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Autore: Raven85    06/12/2013    2 recensioni
Mi sembrava che lei fosse più presente nei pensieri di papà adesso che quando era viva: ma dando una mano a mio padre, forse sarei riuscita a distaccarmi dalla sua ombra.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lindsey Salmon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non è facile essere la sorella di, la figlia di. Non è per niente facile.
Avevo tredici anni quando la nostra famiglia si spezzò. Già allora non ero una ragazzina come le altre, e non solo perché ero più intelligente delle altre. Io sapevo di essere diversa.
Mio padre si chiamava Jack e lavorava nelle assicurazioni. Mia madre si chiamava Abigail e si occupava di noi. Eravamo in tre, noi piccoli Salmon: mia sorella maggiore Susie, di quattordici anni, Buckley, di quattro, e io. Tra Susie e me c’era solo un anno di differenza, ma eravamo molto diverse. Lei era più solare, le persone le volevano bene. Non era diversa, come me. Era normale.
Normalmente speciale.
Era il 6 dicembre del 1973, quando Susie venne uccisa.
Non fu mai chiara la dinamica, e l’assassino non fu mai preso - nonostante io e mio padre fossimo convinti di conoscere la sua identità. Nemmeno il corpo fu mai trovato: di lei furono rinvenuti un gomito, il cappello che mamma le aveva fatto e sangue, molto sangue. Che avrebbe potuto anche non essere suo.
Non me lo dissero subito direttamente, anche perché mamma soprattutto continuava a credere che fosse viva, che dovesse solo essere trovata. Il fatto che fosse stato trovato il suo gomito… ebbene, non significava niente.
Solo quando i poliziotti le riportarono il cappello che le aveva confezionato, allora crollò.
Non fu semplice per nessuno. La mamma si sosteneva sempre a papà nei momenti difficili, e papà si sosteneva alla mamma. Ma adesso erano entrambi a terra, sconfitti, e non riuscivano a farsi forza l’un l’altro. Sicuramente, comunque, a dar loro forza fummo Buckley e io.
Penso comunque che nessuno pensò a quanto fosse difficile per me. Io ero la sorella minore, somigliavo a Susie come possono somigliarsi due sorelle quasi coetanee, ed era inevitabile quindi che chiunque guardasse me rivedesse lei. Era inevitabile, e io lo sapevo nonostante la mia giovane età: ma lo detestavo lo stesso.
Naturalmente non lo davo a vedere. C’erano mamma e papà, e soprattutto c’era Buck. Aveva solo quattro anni, era troppo piccolo per capire la morte, e la scomparsa di Susie avrebbe sicuramente diviso la nostra famiglia, se non avessimo sentito tutti ancora più forte il bisogno di proteggerlo.
Il nostro fratellino chiedeva sempre di lei. Per parecchio tempo mamma e papà non vollero dirgli la verità, nonostante dopo il ritrovamento del suo cappello fosse certo che lei era morta.
Mamma si allontanava sempre di più da noi. Io e lei avevamo sempre avuto un rapporto difficile, più di quello che aveva avuto con Susie: eravamo sempre state più vicine a papà. Ed è buffo quanto siano strane certe cose in ogni famiglia che abbia più di un figlio, no? Susie era convinta che mamma e papà preferissero me; io credevo fermamente che preferissero lei.
La realtà è che avermi come figlia non sarebbe stato facile per nessuno. In questo Susie era molto più abbordabile: una ragazza normale, normalmente brava a scuola, che non aveva mai dato problemi di nessun tipo. Io ero invece consapevole della mia superiorità in tal senso, e questo metteva in imbarazzo tutti: non solo i miei genitori, ma anche e soprattutto i miei insegnanti.
A scuola fu doppiamente difficile. Quando la storia si riseppe mi rendevo conto di quello che succedeva intorno a me. Gli altri ragazzi volevano sapere cosa si provava ad avere una sorella uccisa, ed era solo un certo tipo di pudore ad impedirgli di chiedere. Ma le voci, quelle non mancavano.
All’inizio mi appoggiai unicamente a me. Ero l’unica persona, del resto, su cui potessi fare affidamento. I miei genitori erano apparentemente uniti nelle cure a Buck, ma nella realtà erano già lontanissimi. Papà si chiudeva nel suo dolore, che lo fece quasi impazzire, mamma curava la casa e nostro fratello. Io mi curavo da sola.
A Natale finalmente, per quanto ne so, mio padre confessò a Buckley che Susie era morta.
Proprio quella sera io mi fidanzai con Samuel, venuto a portarmi un regalo, e in cucina ci baciammo la prima volta. Andavamo a scuola insieme, ed era molto carino, ma non avrei mai pensato di piacergli, e tantomeno che finissimo insieme.
Con lui fu tutto molto più semplice. Mi aiutò a sopportare meglio le occhiate compassionevoli a scuola, e tutto quello che si portavano dietro.
A gennaio organizzammo una messa in ricordo di Susie. Venne anche nonna Lynn, e Samuel naturalmente mi accompagnò. Venne Clarissa con il suo ragazzo.
Ma venne anche George Harvey. Era un nostro vicino di casa, e io sentii la nonna chiedere alla mamma prima della messa se papà pensava ancora che fosse stato lui. Naturalmente a me non avrebbero detto nulla. Lo sentii dalla cima delle scale.
Lo vidi fuori dalla chiesa, al termine della messa. Forse già allora capii che era stato lui a uccidere mia sorella. Ma ricordo chiaramente che svenni.
In estate ci fu il Raduno degli studenti dotati. Fu qui che mi avvicinò una compagna di classe dell’età di Susie, Ruth Connors. Non ci eravamo mai parlate prima, e a quanto pareva non aveva quasi mai nemmeno parlato con mia sorella, ma in qualche modo sembrava ossessionata da lei. Mi disse di averla sognata, forse proprio la notte stessa della sua morte. Era un po’ particolare, ma mi fidai, e solo a lei confidai quanto realmente Susie mi mancasse.
Fu nel corso di quell’estate che feci per la prima volta l’amore con Samuel. Ero troppo giovane per capire cosa significasse l’espressione “l’uomo della mia vita”, ma qualcosa in me mi diceva che era lui. E lo fu, infatti.
La vita andò avanti, in qualche modo. Papà tentò invano di farsi ascoltare dalla Polizia. Telefonava spesso, così spesso che gli agenti, non avendo in mano nulla su George Harvey, vennero a comunicarci che il caso era definitivamente archiviato. L’assassino non sarebbe stato mai trovato. In definitiva, anche se le parole erano diverse, ci stavano lasciando a noi stessi.
Una notte infine, credette di scorgere il suo nemico fuori con una torcia, e uscì con la mazza in mano per fargliela pagare. Non andò come aveva progettato: c’era sì qualcuno nel vialetto che divideva le due villette, la nostra e la sua, ma era Clarissa, l’amica di Susie, in attesa del suo ragazzo. Fu lui ad accorrere alle sue grida, e per poco non massacrò nostro padre di botte.
Allora per me la vita diventò ancora più difficile, nonostante in qualche modo capissi e mi sentissi vicina a mio padre. Non ero più solo la sorella della ragazza uccisa, ma anche la figlia del pazzo che era uscito di notte con una mazza urlando frasi sconnesse. Ma ormai sapevo come difendermi.
Ebbi, quando papà si fu completamente rimesso - a ridosso dell‘anniversario della morte di Susie - una conversazione con lui, che mi confidò i suoi sospetti. Decisi allora di aiutarlo, ma devo confessare a me stessa che la ragione di questo mio gesto sia da ricercare nella gelosia che ancora nutrivo per la memoria di mia sorella. Mi sembrava che lei fosse più presente nei pensieri di papà adesso che quando era viva: ma dando una mano a mio padre, forse sarei riuscita a distaccarmi dalla sua ombra.
Samuel mi aiutò, e mentre facevo il giro di corsa coi ragazzi passando come sempre davanti all’abitazione del signor Harvey, presi in fretta il vialetto e mi introdussi dentro dalla porta della cantina.
Perlustrai tutta la casa, non sapendo esattamente cosa cercare. Non pensavo a mamma, che forse era preoccupata per me - sicuramente allo stesso modo in cui era stata in ansia per Susie, quando quel giorno non era tornata a casa dopo la scuola. Certo non credevo - o sì? - di poter trovare il suo corpo, oppure qualcosa che appartenesse a lei: ma salii al piano superiore, nella camera da letto del signor Harvey, e trovai un blocco da disegno.
Un blocco normale, senza nulla che potesse supporre contenesse chissà quali prove… eppure una prova c’era.
Un disegno. Una fossa, una tana sotterranea. Un progetto. Forse la tomba di mia sorella.
Il signor Harvey era tornato. Io ero al piano di sopra, e riuscii a rompere una finestra e a fuggire da lì. Corsi a casa, dove la mamma era già in totale paranoia, e mostrai il disegno a mio padre. Dissi che adesso gli credevo.
Dopo tutto questo, avevo fondatissimi dubbi che la mamma stesse intrecciando una relazione con il detective affidato al caso di Susie. E forse fu proprio per questo che ci lasciò.
Il tempo passò. Nonna Lynn, la madre di nostra madre, venne a vivere con noi e si sistemò nella stanza di Susie. Buckley cresceva, nell’ombra di nostra sorella. E io continuavo a vedere Samuel.
Quando Buckley ebbe dodici anni papà ebbe un infarto, proprio mentre stava parlando con lui. Aveva organizzato un vero orto nel nostro giardino, usando quello che era iniziato come rifugio come capanno degli attrezzi. Non so cosa disse a papà, ma Samuel e io venimmo chiamati urgentemente dalla nonna, che telefonò anche alla mamma. In quel momento era in California, ma prese l’aereo e tornò subito.
Fu difficile soprattutto per Buckley rivederla. Come era ovvio, a nemmeno sei anni aveva visto la sua partenza come un abbandono, il che l’aveva spinto a portarle un rancore che fu duro a morire.
Papà si rimise bene, e tornammo a casa con la mamma. Samuel mi aveva chiesto di sposarlo, una notte di pioggia in cui ci eravamo persi, e in breve rimasi incinta.
Ancora adesso non sappiamo nulla del signor Harvey, che partì poco dopo la mia “visita” per ragioni e destinazione sconosciuta. Ma io, e sicuramente anche papà, resto convinta che l’assassino di mia sorella sia proprio lui, e anche se gli anni sono passati, non potrò perdonarlo. Ha privato i miei genitori di una figlia, Buckley e me di una sorella, altre persone di un’amica, una compagna, il potenziale amore di una vita. Certo, mia sorella non era speciale, non brillava di particolari inclinazioni: ma era speciale per noi. Lo era per me.
Samuel e io abbiamo avuto una bambina bellissima, che abbiamo chiamato come Susie. Abbiamo ristrutturato la casa dove lui mi ha chiesto di sposarlo, e io ho predisposto un giardino. La famiglia dove sono cresciuta non sarà mai più quella di prima, ma fortunatamente ho la mia nuova vita, la mia nuova famiglia.
Non sono più soltanto “la sorella della ragazza uccisa”. E sono felice. La presenza di mia sorella rimane sempre viva nel mio cuore, aleggia continuamente nella nostra vita, e so che ci vede e ci protegge. Non potrei desiderare altro.
Mi chiamo Salmon, come il pesce. Di nome, Lindsey.
  
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