Storie originali > Horror
Ricorda la storia  |      
Autore: helhime    02/12/2013    4 recensioni
Un breve racconto horror scritto per un concorso di Halloween! ^^
Una donna delusa decide di sistemare le cose una volta per tutte con il suo innamorato - che pare non essere quello che sembra. O forse c'è qualcosa di ben più strano sotto?
La storia comincia in modo molto canonico, ma assicuro che il finale non esattamente quello che vi aspettereste... Enjoy! :D
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

   Lo mise con le spalle al muro, in quella notte più buia di tutte le altre che l'avevano preceduta.

Lo costrinse a pronunciare quella verità che le avrebbe spezzato il cuore.

  

   Bianca sapeva che era troppo bello per essere vero. Sapeva che lui era troppo bello per essere vero.

Veniva a trovarla ogni notte, una figura bianca sotto la luce della luna.

Non avevano mai parlato molto: aveva la sensazione che fargli domande o insistere sul volere sapere qualcosa di lui avrebbe spezzato quel sublime incantesimo.

Era passato così tanto tempo da quando un uomo l'aveva guardata in quel modo!

Era sempre stata una ragazza insignificante. I capelli perennemente legati in una treccia e gli occhiali forse un po' troppo grandi: una di quelle bellezze che non sbocciano mai davvero, ma rimangono per sempre intrappolate in una informe adolescenza.

Gli occhiali li aveva persi anni prima e non li aveva più ricomprati, mentre i capelli le scendevano ora come una massa indomabile e selvaggia lungo le spalle, finalmente liberi: eppure ciò non era servito a lasciare uscire la bellezza rinchiusa nel profondo del suo essere.

Lui però riusciva a vedere quella bellezza.

Bianca non aveva mai avuto il coraggio di chiedergli come esattamente potesse notare un fascino così nascosto agli occhi del resto dell'umanità.

Non lo aveva mai chiesto, ma non dubitava della sincerità dei suoi sentimenti: il brillare dei suoi occhi, quando la sfiorava, era inequivocabile. E quel brillare era tutto per lei.

Bianca amava ogni cosa di lui: il suo pallore, il contrasto tra i denti bianchissimi e l'oscurità della notte, la luce non umana del suo sguardo.

Sapeva che non era come gli altri.

Lo aveva sempre saputo, fin dal primo istante in cui i loro sguardi si erano incontrati.

Quella notte lui stringeva, con quelle dita perfette come quelle di un pianista, l'inferriata arrugginita del cimitero. Le sorrideva, come se quello fosse un posto come un altro per incontrarsi. Nessuno andava mai al vecchio cimitero, motivo per cui lei si era ritrovata suo malgrado a fermarsi e guardarlo.

“Bianca.”

Aveva pronunciato il suo nome con dolcezza, troppa dolcezza. Nemmeno la sua stessa famiglia l'aveva mai chiamata con tanta gentilezza.

Dietro di lui, su una lapide, un corvo solitario picchiettava il marmo, quasi un amante timido che bussi discreto alla porta della sua bella.

“Bianca.”

Non seppe mai se l'amata del corvo aprì al suo nero corteggiatore, ma lei di certo fece entrare il proprio.

Accolse lo sconosciuto nella sua casa, quella notte. E tutte le notti che seguirono.

Lui ogni volta usciva da quel piccolo edificio nero più felice di come era entrato, lasciando invece la sua innamorata più svuotata e stanca.

Bianca sapeva cosa faceva.

Lo aveva capito quella prima notte. Quando, nel buio, aveva sentito la puntura sul collo.

Non aveva urlato. Lo aveva solo guardato, senza muoversi.

Non voleva se ne andasse. Non voleva non tornasse più.

Così non aveva detto nulla.

E, incontro dopo incontro, continuò a lasciare che prendesse da lei ciò che voleva.

Cosa poteva farsene del suo sangue? Del sangue di una come lei?

Era irrilevante. Tutto era irrilevante purché lui ogni notte tornasse insieme alla luna che sorgeva tra la nebbia e lo smog.

Quel suo amore rappresentava l'unico contatto vero che avesse in quel mondo di buio perenne, di tristezza, di miseria.

Così lo aspettava con pazienza, sulla soglia della sua – la loro, ormai – piccola casa nera, notte dopo notte.

Sapeva che quella situazione non sarebbe potuta durare in eterno... Ma cosa durava in eterno, dopo tutto?

I giorni erano diventati solo tediose attese, e le notti piccoli istanti preziosi totalmente al di fuori di quella che era la sua vera esistenza. Nelle tenebre poteva dimenticare chi era e immaginarsi di essere davvero come lui la vedeva.

Il suo fidanzato non veniva mai di giorno. Mai. Il lavoro, diceva. Bianca non aveva mai indagato oltre. In fondo non le importava davvero. Una piccola, sciocca, parte di lei era convinta che il fascino che vedeva fosse dovuto a qualche magico effetto della luna. Forse, sotto l'implacabile luce del sole, lui l'avrebbe vista come veramente era: indegna di essere toccata da dita tanto bianche e sottili. Non si trattava soltanto della luce del sole, comunque: nel dubbio, teneva le luci di casa spente mentre lui era lì.

E in questo modo non era nemmeno costretta a vedere la verità riflessa nei vetri polverosi della sua piccola dimora.

Prima o poi, però, sarebbe stata costretta a guardare.

Era come un sogno di cui Bianca attendeva paziente il termine.

  

   Lo mise con le spalle al muro, in quella notte più buia di tutte quelle che l'avevano preceduta.

Lo costrinse a pronunciare quella verità che le avrebbe spezzato il cuore.

Non voleva Bianca: voleva il sangue di Bianca.

Lui l'abbracciò allora come nessuno l'aveva mai abbracciata prima, chiedendole di capire. Era la sua natura. Doveva fare ciò che stava facendo.

Il corvo volava da qualche parte, fuori dalla piccola casa nera, nel cuore del buio, su nuvole di fumo.

Era la sua natura.

Bianca sospirò – una cosa che non faceva da anni.

Lasciò che le sue dita accarezzassero per l'ultima volta quel viso illuminato più dalle ombre che non dalla luce. Stava piangendo? Forse gli dispiaceva per lei?

Quando sentì quella piccola fitta, come la puntura di uno spillo, Bianca sospirò di nuovo: era per sé stesso che piangeva, non per lei.

Strinse la presa su di lui, chiudendo gli occhi: non voleva guardarlo mentre...

Un rumore secco, seguito dal suono che potrebbe fare un cucchiaio in un budino.

Le dita di Bianca erano affondate nel suo cervello come se la scatola cranica fosse stata fatta di burro.

Quel corpo amatissimo si accasciò come un sacco sul suolo freddo, mentre una piccola siringa cadeva poco distante da lui, andando in pezzi.

Neanche un suono. Neppure il più piccolo urlo.

Bianca portò le dita scheletriche alla bocca, assaggiando il sapore del sangue di lui, mentre le grandi orbite nere si posavano sul camice da medico, sporco di sangue e polvere.

Lo aveva intuito fin dall'inizio, ma aveva lasciato che quell'illusione continuasse: il sogno che un uomo potesse amarla nonostante fosse ormai fatta più di ossa che di carne era qualcosa di troppo prezioso per poter essere interrotto sul nascere.

Era stato per quel motivo che si era fermata quella prima notte, quando quello scienziato si era scioccamente introdotto nel cimitero. Era stata quella la ragione per cui aveva esitato a ucciderlo quando invece avrebbe dovuto.

Voleva sentirgli dire che l'amava.

E ogni volta che lui mentiva dicendolo, lei gli permetteva di vivere una notte in più. Gli concedeva di continuare i suoi esperimenti in laboratorio un giorno ancora.

Quella notte però, per la prima volta, non aveva avuto il coraggio di dirle che l'amava. Aveva forse scoperto qualcosa in quel poco sangue marcio che aveva raccolto da lei?

Non aveva più importanza.

Ora avrebbe riposato nella cripta con tutti gli altri, spalla a spalla con la famiglia di Bianca.

“Avevi cattive intenzioni, amore,” mormorò la zombie, chinandosi sullo scienziato un'ultima volta, “ma almeno hai davvero un buon cervello.”

  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: helhime