Poveglia I (l'importanza dei forse)
L’idea di andare a
Venezia, naturalmente è venuta a me.
Le donne hanno sempre idee più brillanti degli uomini,
stando alla media, se poi si ha a
che
fare con un eterno bambino come Mark Hoppus, è abbastanza
facile avere idee
migliori.
Non che lui sia stupido, è che ogni tanto vive un
po’
troppo nel suo mondo fatto di video games, social network e musica e
perde
contatto con la realtà, quindi l’idea è
stata mia.
Mi è venuta guardavo fuori dalla finestra la pioggia
cadere per l’ennesimo giorno a Londra, la finestra era
solcata da gocce, potevo
vedere quello che accadeva nella strada sotto il nostro appartamento e
il mio
volto: quello di una donna sui quarant’anni con i capelli
biondi e delle meches
fucsia, che non si era potuta concedere in gioventù.
Signori e signore, ecco Skye Hoppus.
“Mark!”
Lui ha smesso di insegnare come si suona il basso a Jack
e ha rivolto la sua attenzione verso di me.
“Cosa ne dici se ci concedessimo un week-end a
Venezia?”
Lui mi ha guardato, ha guardato la tetraggine che regnava
fuori da casa nostra e ha annuito.
“Penso sia una bellissima idea, organizzi tutto tu,
vero?”
“Certo, tesoro.
Almeno vedremo il sole.”
Per due californiani come noi stare in una città
così
piovosa come Londra è quasi un trauma, i primi tempi eravamo
eccitati dalla
novità, poi ci è venuta a noia, alla fine ci
abbiamo fatto l’abitudine.
Mark riprende a suonare con Jack, in camera nostra sono
pronte le sue valigie, domani andrà a New York per
registrare il suo programma,
Hoppus on music.
Non gli pesa molto viaggiare da un continente all’altro,
il pigrone della compagnia è Tom, Jen ha serie
difficoltà a smuoverlo da San
Diego.
Visto che l’idea è stata accettata mi metto ai
fornelli e
cerco di cucinare un burrito, Mark apprezza questi tentativi di cucina
messicana perché sa che li faccio solo per lui, a me la
cucina troppo piccante
non piace.
Al nostro primo
appuntamento mi sono quasi soffocata con un piatto troppo piccante di
cui non
ricordo il nome, Mark mi batteva sulla schiena e tentava di farmi bere
e
mangiare del pane,: è stato abbastanza comico nella sua
surrealità.
“Ragazzi, staccatevi dai bassi e venite a mangiare!”
Loro arrivano sorridenti, hanno lo stesso identico
sorriso radioso.
“Stasera la mamma ha fatto messicano, evviva!”
Esclama Jack correndo al suo posto,
Io servo i burrito in tavola e mangiamo in silenzio,
quando c’è di mezzo il cibo quei due non parlano
molto.
Finito di mangiare Jack si siede a tavola per finire gli
ultimi compiti e Mark si fa una lunga doccia, io intanto prenoto hotel
e volo
per Venezia.
Tra una settimana saremo nella laguna veneta a fare i
turisti!
Poco dopo Mark esce dal bagno, mi abbraccia, mi bacia e
mi sussurra “Buonanotte” all’orecchio, io
gli sorrido e gli lancio un bacio.
Torno in salotto e appoggio una mano sulla spalla di
Jack.
“Tesorino mio ritardatario.”
“Sì, mamma?”
“È ora di andare
a
letto.”
“Finisco un paio di operazione e lo faccio.”
Mi risponde sbadigliando, io controllo il quaderno e
annuisco.
Un quarto d’ora sto
rimboccando le coperte al mio
cucciolo e gli sto dando un bacio della buonanotte sulla fronte.
È il nostro
rito segreto, ora che è troppo grande per le fiabe.
Dovrei andare a letto anche io, invece accendo il
portatile e – mentre aspetto che si avvii – esco in
terrazza a fumare una sigaretta.
Ha smesso di piovere, ma nell’aria c’è
ancora odore di
pioggia e sento il suono lontano di un violino, chissà chi e
perché lo starà
suonando.
Finita la mia sigaretta, torno dentro e mi siedo al pc
con una tazza di the caldo tra le mani.
Ci sono un sacco di leggende su Venezia e voglio farmi
un’idea di cosa ci aspetti e se c’è
qualcosa che valga la pena di visitare. Il
mio occhio cade sul nome “Poveglia.” È
un’isoletta della laguna, privata e
inaccessibile ai turisti, nel Seicento era un lazzaretto in cui
venivano portati
i cadaveri degli appestati, appestati e gente che si sospettava covare
il
morbo. Un bel posticino insomma e come tocco finale è stato
un manicomio negli
anni ’20 in cui il direttore sperimentava nuovi metodi sui
suoi pazienti fino al
giorno del suo suicidio. Un suicidio misterioso, si è
buttato dalla torre
dell’edificio e si dice che una strana nebbiolina lo abbia
soffocato.
I veneziano ne hanno paura, dicono sia difficile che ti
ci portino. Beh, lo scoprirò settimana prossima, visto che
ho intenzione di
fare un salto a Poveglia.
Vado a letto, sbadigliando vistosamente.
Domani dovrò alzarmi presto per salutare Mark, portare
Jack a scuola e andare al lavoro.
La solita routine.
La mattina dopo Mark si alza alle sei, mi saluta con un
bacio, poi sparisce in cucina a fare colazione e in bagno a farsi
un’altra
doccia. Io poltrisco a letto in attesa che si affacci a prendere le sue
valigie, cosa che succede abbastanza rapidamente.
“Buongiorno, amore e buon lavoro.”
“Buon lavoro anche a te.”
Esce dal nostro appartamento, io sbadiglio e mi dico che
posso dormire ancora per un’ora prima di svegliare Jack.
Alle sette la sveglia suona implacabile e io mi sveglio
con un grugnito, mi faccio la doccia e vado a chiamare mio figlio, dopo
qualche
tentativo si sveglia.
Facciamo colazione, lui si lava e ci cambiamo, poi
saliamo nella mia macchina.
“Papà
è
a New York?”
“Sì, esattamente.
“Un giorno ci andremo anche noi?”
“Uhm, sì. Magari per Natale, settimana prossima
andiamo a
Venezia, sei contento?”
“Sììì!”
La cosa migliore con Jack è che è sempre di buon
umore e
vede il lato positivo delle cose, non ci ha nemmeno tenuto molto ad
ambientarsi
a scuola.
È un bambino speciale.
La settimana dopo siamo sbarcati
all’aeroporto di
Venezia-Mestre.
È una giornata incerta, il sole fa capolino ogni tanto
dalle nuvole e i nostri bagagli sono in ritardo, quando finalmente li
abbiamo
recuperati, facciamo fatica a trovare un taxi.
Trovato uno ci conduce da dove partono i traghetti, ci
aiuta a caricare sulla nave i bagagli e poi ci augura di passare una
buona
vacanza.
Io spero di non sentirmi male, visto che io e le barche
abbiamo un rapporto tragico, una volta Mark mi ha portato a fare un
giro in
barca e ho vomitato tutto il tempo.
Una volta sul traghetto mi siedo su una delle banchine e
ammiro la distesa d’acqua, interrotta ogni tanto da qualche
palo e dal
passaggio di altre barche e gondole.
Forse questa volta il mal di mare mi ha risparmiato.
Sbarchiamo e ci guardiamo attorno, stando alla cartina il
nostro hotel è vicino a piazza San Marco, così
trasciniamo diligentemente i
nostri trolley e valige in giro per la città, guardandoci in
giro meravigliati.
Arriviamo al hotel e depositiamo Mark e la nostra roba in
camera, Mark giura che sistemerà tutto, io potrei giurare
che invece si metterà
a dormire come un sasso.
Decido di portare con me mio figlio solo perché è
iperattivo e non dormirebbe mai, io invece voglio andare a cercare
qualcuno che
ci porti a Poveglia.
“Vengo anche io, vero mamma?”
“No, tu sei piccolo.”
Lui mette il broncio, odia quando gli dico questa frase.
Credo che tutti i bambini odino questa frase, ma
purtroppo questa volta ho le mie ragioni per dirgliela, non posso certo
portarlo in un’isola popolata da chissà che cosa,
non sono nemmeno certa che
venga Mark.
Gironzoliamo un po’ e chiedo a gondolieri e pescatori, ma
tutti mi dicono categoricamente di no, anche di fronte ai miei dollari.
Sto per mollare quando mi sento chiamare, mi volto e mi
trovo davanti a un ragazzo di venticinque anni circa vestito da rapper.
“Sì?”
“Ho sentito che vuole andare a Poveglia.”
“La mia intenzione sarebbe quella, ma nessuno mi ci vuole
portare.”
Lui sospira.
“Hanno le loro ragioni, su quell’isola
c’è qualcosa. Se
vuole la posso portare io, ho una barca.”
“Quanto vuoi?”
Lui alza una mano come a dire che non vuole niente.
“Vorrei una foto con suo marito.”
Io sgrano gli occhi, lui ride.
“L’ho riconosciuta, lei è Skye Hoppus e
questo è Jack.”
“Oh, wow! Va bene, penso che Mark non farà
storie.”
Lui sorride.
“Va bene, ci vediamo al lido verso le otto.”
“Va bene e grazie ancora.”
“Non mi ringrazi, non le sto facendo un favore.”
Si allontana a passo leggermente strascicato, io esulto,
finalmente ce l’ho fatta, qualcuno ci porterà
là! Non vedo l’ora di dirlo a
Mark!
Io e Jack torniamo in albergo e gli concedo di prendersi
un gelato sulla via, almeno ci rimarrà meno male per
stasera. Arrivati in hotel
chiedo alla ragazza che c’è alla hall se per caso
conosce il numero di qualche
brava babysitter perché stasera io e Mark dobbiamo uscire e
non possiamo
portarci dietro Jack.
Lei sorride e mi porge un bigliettino.
“È la mia migliore amica ed è
un’ottima babysitter.”
“Grazie mille, la chiamerò subito.”
Prima però ne devo parlare con Mark e sperare che
accetti.
Apriamo la porta della nostra camera e troviamo i bagagli
più o meno a posto e Mark che dorme sul letto, io mi siedo
accanto a lui e lo
scuoto leggermente.
Lui si sveglia e mi sorride.
“Quanti negozi hai svaligiato mentre dormivo?”
“Nessuno, però ho prenotato una barca per andare
in
un’isola stregata stasera.”
Lui si alza di scatto e mi guarda come se fossi pazza.
“Scusa?!”
Gli racconto succintamente la storia di Poveglia, il mio
desiderio di vederla e l’incontro con il ragazzo, lui scuote
la testa.
“Pensavo ti fosse passata questa fissa per le case o
altro stregate.”
“Temo non mi passerà mai.”
“Se io ti dicessi di no, tu ci andresti da sola,
giusto?”
“Giusto.”
Lui sbuffa.
“Va bene, perché passare la notte in un comodo
letto
quando possiamo passare la notte all’addiaccio su
un’isola stregata?
Io rido.
“Chiamo la babysitter per Jack allora.”
“Chiamala, chiamala.”
Io compongo il numero che mi ha dato la ragazza alla
reception e mi risponde una voce femminile.
“Ciao, sono una delle clienti del hotel Danieli.
La tua amica alla reception mi ha dato il tuo numero,
scusa per lo scarso preavviso, ma avrei bisogno di una babysitter per
stasera e
per stanotte.”
“Va bene, tanto sono libera.”
“Bene, ci vediamo stasera alle sette e mezza. Sono Skye
Hoppus, camera 310.”
“Hoppus?!”
La sua voce trasuda una certa incredulità felice.
“Hoppus, se vuoi Mark ti fa un autografo.”
“Sarebbe troppo chiedere anche una foto?”
Mi chiede con una vocina sottile.
“No, penso di no. A stasera allora.”
Mark ride di gusto.
“Mi stai usando come merce di scambio, tra poco venderai
anche
il mio corpo!”
Io lo fulmino.
“Quello è mio e non si tocca, non è
colpa mia se hai
tanti fan!”
Lui ride e io mi risollevo: il rumore della sua risata è
uno dei migliori al mondo.
Il pomeriggio lo passiamo
passeggiando.
Mark indossa un paio di occhiali da sole scuri e ogni
tanto si ferma per fare delle foto con il cellulare, come i ragazzini e
come
loro scommetto che presto le caricherà su Instagram o
twitter come a sfidare i
suoi fan a trovarlo.
Lui sembra tranquillo, in me invece cresce una sottile angoscia.
Stamattina ero Skye che forse sarebbe andata a Poveglia per passare una
notte
da brivido, adesso sono la Skye che andrà a Poveglia e ho la
curiosa sensazione
che l’isola mi parli. Non sono parole dolci, sono taglienti
avvertimenti di
stare alla larga.
Io cerco di alzare le spalle e non dare loro retta, mi
dico che sono solo suggestioni che derivano dalla sua cattiva fama e
dall’atteggiamento che assumono tutti quando si pronuncia il
nome.
Insomma, non potrà esserci davvero qualcosa in un mucchio
di rovine?
In fondo sarà solo una notte passata all’addiaccio
sperando che l’ospedale o la chiesa non ci cadano in testa.
O no?
Forse le storie sono vere, forse è davvero pericoloso
andarci e io sto mettendo in pericolo la mia famiglia. È
incredibile come una
parola piccola come “forse” possa cambiare le cose
nella tua testa.
“Skye?”
Il suono della voce di Mark mi fa tornare in me.
“Sì?”
“Hai visto qualcosa che ti piace in quella vetrina?
È un
po’ che sei lì ferma.”
Io noto solo ora che mi sono fermata in una vetrina di
oggetti in vetro, oh merda!
“Ehm, quel set di bicchieri è molto
bello!”
Indico un set di bicchieri rossi decorati d’oro, lui
annuisce.
“Vuoi che li prendiamo?”
“Ehm, perché no?
Forza entriamo!”
Sì, entriamo e tu torna in te Skye Everly Hoppus.
Entriamo nel negozio e compriamo i bicchieri, Mark però
non sembra essersela bevuta perché mi si affianca e mi
prende per mano solo per
ottenere l’effetto che Jack si allontani di qualche passo
schifato.
“Cosa avevi prima?”
“Prima? Assolutamente nulla, stavo guardando una vetrina
come fanno milioni di persone.”
“Sì, la stavi guardando così
attentamente che quando ti
ho chiesto cosa ti piacesse sei caduta dalle nuvole.”
Io sbuffo.
“Mark, erano pensieri miei, niente di grave.”
“Non è che hai paura?”
“Io? NO!”
Lui mi guarda e scuote la testa.
“Se lo dici tu.”
Io non gli rispondo, non so per quale motivo non voglio
che lui sappia che una sottile ansia ha preso possesso di me. Non
voglio che mi
prenda in giro, soprattutto quando arriverò alla parte:
“Per me sono gli
spettri dell’isola che ci stanno cacciando!”,
perché è una frase da pazza.
Nessuno mi crederebbe, o no?
Forse i veneziani, ma non mio marito.
Mi distraggo ancora un attimo e non mi accorgo che un
gabbiano gigantesco ha preso il volo davanti a me, me ne accorgo solo
quando è
a venti centimetri dalla mia faccia.
Urlo, mettendomi le mani davanti al volto e facendo
girare tutta la via verso di noi.
“Non sei nervosa, vero?”
“Piantala, Mark!”
Urlo, ancora più nervosa.
Non mi piace la luce che c’è in questo a Venezia,
è
troppo dorata, sembra di stare dentro a un gigantesco forno e fa
apparire
strano riflessi sulle case e rende più buie la calli, tanti orifizi di un corpo
gigantesco e non sempre
benigno.
“Vuoi andare al ponte dei sospiri o in hotel?”
“Andiamo al ponte dei sospiri e poi in hotel.
La babysitter di Jack arriva alle sette.”
“Devo proprio avere una babysitter? Ormai sono
grande.”
“Sì, ne devi avere una. Sei in un paese straniero
e non
hai ancora quattordici anni, a quattordici anni forse si può
iniziare a parlare
di lasciarti a casa da solo.”
Rispondo più seccamente di quello che vorrei con il solo
risultato di ottenere un broncio da mio figlio.
Io sospiro, che gran casino!
Inizia a farmi male la testa e sento che in un punto
imprecisato della laguna qualcosa vuole che io gli stia lontano. Un
qualcosa di
antico e sofferente, arrabbiato con il mondo e desideroso di vendetta.
Arriviamo al ponte dei sospiri, Mark ferma un turista e
gli chiede di farci una foto, noi tre sfoggiamo i nostri migliori
sorrisi, ma
tutti e tre nascondiamo altri sentimenti sotto.
Io una sottile angoscia, Jack l’irritazione del ragazzino
che non si vede riconoscere i suoi diritti e Mark… Non lo
so! Questa volta è
impenetrabile anche per me.
Arrivati in hotel Jack si lancia sotto la doccia, Mark si
butta sul letto – in attesa che il figlio finisca –
e io esco sulla nostra
terrazza che dà sul mare con una sigaretta.
La distesa d’acqua ha preso riflessi rossastri in questo
strano tramonto, che diventa sempre più rosso, un tramonto
di sangue direbbero
nei libri.
Un cielo rosso e arancio, con una sottile striscia di
giallo appena sopra il mare che si incendia e poi si sbiadisce in un
qualcosa
che ricorda una distesa di sangue.
Il fumo della mia sigaretta sale a spirali, normalissime spirali,
quando all’improvviso uno sbuffo si contorce fino a diventare
un volto umano
urlante.
Io sbatto le palpebre incredula, per un attimo mi sembra
di perdere la presa sul mondo, poi torno in me e il mio cervello mi
recita
petulante che sono sul terrazzo di uno degli hotel più
costosi di Venezia, con
una sigaretta in mano ad ammirare un tramonto.
Tutto normale.
Così normale da mettere angoscia.
“Skye!!”
“Sì, Mark?”
“Vuoi fare tu la doccia?”
“Sì!”
Spengo la cicca ormai mezza spenta già di suo nel posacenere
e torno in camera. Prendo le mie cose ed entro in bagno, una doccia mi
farà
bene.
Mi faccio una lunga doccia calda, poi mi asciugo i
capelli e mi vesto: una camicetta azzurra e un paio di jeans stretti e strappati, secondo la moda
corrente.
Mark è l’ultimo a farsi la doccia, indossa una
delle sue
solite magliette della HiMyNameIsMark, un paio di jeans neri, una
camicia e
delle scarpe da tennis, io mi metto degli anfibi nero e prendo una
giacca di
velluto nero.
Durante la cena nessuno parla molto, Jack ci sta tenendo
il muso – soprattutto a me – e Mark è
immerso nei suoi pensieri.
Finita la cena ci sediamo tutti e tre nella hall in
attesa della babysitter, che arriva puntuale alle sette e mezza.
È una ragazza
dai capelli castani che indossa un lungo maglione nero, dei leggins a
righe e
un paio di anfibi rosso scuro.
“Piacere, sono Marta e mi prenderò cura di
Jack.”
Ci dice sorridente e un po’imbarazzata.
Io le sorriso, Mark le stringe la mano facendola
arrossire ancora di più.
“Po-potrei avere un autografo e una foto?”
Gli chiede imbambolata, mio marito annuisce sorridendo e
firma un foglio di quaderno che gli porge Marta e poi io scatto una
foto con il
cellulare della ragazza di loro due sorridenti, lei oserei dire che
è al
settimo cielo.
“Adesso dobbiamo andare, ti lasciamo Jack in
custodia.”
Lei sorride.
“Sono sicura che andremo d’accordo.”
“Ciao, Jack!”
“Ciao mamma, ciao papà!”
Risponde imbronciato lui, guardando con un filo di
malcelata invidia i nostri zaini.
Ora che Jack è in buone mani possiamo affrontare
l’ignoto
e che Dio ci assista.