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Autore: Nieves    04/12/2013    2 recensioni
Una fata caduta, nulla da perdere. Un ragazzo, le offrirà ciò che tutti le hanno negato, una seconda chance e l'inizio della leggenda}
***
" Ma i suoi occhi erano concentrati su qualcos'altro, una sola figura, era lì al centro di quel cerchio, accanto al fuoco.
Una mantella dai colori scuri col cappuccio chinato fin sopra la fronte, si muoveva lento, di una lentezza selvaggia, densa, saturava lo spazio, lo gremiva.
[ ... ]
Istinto di sopravvivenza. Ne aveva sentito parlare, ma solo ora capiva come ci si sentisse.
Come una preda, e senza via di fuga. Si voltò di scatto verso la figura, il braccio si piegò dietro la schiena nascondendo il pugnale.
E si pietrificò. Il ragazzo aveva fatto scivolare via il cappuccio. Il viso giovane si era contratto in una smorfia indecifrabile. Sembrava divertito, incuriosito. C'era dell'altro però, qualcosa che la ragazza non avrebbe saputo decifrare in maniera esatta, e fu quel qualcosa di non ben definito, qualcosa in quelle iridi di cenere e fuoco che la costrinse a trasalire. "
Genere: Dark, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Pan, Trilli
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Just a fallen fairy; just a Lost girl. 



 Parte I }



How can you see into my eyes like open doors 
leading you down into my core.
Where I've become so numb without a soul my spirit sleeping somewhere cold. 
until you find it there and lead it back home




La ragazza si raggomitolò ancora una volta su se stessa. Cercò di chiudere gli occhi, ma le palpebre non dettero ascolto, anzi si spalancarono in preda ad un’improvvisa lucidità.
Non aveva idea di quanto tempo fosse passato con esattezza. Forse settimane, o mesi. Lo scandire del tempo si era come congelato nella sua mente, avanzava lento, come il pulsare di un sangue denso in una ferita ancora aperta. Denso e amaro, come il sapore della sconfitta.
 Non sarebbe dovuta essere lì, non era quello il posto di una fata, non riversa ai piedi di un albero, non da sola, a morire di freddo. Era stata cacciata e ripudiata dalla sua stessa “razza”.
Un essere fatato non avrebbe dovuto implorare per un po’ di calore. Una fata sì, qualcosa che però lei non era più.
La consapevolezza di ciò che l’era successo la investì di colpo, facendole tirare uno strattone ai lembi della coperta. Si portò le nocche arrossate contro le labbra, ebbe l'improvviso bisogno di mettersi ad urlare, ma non lo fece. La mano chiusa premette violenta sopra la bocca, il respiro tiepido trapelò a malapena riversandosi contro la pelle arrossata e fredda. Ma neppure questo bastò a calmarla.
Si diceva che le fate fossero capaci di provare un solo sentimento alla volta. Fosse cosa vera, o soltanto una scusante per la loro tanto conosciuta volubilità, Tinkerbell si sentiva esattamente in quel modo.  Non era certa però, che quello che provava fosse un’emozione. 
 
Vuoto.
 
Si sentiva svuotata.
Le era stata strappata via ogni certezza. Qualcuno aveva spaccato le mura che la tenevano un tempo al riparo, e slegato i fili. E una volta lì, lasciata sola, smarrita, e priva di difese era stata divorata viva.
Un aquilone privo di  fili smarrito nel vento, senza qualcuno che avrebbe tirato al momento giusto per riportarlo a casa.  Una nave alla deriva a cui avevano levato le ancore non avrebbe conosciuto via di salvezza. Il destino così come il mare e come le tempeste, si faceva crudele a volte, e a chi non aveva appigli non avrebbe concesso pietà.
In balia del niente, si era trovata faccia a faccia con una sé stessa fino ad allora sconosciuta.
Nessuno aveva concesso a lei una seconda chance, -lo avrebbe persino trovato ironico non fosse stato così terribile- eppure aveva agito in buona fede, ma il fine non sempre giustificava i mezzi. 
Aveva rubato sì, infranto le regole, aveva fatto ciò che credeva fosse giusto pur consapevole che quello fosse il modo sbagliato, e le era costato caro.
Aveva provato rabbia, aveva desiderato vendetta, le era persino passato per la mente di fare qualcosa di atroce.
Occhio per occhio, dente per dente, si era detta. L'avrebbe uccisa, o gliel'avrebbe fatta pagare in qualche modo. Quella donna, la causa della sua rovina. L'aveva usata, l'aveva tradita, l'aveva umiliata e cacciata via. L'avrebbe fatta pagare, a lei e a tutti gli altri. Le avevano voltato le spalle, nonostante avesse implorato, supplicato, si era umiliata di fronte a loro ma di tutta risposta non aveva ottenuto niente.
Da quando si era rintanata nella foresta quel desiderio convulso si era impossessato di lei più di una volta. Si era procurata un pugnale, fatto progetti, le immagini di ciò che avrebbe fatto ad ognuno di loro si erano riversate nella sua mente milioni di volte accecandola. Si era sempre fermata però, ogni volta, e alla fine quando non aveva avuto neppure più la rabbia a cui aggrapparsi era rimasta sola.
Una fata caduta. Una terribile fata. Un fallimento.
Una delusione. Ecco cos'era.
Avrebbe preferito una pugnalata al petto che quelle parole. Le lame lacerano le carni, ma le parole, quelle distruggono e lei era stata fatta a pezzi.
Le era stata inflitta la condanna peggiore per un essere fatato; le avevano strappato via le ali. Era una condizione quella, dalla quale non sarebbe tornata indietro, non ci sarebbero state occasioni di rivalsa.
Si sollevò su a fatica, portando le ginocchia piegate al torso. Si era realmente ridotta a questo, ad implorare per un po' di calore. Avrebbe potuto utilizzare quell'ultimo spruzzo di magia che le era rimasto, polvere fatata rubata. No. Avrebbe invece dovuto gettarla via, era il ricordo doloroso di tutto ciò che era stato perduto.
Scoppiò a ridere, una risata amara che sapeva di pianto. Si ostinava a pensare a sé stessa come ad una fata caduta, una fata con le ali spezzate, abbastanza pittoresca come visione, ma no, non era nulla di tutto questo.
« Non più », mormorò a sé stessa.
Si guardò intorno, le sembrava improvvisamente tutto enorme e tutto uguale. Dolorosamente il motivo le fu chiaro; la foresta non sarebbe mai stata casa sua, ma consapevolezza peggiore di quella era che non sarebbe mai stata neppure la strada che l'avrebbe condotta altrove. Non c'era nessun posto in cui tornare.
Si era persa.
Era sola, priva di speranze e persa. Non più una fata ma solo una ragazza.. Una ragazza persa.
Si accorse di essere in piedi. Non ricordava di averlo fatto però. Chinò lo sguardo sulla coperta riversa a terra. Non aveva ricordi neppure di questo.
Gli occhi della ragazza si fecero vuoti, immobili, due fondi di bottiglia che non stavano realmente guardando qualcosa. Impiegò più tempo del dovuto ad accorgersene. Non stava fissando la vegetazione fitta e scura intorno a sé, o il fuoco ormai quasi del tutto spento che annaspava alla ricerca di ossigeno per sopravvivere alla cenere, o qualsiasi altra cosa che sarebbe potuta essere nei paraggi ma che non avrebbe notato. Si chiese come potesse una melodia essere allo stesso tempo così dolce e così tetra.
Sapeva d'inferno e paradiso, di distruzione e di speranza.
Una musica profana le aveva invaso la mente, impostasi con una velata violenza e si era sostituita ai pensieri, e alla stessa ragione. Era irrazionale ciò che provava, il suo unico desiderio era seguire quella scia e lo stava facendo. Le gambe si muovevano quasi fuori dal suo controllo, bramose di "arrivare".
Era un'assetata alla ricerca di ciò che avrebbe placato la sete.
E quando giunse lì, si arrestò.
La scena che le si era materializzata davanti la costrinse a fermarsi. Un gruppo di giovani, -non avrebbe potuto definirne con esattezza l'età poiché i loro volti erano celati da maschere con sembianze di animali- danzavano frenetici, selvaggi. Intorno al fuoco, i loro movimenti convulsi, le urla, e battiti di piedi contro il terreno si fondevano in un’unica e primordiale melodia. La ragazza ne restò ipnotizzata, erano sfrenati e senza limiti. Ma i suoi occhi erano concentrati su qualcos'altro, una sola figura, era lì al centro di quel cerchio, accanto al fuoco.
Una mantella dai colori scuri col cappuccio chinato fin sopra la fronte, si muoveva lento, di una lentezza selvaggia, densa, saturava lo spazio, lo gremiva. Ed era da lì che arriva... La ''cosa'' che l'aveva richiamata a sé, con la potenza di antico canto; Lla musica di un pifferaio.
Uno dei ragazzi cacciò un altro urlo, poi si udirono risate divertite e altri colpi. Tinkerbell scosse la testa come a cercare di scrollarsi di dosso il torpore.
Si scoprì improvvisamente lucida.
La musica aveva smesso di gremirle i pensieri. Portò nuovamente lo sguardo tra i ragazzi, le pupille dilatate si persero frenetiche tra i corpi che danzavo, tra il crepitare delle fiamme vive del falò. Ovunque.
Si sentiva ansiosa ma solo dopo un po' le fu chiaro il perché. "Lui" non c'era più.
" Dove sei.. ? " , la domanda risuonò dolente nella sua testa.
Qualcosa si mosse veloce alle sue spalle. Un brivido le corse lungo la schiena, risalendo fin dietro la nuca. Con lo sguardo immobile non diede azzardo a voltarsi, non ne ebbe bisogno.
« Cosa... sei tu? » , mormorò.
Le dita corsero a serrarsi smaniose contro il manico del piccolo pugnale che aveva legato in vita. Lo fece scivolare contro la manica della maglietta, piegando il polso e lasciando che la lama poggiasse contro la stoffa. Il braccio premuto contro il petto che si solleva ed abbassava a ritmo di un respiro irregolare.

Istinto di sopravvivenza. Ne aveva sentito parlare, ma solo ora capiva come ci si sentisse.
Come una preda, e senza via di fuga. Si voltò di scatto verso la figura, il braccio si piegò dietro la schiena nascondendo il pugnale.
E si pietrificò. Il ragazzo aveva fatto scivolare via il cappuccio. Il viso giovane si era contratto in una smorfia indecifrabile. Sembrava divertito, incuriosito. C'era dell'altro però, qualcosa che la ragazza non avrebbe saputo decifrare in maniera esatta, e fu quel qualcosa di non ben definito, qualcosa in quelle iridi di cenere e fuoco che la costrinse a trasalire.
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