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Autore: Wkb    03/12/2013    1 recensioni
1587 la colonia di Roanoke sparisce nel nulla, si perdono le tracce di 90 uomini, 17 donne e 11 bambini. Quando John White, che aveva lasciato nella colonia la figlia, riesce a tornare tre anni dopo sull'isola non trova corpi o segni di lotta. Solo vuoto e abbandono. E una parola: CROATOAN incisa su un palo della palizzata Ispirato alla vera vicenda di Roanoke.
Genere: Horror, Mistero, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Virginia, isola di Roanoke
James Hodder era uno di quelli che avevano partecipato al primo tentativo di colonizzazione nel 1585, capitanato da Sir Grenville e Sir Lane. Il capitano Ralph Lane, nonostante si fosse autoproclamato governatore e che fosse il diretto responsabile dei dissidi con i nativi che avevano portato al fallimento della missione, fu tra i primi, e sicuramente il più lesto, a imbarcarsi sulla nave diretta verso l’Inghilterra di Sir Drake, non prima di aver scelto 15 martiri che restassero alla colonia, ad attendere il loro ritorno. Hodder guardò i loro occhi, occhi di chi è condannato a morte. Salì sulla nave e giurò di non rimettere mai più piede su quell’isola maledetta. Eppure, una volta tornato nella sua sporca ma sicura casa londinese, non aveva fatto altro che pensare all’isola di Roanoke, alla sua lussureggiante vegetazione, i grandi alberi maestosi e quelle terribili tempeste che la spazzavano in inverno che quasi sembravano l’inizio dell’apocalisse. Dimentico della fame patita, delle frecce dei selvaggi che fischiavano tutt’intono nella notte, del clima inclemente, neanche un anno dopo il suo ritorno, Hodder si imbarcò nuovamente su una nave capitanata da John White e diretta a Roanoke. Sette navi, 150 coloni tra uomini e donne. Tra quelli, almeno una quarantina di superstiti della prima spedizione, uomini che come lui erano sopravvissuti agli stenti, agli elementi e al cattivo governato di Lane e che avevano, come lui, giurato di non tornarci mai più, attratti tutti da un’inspiegabile malia che li attirava inesorabilmente verso quell’isola dove non arrivava mai lo sguardo del buon Dio. Il 22 luglio del 1587, dopo mesi di navigazione tutto sommato tranquilli, fu scelto insieme ad altri venti per andare in esplorazione dell’isola. John White, James Hodder e altri venti uomini sbarcarono sulle sabbiose spiagge grigie, dirigendosi dove avrebbe dovuto trovarsi la guarnigione lasciata a presidio della colonia. Ovunque, nel piccolo villaggio improvvisato, tracce di miseria, fame, morte e abbandono. L’unico corpo che trovarono fu uno scheletro ricoperto di pelle rinsecchita e abiti a brandelli, seduto contro la parete davanti ad un tavolo in una capanna. Davanti a lui, un paiolo e un piatto di peltro che conteneva ciò che restava di una mano umana, nel paiolo altre ossa. Hodder ebbe la chiaroveggente certezza di quello che era avvenuto, come una visione o un brivido gelato che ti scende lungo la schiena. Impazziti per la fame, quei miserabili, si erano dati al cannibalismo invece di accettare passivi la morte, perdendo ogni possibilità di entrare nel regno dei cieli. White diede comunque ordine di seppellire cristianamente ciò che restava dell’uomo che peggio delle bestie aveva mangiato un suo simile e, di mettere nella stessa fossa poco rispettosamente, anche i resti trovati nel vasellame. Fece giurare a tutti quelli che erano scesi con lui che non si facesse parola di quello che era probabilmente accaduto al presidio, poiché non voleva turbare i coloni con storie poco edificanti sulla follia umana. La versione ufficiale propinata a tutti fu che la guarnigione era stata sterminata da un manipolo di indigeni. Hodder provava una sottile inquietudine mentre guardava gli altri scendere dai brigantini e avvicinarsi alla spiaggia con le scialuppe, una sottile inquietudine che, agli occhi di un marinaio come lui, da presagio diventava certezza, certezza di una catastrofe dal sapore di tempesta.

Ottobre

Eleanor guardava con un sorriso suo marito Annanias Dare cullare la piccola Virginia, il frutto del loro amore, nata da poco più di due mesi. Il tempo fuori dalla stretta finestra della loro casetta di legno stava ingrigendo e il cielo da terso si fece cupo. Quei cambiamenti repentini del clima la mettevano a disagio, la facevano soffocare, sentiva il bisogno di uscire da quella che era poco più di una capanna per andare sulla scogliera a guardare il mare. Mentre prendeva lo scialle, disse al marito he sarebbe uscita a fare quattro passi e magari a trovare suo padre. Fuori dalla casetta l’aria era pesante e umida, sembrava di camminare nel profondo dell’oceano. La palizzata intorno al villaggio era quasi completata e questo ispirava agli abitanti della colonia un sentimento del tutto opposto a quello desiderato. Più che sicurezza, quei lunghi e robusti pali acuminati, davano un senso di incombente minaccia e facevano sembrare una bara fangosa quello che avrebbe dovuto essere un rifugio. Schivando le pozzanghere evitabili e sollevandosi la gonna fin sopra le caviglie, chi badava alla decenza in quel posto dimenticato da Dio, per quelle che non poteva schivare, si avviò con passi agili e svelti fuori da quello che presto sarebbe stato un solido cancello. Si sentiva già meglio, il senso di oppressione le scivolava via ad ogni passo. Arrivò alla scogliera, poco più a nord della spiaggetta su cui erano sbarcati tre mesi prima, con il respiro lievemente affannato. Il mare sotto si agitava e si gonfiava in grossi cavalloni color argento, sentiva il sangue imporporarle il viso di piacere puro, il vento agitarsi furioso intorno a lei facendole gonfiare e sgonfiare lo scialle liso che portava per coprire e proteggere la testa e le spalle da quelle rigide temperature. C’era aria di tempesta, la sentiva che gridava nel vento. Rise di un riso da bambina o da pazza. Il vento gridava ora più forte, e a lei sembrò come di sentire delle voci. Rimproverandosi quelle fantasie da scolaretta o da serva, rimase comunque superstiziosamente in silenzio ad ascoltare. Gridò, perché ora ne era sicura, aveva sentito oltre il rumore del vento e delle onde che si infrangevano sugli scogli, una moltitudine di voci che sussurravano una parola misteriosa e per lei senza nessun significato: CROATOAN. Si allontanò quasi correndo dalla scogliera perché quella parola le aveva fatto venire brividi di terrore sincero.

Novembre
John White parlava a tutti gli uomini riuniti nello spiazzo che si apriva tra le casupole misere e spoglie all’interno del forte sotto una pioggerella fitta ma leggera. George Howe era stato massacrato dalla tribù Roanoke mentre si trovava fuori dal forte alla ricerca di granchi. La situazione si faceva difficile, le provviste erano quasi terminate, i rapporti con gli indiani si facevano sempre più tesi, molte tra le donne e la quasi totalità dei bambini avevano le allucinazioni e sentivano delle voci, questo era senz’altro dovuto alla malnutrizione. Bisognava tornare in Inghilterra a prendere provviste e, a Dio piacendo, rinforzi. Dalla folla si alzò un mormorio concitato e scontento, voci preoccupate di mariti e padri e voci di scapoli un po’ invidiosi che liquidavano la faccenda come fantasie di donnicciole, aggiungendo tristi motti di spirito che non facevano sorridere neanche loro. White alzò la voce per imporsi, quasi gridando che non li avrebbe abbandonati, ricordando a tutti che, in quella colonia, sarebbero rimaste la figlia Eleanor e la nipote Virginia e che non le avrebbe lasciate di certo se avesse pensato solo minimamente potessero correre un pericolo imminente. Se anche qualcuno pensò che, anche volendo, non avrebbe potuto portare via la figlia ormai quasi impazzita del tutto, non lo disse ad alta voce. Uno dei brigantini fu armato con poche provviste e acqua e partì alla volta dell’Inghilterra, carico di speranze e di una ventina di uomini macilenti, White compreso. Eleanor, accucciata in un angolo dell’unica stanza di cui era composta la sua casa, sussurrava dondolando un’unica parola ripetuta all’infinito. CROATOAN. Le voci portate dal vento le riempivano la testa di pensieri e visioni orribili che potevano essere riassunti in quell’unica parola.
Dicembre
Lizzy Dome aveva sette anni. Era rannicchiata in un piccolo lettino improvvisato che divideva con il fratellino di tre anni Jonathan Dome dall’altra parte dello stanza che era sala da pranzo, cucina e camera da letto, loro e dei genitori che dormivano al riparo di una tenda. Il vento ululava forte ma questo non aveva impedito ad una fitta, strana e densa nebbia di strisciare fuori dal bosco e insinuarsi nella palizzata del forte, quasi a lambire le case addormentante. Si svegliò di soprassalto, sentiva nella nebbia il suono ovattato di passi e sussurri. Notò che anche il fratellino era sveglio, così si alzarono e, tenendosi per mano, si avvicinarono alla finestra sollevando la pelle che tentava di impedire con poco successo che freddo e umido entrassero in casa. Non si vedeva nulla fuori, il mondo sembrava immerso in un denso latte corposo, ma arrivavano chiari e ovattati alle sue orecchie, mille sussurri che la invitavano ad uscire, ad andare con loro inframezzando tra le frasi una misteriosa parola CROATOAN. Scambiò appena uno sguardo con il fratellino e, sempre tenendosi per mano, spalancarono la porta uscendo nella notte. James Hodder, era un tipo superstizioso e per colpa di quella strana foschia non riusciva a chiudere occhio. Una forza misteriosa lo costringeva a scrutare la nebbia, sentiva passi e sussurri distanti, uno scalpiccio lieve di piedi nudi. Forse gli indiani approfittando della densa copertura offerta da quel prodigioso capriccio dell’isola erano penetrati nel forte. Aveva paura e teneva tra le mani tremanti il moschetto che sapeva inutile in quell’umidità. Aspettava la fine. Ad un certo punto scorse nella nebbia due figure vicino alla sua finestra, vestititi in fluttuanti vesti bianche e pensò che fossero gli spiriti della guarnigione sparita. Quando gli furono più vicini, si accorse che erano Eleanor e Annanias Dare che teneva tra le braccia la piccola Virginia, in camicia da notte, con gli sguardi spenti e vuoti, i volti pallidi, sussurravano cose incomprensibili e frasi sconnesse, ripetendo spesso la parola CROATOAN. Hodder prese un coltello e uscì di corsa nella notte, bussò a tutte le case vicine trovandole spaventosamente vuote. Vedeva i coloni in abiti da notte camminare soli o in piccoli gruppi tutti nella medesima situazione, gli sguardi vuoti e persi, le labbra sussurranti frasi sconnesse. Avrebbe dovuto lasciare un messaggio a White, così se gli fosse successo qualcosa White avrebbe saputo… Ma saputo cosa? Raggiunse la palizzata e incise l’unica cosa che gli venne in mente per spiegare quella spaventosa processione notturna. Incise una sola parola: CROATOAN. Con lo sguardo improvvisamente spento si unì agli altri nella processione verso l’alta scogliera a picco sul mare. Uno dopo l’altro, come pecore impazzite, gli abitanti dell’isola si gettavano nel vuoto. Neanche un grido, un pianto o un gemito si alzò da loro mentre le onde inghiottivano i 90 uomini, le 17 donne e gli 11 bambini. Quando John White finalmente riuscì a tornare dopo tre anni sull’isola, non c’era più nessuno. Nessun corpo o segno di violenza, nessun messaggio tranne una misteriosa parola incisa sulla palizzata: CROATOAN.
  
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