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Autore: sareschia93    03/12/2013    0 recensioni
Sappi, figlio mio, che sei il frutto di un amore vero, sincero, di un amore così travolgente al quale io e tua madre non siamo stati capaci di opporci, di dire no. Quando la incontrai per la prima volta( lei aveva 25 anni e io 40). Ero un insegnante di italiano e latino in un liceo classico (milanese) ed ero diventato uno scrittore affermato, infatti avevo pubblicato 3 libri di grande successo. (...)
Volevo dare ai ragazzi i mezzi per imparare, per crescere e vederli liberi di scegliere il proprio futuro, ed era proprio per questo che ero diventato un insegnante. Amavo il mio mestiere e lo facevo con passione, era la realizzazione del mio sogno.
Quel giorno, il giorno in cui vidi tua madre per la prima volta, stavo bevendo un caffè con il mio amico Matteo in un bar. Stavamo scherzando e parlando animatamente quando lo sguardo mi cadde su una ragazza seduta al tavolo davanti al nostro. Stava leggendo un libro e sembrava completamente assorta nella lettura tanto da essersi a malapena accorta della cameriera, che era arrivata con la sua ordinazione. Incominciò a sorseggiare il suo tè e forse si sentì osservata perché alzò la testa e
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Sono alla mia scrivania, quella vecchia cosa di legno da cui non riesco a separarmi, anche se tu vorresti comprarmene una di quelle nuove e moderne che si usano adesso. È una fredda giornata di Gennaio, la neve candida scende in piccoli fiocchi e sta imbiancando la città. Prima la guardavo dalla finestra e pensavo a tua madre perché lei adorava guardare scendere la neve, avrebbe potuto stare ore e ore lì in piedi a fissarla senza mai stancarsi. Poi ho deciso di scriverti, ho deciso di scrivere a te, ma soprattutto per te.
 Oramai sono un vecchio barboso, tu invece sei un giovane uomo nel pieno della vita. Sei in quel momento della vita in cui non sei più un bambino e ti affacci all’età adulta pieno di aspettative: la vita, quella vera , inizia solo ora.
Ricordo ancora quando a  6 anni tornasti da scuola piangendo perché, a differenza dei tuoi compagni, non eri riuscito a scrivere bene le lettere dell’alfabeto in corsivo maiuscolo. Cercai di calmarti, poi ci sedemmo proprio a questa scrivania e ti spiegai come scriverle prendendo le tue mani e guidandole attraverso tra le mie. Mentre componevi quei complicati tratti, i riccioli ribelli ti scendevano sul viso, e avevi quell’espressione corrugata tipica di quando ti concentri a fare qualcosa di davvero difficile. Grazie a quell’esercizio imparasti a scrivere le maiuscole, così quando venni a prenderti all’uscita da scuola mi guardasti negli occhi e mi dicesti: “ Sei proprio un bravo papà, ti voglio bene!”. In quel momento mi sentii il padre più orgoglioso e felice del mondo e mi ricordai di quello che una volta mi aveva detto tua madre:  è importante essere per i figli una guida che li aiuti a capire la complessità del mondo, instillando in loro fiducia in se stessi e autostima, io non l’ho mai avuto mentre crescevo.
Così ho cercato di guidarti nella vita prendendo metaforicamente le tue mai tra le mie, proprio come quel giorno avevo fatto.
Sai, per quanto la vita sia meravigliosa, e piena di momenti felici, lo è altrettanto di momenti tristi; gioirai e soffrirai, riderai, ma piangerai anche.
Una volta una scrittrice ha detto che la vita “ è una guerra che si ripete ogni giorno, e i suoi momenti di gioia sono parentesi brevi che si pagano un prezzo crudele”.
Mentre crescerai avrai mille domande, mille interrogativi, ti chiederai perché esisti, perché sei stato messo al mondo, e a volte sarai così arrabbiato da voler spaccare tutto. Non lasciare però che questa rabbia, questo dolore non ti permetta di apprezzare di quelle “parentesi brevi”, cioè del buono e del bello che è ancora intorno a te.
Ama, sogna, pensa, gioisci, canta, balla, scrivi, leggi .…vivi. Vivi intensamente ogni giorno, vivi perché la vita è un dono, vivi fino in fondo nonostante tutto e tutti.
 
Spesso mi capita di pensare al giorno in cui nascesti. Me ne stavo lì in piedi e tenevo la mano di tua madre mentre lei trovava la forza dentro se stessa di spingere un’ultima volta. Mi sentivo impotente perché mia moglie soffriva e l’unica cosa che potevo fare per aiutarla era tenerle la mano. All’improvviso un vagito e infine un pianto straziante: quanta vita era racchiusa in quel suono! In un turbine di suoni e di voci vidi che velocemente venisti lavato, pesato e controllato da uno stuolo d’infermiere. Poi mi venisti consegnato tra le braccia coperto da un lenzuolino. Eri un esserino piccolo e fragile, tutto rosso e con tanti capelli: eri mio figlio. In quell’istante realizzai per la prima volta di essere padre, un padre a tutti gli effetti, capii anche di amarti, e cosa significasse voler dare la vita per il proprio figlio. Da quel momento ti amai sempre di più, tutta la mia vita, tutta la mia esistenza ruotava e ruota tuttora in relazione alla tua, ai tuoi bisogni. Quindi ti scrivo questa lettera per guidarti ,ancora una volta nella vita, attraverso la storia mia e di tua madre.
Sappi, figlio mio, che sei il frutto di un amore vero, sincero, di un amore così travolgente al quale io e tua madre non siamo stati capaci di opporci, di dire no. Quando la incontrai per la prima volta( lei aveva 25 anni e io 40). Ero un insegnante di italiano e latino in un liceo classico (milanese) ed ero diventato uno scrittore affermato, infatti avevo pubblicato 3 libri di grande successo. Collaboravo come pubblicista per alcuni quotidiani e poi partecipavo a numerosi eventi e incontri in giro per l’Italia dove parlavo ai giovani cercando di trasmettere loro fiducia in se stessi e voglia di sognare, di realizzare i propri progetti. Volevo dare ai ragazzi i mezzi per imparare, per crescere e vederli liberi di scegliere il proprio futuro, ed era proprio per questo che ero diventato un insegnante. Amavo il mio mestiere e lo facevo con passione, era la realizzazione del mio sogno.
Quel giorno, il giorno in cui vidi tua madre per la prima volta, stavo bevendo un caffè con il mio amico Matteo in un bar. Stavamo scherzando e parlando animatamente quando lo sguardo mi cadde su una ragazza seduta al tavolo davanti al nostro. Stava leggendo un libro e sembrava completamente assorta nella lettura tanto da essersi a malapena accorta della cameriera, che era arrivata con la sua ordinazione. Incominciò a sorseggiare il suo tè e forse si sentì osservata perché alzò la testa e mi guardò con i suoi grandi occhi verdi. Era di una bellezza particolare: lunghi capelli castani le incorniciavano il visino tempestato da numerose lentiggini.
Continuai a parlare con il mio amico, ma ogni tanto gettavo delle rapide occhiate verso la ragazza, anche se non avrei dovuto. Ero un uomo di 40 anni che guardava una ragazza giovane, molto più giovane di me. Ad ogni occhiata mi maledicevo, ma era più forte di me. Poi lei finì il suo tè, raccolse i suoi libri e se ne andò. Passarono i giorni e mi dimenticai di quella ragazza.
Un mattino presi il treno per andare a lavoro come d’abitudine, quando mi sedetti mi accorsi che sopra il sedile vicino al mio c’era un taccuino, precisamente un moleskine. Mi guardai intorno e non notai nessuno che cercasse qualcosa, così lo presi,  e decisi che lo avrei dato in biglietteria al reparto oggetti smarriti. Poi, in preda a non so quale istinto, lo aprii. Nella prima pagina c’era scritto solo il nome, mentre il cognome non c’era di conseguenza sapevo solo che il moleskine era di una certa Sofia. Sfogliandolo mi accorsi che c’erano varie pagine di diario, ma anche tante citazioni di film, libri, canzoni, scrittori famosi e via dicendo e poi trovai questa poesia:
“Non sento il mio cuore,
freddo e duro come il ghiaccio,
ha vissuto troppi anni di solitudine.
Batte nel mio petto, pompa sangue caldo che
raggiunge  ogni parte del mio corpo, ma
non ha mai battuto per qualcuno,
non è mai stato vivo.
Sento dentro di me solo marmo gelido,
un pezzo di carne atrofizzato.
Amore ,esiste veramente?
Non credo nell’amore,
non vivo amore,
non sento amore…
eternamente sola.”
                                             Sofia

Lessi il suo diario. Lo so, non avrei dovuto farlo, non avrei dovuto violare l’intimità della proprietaria, ma non riuscii a farne a meno. Dopo aver letto il suo diario e la sua poesia, in particolare, m’ invase una tristezza infinita. Come poteva una persona non sentire più il proprio cuore e addirittura sentirsi il gelo dentro? Come poteva non credere nell’ amore solo perché non lo viveva? E poi si sentiva sola, tanto sola. Decisi che avrei incontrato Sofia per restituirle il moleskine, e magari avrei potuto aiutarla in qualche modo.
Andai in biglietteria, e dissi alla commessa di aver trovato un diario, un moleskine nero .Le lasciai il mio numero da dare alla proprietaria nel caso fosse andata per chiedere del suo diario, e di riferirle che l’avevo trovato e preso io. La commessa mi conosceva perché prendevo tutti i giorni il treno e poi ero “lo scrittore famoso” quindi non fece obiezioni.
Dopo un paio di giorni la ragazza del moleskine mi chiamò: diceva di chiamarsi Sofia e mi ringraziava per aver trovato il moleskine, ovviamente lo rivoleva indietro. Le detti appuntamento per il giorno dopo proprio nello stesso bar in cui ero stato con il mio amico Matteo.
Quel pomeriggio, il pomeriggio del nostro primo incontro, ero abbastanza nervoso. L’idea di incontrare una sconosciuta di cui avevo letto i suoi pensieri più profondi e più intimi mi faceva sentire colpevole e allo stesso tempo curioso Si perché ero curioso di  vedere il suo volto, le sue espressioni, i suoi occhi, ma allo stesso mi sentivo tremendamente male per aver letto qualcosa che non mi apparteneva.
Stavo sorseggiando il mio caffè bollente, come piace a me, e pensavo a tutte queste cose, quando una ragazza dai capelli castani che spuntavano da un cappello nero si avvicinò sorridendomi.
“Ehm…buonasera, sono Sofia la ragazza del moleskine”.
Rimasi un attimo perplesso, anzi direi sorpreso perché la ragazza del moleskine era la stessa ragazza dagli occhi verdi che avevano incontrato i miei una settimana prima proprio in quello stesso bar.  
“ Piacere io sono Riccardo!”- gli tesi la mano per stingergliela.
Lei me la strinse e poi disse: “So chi è lei, ho letto i suoi libri, la conoscono praticamente tutti”.
“Bene mi fa piacere che lei…che tu, se posso darti del tu, sei una ragazza così giovane, abbia letto i miei libri”.
“Certo, mi dia pure del tu”.
“Prendi qualcosa da bere, magari un caffè?”
“ No, niente grazie. Purtroppo non ho molto tempo, quindi se non le dispiace vorrei riavere il mio moleskine. “. Beh, era una ragazza molto diretta.
“ Certo, hai perfettamente ragione…ecco qua, tieni!”.
“ Grazie mille, ci tengo molto a questo moleskine!”
“ Mi fa piacere essere stato utile!”
Poi lei si alzò, mi strinse di nuovo la mano, disse che era stato un piacere avermi conosciuto, mi ringraziò ancora e se ne andò.  Fine della storia.
Scherzo! Se fosse stato realmente così non saresti mai nato. La storia va avanti invece, e lo fa grazie a un pezzo di carta. Proprio nella pagina della poesia che ti ho fatto leggere le avevo lasciato un pezzetto di carta in cui avevo scritto:
“L’amore esiste, eccome. E secondo me, in fondo in fondo ci credi pure tu. Lo so, ho letto e non dovevo…non ti arrabbiare, ti voglio solo aiutare. Può essere difficile credere che esista una persona in questo mondo che meriti il nostro amore, ma l’amore esiste, nessuno di noi riesce a vivere senza amore. A un certo punto della nostra vita siamo tentati a cercarlo perché speriamo che la persona che cerchiamo esista, ed è proprio quello che inconsapevolmente stai facendo tu: sei alla ricerca dell’amore e questo vuol dire che sei viva, eccome se sei viva!”
Speravo che quel bigliettino avrebbe potuto aiutare quella ragazza. Vedi, figliolo, le parole sono molto più potenti di quanto possiamo immaginare. Le parole, quelle giuste ci portano a fare cose mai pensate e del quale probabilmente non ne avremmo la forza. Poi però ci sono le parole sbagliate, quelle invece hanno il potere di abbatterci e di demolirci. Ero dotato di una sola cosa: delle parole e poterle usare per dare forza a qualcuno era la cosa che più mi rendeva felice, era ciò che dava un senso alla mia vita. Non sapevo di preciso quali conseguenze avrebbero prodotto quelle parole, ma speravo che non sarebbero passate inosservate.
Passarono i giorni, le settimane e poi i mesi, non seppi più nulla di lei. In quel periodo pubblicai un altro libro, la sua presentazione mi impegnava molto, in più c’era il mio lavoro di professore, così quasi mi scordai di quella ragazza. La rincontrai il giorno della presentazione del mio romanzo in una libreria di Milano, fu lei a cercarmi e a venire da me e ora ti racconto come.
  
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