Sono un assassino
Era con passo lento che i due uomini percorrevano il buio corridoio, tenendo strette in mano le catene che imprigionavano l’ombra che avanzava in mezzo a loro. Un uomo con un lungo mantello nero, un condannato che stava per entrare nella peggiore aula del tribunale magico. Sicuro della sua innocenza? Era puro come un assassino, uno di quelli sui cui avambracci spiccava un nero tatuaggio.
La porta che dava sulla nera e impietosa aula era sempre più vicina eppure sul volto dell’uomo non traspariva che noia. E stanchezza. Quando la porta si aprì, accecando i tre maghi, uno stuolo di uomini ammantati di bianco si materializzò dietro freddi banconi di pietra: la Giuria. Nessuno di loro sembrava stupito nel veder entrare in catene quel giovane dai capelli nivei ne tanto meno vederlo sedersi sulla poltrona di pietra degli imputati, per questo i mormorii non tardarono ad infestare la sala. Il fastidioso borbottio terminò solo quando un uomo dalla chioma grigia, piuttosto basso e tozzo, si alzò in piedi.
“Draco Malfoy, la corte è oggi qui riunita per giudicarla in seguito a testimonianze che la affiliano al gruppo dei Mangiamorte di Lei-sa-chi. Come crede di discolparsi?”
Il ragazzo sospirò capendo che era giunto il momento della verità: neanche il buon nome della sua famiglia e tutti i soldi di suo padre lo avrebbero scagionato. Ma in fondo ormai era stanco di combattere.
“Cosa potrei dire per discolparmi se Voi già mi ritenete colpevole?”
“Crede che possiamo perdonare l’assassinio di cotante persone?”
“Ecco…vedete? Già partite dal presupposto che io sia un assassino.”
“Osa negarlo?”
“Come posso negare di essere me stesso?”
Brusii di disapprovazione si levarono nella stanza
“Allora Lei dichiara di essere un assassino.”
“Ma chi siete Voi per giudicarmi?”
“Noi siamo qui apposta per giudicarla! Siamo noi che facciamo le domande, ora”
Il ragazzo guardò il Giudice con le sopracciglia inarcate, poi scoppiò in una fragorosa risata. Quando finalmente riuscì a calmarsi, sotto lo sguardo sbigottito dei presenti, i suoi occhi divennero pura lava e con parole lente e strascicate si rivolse agli uomini in bianco.
“Voi mi chiamate assassino, mi disprezzate in
nome di ciò che servite…perché è così, Signori della Giuria, non guardatemi con
quello sguardo truce, Voi siete servitori della Giustizia. Come io lo sono del Male. Queste due parole dall’ambiguo e arcano
significato…non ci verranno dunque mai spiegate? Serviremo per sempre due
sfuggenti chimere? Cosa c’è di tanto affascinante in
loro da spingerci a morire in loro nome?
Ci avete mai pensato, Signori della Giuria, che cosa vi spinge
nell’ideale che seguite?
Ingannati da desideri di potere e gloria, dalla brama di ricchezze o
dalla bieca lussuria il risultato è sempre lo stesso: non
siamo che burattini ammaccati. Scusate se oso paragonarmi a Voi, io che
nel cuore non ho sentimenti…non mi definite forse così? Solo una macchina
creata per distruggere, un mostro di odio e argilla,
una mente perversa e deviata senza altro scopo se non arrecare dolore. Non vi
sembra una definizione arcana… retorica…assolutamente inumana? Credete che io
non sia in grado di soffrire, di piangere…mi credete incapace di amare? Eppure sono uguale a Voi: ho un cuore, due occhi, una
bocca…posso provare tenerezza, passione, tristezza e disperazione. Non sono ciò
che sono perché non ho sentimenti, anzi, sono quello
che vedete perché agisco solo rispettando i miei ideali. Forse sono più umano
di Voi: io lotto, per i miei ideali, non mi limito a giudicare chi non li
rispetta. Ma è vero, dimenticavo, c’è un piccolissimo
particolare: io sono dalla parte del torto e Voi da quella della ragione.
Ma ne siete proprio sicuri?
Voglio dire, siete sicuri di essere dalla parte della ragione?
Non allarmatevi, Signori Giurati, non voglio distruggere
quel perfetto mondo ideale che vi siete costruiti intorno, non ne ho interesse.
Perché ormai la mia vita è giunta alla sua fine. Ne
sono felice, perché finalmente posso fare una cosa che sogno da tanto tempo:
buttare in terra le nostre maschere. Le nostre, cioè
la mia e quella di Voi Giudici. Signor Giudice, vede quello che vedo io, ora
che le maschere sono incrinate? Non vede che due assassini, in me ed in Lei,
due uomini che hanno perso di vista l’ideale per cui
lottavano, ne sono certo. Ed ora rifletta: potrà
definirmi un assassino, un malato mentale adorante della perversione, un
maniaco del sangue, e sarebbe vero. Ma non dimentichi
che sono un uomo, esattamente come Lei, e che Lei, esattamente al mio pari, non
è che uno sporco assassino.
Ma guardatemi, sono qui per essere giudicato e non faccio che giudicare!
Perdonate quindi il mio ardire, ma concedetemi un ennesima
domanda: ma chi vi credete di essere? Dico a Voi, uomini ammantati di
bianco che ve ne andate in giro col petto gonfio
credendo di potermi giudicare indegno di vivere, come faccio io con le persone
inferiori, con i Mezzosangue e con i Babbani. Vedete:
siamo uguali! Vi dirò cosa penso veramente di Voi: siete solo un branco di ipocriti. Ma è vero, scusate,
dimenticavo:
la mia parola non conta
io non sono un uomo, sono solo un assassino, già colpevole prima che sia
emesso il verdetto. Ma, purtroppo, non ho ancora
finito. Sono stufo dei vostri ridicoli ideali che regalate ai giovani come se
fossero gadget nelle patatine, sono stufo delle regole che inventate solo per
poterle infrangere, del vostro passare sopra tutto e
tutti solo perché agite in nome della Giustizia. È ora che i mimi si tolgano il
trucco. Che ne dite, per un attimo, di inscenare un
atto verosimile, quello della vita? Allora, ora che abbiamo tolto le nostre
finte maschere sorridenti smettiamola di prenderci in
giro: ero già condannato prima di entrare in questa aula, prima che sapeste che
il Mangiamorte sotto accusa ero io, e non posso darvi
torto, sono colpevole.
Ma qui dentro non sono l’unico.
Non mi guardare così, sciocca donna, ho
ragione e lo sai benissimo. Credi che quel ridicolo distintivo che porti sul
petto significhi qualche cosa? Ci sputo sul tuo essere Auror,
burattino fallito che non vuole ammettere di essere nelle mani del potere.
Ecco: ho detto tutto ciò che pensavo di Voi. Temo sia giunto il momento
di togliere la mia, di maschera. E che
la balorda cada a terra frantumandosi, ora non ha più
nessuna importanza! Ecco la verità: sono un assassino. Ora condannatemi, l’ho
ammesso, sono accusato e condannato. Ma sappiate che sono orgoglioso di essere un assassino, orgoglioso di seguire
degli ideali per cui sono disposto ad uccidere. Ma ciò
non toglie che anche Voi, nel vostro perfetto mondo, avete delle macchie scure
e peccaminose: quanti miei simili avete condannato ed
ucciso in nome della Giustizia? Sorella della morte e negatrice di rispetto,
ecco cos’è la Giustizia! Ora mi chiedo: quanto ci
metterà a trafiggermi il petto con la sua spada arrugginita, lasciandomi
agonizzare lentamente tra spasmi atroci?
Ma ora ritiratevi, Giurati, ridete di me fra di
Voi e portatemi il vostro già preconfezionato verdetto. Sarò colpevole od
innocente? Penso di sapere da quale parte cadrà l’ago della bilancia: gli
assassini riconoscono i loro simili. Rida, Giudice, rida.
Sono meno pazzo di quello che possa pensare: è Lei il
Re dei giullari che serve quella libidinosa puttana che si chiama Giustizia. Mi
chiuda ad Azkaban, è ciò che mi merito per essere
orgoglioso di me stesso, ma si ricordi che, dentro quell’inferno
aspetterò l’arrivo della mia compagna di
cella: la sua coscienza.”
Il ragazzo appoggiò
il capo contro lo schienale della sedia, ormai non avrebbe più detto
niente. Era finita, finalmente era finita. Niente più rimorsi di coscienza, niente più problemi o preoccupazioni…
niente più doveri da assolvere. In fondo, quella condanna non era poi tanto
male: avrebbe aspettato pazientemente che la coscienza di quegli assassini
vestiti di bianco arrivasse a fargli compagnia, nella sua fredda cella, sperando
che, in tutto il tempo che aveva a disposizione, anche la sua coscienza avrebbe
smesso di tormentarlo. Finalmente aveva scaraventato la sua maschera in terra,
frantumandola in mille pezzi. Fu mentre veniva portato
via in catene dai due Auror alle sue spalle che incrociò
lo sguardo di suo padre e per la prima volta in assoluto si concesse un
impercettibile, ma autentico, sorriso. In quell’aula
era l’unico a non aver perso niente.
NdMsDM
Forse non può sembrare il vero Draco Malfoy, quel ragazzino che fa tanto il prepotente perché spalleggiato dal padre, ma io, davanti alla giuria del Ministero, lo vedo così: consapevole del suo essere assassino e diviso fra l’orgoglio ed il disprezzo della sua coscienza. Ma soprattutto lo vedo finalmente indipendente dal vecchio Lucius, nell’ultimo atto della sua Commedia.
* Mamey *