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Autore: Tsubaki3    03/12/2013    2 recensioni
Vedendo il sole sparire lentamente verso l’orizzonte e i suoi raggi tingere delicatamente l’acqua di lievi e sgualciti colori. Tu ti fermasti a osservarlo: era evidente che quello spettacolo ti piaceva, infatti non dovetti aspettare molto prima che la tua voce si rivolgesse a me per condividere quel momento, che era improvvisamente diventato un’importante ricordo.
“Sono belli i tramonti.” mi dicesti sorridendomi e poi mi domandasti “Ichigo, a te piacciono?”.
“No, non mi piacciono i tramonti Okaasan.” risposi io, negando anche con il capo.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kurosaki Ichigo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando tramonta il sole
 
 
 

L’odore dell’acqua del fiume mi punge il naso, oggi più del solito.
Non so perché mi sono fermato qui. Sarei dovuto andare a casa, mi sarebbe bastato seguire la strada costeggiata dai muretti di altre abitazioni e, al suo termine, girare a destra. Giunto lì avrei visto il familiare ambulatorio dalle porte di vetro automatiche, mentre sopra di lui, il bianco edificio mi avrebbe mostrato un paio di finestre al cui centro si trova il piccolo balcone arricchito dai fiori di cui Yuzu si occupa ogni giorno.
Invece sono qui. Forse sto aspettando che accada qualcosa, o probabilmente, al contrario, spero che non succeda nulla.
Qui, su questa sponda, mi sono rifugiato innumerevoli volte da bambino, anche se “rifugiato” è il termine sbagliato. In realtà io ti aspettavo. Sempre.
Guardavo l’acqua pensando che avrei potuto, anzi, che avrei dovuto fare qualcosa e invece ti ho semplicemente lasciata andare.
Sono io il responsabile di tutto, l’ho sempre saputo. Se Yuzu e Karin non possono ricordarti sorridere, è solo colpa mia. Se il vecchio sente la tua mancanza ogni giorno è a causa mia. 
Nessuno l’ha mai detto apertamente, ma io so che se non puoi riempire le loro giornate di luce, è perché io sono ancora qui. Non è stato giusto il fato, si è accanito sulla persona di cui avevamo più bisogno, è stato sleale. Tuttavia, la cosa che mi fa più rabbia è: che nonostante il mio nome, malgrado i miei più sinceri desideri, sono rimasto inerme. Certo, non avevo le capacità per cambiare le cose, eppure fa così male pensare di essere rimasto lì lasciando che tutto avvenisse. Poiché colui che non fa nulla per evitare un’azione tanto terribile, non è meno colpevole del carnefice, che gode, che gioisce nel vedere il sangue fluire dal corpo della sua vittima. Spaventoso era il tuo boia, mentre io, dinnanzi a tutto ciò, ero orribilmente impotente.
Ero debole, ma non lo sarò di nuovo. Proteggerò tutte le persone che mi stanno accanto; non permetterò a nessuna di loro di dissolversi davanti ai miei occhi. Non mi concederò un'altra volta di essere inutile come quel dì.
Non voglio passare i miei giorni a fissare il fiume. Non voglio più aspettare nessun ritorno. Attendere è straziante; ogni respiro ti dilania, il tempo non accenna a muoversi fluentemente come fa di solito, ma la cosa peggiore è che la mente si fissa su quel singolo evento, come se quanto avvenuto fosse in realtà un cortometraggio che si ripete all’infinito. Eppure non puoi spegnere lo schermo quando non riesci a continuare a osservarlo, perché sai le battute a memoria o, ancora, perché conosci già come andrà a finire. Purtroppo non basta illudersi che la conclusione cambi. In queste situazioni cedere alla speranza è il peggiore sbaglio che si possa commettere. Essa t’inganna e, soggiogandoti, ti fa perdere sul suo sentiero ricco di vani miraggi i quali, certamente, non si realizzeranno. Semplicemente le ferite ci metteranno maggior tempo a cicatrizzarsi; ciò nonostante, non è il segno indelebile che rimane da dover temere, bensì il processo. Tutto fuorché analgesica è la normale elaborazione degli eventi, ma unita a quell’effimera ancora che t’incatena cuore e mente, lo diviene persino di più. 
Alzo lo sguardo dall’acqua e noto che, ora, si sta tingendo di rosso il cielo. Le sfumature rosate si accendono tutt’attorno a quel sole scarlatto che cala lentamente, disperdendosi poi in quell’immenso azzurro.
Sospiro, è più forte di me e non riesco a trattenerlo. Ho sempre odiato il tramonto, tuttavia a te piaceva.
Ricordo ancora quel giorno. Stavamo tornando a casa dal mio club di karate, dopo essere stato nuovamente battuto da Tatsuki. Avevo pianto anche quella volta, ma le lacrime avevano smesso di scendere nel momento in cui ti avevo vista entrare e subito mi era nato il sorriso sulle labbra.
Felice di starti anche solo vicino, ti davo la mano, mentre stavamo camminando proprio lungo questa sponda, vedendo il sole sparire lentamente verso l’orizzonte e i suoi raggi tingere delicatamente l’acqua di lievi e sgualciti colori. Tu ti fermasti a osservarlo: era evidente che quello spettacolo ti piaceva, infatti non dovetti aspettare molto prima che la tua voce si rivolgesse a me per condividere quel momento, che era improvvisamente diventato un’importante ricordo.
“Sono belli i tramonti.” mi dicesti sorridendomi e poi mi domandasti “Ichigo, a te piacciono?”.
“No, non mi piacciono i tramonti Okaasan.” risposi io, negando anche con il capo, ma all’epoca ero un bambino e ancora non avevo capito perché non m’incantasse vedere il sole accoccolarsi lentamente sulle montagne che facevano da sfondo al paesaggio.
“È un peccato, sono così romantici.” ribadisti tu con la tua voce dolce, che mi rassicurava sempre. Come quando la sera veniva l’ora di andare a dormire, ma proprio non ce la facevo ad addormentarmi senza la luce accesa, così, con la stessa gentilezza che mettevi in ogni tua parola, ti avvicinavi a me sorridendomi con quella delicatezza che riservavi a tutti quelli che ti amavano. Ti sedevi sul mio letto e mi carezzavi la testa rincuorandomi che non ci sarebbe stato nessun mostro celato nell’oscurità, poi sussurravi la nostra magia scaccia paura; era solo una sciocca filastrocca che avevamo inventato insieme, ma mormorata dalle tue labbra prendeva vita aderendo completamente al mio cuore. Mi riempiva di coraggio vedere la convinzione con cui la recitavi, mi pareva che ci credessi fermamente, come fosse una delle colonne portanti dei tuoi ideali. Solo dopo averla conclusa, quando vedevi i miei occhi divenire liquidi e assonnati, mi davi un bacio sulla fronte, come fossi la cosa più preziosa della tua vita, lasciando che la stanchezza facesse il suo dovere e mi accompagnasse in un mondo dove c’erano solo albe e pomeriggi passati con te.
Unicamente diversi anni più tardi capì che non amavo i tramonti perché sono tristi. Sono tristi, perché la giornata sta ormai giungendo agli sgoccioli e quei momenti, quelle sensazioni, quelle parole non  potranno più sfiorarmi la pelle come gentili gesti di affetto. Non potrò mai più risentire il tuo profumo Okaasan. Mai il mio naso potrà ricongiungersi con l’odore di mamma.
Okaasan, come può essere romantico qualcosa che ti porta via tutto ciò?
Sai, mamma, nella nostra famiglia eri tu il sole. Tutto ruotava attorno a te, e vederti sparire era una cosa che un bambino come me, che tanto adorava la sua mamma, non poteva sopportare. È una cosa che un ragazzo come me, che tanto ha amato la sua mamma, tutt’ora non può ancora accettare.
Eri un po’ strana mamma. C’erano cose di te che non capivo, una di quelle era la tua passione per la pioggia. Davvero, non ho mai capito come tu potessi apprezzarla. Dicevi sempre che ti piaceva osservarla, perché era come se le gocce d’acqua, che si libravano nell’aria, danzassero per donare alle persone la gioia che una giornata grigia toglieva. Eppure, a me non è mai piaciuta nemmeno la pioggia. Forse era perché da piccolo mi pareva che fosse malinconico il cielo, che piangesse.
Adesso invece non riesco a sopportarla perché mi riporta qui. Ogni goccia diviene inesorabilmente una lama che mi taglia, che mi ferisce. In parte, credo che sia la mia punizione, anche se sono consapevole di quanto sia lieve in confronto al peccato che ho commesso. Non potrò mai redimermi da ciò. La mia anima è inesorabilmente macchiata e forse, quando verrà il momento, sarà guidata dove deve da una farfalla nera.  
Non dovrei chiedertelo, ma Okaasan, potrai mai perdonarmi? Non volevo, davvero.
Non sai quante volte ho desiderato tornare indietro per poter ignorare la bambina su questa sponda maledetta. Mi sono sempre odiato per questo, perché è solo colpa mia. Sono io quello che ti ha ucciso, perdonami. Perché i momenti, le frasi, gli attimi vissuti non torneranno, non potranno più esserci. Perdonami, perdonami Okaasan.
So che non desidereresti sentirmi chiedere scusa, ma voglio, ho un disperato bisogno che tu lo sappia.
Vedendo la giornata finire continuo a pensare di non essere una persona romantica, di non essere come te.
Io odio ancora i tramonti Okaasan, perché il mio sole si è dissolto sotto i miei occhi quel giorno di sette anni fa.
Rimango fermo in questi pensieri ancora per un istante prima di ritornare a vedere veramente, abbandonando completamente le immagini nella mia testa.
Le tenebre sono già calate, oscurando l’orizzonte con le loro vellutate movenze, riesco a intravedere dipinta nel cielo la luna, la quale espande la propria luce lentamente privando i suoi ammiratori della vista dei propri contorni. Anche i lampioni si sono svegliati dal loro naturale sonno diurno e, mentre riprendono vita, la strada comincia ad addormentarsi, le macchine passano sempre in minor numero, anche i viandanti sono sempre più rari.
Dev’essersi fatto tardi. Apro il mio cellulare, aspetto un paio di secondi perché gli occhi si abituino all’abbagliante luminosità dello schermo. Una foto con Tatsuki e gli altri accompagna l’orologio analogico, il quale, indica le sette e mezza.
Dannazione, ho di nuovo fatto tardi! Il vecchio mi darà un’altra strigliata, menando le mani e blaterando qualche seccante rimprovero sul fatto che in questa casa si cena alle sette, mentre Yuzu si comporterà con il suo solito fare materno, impuntandosi sul fatto che io debba assolutamente cenare, quanto a Karin, lei continuerà a fare quanto stava facendo prima, limitandosi a salutarmi con la sua voce annoiata.
Ah, lasciamo stare, piuttosto è meglio che torni a casa prima che la voce del vecchio giunga fino a qui.
 

 
 
 
 
 
 
-Angolo dell’autrice :3
 
Hi Minnaaaa!!! <3
Allora stavolta ho voluto addentrarmi nella mente di uno dei personaggi che amo di più, ovvero Ichigo Kurosaki. Ho voluto tentare di esprimere quello che lui prova, che pensa, quando ricorda sua madre.
Come in molti sanno non è un personaggio che si perdona, Ichigo è il tipo di persona che desidera, fin da bambino, proteggere chi ama e prende questo desiderio molto seriamente, al punto da arrivare a incolparsi della morte della madre nonostante fosse nulla più che un bambino. Per far sì che arrivasse a fare un ragionamento profondo su ciò che sente, sono partita da un’idea datami dall’anime (io di bleach seguo sia anime che manga ù.ù), ovvero durante la Saga del nuovo Capitano Shūsuke Amagai nell’episodio 178, dove vediamo il nostro protagonista intrappolato e costretto a rivivere parte della sua infanzia. Da qui i miei pensieri hanno preso spunto e poi si sono dilungati creando un ragionamento che, spero, si possa addire a questo personaggio che tanto amo. Per cui non ho potuto resistere e quindi ho liberamente usato l’idea del tramonto proposta dall’episodio, anche perché come avrete potuto notare ci sono molti legami tra il tramonto e la madre di Ichigo. Infatti, come si ribadisce spesso quando si parla della madre, era attorno a questa dolce donna che ruotava la famiglia, di conseguenza è un po’ come il sole e quando lei muore è come se questa stella tramontasse definitivamente.
Ormai era solo questione di tempo, dovevo farla una fic del fandom di Bleach (troppo amore per questo manga, quando Tite non la tirava per le lunghe ù.ù).
Direi che vi ho tediato abbastanza ^^.
Un bacio,

 
Tsubaki3.
   
 
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