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Autore: just_look_at_her    04/12/2013    2 recensioni
Spesso i ricordi si manifestano nella visione di un oggetto, e hanno lo strabiliante potere di rallentare il presente, a volte anche di mutarlo. Quello di Candice porta il nome di un colorato libro per bambini, stretto in due manine bianche bianche, fin troppo piccole se comparate alle pagine puntellate di immagini animalesche.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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  ‘Sarà un segreto solo nostro, papà te lo prometto’.












Candice non capiva perché suo padre piangesse tanto.
Gli occhi scuri dell’uomo restavano coperti da un velo di lacrime per tutto il tempo che trascorreva standole accanto, la mano grande e forte sulla sua, così bianca, così piccola. Non si allontanava mai, Robert Halfway. Mai. Nessuno era riuscito a smuoverlo da quella poltrona, neppure Isabel, che ormai aveva imparato a sostenere i silenzi del marito senza esprimere nulla in volto.
La donna, dopo svariati tentativi di indurlo a fare cambio, si era silenziosamente arresa alle sue proteste soffocate, limitandosi ad osservare dall’altro lato del letto la figlia, lo sguardo vacuo riposto tra le pieghe delle lenzuola immacolate.
Avevano spalancato le porte del San Mungo col corpo della piccola Candice stretto tra le loro braccia, inerme. Poteva sembrare quasi addormentata, se non fosse stato per l’enorme ferita che le inzuppava il vestito roseo, macchiandolo di un rosso tanto scuro da far paura.
Gli artigli del lupo mannaro le avevano squarciato la pelle tra le costole, la sera stessa, quando la cinquenne si era ritrovata sola ad una decina di metri lontana dal giardino di casa. Non l’aveva visto arrivare, non aveva nemmeno avvertito il rumore dei balzi che la separavano dalla creatura.
Soltanto una cosa era riuscita a ricordare nel giro di qualche giorno, appena dopo il suo risveglio. Le pupille assottigliate del lupo, così simili a quelle del suo adorato papà, che – perché? – non sembrava affatto intenzionato a guardarla. L’aveva fatto, con uno sforzo immane, solo quando gli avevano allontanato bruscamente le mani dal volto, arrossato, ridotto a pieghe di dolore che Candice non avrebbe nemmeno ritagliato e appiccicato sulla faccia bonaria del suo babbo.
Non condivideva la stanza con nessuno, lei, che non fossero i suoi genitori e i parenti che andavano a trovarla, ma non si sentiva sola, né annoiata. Come poteva, se le palpebre le si abbassavano ad intervalli regolari trascinandola via dalla realtà? Passava la maggior parte delle giornate addormentata, si svegliava solo quando le veniva sussurrato che doveva mangiare, e allora si sistemava piano contro i cuscini, mentre la Guaritrice coi capelli raccolti in una crocchia le avvicinava il piatto con aria distratta, la bacchetta appena svolazzante tra le mani.
Cinque anni erano pochi, per poterle permettere di avere una panoramica chiara della situazione. Anche se, da quel che riusciva a percepire guardandosi intorno, nemmeno gli adulti sembravano avere tutto sotto controllo.
Le rare volte in cui il sonno non si impadroniva di lei, si sistemava meglio contro il materasso di quel letto d’ospedale e giocherellava con gli animaletti animati in miniatura che aveva chiesto di avere, e che i genitori avevano acconsentito di cederle, perché non potevano vedere il pallore e il colorito spento sul viso della loro solare bambina.

Robert, un uomo sulla trentina, i capelli castani perennemente arruffati e un accenno di barba sulle guance, aveva due occhi scuri che a Candice, quando lo guardava, veniva sempre la sensazione di quando stai per tuffare lo sguardo in un pozzo. Solo che non aveva paura di caderci dentro, perché sapeva che due braccia le avrebbero impedito di farsi male, afferrandola e stringendola con affetto.
Il signor Halfway era stato studente a Hogwarts, un tempo: il Cappello Parlante l’aveva indirizzato dai Grifondoro , e appena due mesi dopo aveva conosciuto Isabel, una Corvonero dai capelli biondi e gli occhi di ghiaccio che si era “proposta” di aiutarlo in Aritmanzia – dopo aver ceduto alle richieste insistenti del giovane – in cambio, ovviamente, di qualche favore.
Tra i due non si instaurò nessun tipo di rapporto finché la Corvonero non venne chiamata al ruolo di Prefetto, che guarda caso calava anche sulle spalle del Grifondoro. Inutile specificare da quanto tempo Robert avesse una cotta per lei, e come l’avesse notata – Isabel non passava inosservata nei corridoi, tanto era bella - .
Nessuno avrebbe mai scommesso mezza cioccorana su una coppia simile, soprattutto se si teneva conto del fatto che appartenevano a due mondi totalmente diversi. Il giovane Halfway, seppur purosangue, aveva quel tipico modo ‘babbano’ di avvicinare le persone, che al suo primo anno suscitò diverse occhiate diffidenti da parte degli altri studenti… ma quando finì per essere circondato da amici, Robert non provò alcun tipo di risentimento nei confronti delle stesse persone che qualche settimana prima gli avevano rifilato tutto il disprezzo possibile.
Come potevano sapere, loro, che aveva trascorso metà della sua infanzia nel tanto incomprensibile mondo babbano di cui i giovani maghi e streghe conoscevano così poco? I suoi genitori l’avevano cresciuto mostrandogli “parallelamente” i segreti dei due mondi, così differenti, ma con una base comune di fondo, e bisogna aggiungere che sono davvero pochi i Maghi capaci di far cozzare tra loro i due modi di vivere traendone anche una personale soddisfazione nel farlo.
Insomma, Robert Halfway portava con sé le tracce di un’infanzia trascorsa coi bambini Babbani che frequentava, e allo stesso tempo aveva in bocca il dolce sapore delle più buone leccornie provenienti da Mielandia; faceva da spettatore alle partite di Quidditch, ma conosceva a memoria la formazione della Nazionale di Calcio inglese; aveva memorizzato i movimenti della madre quando faceva svolazzare la bacchetta in aria, per illuminargli la stanza la mattina presto, ma sapeva perfettamente il funzionamento di quelle torce che utilizzava coi compagni di giochi, per rischiarare le notti di avventure nei giardini dei vicini.
Un quindicenne noto per essere bizzarro, con una storia altrettanto bizzarra, anche se attorniato da una cerchia larga di amici, aveva – secondo l’opinione generale – poche probabilità di avvicinarsi in quel modo ad una delle ragazze più in vista di Hogwarts.
ll rapporto tra Isabel e Robert però aveva preso a costruirsi durante il loro primo anno e si era man mano rafforzato all’insaputa di tutti (o quasi. Il Grifondoro trovava confortante lasciare un resoconto della “situazione” ai suoi amici più stretti praticamente ogni sera, rendendo impossibile la segretezza assoluta sulla loro amicizia).
Come avesse finito per ricambiare i sentimenti del giovane mago, Isabel non lo sapeva. L’educazione le imponeva di non porre domande sul suo modo strano di approcciarsi, eppure, durante i loro incontri in biblioteca, fremeva dalla voglia di sollecitarlo a raccontare di tutte quelle stranezze babbane, di come fosse la vita per le persone che non conoscevano la magia, e soprattutto, come avesse fatto per tutti quegli anni a sopportare un simile modo di vivere.
Per Isabelle e la sua famiglia dalle vedute ristrette, tutto ciò che aveva a che fare coi Babbani non doveva neanche passare per le teste dei maghi, se non in determinate circostanze, legate alle faccende che il Ministero della Magia decideva di rendere pubbliche. La Corvonero l’aveva pensata allo stesso modo finché Robert non si era sfacciatamente fatto largo nelle sue giornate, e tutto aveva iniziato a tingersi di nuove sfumature. Nulla di particolarmente sentimentale, s’intende. I pensieri di Isabel riguardavano esclusivamente le materie, i voti eccellenti, i compiti e i professori. Non era una ragazza romantica. Il romanticismo non faceva per lei, lo trovava una fonte di distrazione capace di mettere a rischio la media scolastica in un batter d’occhio.
Non poteva permetterselo. Non perché glielo dettasse la sua volontà – non era così ferrea – ma perché trovava discretamente comoda quella vita di studio che i genitori le avevano imposto, la curiosità di provare qualcosa di più emozionante dell’ennesimo massimo voto non l’aveva mai stuzzicata prima. Non era del tutto a causa sua, bisogna specificarlo.
La monotonia l’aveva inondata senza darle tempo di muoversi in modo diverso. Monotone erano le persone che la circondavano, tanto da opprimere la sua indole nascosta di “esploratrice”.
Robert era stato una novità.
Un impatto forte, un lampo bianco in mezzo al nero.
E lui l’aveva aspettata, poco a poco l’aveva vista con gli occhi pieni dello stesso sentimento che covava da tempo.
All’ultimo anno di Hogwarts, sotto gli occhi della maggior parte dei presenti, Robert le aveva chiesto di sposarlo. Quale proposta più bizzarra e fuori luogo di quella! Certo, ormai tutti sapevano della loro relazione, ma restava comunque un fatto ambiguo che lui le facesse una proposta del genere a quell’età. Robert non poteva dire di non aver fatto una mossa avventata, ma aveva seguito ciò che gli aveva dettato il cuore e non se ne pentiva.
Da parte sua, Isabel avrebbe voluto accettare nell’immediato. Ma sapevano entrambi che c’era un ostacolo da superare, e non era di certo da sottovalutare. La famiglia.
Quella del Grifondoro sarebbe stata entusiasta della loro storia; i dubbi erano tutti da porsi nei confronti di quella di Isabel. Come avrebbero reagito una volta venuti a conoscenza che la loro unica figlia si era innamorata di un “babbanofilo”?
Lasciarono Hogwarts con il timore di non riuscire facilmente ad abbattere quel muro di pregiudizi, ma ben presto trovarono altro di cui preoccuparsi. Il ritorno di Voldemort aveva sconvolto la maggior parte dei maghi.
Fu probabilmente a causa della Seconda Guerra Magica e delle sue conseguenze, che i genitori di Isabel non trovarono nulla da obbiettare quando la coppia venne a far loro visita – gli eventi non avevano ostacolato il loro amore, tutt’altro - . Non si erano totalmente “convertiti” a quel modo di pensare che tanto caratterizzava i signori Halfway, ma l’incontro tra le due famiglie andò comunque a buon fine, senza intoppi o momenti imbarazzanti, che potessero compromettere il proseguimento della serata.

Candice nacque una mattina di dicembre, mentre l’alba abbracciava le ultime ombre della notte. Le urla della nuova nata si espansero per tutto il San Mungo provocando la confusione generale. Isabel non aveva sofferto troppo, durante il parto, tutt’altro: aspettava che sua figlia venisse alla luce da almeno due settimane, perciò le fu facile reprimere il dolore con la fremente felicità di un’attesa conclusa.
Candice trascorse i primi anni tra i nonni paterni e i nonni materni; questi ultimi sempre più entusiasti di stringere tra le braccia una bambina tanto simile alla loro: gli stessi boccoli dorati, i medesimi occhi cristallini, e la pelle chiara e vellutata simile a quella della madre. Tracce di Robert però affioravano un po’ ovunque: le efelidi che cospargevano il viso pallido di Candice la tingevano di un rossore che – senza di esse - le sarebbe mancato.
Si dimostrò una bambina curiosa, paziente, e sempre disposta a muoversi – nonostante non le venisse molto bene, con tutte le volte che era inciampata sui propri piedi -; un miscuglio tra Robert e Isabel, che sembravano i genitori più felici del pianeta.
C’erano volte in cui la piccola veniva affidata alle cure dell’Elfa di famiglia, quelle in cui entrambi i suoi genitori si trovavano impegnati col lavoro, e quindi impossibilitati a passare del tempo con lei. In occasioni simili, Robert riusciva a tornare prima dell’ora di cena. Trovava la poltrona libera e la piccoletta di sua figlia in piedi ad aspettarlo, gli occhioni azzurri persi sul volto del papà. Isabel invece rientrava leggermente tardi, quando il lavoro al Ministero le procurava contrattempi.
Accadde una di quelle sere.
L'orologio stava battendo ripetutamente i suoi rintocchi sul 'sette' del quadrante, e Candice era sprofondata nella grande poltrona di papà. Tra le manine reggeva un libro per bambini dai colori sgargianti, abbastanza grande da coprire interamente le sue piccole cosce. Le pagine mostravano figure animalesche in movimento, alcune addirittura sporgenti oltre il bordo, e Candice fissava ogni singola creatura con gli occhi sgranati di curiosità. Robert si era illuminato quando aveva scorto un improvviso interesse verso le Creature Magiche da parte della sua bambina, e non aveva mancato, anche quella volta, di donarle qualcosa che potesse catturare all’infinito la sua attenzione.
Le minuscole dita della biondina si erano fermate a mezz'aria, nell'incompiuto tentativo di voltare pagina, e lo sguardo si era posato sulla porta di casa, improvvisamente sgombro di pensieri. Papà tardava ad arrivare, e ciò pareva averla colta soltanto in quel momento. Che fosse ancora a lavoro? Prima di formularsi una risposta i piedini l'avevano guidata fuori, nel buio gelato di Febbraio... corrergli incontro per abbracciarlo al suo ritorno doveva essere un buon ringraziamento per il regalo che le aveva fatto.
Non aveva di certo notato la nebbia infittirsi attorno a lei, man mano che imboccava la stradina che costeggiava il giardino della casa. Forse avrebbe dovuto ricordarsi delle continue raccomandazioni della madre, talmente protettiva da impedirle di oltrepassare l'uscio senza un accompagnatore, ma qualcosa in quel momento oscurava parte della sua mente, così come il buio oscurava metà del suo viso. D'altra parte, conosceva bene ogni zona del parco accanto alla casa, perchè ci aveva passato interi pomeriggi col papà, impegnati in ogni genere di attività; si muoveva quindi con sicurezza, passo dopo passo.
Ciò che successe dopo è ancora adesso un miscuglio di immagini che non riesce ad identificare, sa di per certo di non aver notato la sagoma a quattro zampe che l'aveva travolta un istante dopo, e i suoi artigli conficcarsi tra le costole, i capelli chiazzati di sangue.

-

- «Mamma, ho un segno speciale come il taglietto sul ginocchio di Amanda!»

Candice aveva atteso quasi un mese prima di autodefinirsi – troppo orgogliosamente – “bambina particolare”. La parola “particolare” l’aveva attirata dalla prima volta che l’aveva sentita, come l’attiravano le leccornie di Mielandia, o gli uccellini cinguettanti fuori dalla finestra, o le creature magiche stampate sui libri. Il mese trascorso al San Mungo era finalmente giunto al termine, e la piccola, solo qualche giorno dopo essere tornata a casa, aveva incastonato le sue pupille azzurre alla propria esile immagine riflessa allo specchio.
Reggeva un lembo della maglia con una manina, e con l’altra percorreva rasoterra lo spazio che separava la lunga cicatrice sottile che aveva sulle costole, dalle sue dita. Era ormai solo un incrocio di saette che si intersecavano, irregolari e più bianche della sua stessa pelle, ma lei le guardava come fossero un trofeo. Non da esibire, ma custodire gelosamente con molta attenzione. Aveva finalmente un motivo per non lamentarsi più di non essere l’unica delle sue amichette a non portare tracce di battaglie sul corpo. Quante volte aveva ripetuto al padre di trovarsi noiosa e “grigia” senza alcun segno particolare? Ora, invece... il problema si era risolto, e ai suoi occhi – soltanto ai suoi – non c’era cosa più bella.
Robert e Isabel sembravano sollevati per la sua ripresa, il trauma dell’incidente era stato superato con facilità, donando loro qualche nottata serena i primi giorni a casa, dopo il ricovero. O almeno, così poteva sembrare a Isabel, che – forse troppo esausta – non si era accorta delle ore insonni del marito.
Non era riuscito a trattenersi. Non avrebbe potuto aspettare altro secondo in più, per confidare alla sua piccola figlia quello che aveva fatto.
Certo era stato un atto del tutto involontario, (i Licantropi perdono ogni traccia umana per rivestirsi di quella animale, durante la trasformazione) ma questo non aveva impedito al senso di colpa di conficcarsi in aculei tra le sue costole, per colpire il cuore. Non era riuscito a perdonarsi di non aver avuto la forza di dirlo a Isabel, qualche mese prima, non poteva commettere lo stesso errore con la piccola Candice, la fonte dei suoi più bei sorrisi.
Mentre si rigirava tra le lenzuola del letto, non poteva non ricorrere con la mente alla sagoma della bambina accomodata tra le sue gambe, l’ultimo giorno al San Mungo, lo sguardo più vivace e colorito.
«E’ stato papà» aveva iniziato, tutto d'un fiato, lui, rivolgendosi alla piccola.
E il magone l’aveva colto improvviso, artigliandogli la gola in una morsa che gli toglieva il respiro.
Candice l’aveva guardato con le palpebre immobili, le labbra schiuse, e uno sguardo che sembrava dire “cosa c’è che non va?”.
Robert, preso un respiro profondo, si era protratto in una semplice risposta alla sua tacita domanda, e aveva usato le parole che più si addicevano alla sua bambina. Era stato difficile e doloroso al tempo stesso, eppure, quando si sarebbe aspettato altre domande, un fiume di domande, il silenzio gli era giunto inatteso. Candice era sembrata una ragazza matura quando gli aveva posato una mano sulla guancia accennata di barba, e aveva sorriso con gli occhi grandi e luccicanti.
«Sarà un segreto solo nostro, papà. Te lo prometto»
Ma lui non glielo aveva chiesto.
  
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