiunse niente, dall’altro lato della porta, e quindi voleva dire che la conversazione era finita. Sebastian cominciò a lavarsi i denti fissando il suo volto allo specchio: che dire, era un figo. Quel giorno, poi, con la camicia aderente e i jeans scuri, era particolarmente figo. Se Blaine fosse stato lì sicuramente lo avrebbe chiuso dentro la doccia, raggiungendolo un attimo dopo essersi spogliato.
A proposito: che fine aveva fatto quel nanerottolo del suo fidanzato? Di solito a quell’ora lo aveva già riempito di sms pieni di “amore mio” e “ti amo tanto” e ancora “passa una bellissima giornata baci baci baci”. Controllò il suo cellulare: era vuoto. Ignorò il suo cuore che si strinse in una fitta amara – non poteva mancargli Blaine, che diavolo, lo aveva sentito giusto la sera prima, no, stupido cuore, silenziati – e lo rimise in tasca, continuando a spazzolare il suo sorriso perfetto; forse non voleva disturbarlo prima dell’esame. Sì, sì, era sicuramente così. Sapeva quanto fosse teso e concentrato, non voleva distrarlo.
Se lo immaginò alla Nyada, con una di quelle tute che gli risaltavano il pacco e il sedere in un modo delizioso, appoggiato alla parete di una sala prove mentre gli altri studenti, intorno a lui, si preparavano per la lezione. Non aveva dubbi che stava pensando a Sebastian, era il suo primo pensiero la mattina e l’ultimo la sera, quindi insomma, se non gli aveva scritto era per forza per via dell’esame. Non si era dimenticato.
Dopo quel piccolo processo di autoconvinzione, Sebastian uscì dal bagno, rassettandosi il colletto della camicia e afferrando la tracolla in pelle da ottocento dollari.
“Io vado”, annunciò al suo coinquilino, salutando Tony per l’ultima volta con una carezza sulla testa; nel frattempo, Dean aveva alzato la testa di scatto dalla tazza di latte: “Non fai colazione?”
“No, sono troppo teso, ho lo stomaco chiuso.”
Dean, con i suoi occhi chiari e il viso dai tratti marcati, si sciolse in un sorriso: “Sì, ti capisco, amico.”
... Ma capire di cosa? Che diavolo era quel sorriso da demente?
“Sì. Bene. A dopo.”
“Pranzi qui?” Gli chiese Dean, un attimo prima che uscisse dalla porta. Sebastian non riuscì a trattenersi: si voltò lentamente, per dare maggiore enfasi al suo sbigottimento, e lo squadrò da testa a piedi, freddo come il marmo: “Certo. Come ogni benedetto giorno della mia vita, Dean.”
Che diavolo aveva messo in quel latte? Cognac?
“Oh. Sì, scusa, pensavo che...”
Pensavi cosa? Insinuò il suo sguardo scettico, cinico e anche un po’ seccato, ma Dean ingoiò un muffin intero, gesticolando con le mani.
“Lascia stare, giustamente non è che ogni anno fate la stessa cosa. Ci vediamo dopo.”
Sebastian voleva tanto avvicinarsi a lui, posare i palmi sul tavolino in legno e pronunciare scandito: “Ma di che cazzo stai parlando?”
Però aveva un esame da tre ore e quaranta minuti, quindi si limitò a guardarlo male e andare via.
 
 
Quando uscì dall’aula nove era ora di pranzo inoltrata. Tra la preparazione al test, il posizionarsi lungo le file giuste, la consegna e le solite raccomandazioni dei professori, quell’esame era durato quattro ore.
Uscì all’aria aperta e assomigliava quasi a Gollum che vedeva per la prima volta la luce del sole. Era stanco, era spossato, quell’esame lo aveva completamente svuotato di tutte le sue forze e, in più, doveva anche tornare a casa e portare fuori il cane. Quella giornata era ancora a metà del suo tempo, e lui non ce la faceva già più.
Stava camminando per il campus della NYU, con Tony al guinzaglio, quando decise di scoprire se il suo ragazzo fosse ancora vivo. Digitò il numero a memoria, e dopo due squilli sentì esclamare: “Amore!”
“Amore un cavolo. Che fine avevi fatto?”
Blaine restò interdetto per diversi secondi: va bene, forse era stato troppo brusco. Moderando il tono, e abbassando la voce, Sebastian chiese: “Perchè non mi hai scritto stamani?”
“... Perchè pensavo che mi scrivessi tu...” Lo sentì ammettere, come un cucciolo bastonato. Ma che cavolo: come faceva ad arrabbiarsi se si immaginava i suoi occhioni imploranti pietà?
“Ma quando mai ti ho scritto io la mattina? Di solito sei tu che mandi messaggi Blainosi del buongiorno.”
Giunto a un piccolo spiazzo verde, con qualche cespuglio e un grande albero, si sedette su una panchina lì davanti, liberando Tony e accavallando le gambe. Maledizione, gli era passata la voglia di essere arrabbiato.
“E va bene”, Sospirò, alzando gli occhi al cielo. “Dall’alto della mia magnanimità ti perdono.”
Dall’altro capo del telefono sentì Blaine ridere, e quel suono lo alleviò di tutta la tensione accumulata fino ad allora. Maledizione, era davvero troppo innamorato. Poi Blaine gli chiese dell’esame, così cominciò a raccontare, partendo dalle stranezze di Dean di quella mattina, fino ad arrivare al professore che metteva un “sinceramente” ogni due parole e lo faceva innervosire. Blaine non lo interruppe, non parlò, non gli fece le solite domande della serie “potremmo cantarci una canzone a riguardo?”; Blaine, semplicemente, stava zitto. E Blaine che stava zitto era davvero strano.
“... Sei sicuro di stare bene?”
“Io?” Lo sentì dire, “Io sto benissimo. Piuttosto, sei tu che sembri molto stanco.”
“Sì, in effetti lo sono. Credo che adesso andrò a casa e dormirò un bel po’.”
Ci fu una piccola pausa. L’ennesima. Qualcosa non andava, ma aveva imparato da tempo che quando Blaine non aveva voglia di parlare, doveva lasciarlo stare: tre anni di fidanzamento dovevano pur servire a qualcosa, dopotutto.
“Sì, fai bene”, rispose Blaine. “Ora devo andare, scusa.”
Sembrava freddo. No, un momento: era deluso. Deluso da cosa? Che gli era successo? In un attimo avrebbe voluto essere lì, davanti a lui, abbracciarlo e dirgli che andava tutto bene. Chiunque, o qualsiasi cosa lo avesse deluso, l’avrebbe pagata amaramente. Nessuno toccava il suo Blaine.
Si salutarono velocemente, non erano tipi da “attacca tu”, “no prima tu”. O meglio, Blaine poteva anche esserlo, ma Sebastian lo aveva istruito ad evitare queste cretinate.
Pensò a lui per tutto il tempo che arrivò a casa insieme a Tony. Pensò a lui sul letto, gli occhi verdi intenti a fissare il soffitto: si chiese se non fosse stato lui, a deluderlo. Ma no: come avrebbe potuto? Non aveva fatto niente. E poi, se Blaine fosse stato arrabbiato con lui lo avrebbe capito.
Nonostante quei pensieri si addormentò poco dopo, con Tony accoccolato sul suo petto.
 
Quando si svegliò era notte. Dalla finestra si intravedevano le strade di New York, il traffico, si udiva il suono di ambulanze in lontananza. Diluviava, con tanto di tuoni e lampi abbaglianti. Che fortuna non dover uscire, quella sera.
Erano quasi le dieci di sera: perfetto, oltre alla colazione aveva saltato anche la cena.
Controllò il suo telefono quasi come riflesso involontario, per abitudine: come previsto, Blaine gli aveva scritto qualcosa, non molto tempo prima:
Dì a Dean che festeggio per sabato sera. Prenoto io.
Lo fissò per dieci minuti abbondanti: festeggiare cosa? E poi, perchè Dean? Trattenne malvolentieri l’impulso di gelosia che gli gonfiava le vene e poi realizzò: Blaine sabato voleva festeggiare qualcosa. Blaine sabato prenotava in qualche posto, come se spettasse a lui organizzare la serata.
Oh cazzo.
Armeggiò con il cellulare in cerca dell’agenda, con le palpitazioni in corpo: era talmente agitato che Tony si svegliò, inclinando la testa e abbaiando come per dire “Che diavolo succede?”
Fa che non sia il diciotto ottobre, pensò lui; ma il numero sull’agenda era semplice quanto devastante: diciotto ottobre. Il compleanno di Blaine.
Si vestì in tre minuti spaccati. Tony, sempre intorno a lui, saltellava tutto felice, leccandogli le punte delle dita e correndo tra le sue gambe. Bene, era un chiaro segno che volesse uscire, non gli era bastata la passeggiata di un’ora e mezza? Che cane ingrato. Ma Sebastian aveva da fare, e doveva anche farlo in fretta, non aveva tempo da perdere con Tony, quindi le cose erano due: o lo abbandonava sul balcone, sotto la pioggia e il vento... oppure.
“E va bene, ruffiano.” Nel momento in cui prese il guinzaglio dal cassetto, Tony abbaiò un paio di volte.
“Smettila. Non lo faccio per te. Spero soltanto che Blaine si addolcisca vedendo il tuo musetto strappa coccole.”
 
 
 
Blaine era a casa sua, sul divano. I capelli riccioli cadevano svogliatamente sulla fronte; indossava una tuta e una felpa della Dalton, blu scuro. Stava leggendo e rileggendo i messaggi che si scambiava con Sebastian.
Lo amava, nonostante tutto. Lo amava così tanto che, per un attimo, gli era parso di sentire la sua voce.
 “Blaine. Aprimi. Subito.”
No un momento: si voltò verso la porta e- la porta aveva davvero la sua voce. Oddio, stava delirando? Era quella la famosa crisi di mezza età? Oh porta parlante, stava cercando di risollevarlo da quella giornata deludente e tremenda?
“Ti muovi? Sta diluviando qui!”
Ok. Per essere una porta era un po’ scontrosa.
Forse non era una porta.
Aprì la porta con le sopracciglia aggrottate, completamente confuso: erano le dieci di sera, che ci faceva Sebastian lì? Perchè non lo aveva avvisato del suo arrivo?
Capì tutto solo quando lo vide con un muffin tra le mani, e una piccola candela spenta incastrata su di esso. Sebastian era zuppo da testa a piedi, nonostante il cappuccio della felpa, e Tony ancora più di lui.
“Sebastian, ma cos-“
“Sono un coglione.”
In quell’istante il cane si divincolò con forza, schizzando da tutte le parti e bagnando Blaine. Dopodichè, entrò in casa senza fare troppe cerimonie.
“Anche il mio cane è un coglione. Siamo due coglioni, Blaine, ma volevo solo dirti che ti amo. E che mi dispiace tanto, veramente tanto, di essermi scordato del tuo compleanno. Hai tutto il diritto di sbattermi la porta in faccia, ma almeno... prendi la torta.”
Gli porse il muffin mezzo annacquato.
“Cioè, la mini-torta. Senti, non avevo altro in casa, ho dovuto chiedere a una vecchietta per strada se avesse un accendino per la candelina, e mi ha preso per un tossicodipendente. Quindi fattelo bastare.”
Blaine continuava a fissarlo attonito.
“Okay, no, non fartelo bastare, sono un idiota, e questa torta fa schifo.” Abbassò il muffin, assieme allo sguardo. Sebastian non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi perchè, beh, perchè Blaine era la cosa più bella che gli fosse mai capitata e lui si era dimenticato del suo compleanno. Com’era possibile che si fosse dimenticato?!
“Sono davvero un idiota”, ammise a denti stretti. “Dio, non riesco nemmeno a scusarmi come si deve e- tu non hai mai dimenticato il mio compleanno, mai. Invece io pensavo solo a quello stupido esame.”
“Non importa”, Esordì Blaine, con voce tanto calda da attirare il suo sguardo: “Sebastian, va bene, insomma, è solo il mio compleanno.”
Solo il tuo compleanno?” Sbottò, “Ma che stai dicendo?”
“Sì, insomma, non serviva che venissi fino a qui...” Gli indicò il temporale alle sue spalle, e poi Tony: “Che vi bagnaste tutti per niente...”
“Niente? Blaine, il tuo compleanno non è niente.”
“È solo un giorno come tanti.” Ribattè. Sebastian fece un passo in avanti, e parlò seccato, agitato, con ancora l’adrenalina in corpo dalle ore precedenti, perchè Blaine non poteva pensare una cosa del genere, non su di lui.
“Questo”, Specificò, “È il giorno più importante dell’anno, perchè ventuno anni fa sei nato tu. E se non fossi nato non avrei mai potuto squadrarti quel giorno alla Dalton. Non avremmo mai potuto innamorarci e... Blaine, che cavolo, questo giorno è importante perchè tu sei importante. Sei più importante di qualsiasi cosa.”
Lo guardò dritto negli occhi per tutto il tempo; Blaine, quasi commosso, stava sorridendo. Era un sorriso dolce, pieno di sentimenti. Era la prova che quello che aveva appena detto fosse vero, perchè Sebastian lo amava, anche se perdeva la cognizione del tempo. Lo amava, e senza di lui non sarebbe stato lo stesso.
Lo amava talmente tanto da ricorrere a quelle dichiarazioni da telefilm messicano di quarta serata. Però, pensò che ne valesse la pena, quando Blaine lo abbracciò alzandosi sulle punte e dandogli un caldo bacio sulle labbra.
“Grazie”, Sussurrò, la sua voce era come un panno che lo asciugava dalla pioggia. “Ti amo.”
“Anche io.” Ammise. Si scostò da lui, solo per accendere la candelina sul Muffin e dire: “ Non credo che sia mangiabile, visto che si è ubriacato di acqua piovana nel tragitto, ma puoi comunque esprimere un desiderio.”
Blaine guardò prima la candelina, poi lui. Soffiò un attimo dopo con un sorriso divertito sulle labbra. Sebastian inarcò le sopracciglia, un po’ incuriosito: “... Cos’hai espresso?”
“Non si rivelano i desideri.” Sussurrò l’altro, facendolo entrare e sbattendolo contro la porta e cominciando a togliergli la felpa. “Però posso darti un indizio.”
E a Sebastian piacevano tanto gli indizi. Anche se non era molto bravo a coglierli.





 
   
 
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