Anime & Manga > Sekai-Ichi Hatsukoi
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Autore: Rebebebe    02/12/2013    0 recensioni
Vedo sempre capitoli sulle nostre amate coppie (oddio io sono una di questi autori che scrivono su di loro quinid non dovrei parlare) e lasciano da parte personaggi come An-chan, l'amica d'infanzia di ritsu che, dopo una lettura attenta a sekai-ichi hatsukoi, ha cominciato a suscitare il mio interesse. Si sa che nei manga ci sono spesso degli amori che non finiscono bene, e quello di An-chan è uno di questi. Ho quindi preso degli indizi su di lei in giro per i capitoli e ci ho costruito sopra quelli che per me sono i sentimenti della nostra giovane ragazza innamorata.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: An Kohinata, Masamune Takano, Ritsu Onodera | Coppie: Takano/Onodera
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti e buonasera, visto che il commento lo sto scrivendo precisamente alle 22:29 del mio computer. Lavoro a questa one-shot da quanto? Due giorni? Non ho avuto molto tempo per controllarla e quindi non sarà un granché ma spero comunque possa piacere. A dire il vero volevo inserirla tra i capitoli della mia storia “Sekai-ichi hatsukoi”, ma poi mi sono detta che non aveva niente a che fare con i capitoli e quindi mi sono detta: “perché non pubblicarla a parte”, e così ho fatto. Ora la metto perché i miei si stanno già lamentando che vogliono andare a dormire, poverini, a una certa età (48 anni) ci si sente vecchi e si sente il bisogno di andare a letto presto.
Bacioni a tutti e buona storia.
 
Sto chiacchierando con tre mie compagne da quando sono entrata in classe e mi stanno riempiendo di complimenti, non posso fare altro che arrossire e ringraziare.
Oggi è sabato e sono un po’ triste, domani non c’è scuola. Non è che io ami particolarmente studiare, non fraintendetemi, ma è solo perché non venendo qui non posso vedere lui.
- Buongiorno-.
Sobbalzo sul posto mentre la sua voce mi giunge alle orecchie come una carezza leggera, mentre il mio corpo, invece di rilassarsi, s’irrigidisce. Come l’ho pensato è comparso. Giro di poco la testa, solo per vederlo mentre poggia la sua cartella sul banco e si unisce a un gruppetto di ragazzi dall’altra parte della classe. Quando vedo che sta per alzare gli occhi su di me gli do immediatamente le spalle, raddrizzando la schiena e immettendomi nel discorso che stavano avendo le mie amiche: qual è il ragazzo più bello della classe. Odio quando parliamo di queste cose, perché va sempre a finire che arrossisco e non dico nessun nome, quando in realtà so bene cosa direi se non sapessi che facendolo mi ritroverei nei pasticci, rischiando che lui possa sentirmi o che la notizia gli giunga in qualche modo. Per questo mi tengo i miei sentimenti per me. Custodendoli gelosamente.
Ritorno al pensiero di prima, rattristandomi al sol pensare che per ben due giorni non potrò stare con lui.
- An-chan-, sento chiamarmi da dietro. Proprio da lui. Siamo alle medie, in prima, eppure continuiamo ad usare i nomignoli di quando eravamo bambini, essendo amici d’infanzia, non so per quale motivo, io lo faccio solo perché sento che così è più vicino a me che alle altre ragazze.
Mi giro e lo vedo che mi corre incontro con la mano alzata, per salutarmi e cerco di contenere il rossore alle guance, - qualcosa non va, Ricchan?-.
Vedo il sorriso che mostra sempre a tutti allargarsi appena mi vede, lo fa sempre, mostrandomi che stare con me gli da una sincera felicità.
- Mia madre mi ha chiesto di invitare te e la tua famiglia a cena stasera, pensi di poter venire?-, domanda.
Il mio cuore va in palla, lo so che ha detto che è sua madre a volermi, anzi, a volere la mia famiglia, ma la felicità di poter star con lui rende tutto rosa e meraviglioso, e riesco solo a sorridergli, - devo chiedere ma credo proprio che non sarà un problema, ci fa sempre piacere la vostra compagnia-.
- Perfetto, allora avviso mia madre di fare le cotolette che ti piacciono tanto-.
- Grazie-, sussurro abbassando la testa. Lo so che anche questo non è niente, però pensare che conosca ciò che mi piace e sapere che gli sta a cuore la cosa mi rende sempre immensamente felice. Vorrei sapere come riesce a farmi sentire sempre così. Non è un ragazzo che appena lo vedi ti ritrovi a pensare “quant’è bello”, con lui il primo aggettivo che ti viene in mente è “carino”. Rispetto agli altri ragazzi non è poi così alto, è nella media, una spanna più di me all’incirca, e magrolino, con le braccia sottili ma forti, e ne sono sicura perché l’altro giorno sono scivolata ma prima che potessi cadere, mi ha sorretto saldamente.
Si allontana e per tutto il giorno non parliamo molto, ma non importa, perché stasera saremo come sempre in camera sua io, lui e i suoi libri.
La serata è andata bene e sono molto contenta. Abbiamo chiacchierato molto e in un momento di puro coraggio gli ho chiesto se gli piacesse qualcuno. Lui ha risposto di no. Serio, senza un minimo rossore in faccia, segno che non mente, anche perché lui non è capace a farlo, è troppo buono e corretto. Il mio cuore si è spezzato in due parti. Una è terribilmente felice che non ci sia nessuna nel suo cuore. L’altra distrutta perché la sua affermazione mi conferma che lui non prova niente per me se non un semplice affetto fraterno. Ma non mi devo arrendere, lo so di non essere brutta e visto che andiamo molto d’accordo, c’è una possibilità che cominci a pensarmi come una ragazza che potrebbe piacergli, devo solo saper aspettare. In più ci sono i nostri genitori che stanno cercando di farci mettere insieme. Ricchan non se n’è ancora accorto, è troppo ingenuo perché capisca certe cose, io, però, l’ho capito già da un pezzo che cercano di lasciarci sempre soli e darci molte possibilità per vederci. E in questo non posso fare altro che ringraziarli silenziosamente, fingendo di non sapere nulla.
 
Ormai siamo in terza media, alla fine dell’anno, e con Ricchan non è cambiato nulla, la nostra relazione non ha fatto alcun passo, né all’indietro e tantomeno in avanti. I nostri genitori intanto sono usciti allo scoperto e ci hanno fatto palesemente capire che vogliono che stiamo insieme, ma non forzano la mano e quindi io e Ricchan non ci siamo ancora espressi al riguardo. Avere sua madre dalla mia parte però aiuta molto perché gli parla di me o comunque fa in modo che io sia nei suoi pensieri, e questo mi da una speranza in più. D’altro canto perché non si è ancora fatto avanti con me? È palese che mi tratta in modo diverso rispetto alle altre ragazze che conosce, è più gentile, più socievole, più premuroso. Lo vedo come s’illuminano i suoi occhi verdi appena mi vede ogni volta, non può essere solo amicizia la sua. Sono stata meticolosa in questi anni: ho curato costantemente il mio aspetto e sono consapevole di essere bella e desiderata dai ragazzi, mi trucco, mi curo i capelli, mi vesto bene. E se non mi ha ancora notata, probabilmente c’è qualcun altro. Non è una certezza, è solo una mia sensazione. A volte lo vedo assente, che pensa a qualcosa, si perde spesso nei suoi pensieri ultimamente. E non mi piace. Se esiste davvero qualcuno capace di avere le sue attenzioni, allora la voglio conoscere. Eppure sono sicura che non sia una nostra compagna, lo vedo da come si comporta, io lo conosco molto bene e me ne sarei accorta. Ricchan non fa poi molto al di fuori della scuola a parte uscire qualche volta con il suo gruppo di amici maschi e leggere libri. Mi si accende subito la lampadina. È sicuramente la biblioteca, il luogo in cui la incontra, ne sono sicura, me lo sento. E scoprirò chi è.
La campanella dell’ultima lezione suona e preparo la cartella velocemente per piazzarmi davanti a lui, - oggi vai in biblioteca?-, domando con un dolce sorriso, perché anche se sono concentrata in questa “missione”, lui rimane sempre Ricchan, ed io non posso non sorridergli.
Alza lo sguardo mentre prende i libri da sotto il banco, - sì, perché?-.
Io alzo le spalle, - oggi mamma e papà tornano tardi e non voglio stare in casa da sola, quindi mi chiedevo se potevo stare con te lì-.
È un attimo, un misero attimo lungo quanto un battito di ciglia, ma l’ho visto tentennare per un momento, - certo-, mi risponde subito dopo.
Sorrido soddisfatta e aspetto che si prepari, e una volta pronto ci incamminiamo verso la libreria della scuola. Ricchan ci va spesso ma io in questi tre anni ci sarò entrata sì e no due volte, e di sicuro non per rimanerci quanto lui, il tempo di fare due chiacchiere, prendere un libro e andarmene. Lui invece ci sta tutto il giorno, dalla campanella della fine delle lezioni sino all’ora di chiusura, circa per le sei se non ricordo male.
Mentre camminiamo, osservo Ricchan senza farmi notare. Lo vedo che le sue guance si sono fatte più rosee, e sinceramente questo mi infastidisce; anche quando comincia ad allacciarsi i bottoni della giacca della divisa scolastica con mani tremanti. È quasi come una stilettata al cuore, ma faccio finta di niente, magari è solo nervoso perché ci sono io vicino a lui…
Una volta dentro rimango colpita dal forte aroma di carta che aleggia nella grossa stanza. È più grande di quanto ricordassi, ci sono ben due file parallele di otto scaffali alti quasi fino al soffitto, e larghi all’incirca quattro metri. Non immagino quanti libri debbano esserci qui dentro, non so nemmeno se ho abbastanza tempo da permettermi di mettermi a contarli. Alla destra, in fondo, c’è la scrivania delle bibliotecarie, una la conosco di vista perché è della classe di fianco alla nostra, non è il tipo di Ricchan, non è lei, l’altra non l’ho mai vista ma non sembra abbastanza carina per lui, anche se lo so che non è tipo da fermarsi all’aspetto estetico. Invece nella parte sinistra si trovano degli scaffali più piccoli, alti un metro, addossati ai muri, proprio sotto le finestre. Lo spazio rimanente è riempito da sei tavoli con altrettante sedie ciascuno. Non vedo nessuna che mi colpisce particolarmente, magari non è ancora arrivata.
Ricchan mi chiama ed io solo adesso mi sono accorta che si era diretto verso le bibliotecarie per ridare dei libri.
- Io faccio un giro per vedere se c’è qualcosa che m’interessa, tu?-, chiede mentre mi passa accanto per dirigersi verso un tavolo e poggiandoci sopra la propria cartella.
Io lo imito mettendomi di fronte a lui, - vengo con te, magari puoi consigliarmi qualcosa, non credi?-.
Annuisce e ci dirigiamo verso la montagna di libri, e sinceramente non so come faccia a orientarsi così bene, cercando e trovando il libro voluto in un batter d’occhio. Noto però con fastidio che è sempre agitato e continua guardarsi intorno con occhio vigile. La cosa mi irrita ancor più di quanto avessi pensato, lo so che è egoistico, ma vorrei provocargli io quelle reazioni.
Scorre le costole dei libri con attenzione e ne prende uno, porgendomelo, - questo potrebbe piacerti, l’ho letto non molto tempo fa-.
Lo prendo e me lo stringo al petto, - come fai a sapere i miei gusti?-.
Alza le spalle sorridendo, - non lo so, posso solo immaginarli, ma direi che è il tuo genere-.
Ha ragione, ha maledettamente ragione. Come fai a conoscermi così bene? Come fai a capirmi così bene? Come fai a non accorgerti dell’unica cosa che vorrei scoprissi di me?
Angosciata, leggo le prime due righe mentre Ricchan passa in rassegna tutti i titoli dei libri dello scaffale. Mi colpisce parecchio la scrittura di questo autore, non è affatto male. Vado in fondo al libro e noto che i nomi scritti sulla schedina non sono neanche poi tanti, solamente quattro, di cui l’ultimo è proprio Ricchan. Alzo lo sguardo su di lui mentre prende un volumetto e ne guarda la schedina, sorride, e lo richiude.
- Io ho scelto-, afferma, - andiamo a sederci?-.
Annuisco per poi dirigermi al tavolo con lui. Non so quanti minuti siano passati, so solo che dopo le prime tre pagine non ne potevo più di stare lì ferma a leggere, volevo trovare questa ragazza, ma Ricchan non sembrava aver avuto mutamenti, anzi, si era addirittura tranquillizzato. Improvvisamente lo vedo alzarsi, - ho finito, ne prendo un altro-.
Lo imito e lo seguo, - vengo con te-.
La stessa scena di prima si ripete. Guarda con attenzione e dopo aver scelto il libro lo apre dalla schedina, sorride e lo richiude.
È un rituale un po’ strano per scegliere un libro, ma sembra che lo faccia ogni volta, visto che la cosa si ripete per tre volte.
Non ne posso più, mi sono stancata di aspettare, e sono quasi tentata di dirgli che me ne vado, ma alle cinque più o meno ci dirigiamo di nuovo a prendere il quarto libro, decido di andarmene una volta tornati al tavolo.
Mi appoggio con la schiena ai tomi di filosofia mentre lui, di fronte a me, sceglie tra la narrativa giapponese qualcosa che lo ispiri, e dopo che si ripete per la quarta volta il classico gesto, mi supera dirigendosi alla mia sinistra, per uscire dai due armadi che ci sovrastano.
Si gira verso di me, - non vieni, An-chan?-, domanda accorgendosi che non mi sono mossa. Annuisco ma mi blocco subito dopo essermi rimessa bene in piedi. Ricchan, in mezzo al corridoio creato dalle librerie, si guarda a sinistra con il libro in mano. Dire che la stilettata che mi è arrivata prima non è nulla al confronto con quello che sto provando ora, sento come se un miliardo di elefanti mi stia camminando sopra al cuore seguiti da una mandria di cavalli al trotto.
Ricchan ha gli occhi spalancati dalla sorpresa, immobile, rosso come un peperone e le sopracciglia che pian piano si abbassano per trasformare l’espressione stupita in una che mi suggerisce talmente tanti sentimenti che mi sento scoppiare la testa: affetto, speranza, adorazione, amore, tristezza, malinconia, desiderio, abbandono, potrei andare avanti all’infinito a dire il vero.
Si è completamente dimenticato di me, neanche quando mi avvicino a lui se ne accorge, non fino a che non gli sfioro il polso per svegliarlo.
- Tutto bene?-, chiedo abbassando lo sguardo per non fargli vedere la mia sofferenza.
Sobbalza leggermente e comincia a balbettare, dicendo che è ora di andare e che i suoi saranno preoccupati per lui. Io non faccio altro che seguirlo, e mi fa stare male pensare che non si accorga di come io mi senta, troppo concentrato su chissà chi. Non l’ho nemmeno vista questa ragazza. Sono rimasta talmente scioccata che non ho avuto il coraggio di mostrare la mia espressione. Eppure sono sicura che la sua sia una sbandata, alla fine finirà e potrà amarmi. Devo solo saper pazientare ancora un po’.
 
Sono passati ben quattro anni e la mia pazienza è agli sgoccioli. Non riesco a sopportare di vederlo correre ogni giorno, a fine lezioni, in biblioteca a passo spedito, accontentandomi solo dell’ombra dei sorrisi che mi faceva una volta. Quando mi guarda è come se non lo facesse e quando parliamo è come se non seguisse il discorso. Nemmeno sua madre mi può aiutare, cosa può fare se non creare con ogni più piccola scusa un pretesto per stare insieme? Un giorno mi aveva anche promesso di portarmi a fare shopping per poi darmi buca di punto in bianco, dicendomi che aveva da fare. Quando ho chiamato a casa sua per vedere se stava bene sua madre mi ha risposto che era andato a dormire da un amico. Fu lì che il mio mondo crollò. Usciva finalmente con questa ragazza, quanti anni saranno che gli piace? Quattro? Forse anche di più. Ma non riesco a reggerlo, è troppo per me saperlo con lei mentre io sono qui a disperarmi. Devo assolutamente dimenticarmi di lui, uscire con qualsiasi persona che non sia lui e dimostrargli cosa si è perso.
Sono uscita con parecchi ragazzi, ma nessuno ha saputo colpirmi il cuore, nessuno è riuscito a prendere il suo posto.
Eppure qualcosa è cambiato, adesso Ricchan non viene più a scuola con noi, se ne è andato, ha preso le valigie e ha detto di voler fare un viaggio di studio. Abbiamo ricominciato a sentirci, forse anche più di prima. All’inizio sembrava a pezzi, probabilmente per la rottura del rapporto con quella ragazza ( mia intuizione puramente femminile e senza fondamento), ma ora si è ripreso e sorride molto più di prima, e lo trovo ancora più bello e affascinante.
Dopo il suo ritorno mi sono fatta coraggio. Gli ho detto ciò che provavo per lui, ma sono stata brutalmente rifiutata. Non è stato cattivo, non mi ha affatto trattata male, anzi, ha cercato di continuare ad alimentare il nostro rapporto perché la nostra amicizia non finisse; però è stato chiaro quando ha detto che non accettava la decisione dei nostri genitori di una nostra possibile futura unione. Ovviamente ho sorriso e ho aspettato di essere a casa per poter piangere in pace, distrutta e delusa con me stessa. Per cosa avevo fatto tutta quella fatica? Mi ero impegnata così tanto per poter essere la ragazza perfetta che avrebbe potuto volere, e invece mi aveva detto che mi voleva troppo bene per potersi mettere con me. Non che la cosa abbia un senso, ma non ero abbastanza lucida per chiedergli spiegazioni, e non ne ho volute.
 
Adesso però, che siamo quasi alla fine dell’università, lo sembriamo davvero una coppia. Ci vediamo ogni weekend per girare in centro, vedere qualche film, visitare qualche museo, mangiare l’uno in casa dell’altro a pranzo o a cena, eppure non mi ha mai presa per mano nemmeno una volta. Ha avuto parecchie ragazze, ma nessuna delle sue storie è durata molto, come se non gli importasse di loro. Ovviamente penso che sia perché in fondo gli piaccio, ma è troppo timido per farsi avanti con me.
 
- Allora domani parto, fammi gli auguri, appena torno ti porto dei souvenir, promesso-, dichiaro mentre dall’altro capo del telefono sento Ricchan ridere e rispondermi che non vede l’ora. Ci salutiamo e chiudo la chiamata.
Il viaggio che devo fare mi rattrista un po’ perché non potremo vederci per tre settimane, ma sono riuscita a fargli promettere di portarmi a mangiare fuori solo se gli compro dei souvenir. Ovvio che io abbia accettato.
La vacanza in Francia procede bene e anche se mi sembra terribilmente lunga, so che mancano solo due giorni al mio ritorno, e non posso fare altro che gioire. Chissà se gli sono mancata, se mi ha pensato mentre non c’ero. È con questi pensieri che torno in Giappone due mattine dopo e decido di portare i souvenir a Ricchan questa sera stessa.
Però devo avvisarlo del mio arrivo, così decido di chiamarlo per dargli gli auguri di anno nuovo, così riesco a sentire la sua voce, invece di scrivergli un’e-mail. Dice di essere al lavoro e che non devo disturbarmi a portargli i souvenir, ma i non demordo, lo voglio vedere. Mentre cerca di convincermi a rinunciare arriva il taxi e allora chiudo la chiamata per avvicinarmi con le valigie. Durante il giorno non faccio molto se non preparami per la sera. Prima di uscire mi metto in tasca l’indirizzo nuovo di Ricchan che sua madre mi ha indicato. Lo do al taxista e lui con un “Roger” si dirige dove gli ho chiesto di andare. Non mi lascia proprio davanti al palazzo, così lo devo cercare. Lo avvisto e mi metto a suonare al campanello, magari non è al lavoro ma è già tornato. Il silenzio assoluto e la mancata risposta dall’altra parte del citofono mi fanno capire ch devo aspettare. E lo faccio per due orette buone, anche se fa freddo. Fa terribilmente freddo. Talmente tanto che non sento più il naso. Per lui lo farei. Anche se sto seriamente pensando di aver sbagliato palazzo.
Ad un certo punto vedo comparire da dietro la discesa due figure scure, e individuo subito quella alla destra come Ricchan.
Lo chiamo e vedo la sorpresa nei suoi occhi quando sente la mia voce.
- Che sollievo-, mi esce mentre un sorriso mi si apre sul volto, - credevo di aver sbagliato appartamento-.
- An-chan!-, esclama portando le mani alla borsa e correndomi incontro.
- Ti ho mandato un messaggio, non l’hai visto?-, domando.
Lui sobbalza, - no, scusa, ero nella metropolitana-, cerca di scusarsi, - ma perché sei fuori al freddo con questo tempo?-.
Scuoto la testa, - non preoccuparti, non ho dovuto attendere molto-, è una bugia ma non posso mica dirgli di aver aspettato due ore solo per vederlo, - e poi volevo vederti, Ricchan-, gli porgo i sacchetti che ho in mano mentre cerca di capire ancora quello che ho detto, - ecco i souvenir-. Alle sue spalle, noto la seconda figura che avevo scorto avvicinarsi a noi: un uomo alto e asciutto con dei capelli corvini, è affascinante, devo ammetterlo, - è un tuo amico?-, chiedo.
Ricchan fa scorrere lo sguardo da me a lui e balbetta un: - è il mio vicino-.
Abbasso il capo educatamente e gli mostro il sorriso più caldo che riesco a fare nonostante non senta più le guance, - buonasera, grazie per prendersi cura di Ricchan-.
Il sorriso che mi restituisce è proprio bello, ma la sua risposta tarda ad arrivare, - buonasera-, dice solo. Poi si gira verso Ricchan, - la tua “ragazza”?-.
Ricchan lo fissa con uno sguardo strano e subito nega, - no, non è per niente così-.
Io mi sento offesa, - cosa vorresti dire con “per niente”?-, lo rimbecco io mentre il suo vicino se ne va verso l’ingresso del palazzo.
Decido di andare a casa, Ricchan sembra scosso per qualche motivo e non vorrei disturbarlo oltre, dopotutto sono riuscita a vederlo ed è questo che basta. Lui però decide di accompagnarmi nonostante tutto, e questo non può che rendermi immensamente felice, dopotutto vuol dire che si preoccupa per me.
Sto cominciando a pensare che provi qualcosa per me, perché mentre mi scorta, lo vedo sempre con la testa bassa e il volto rosso, e quale altro motivo c’è se non quello che si vergogna a starmi vicino?
 
Stamattina ho un matrimonio e il ricevimento è in un hotel in cui, ho scoperto, grazie alla madre di Ricchan, che lui lavorerà fino a tardi. Se il rinfresco finirà presto riuscirò a stare un po’ con lui, ed è questo che mi convince a vestirmi al meglio, con un grazioso vestitino rosa confetto a maniche lunghe e gonna lunga e merlettata. Per rendere il tutto più elegante ho abbinato un cappottino beige, una borsa a quadri e un fermaglio per i capelli a forma di rosa dello stesso colore del vestito. È da stamattina che gli scrivo dei messaggi ma non mi ha ancora risposto. Rimetto il cellulare in borsa mentre esco dalla sala per dirigermi nella hall, dove sono sicura che lo incontrerò. Perché non mi ha scritto nemmeno una volta? Poteva almeno dirmi un ok. Sono arrabbiata con lui. Mi sono fatta carina solo perché lui possa vedermi e nemmeno mi degna di una risposta. Lo so che sta lavorando, ma io dovrei essere importante per lui, potrebbe almeno concedermi un piccolo messaggio, non chiedo che mi chiami, solo un messaggio. È con la speranza di sentire il cellulare suonare che passo la giornata, finchè quella non muore del tutto, sostituita da un’angoscia prorompente.
Passano parecchi minuti che non ho il coraggio di contare perché so che mi arrabbierei ancora di più e rimarrei ancora più delusa, e poi lo scorgo mentre parla con un gruppo di donne vicino agli ascensori, devono essere le autrici.
Solo quando saluta l’ultima urlo il suo nome e gli mostro il broncio più arrabbiato che riesco a fargli.
L’unica cosa che riesce a dire è perché non sono ancora tornata a casa.
Mi fa arrabbiare e il mi malumore s’intensifica quando comincia a dire che ha lavorato tutto il tempo, come se come scusa possa bastarmi.
- Perché non mi hai chiamato?-, buttò lì tanto per fargli capire che sono arrabbiata.
Se ne esce dicendo che aveva sempre del lavoro da fare e che non voleva disturbare la cerimonia con la sua chiamata. Ma io non lo ascolto, voglio sapere una volta per tutte quello che pensa, perché non ci sto capendo niente. Prima mi fa credere di volermi bene, di trattarmi diversamente dagli altri, e poi mi pugnala alle spalle in questo modo.
- Ricchan, voglio chiarire. Lo so che noi non abbiamo una relazione nel senso romantico, ma va bene per noi restare fidanzati, no?-, prima che possa rispondere continuo, - tutti intorno a noi sembrano contenti così, e sinceramente io la penso come loro, non va ancora bene?-.
Vedo che qualcosa gli viene in mente e subito m’interrompe,- per caso mia madre ti ha detto qualcosa?-.
Stringo la stretta sulla borsa abbassando lo sguardo, - sono uscita con molti ragazzi, ma non posso stare con qualcuno che non sei tu, Ricchan-, prendo coraggio, ora o mai più, - lo so che mi hai già rifiutato una volta, ma tu mi piaci davvero tanto, Ricchan!-, finisco per dire, urlando e attirando le attenzioni dei passanti.
C’è un momento di silenzio interminabile in cui non ho il coraggio di guardarlo.
- Anche tu mi piaci, An-chan-.
Il mio cuore comincia ad accelerare in modo spaventoso e una gioia incontrollabile mi sale dal petto.
- Ma mi dispiace, non mi piaci in quel senso-.
Il cuore cessa di battere e si sgretola in mille pezzi, mentre tutta la felicità di qualche secondo prima si tramuta in un’orrenda sensazione di afflizione.
Apro la bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma lui continua.
- So di averlo già detto, ma rifiuto la decisione dei miei genitori riguardo il matrimonio, se non sono stato abbastanza chiaro, mi scuso per questo-.
- Quindi c’è qualcun altro che ti piace? Come la persona che hai amato alle medie?-, butto lì.
Lui diventa rosso e si agita, cominciando a balbettare, - perché tiri fuori adesso quella vecchia storia?-.
Io ci rifletto, è stato sempre tutto talmente chiaro che ora mi sento una stupida, - quando uscivi con altre ragazze le storie non sono mai durate molto, pensavo fosse perché ti piacevo io ma vedo che non è questo il caso, quindi…forse…tu stai ancora pensando a quella persona?-.
Lui scatta come punto sul vivo, e mi risponde con un no secco, ma ci vuole poco perché quel tono perda d’intensità e diventi un flebile: - forse è così-, detto con un volto basso e rosso.
Cerca subito di dire dell’altro ma qualcuno lo chiama da dietro e gli dice di tornare al lavoro.
Lo guardo e capisco subito che quel bell’uomo in abiti eleganti l’ho già visto, - tu sei il vicino dell’altro giorno…-, sussurro tra me e me ricordandomi.
Ricchan mi spiega che è anche il suo capo, e ora quest’ultimo gli sta intimando di andare a pulire e di sbrigarsi, e Ricchan si scusa subito.
Mi sento distrutta, ogni mia certezza e convinzione è crollata e non mi rimane altro che una montagna di lacrime che voglio versare.
- Bene! Me ne vado!-, urlo girandomi e dirigendomi velocemente verso l’uscita mentre mi sento chiamare da Ricchan. Spero quasi che mi segua e mi venga a dire che non è vero, che mi ama anche lui e che stava scherzando.
Ma questo non succede.
Arrivata a casa, verso tutte le lacrime che ho trattenuto fino ad ora sul mio letto, senza nemmeno cambiarmi, quando la madre di Ricchan mi chiama per chiedermi com’è andata io non riesco a dirle niente e non faccio altro che piangere mentre cerca di consolarmi e di insultare suo figlio.
Passo tutta la notte a piangere senza contegno.
Ricchan mi ha lasciato dei messaggi sul cellulare e sembra davvero dispiaciuto, lo so che la sua intenzione non era ferirmi, sono io che sono andata a costruire castelli in aria quando tra noi non c’era altro che una profonda amicizia. L’ho sempre saputo ma non mi sono mai data per vinta, mi piace troppo per rinunciare, e so che saremmo una coppia perfetta.
E così invece di esserne uscita più debole, ne esco rafforzata e più sicura di me. Posso sempre fargli cambiare idea, devo solo fargli dimenticare questa ragazza che ha amato alle medie e al liceo, dopotutto sono passati più di dieci anni. Non si può amare una persona per così tanto tempo.
 
Io e Ricchan continuiamo a sentirci nonostante tutto, anzi, è come se non fosse successo nulla, ed io non posso fare altro che esserne felice.
Non ci vediamo poi tanto spesso perché tra i miei impegni e il suo lavoro non è facile trovare del tempo libero, però ci scriviamo ogni tanto e scherziamo come sempre.
Però esattamente dopo cinquantatré giorni dopo il nostro “incidente” (tengo il conto per non si sa quale ragione) lo chiamo in preda al panico ma non mi risponde. Non potendolo raggiungere con il cellulare, dopo aver provato svariate volte, decido di farmi dare il numero dell’ufficio e lì mi risponde il vicino di Ricchan, che lo avvisa subito del fatto che sua madre è in ospedale.
Dopo una mezz’oretta mi raggiunge di fronte alla stanza di sua madre con il fiatone della corsa che ha dovuto sicuramente fare.
Appena mi arriva vicino lo sgrido per non avere risposto prima al cellulare e le sue scuse si tramutano subito in preoccupazione, cominciando a chiedere di sua madre.
Io chiudo la porta della sua stanza in modo che il nostro dialogo non la svegli, - hanno detto che è gastrite acuta, con delle medicine dovrebbe stare bene, ma le hanno consigliato di rimanere per la notte. Probabilmente il problema è lo stress, anche se hanno detto che forse ha mangiato troppo-.
Le sue spalle si abbassano e dalla sua bocca esce un sospiro di sollievo, - tutto qui? Mi hai spaventato-.
- Guarda che tu sei una delle cause, Ricchan-, lo riprendo mentre mi guarda con aria interrogativa, - tua madre era così preoccupata per te! Sei sempre così spiccio nelle chiamate e lei dice che non torni mai a casa!-, quando cerca di usare un’altra volta il lavoro continuo, ignorandolo, - era anche preoccupata per me, mi ha invitata a cena e abbiamo parlato molto, ma a un certo punto ha detto di avere mal di pancia ed è svenuta improvvisamente, ero così spaventata…e quando non riuscivo a mettermi in contatto con te…ma sono felice che tu sia venuto, Ricchan, se ci fosse stato qualche problema serio io non avrei saputo cosa fare-, automaticamente mi avvicino a lui e senza pensarci lo abbraccio, - ero così spaventata…-, mi esce mentre sento che mi da delle pacche leggere sulla schiena.
- Mi dispiace di averti fatta preoccupare-, si scusa, - e grazie, sono contento che tu fossi lì con lei-, mi sussurra dolcemente mentre mi stringe a sé. E solo questo mi basterebbe.
Nello stesso istante in cui finisce la frase mi allontana repentinamente e violentemente da lui. Mi giro alla mia destra, - il tuo vicino?-, domando scorgendolo mentre ci viene incontro.
Ricchan spiega che è stato lui ad accompagnarlo e cominciano a parlare di cosa farà ora che è qui in ospedale, se vuole restare o andarsene.
Mentre discutono sul da farsi sento Ricchan affermare di voler restare, ma poi mentre l’altro si allontana per andare dagli ascensori, lo segue e continua a dirgli qualcosa che ormai non sento più.
Se Ricchan rimane allora se lo facessi anch’io potrei stare un po’ con lui, e poi sono preoccupata per sua madre, se si dovesse svegliare vorrei essere lì con lei. Mi dirigo nella direzione in cui sono andati per dire a Ricchan la mia decisione, ma quando arrivo lì il vicino se ne è già andato.
L’unica cosa che riempie la mia testa è l’espressione di Ricchan. Quell’espressione che rivela un impasto di mille sentimenti diversi e che gli rende il volto tutto rosso infantile e impotente. Si mette una mano nei capelli e li scuote tutti, cercando di ricomporsi. Non so perché ma l’unica cosa che faccio è tornare da sua madre e aspettarlo lì.
Non parliamo quasi e solo quando l’orario delle visite è finito, decido di parlargli.
Prima di uscire ci dirigiamo verso le macchinette e mentre si prende una bottiglietta d’acqua, a me da della coca, sapendo benissimo che avrei voluto berla. Come mi conosce bene.
- Vai a casa in taxi?-, chiede.
Biascico un sì mentre mi ringrazia per quello che ho fatto oggi e confidandomi che se non ci fossi stata io non avrebbe saputo cosa fare.
- Sei così gentile, Ricchan-, dico sospirando, - è per questo che mi piaci-.
Come sempre cerca di dirmi qualcosa, ma io ho deciso cosa devo dirgli e non mi farò fermare tanto facilmente, - mi dispiace di essere fastidiosa ripetendotelo sempre, ma tu mi piaci davvero tanto, non potresti farmi diventare la tua ragazza?-.
Abbassa la testa mortificato, e già so cosa sta per dirmi, - mi dispiace, An-chan, io…-.
Lo interrompo senza pudore o paura, - Ricchan, è possibile che tu sia innamorato del tuo vicino?-.
Lo shock che gli provoca la mia domanda lo fa saltare di tre passi indietro, ripetendo “eh?!” come un forsennato, fino a che non comincia a ridere dal nervosismo e a balbettare sul cosa mi salti in mente e sul fatto che quello è un uomo. Come se non lo sapessi già di mio.
- Ti ho sempre guardato, Ricchan, ancora prima di quando hai cominciato a comportarti in modo strano, e anche quando hai avuto altre ragazze, ti ho sempre guardato, ma questa è stata la prima volta che ti ho visto fare un’espressione come quella che hai avuto prima-, di colpo l’immagine davanti agli ascensori si trasforma in un’ancora più vecchia, delle medie, di quando ho visto per la prima volta quella miscela di emozioni tutti concentrati in un volto solo, - anzi, no, penso sia la seconda volta che l’ho vista, alle medie, ora e prima avevi quell’espressione sul volto-, mentre usciamo dall’ospedale gli faccio la domanda che mi ha mangiato il cervello per tutta la giornata, - è possibile che il tuo vicino sia la persona che hai amato sin dalle medie?-.
Mi giro verso di lui e lo vedo mentre comincia a farsi rosso dall’imbarazzo, a balbettare qualcosa che non riesco a sentire e a cercare di coprirsi il volto con la mano. È la reazione ch emi ero immaginata, ma è comunque dura da accettare.
- È…è strano, vero…? Per due ragazzi…-.
- Non credo di avere il diritto di giudicare se è strano o meno, personalmente-.
Il suo viso si fa pallido e lo sento borbottare qualcosa sul voler morire, - n…no…penso che tu abbia tutto il diritto di farlo…-.
- Uscite insieme?-, gli chiedo a bruciapelo.
Nega subito.
- Ha capito i tuoi sentimenti per lui?-.
Dice di non esserne sicuro e comincia a dire cose come: - non sono sicuro su molte cose…e…ecco…non posso ricambiare i tuoi sentimenti, An-chan, e mi dispiace per questo-.
Sentirselo dire di nuovo è un’altra botta in pieno petto, - non lo accetto-, riesco a dire mentre stringo la borsa tra le mani, - dopotutto, se ti fai problemi su cose come lo stare insieme tra due uomini, con questi sentimenti non corrisposti, ti ferirai e basta!-.
- Non preoccuparti-, dice una voce alla mia destra, che si rivela essere quella del vicino, - non è un amore non ricambiato. Se la cosa che ti preoccupa è la risolutezza, mi sono preparato a questo anni fa-.
Ricchan salta sul posto per lo spavento chiedendogli come mai sia lì, ricevendo come risposta che la sua presenza è dovuta al volerlo portare a casa in macchina. So che discuterebbero all’infinito se non intervenissi, - signor vicino, se farai piangere Ricchan non ti perdonerò mai.-, mi giro verso Ricchan, - mi piaci, quindi fai del tuo meglio!-. E detto questo corro via spedita verso il posteggio dei taxi per poterne prendere uno. Appena dico al conducente di portarmi a casa, indicandogli l’indirizzo, sprofondo nel sedile e tiro un sospiro.
Lo sapevo che sarebbe finita così. Non so perché ho continuato a sperare fino ad ora. Era chiaro che ci fosse qualcuno nei suoi pensieri, era chiaro che non ero io quella che gli piaceva. Nonostante tutto avevo sperato. Il mio amore aveva deformato tutto ciò che vedevo e sentivo secondo ciò che avrebbe fatto piacere al mio cuore. Voglio davvero bene a Ricchan e spero sinceramente che possa essere felice, anche se questo vuol dire che a essere triste debba essere io. Ma per lui lo farei. Lo farei perché lo amo. Lo faccio perché lo amo.
 
 
  
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