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Autore: IamCrazy    03/12/2013    4 recensioni
"Izaya era falso, più lo guardava e meno gli piaceva.
Se Shinra gliel’aveva presentato sperando che diventassero amici, beh, la sua stupidissima idea era da considerarsi morta sul nascere.
Nella sua mente, aveva già deciso.
-Tu non mi piaci-, sentenziò astioso, interrompendo l’irritante chiacchiericcio dei due ragazzi davanti a lui.
La loro ipotetica amicizia terminava lì."
Song-fic che tenta di descrivere lo strano rapporto tra Shizuo e Izaya dal punto di vista del primo...
(Chi vuole vederci all'interno accenni di Shizaya è liberissimo di interpretarla così~)
Genere: Angst, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Izaya Orihara, Shizuo Heiwajima
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I see nothing in your eyes
And the more I see, the less I like
Is it over yet? In my head…

 
Non vedo niente nei tuoi occhi
E più guardo, meno mi piace ciò che vedo
È già finita, nella mia mente?
 
 
Se è vero che gli occhi sono lo specchio dell’anima, allora era abbastanza sicuro che Izaya non ne avesse una. Perché non vi aveva visto nulla all’interno, quella prima volta a scuola, nulla che non fosse artificiosamente costruito, quasi studiato.
Shizuo non l’aveva realizzato subito, ma anni e anni di odio reciproco passati a rincorrere quell’essere insopportabile per tutto il quartiere dove, in teoria, la pulce non avrebbe più dovuto mettere piede, l’avevano costretto, suo malgrado, (perché di certo ripensarci non giovava alla sua già scarsissima pazienza), a tornare ad analizzare il loro primo incontro.
Lì per lì non aveva compreso quale fosse stato l’elemento scatenante, né se ce ne fosse stato effettivamente uno in particolare, gli pareva che qualsiasi cosa in lui lo irritasse come nient’altro aveva mai fatto prima: sia le voci che giravano sul suo conto, o forse il fatto che lo stesse applaudendo come se si trovasse davanti a una bestia da circo, la sua voce incredibilmente cantilenante, troppo affettata, accompagnata dal suo ridicolo gesticolare da attoruncolo navigato. Persino il suo odore lo nauseava!
Insomma, tutti validi motivi.
Ma ripensandoci, aveva capito che non era stata la sua voce con quel tono sfacciatamente provocatorio e trasudante ostentata superiorità, né la curva sottile delle labbra che si arricciava in un ghigno che fingeva di sforzarsi di somigliare a un sorriso, senza averne davvero l’intenzione. Un sorriso che non coinvolgeva gli occhi.
Era stato incatenando lo sguardo al suo, che aveva sentito le sue viscere già provate dal fastidio, venire attanagliate dal disgusto, contorcendosi in violenti spasmi d’ira fino ad appannargli la vista, avvelenandogli l’intero organismo.
In quelle iridi di un comune marrone scuro, incastonate nel taglio affilato degli occhi, aveva letto qualcosa che, senza sapere bene perché, lo aveva allarmato, intimandogli di tenerlo più distante possibile.
Di una cosa era certo: non si poteva fidare.
Izaya era falso, più lo guardava e meno gli piaceva.
Se Shinra gliel’aveva presentato sperando che diventassero amici, beh, la sua stupidissima idea era da considerarsi morta sul nascere.
Nella sua mente, aveva già deciso.
-Tu non mi piaci-, sentenziò astioso, interrompendo l’irritante chiacchiericcio dei due ragazzi davanti a lui.
La loro ipotetica amicizia terminava lì.
 

 
I know nothing of your kind
And I won’t reveal your evil mind
Is it over yet? I can’t win

 
Non so niente di quelli come te
E non rivelerò i tuoi pensieri malvagi
È già finita? Non posso vincere

 
 
 
Nonostante ciò che sembrava ai più, Shizuo aveva un’indole abbastanza pacifica, non per niente aveva sempre affermato che come ambizione nella vita, gli sarebbe bastato di poterne vivere una tranquilla. Come il tutto cozzasse in modo tanto evidente da sembrare ironico con la sua scarsissima capacità di autocontrollo era un qualcosa che contrariava lui stesso prima che tutti gli altri. Persino il suo fisico, slanciato e non particolarmente muscoloso, era in contrapposizione con l’assurda forza distruttiva che lo caratterizzava una volta perduta la pazienza, trasformando quello che all’apparenza era un ragazzo abbastanza comune (divisa da barista a parte), in una specie di mostro.
Non c’era da stupirsi quindi se davanti alla sua affermazione sull’odiare la violenza, la gente fosse portata a reagire con scetticismo, dato che Shizuo sembrava l’incarnazione stessa della violenza. La sua vera natura restava dunque celata dal muro di rabbia che lo separava dal mondo, una continua esplosione innescata da una miccia difettosa in quanto sovraeccitabile, che sollevando un immenso polverone non permetteva di scorgere cosa nascondesse.
Per questa sua doppiezza, questo suo lato segreto che se ne rimaneva sopito tra le macerie della sua frustrazione, troppo stanco e rassegnato per tentare di farsi vivo e lasciarsi comprendere dopo anni di schiaccianti delusioni e fallimenti, Shizuo aveva provato da subito una repulsione fortissima per Izaya, una rabbia sorda, un disprezzo che seppur all’apparenza immotivato si rivelò giustificato col passare del tempo.
Perché Shizuo era probabilmente uno dei pochissimi ad aver letto subito oltre la facciata disponibile del moro, scoprendo in lui quel lato mostruoso e così poco umano che lo faceva impazzire di rabbia e che gli aveva fatto decidere fin da subito di non voler avere niente a che fare con un tipo come lui, ma allo stesso tempo, davvero, non lo capiva.
Perché?
Non aveva un cazzo di problema quella pulce, da quello che gli era dato sapere, di sicuro almeno non aveva i suoi problemi di scarso controllo, tutt’altro!
Izaya era così dannatamente finto che si domandava se ci fosse davvero qualcosa sotto o non fosse egli stesso solo una menzogna.
Allo stesso tempo però, sentiva una stranissima affinità.
-Scommetto che Izaya è come me-, aveva confidato una volta a Celty, mentre tentava di calmarsi dopo l’ennesima azzuffata risoltasi nell’ennesima camicia tagliuzzata da rammendare. Quel pensiero non lo rinfrancava neanche un po’. Ma era la verità.
Come lui, Izaya passava la vita da solitario, senza vere e proprie amicizie. Ciò che disturbava il biondo era non solo l’avere dei punti in comune con un essere così ripugnante, ma il non comprendere cosa spingesse l’altro a buttare all’aria ciò che lui non avrebbe mai avuto, per quanto lo desiderasse e cercasse di ottenere.
Izaya non era in balia delle emozioni, si chiedeva persino se ne provasse di sincere o se decidesse quale indossare a seconda della situazione.
Si trovava davvero bene da solo? Così bene da rendersi inavvicinabile da chiunque?
Shizuo detestava farsi domande su di lui, eppure, nonostante si ripetesse che non gli interessasse portare alla luce quali fossero i pensieri contorti e malevoli dell’altro, continuava ad arrovellarsi finché il realizzare di starlo facendo non lo portava a prendersela con qualche povero passante o con la segnaletica stradale.
Vallo a spiegare che non era colpa sua se diventava violento, ma di quella sottospecie di pidocchio! Lui la odiava, la violenza, e odiava quegli sguardi sgranati nel terrore al suo passaggio, a ricordargli che non era certo ciò che gli altri pensavano di lui.
La verità però era da entrambe le parti: era vero che Shizuo odiasse la violenza come era innegabilmente vero che se c’era un aggettivo adatto a descriverlo fosse, appunto, violento. Quindi la soluzione era ridicolmente semplice: Shizuo si odiava.
E odiava ancor di più quella dannata pulce quando, sorridendo di quel sorriso falso, gli ripeteva che era un mostro.
Perché non poteva smentirlo, sapeva di esserlo, faceva male ma era vero.
Lo odiava, perché a differenza sua, Izaya non si faceva problemi a mostrarsi in tutta la sua disumanità, ma anzi, la esibiva come un trofeo.
E non aveva possibilità di vincere, quando per lui quel trofeo non era che un fardello.
 
So sacrifice your self
And let me have what’s left
I know that I can find
The fire in your eyes
I’m going all the way
Get away, please
You take the breath right out of me
You left a hole where my heart should be
You’re gonna fight just to make it trough
‘cause I will be the death of you
 

Allora sacrifica te stesso
E fammi avere ciò che resta
So di poter trovare
Il fuoco nei tuoi occhi
Io andrò fino in fondo
Tu vattene, per favore
Mi togli il respiro
Hai lasciato un vuoto dove dovrebbe esserci il mio cuore
Dovrai combattere se vuoi sopravvivere
Perché io sarò la tua morte
 
 
Ma forse non era solo questo a innervosirlo. Non era solo il venire sbeffeggiato, insultato, preso in giro da anni, né il naturale astio che tutti proverebbero verso una persona così meschina. A dargli da pensare, per quanto odiasse farlo, era proprio quel riconoscersi in lui, sebbene -fortunatamente!- solo per quell’unico aspetto.
Quell’essere allontanati, il dover convivere con se stessi, il non riuscire a lasciar trapelare quel lato nascosto di sé.
Forse la differenza tra loro era ancora più semplice del previsto: mentre uno lottava per farsi capire, l’altro non permetteva a nessuno d’intravedere qualcosa oltre l’odioso ghigno che sfoggiava perennemente.
Si chiedeva se anche lui non avesse un odio verso di sé, così forte da costringerlo a seppellirsi sotto strati e strati di facciate egocentriche e ambigue; ma poi gli tornava in mente il modo in cui aveva orchestrato disgrazie altrui senza battere ciglio e senza il minimo rimorso, sentirlo parlare degli “umani” come lui fosse a un livello superiore, una specie di dio burattinaio che aveva diritto d’interferire con le vite degli altri senza una vera ragione, solo per divertirsi.
E allora si sentiva un ingenuo ad avere dubbi del genere, ad aver provato empatia per qualcuno che non meritava di essere compreso né la fatica di tentare di farlo!
Eppure qualcosa, forse il suo istinto, insisteva a pungolarlo sulla questione, e dopo anni di quel continuo domandarsi in silenzio, oltre al solito disprezzo e rabbia, era venuto a sommarsi un senso di pietà, che non aveva niente a che vedere con la compassione ma era pura e semplice pena.
Non c’era nulla di positivo in quel nuovo sentimento, non avrebbe portato ad alcuna svolta nel loro rapporto, ma era lì, era sorto in lui e aveva messo radici, costringendolo a guardare l’Orihara sotto una luce differente, sempre sfumata nel rosso della rabbia accecante ma pur sempre diversa.
E si rese conto che forse una possibilità di vincere l’aveva eccome: lui l’umiltà di riconoscersi problematico l’aveva avuta, l’altro era impegnato a costruirsi un piedistallo da cui osservare le debolezze altrui senza degnare di un’occhiata le sue.
Forse non era neanche ipocrisia, il moro pareva davvero non rendersi conto o non voler vedere la situazione disastrata in cui versava. Nonostante ciò, incredibilmente il tutto gli procurò ancora più rabbia nei suoi confronti.
Sapere che avrebbe potuto vivere una vita normale se avesse ammesso di essere anche lui un umano, il vederlo distruggersi con le sue stesse mani, quasi con masochistico compiacimento, lo turbava.
Avrebbe avuto voglia di strappargliela quella maschera, di ridurre a brandelli ogni traccia di strafottente baldanza, ma non per umiliarlo o per senso di vendetta, ma per scoprire cosa diavolo ci fosse sotto. Per vedere ciò che restava dopo aver distrutto ogni bugia, eliminato ogni traccia di megalomania, smembrato quella sua aria distaccata e indifferente che lo faceva sembrare impenetrabile e privo di coscienza, e a quel punto guardarlo negli occhi, per vedere se davvero erano vuoti.
Sapeva che non li avrebbe visti assenti, lo sentiva.
Lo sapevano in pochi, ma gli occhi di Izaya non erano del tutto marroni. Se n’era accorto anni prima, in uno dei loro incontri/scontri a distanza un po’ troppo ravvicinata, e ne era rimasto colpito: intorno alla pupilla, piccole screziature rossastre si diramavano fino ai contorni dell’iride, accendendo il suo sguardo di una scintilla così viva da far vacillare tutto ciò che aveva sempre pensato di lui.
Quello sguardo era tutto tranne che spento. E non era neanche lo sguardo indemoniato di un mostro senz’anima, per quanto sarebbe stato facile pensarlo, perché ne era sicuro, Izaya un’anima l’aveva eccome.
Tormentata, disperata, dilaniata, ma c’era.
Per questo Shizuo non lo capiva davvero, quell’idiota. Perché fingersi così apatico, così al di sopra dei problemi altrui, così vuoto e annoiato da doversi trastullare con le vite di altre persone per sentirsi vivo, invece di decidersi a vivere davvero?
Soprattutto quando poi, dentro di sé, serbava quel fuoco che crepitava furioso nelle sue iridi d’un tratto molto più umane, sofferenti.
Non ci credo più Izaya, l’ho vista quella scintilla nei tuoi occhi. C’è troppo fuoco là dentro perché tu possa essere così insensibile.
Avrebbe voluto dirglielo, sul serio. Sbatterlo al muro e urlargli contro che si era stufato di lottare contro un codardo che neanche riusciva a guardarsi dentro.
Certo, erano solo supposizioni dettate dal suo istinto, ma aveva imparato che il suo istinto funzionava molto meglio della sua ragione.
Ma alla fine non faceva niente, se non lasciarsi dominare dalla rabbia, facendo sì che il tutto sfociasse nella solita azzuffata.
Non ce la faceva più. Perché continuare a pensare a quel cretino?
Cos’è, era preoccupato per lui?! Ma neanche per idea!
Non lo voleva nella sua vita, se ne fosse uscito seduta stante non gli sarebbe importato un bel niente delle motivazioni per cui agiva come lo stronzo che era, anzi ne sarebbe stato finalmente sollevato.
Perché cavolo non poteva lasciarlo in pace? Perché non permettergli di vivere una vita anche solo leggermente più normale?
Eppure gliel’aveva detto di non farsi più vedere a Ikebukuro, o meglio, aveva minacciato di ucciderlo così tante volte che si domandava come cavolo potesse essere ancora vivo.
Vattene.
Gliel’aveva intimato in tutti i modi, ma dopo qualche tempo il suo odore tornava ad aleggiare tra le vie del quartiere, facendolo imbestialire. Già ci pensava abbastanza di suo, non poteva evitarlo, ma ritrovarselo tra i piedi era davvero troppo per i suoi poveri nervi.
Vattene, cazzo.
Era una presenza intossicante, che lo soffocava, era opprimente persino quando non c’era, lasciandolo in allerta e frustrato. Sentiva che non si sarebbe mai liberato di quella zecca.
Vattene…per favore, vattene.
Ma dato che nonostante il suo volere il moro avesse tutt’altre intenzioni, aveva semplicemente deciso che non gli importava se sfogando la sua rabbia avrebbe dato credito alle sue parole velenose, se sarebbe stato come sempre ritenuto un mostro dai passanti, se faceva esattamente il suo gioco, permettendogli di condizionare il suo umore e comportamento. Non ne valeva la pena.
Non con la principale causa dei suoi problemi, non con colui che lo aveva disilluso dall’ideale di una vita serena aizzandogli contro bande di teppisti fin dai tempi delle superiori e diffondendo voci sul suo conto.
Non si sarebbe trattenuto, non ci avrebbe neanche provato, avrebbe accolto la rabbia a braccia aperte per poi riversarla su quel coglione ghignante.
Gli conveniva tenersi pronto, perché lo aveva giurato, un giorno di quelli lo avrebbe ucciso.
 
 
This will be all over soon
Put the salt into the open wound
Is it over yet? Let me in

 

Tutto ciò sarà presto finito
Versa il sale nella ferita aperta
È già finita? Lasciami entrare
 
 
Sì, presto lo avrebbe fatto fuori, poco ma sicuro.
…e allora perché erano ancora al punto di partenza? Perché dopo anni continuavano a inseguirsi e a lanciarsi oggetti come coltelli, o nel suo caso anche i guardrail andavano bene, e ad uscirne entrambi illesi ogni fottuta volta?
Lui lo voleva morto, davvero! Lo voleva con tutto sé stesso, com’era possibile non ci fosse ancora riuscito?
Una parte di lui iniziò a chiedersi se non si stesse sabotando da solo.
Ok, era vero che un minimo di soddisfazione la provava nel ritrovarsi davanti l’informatore, una sorta di scarica adrenalinica all’idea di quello che gli avrebbe fatto una volta preso, (se solo si fosse lasciato prendere, il bastardo); ma da qui a credere di essere finito in un circolo vizioso non era possibile!
Tutt’al più era Izaya che a volte pareva cercarlo, confondendolo. Certo, era uno stronzo, quindi non si stupiva troppo del fatto che si divertisse a infastidirlo…ma non la sentiva quella morsa allo stomaco, quel senso di nausea, quel desiderio bruciante di sapere l’altro fuori dalla sua vita per sempre?
Shizuo sapeva di odiare Izaya. Lo detestava così tanto che gli era impossibile non finire a pensare a lui almeno una volta al giorno rovinandosi l’umore per il resto della giornata, che era arrivato a sognarlo tanto non lo sopportava, e che avrebbe pagato oro pur di saperlo emigrato all’altro capo del mondo.
Izaya gli aveva sempre detto di odiarlo.
Perché cazzo era sempre tra i piedi, allora?? Perché continuava a infierire su quella condizione precaria, perché non sentiva come lui il bisogno fisico e mentale di non vederlo mai più?
Ok che quel tipo era sempre stato strano, ma tutto ciò non quadrava comunque.
E allora la domanda che sorgeva spontanea era in quale modo contorto Izaya interpretasse il suo odio per lui, del resto se davvero era convinto di amare gli umani e poi li trattava a quel modo era evidente che avesse dei problemi relazionali notevoli.
Una vocina, al margine dei suoi pensieri, gli suggerì che l’ossessione che aveva verso di lui poteva anche essere dovuta al fatto che il loro era uno dei rarissimi legami che la pulce aveva coltivato negli anni, e si chiese se anche da parte sua vi fosse un intento omicida come dichiarava o se invece quel rincorrersi come pazzi in eterno non fosse ciò a cui aspirava.
Alimentando giorno dopo giorno quell’odio che gli impediva di fare finta che non esistesse.
Era una roba talmente malata che rabbrividiva al pensiero.
Ed era triste, al contempo.
Oh diamine! Non gliene fregava nulla, anche perché era inutile tentare di capire cosa gli passasse nella testa quando quello faceva di tutto per essergli così sfuggevole e imperscrutabile.
Anche se lui era stato capace di inquadrarlo sin dal primo incontro.
Solo che, a parte quella prima volta, in tutti quegli anni a seguire che progressi aveva fatto? Nessuno.
Non si può aiutare chi non lo permette.
Non avrebbe mai potuto fare niente se non fosse stato finalmente sincero e avesse abbassato la maschera.
Non posso salvarti, se non mi lasci entrare.
 
 
I’m waiting
I’m praying
Realize: start hating!
 

Sto aspettando
Sto pregando
Realizzo: comincio a odiare!
 
Aspettava, Shizuo, non poteva fare altro.
Con la perfetta consapevolezza che quel gioco infernale non sarebbe terminato, dato che Izaya non pareva intenzionato a lasciarsi dimenticare, ripiombando nella sua vita a suo piacimento senza mai spezzare quella morbosa tradizione, quella fottuta catena che li teneva legati da anni.
Non importava quanto l’avrebbe desiderato, sembrava un qualcosa destinato a non concludersi.
E tutte le volte che si rendeva conto che in fondo lui stesso stesse alimentando quella situazione insana, Shizuo Heiwajima, l’uomo più forte di Ikebukuro, la cui forza distruttrice aveva fatto tanto parlare, rovinandogli la vita, si sentiva impotente.
In trappola.
Non c’era via d’uscita, sapeva che non avrebbe mai smesso di inseguirlo.
E ogni volta che lo realizzava, Shizuo sentiva di tornare a odiarlo, in maniera sempre più feroce. Anche se così facendo era ben lontano dall’essergli indifferente e dallo spezzare la famosa catena, ma davvero, era troppo, troppo insopportabile quella pulce maledetta per impedirsi di detestarlo!

Per questo doveva sbrigarsi a ucciderlo.
Stava assecondando un pazzo, doveva darci un taglio, prima di diventarlo anche lui.
 

 
 
 

 
 
Note:
Well…se siete arrivati fin qui, un applauso, sul serio.
Io TENTO di scrivere poco e in modo conciso, ma ahimè, ho questa particolare propensione allo sproloquiare ^^”
Bene, questa song-fic prende ispirazione da una canzone (maddai! D:), chiamata appunto Breath, di Breaking Benjamin u.u
E niente. È Shizuo che parla di Izaya *-* almeno così mi ha ispirata u.u
Mi spiace se è tutto un po’ incoerente, faccio apparire Shizuo come uno schizofrenico, lo so, ma…in fondo Shizu-chan ha davvero qualche contrasto interiore, neh? (più di uno, a parer mio).
Quindi, con questa roba contorta mi affaccio al fandom di durarara, anime che ha infierito notevolmente sulla mia scarsa sanità mentale <3
Siate buoni XD (Scherzo, potete criticare quanto vi pare, siate crudeli!!!)
  
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