Sguardi

Tsunade, Jiraiya e Orochimaru sedevano lontano l’uno dall’altro, osservandosi di nascosto con sguardo truce.
Erano stati promossi genin da poco, e insieme avrebbero dovuto formare una squadra.
Ma Tsunade si infuriava, perché una principessa come lei avrebbe dovuto avere come compagni delle nullità.
Ma Jiraiya si tormentava, perché un bambino allegro come lui avrebbe dovuto avere come compagni dei bambini così seri e antipatici.
Ma Orochimaru si chiedeva perché un talento come lui avrebbe dovuto avere come compagni due incapaci.
L’arrivo del loro maestro ruppe il silenzio pesante che si era creato.
«Salve, ragazzi. Da oggi sarò il vostro nuovo maestro. Il mio nome è Sarutobi, e… ma cosa sono quei musi lunghi? Non siete contenti di fare parte dello stesso team?»
Gli occhi dei tre bambini fissarono stupiti quelli del maestro per un attimo, prima di rivolgersi altrove sdegnati.

Tsunade odiava gli occhi di Jiraiya.
Quelle iridi piccole e nere le davano ai nervi quando – troppo spesso – si posavano sulle sue.
Odiava quando, da bambina, quegli occhi la deridevano per le sue forme ancora acerbe, ma odiava anche quando, da ragazzo, le divoravano il corpo, ormai ben sviluppato.

Jiraiya odiava gli occhi di Orochimaru.
Quelle iridi fredde e dorate lo facevano rabbrividire quando – di rado – si posavano sulle sue.
Quell’irrazionale sensazione era nata lo stesso giorno in cui il maestro Sarutobi aveva accompagnato il suo team dinanzi la montagna degli Hokage. Jiraiya si era reso conto che il modo in cui Orochimaru osservava i volti scolpiti nella pietra era diverso… strano.

Orochimaru odiava gli occhi di Tsunade e Jiraiya.
Quelle iridi nocciola e nere lo infastidivano quando si posavano sulle sue.
Erano così diverse dai suoi occhi, così… comuni. Erano come quelle di tutte le altre persone.
Ma, diversamente dagli altri, Tsunade e Jiraiya lo guardavano in modo diverso. Non nutrivano nei suoi confronti timore reverenziale o ammirazione: lo consideravano solo un ragazzo qualsiasi.

Tsunade, Jiraiya e Orochimaru stavano seduti l’uno accanto all’altro, con lo sguardo basso.
Durante la missione di livello A che avevano assegnato loro, si erano separati dal maestro Sarutobi, e avevano quasi rischiato di morire.
Tsunade si infuriava, perché non aveva fatto altro che pesare sui suoi compagni e mettere a repentaglio la loro vita.
Jiraiya si tormentava, perché era riuscito a fare poco e niente per proteggere Tsunade e per aiutare Orochimaru.
Orochimaru si chiedeva perché era ancora così debole, ma, soprattutto, si chiedeva cos’era la strana sensazione che aveva provato all’altezza del cuore quando ormai sapeva di non poter fare più nulla per salvare i suoi compagni.
L’arrivo del loro maestro ruppe il silenzio pesante che si era creato.
«È tutto a posto, ragazzi. Non c’è bisogno di fare quei musi lunghi! Anche se non avete portato a termine la missione, per una volta siete stati una vera squadra.»
Gli sguardi dei tre ragazzi si incontrarono stupiti per un attimo, prima di rivolgersi altrove – falsamente – sdegnati.

Orochimaru era scappato da Konoha, in una fuga che organizzava da mesi, probabilmente da anni.
Forse perché, da quel giorno, non aveva più incrociato gli sguardi di Tsunade e Jiraiya.
E Tsunade e Jiraiya, come il loro maestro, fecero l’unica cosa di cui erano capaci: chiusero gli occhi.