Salve, ricordate la mia ultima collaborazione con la
mia so(r)cia Makochan?
Bene, dato
il successo ottenuto abbiamo deciso di metterci di nuovo in combutta sfornando
questa nuova storia.
Ecco a
voi…
Anàmesa Étoi – Across the Years
1 – La Promessa
“Accidenti!”.
Protestò
il bambino tra sé e sé, alzando imbronciato lo sguardo verso gli alti rami di
un grosso albero di fichi.
La
buccia scura dei frutti brillava alla luce del sole che filtrava dalle foglie,
facendo sembrare le gocce di brina della quale erano ricoperti simili a piccoli
diamanti; erano di certo maturi, a decine pendevano gonfi dai rami, e sarebbe
stato un vero peccato lasciarli lì a marcire o farli rovinare dalle beccate
degli uccelli.
Per
questo il piccolo era appostato sotto quell’albero da ormai una buona mezz’ora,
passata a tentare inutilmente di arrampicarsi o raggiungere i rami più bassi in
altri modi.
Aveva
sette anni -motivo per cui l’altezza non giocava certo a suo favore-, dei
grandi e luminosi occhi verde pallido che continuavano a scrutare le fronde,
decisi a non demordere.
Qua e
là, tra le ciocche di capelli biondi, una foglia caduta spiccava per il suo
colore verde cupo, in contrasto con i sottili fili d’oro della capigliatura.
Era
vestito come un normale ragazzino di provincia, una maglietta color smeraldo e
dei pantaloni bianchi sui quali svariati pezzetti di corteccia facevano bene
intendere quale fosse stato fino ad allora l’obbiettivo del bambino.
Il
ragazzino si guardò intorno, sperando che qualcuno passasse per il campo e lo
aiutasse a conquistare gli oggetti del suo desiderio, e rimase deluso quando si
rese conto di essere solo, dato che gli abitanti del villaggio nel quale viveva
erano troppo impegnati nel lavoro, a quell’ora, per andare a zonzo per i
frutteti.
Con
disappunto, si chiese cosa fare.
Tornare
a casa e prendere una scala?
Troppo
lontano, e poi come avrebbe fatto a riportare indietro sia la scala che i
frutti?
Chiamare
suo zio Kostas?
Lui
iniziava a lavorare presto, ed in genere non gradiva essere disturbato.
Né si
poteva sperare sull’aiuto degli altri parenti o conoscenti.
Pensò e
ripensò a come fare, e nessuna idea gli sembrò adatta alla situazione, a parte
l’ultima: a malincuore, lasciar perdere l’impresa e ritornare a casa ad aiutare
lo zio con il lavoro.
Indispettito,
il bambino lanciò un’ultima occhiata ai fichi sull’albero, e stava per aggirare
il vecchio tronco per andarsene quando una voce alla sue spalle lo fermò.
-Sarebbe
bello arrivarci, no?-
Dietro
di lui stava un ragazzino della sua stessa età, forse un anno più grande,
ovvero doveva avere otto anni, con i capelli blu lunghi fino alle spalle e gli
occhi color acquamarina.
Era
vestito in modo alquanto singolare: portava una tunica azzurra legata in vita
da una cintura di cuoio, ed ai polsi aveva legate delle bende bianche, sembrava
pronto per entrare a far parte di una squadra di combattenti.
-Già…-
borbottò lui lanciando un’altra occhiata ai fichi, ben visibili per via del
loro colore scuro che risaltava contro il verde delle foglie illuminato dal
sole –peccato che io ci sto provando da un bel po’, e non ci sono ancora
riuscito. È troppo alto-
-Magari
è alto per un bambino-
Commentò
l’altro avvicinandosi all’albero; sembrava avere tutte le intenzioni di salire.
Il
biondo lo scrutò sospettoso.
“Cosa
vuol dire per un bambino?” si chiese scettico “E’ alto quanto me! Forse un po’
di più… ma un paio di centimetri non fanno la differenza!”.
-Pensi
di poterci arrivare- gli chiese il nuovo arrivato –se sali sulle mie spalle?-
-Uau!
Questa sì che è un’idea!-
Non
persero tempo: qualche secondo dopo il ragazzino biondo si arrampicava sui rami
staccando i frutti e mettendoli nell’incavo della maglietta piegata per
ottenere un valido sostituto di un cesto.
Quando
la stoffa traboccò di fichi maturi, alcuni appiccicosi di resina, si sedette su
un ramo e li passò al nuovo amico.
-Sicuro
di non volere un aiuto per scendere?- gli chiese quello dopo che ebbero finito
l’operazione –Se cadi ti fai male-
Non
aveva tutti i torti, il ramo era abbastanza alto.
Ma il
bambino non voleva essere preso per un pappamolla, così gli rispose che ce la
faceva da solo, in caso lui avrebbe potuto aiutarlo se proprio scivolava dal
ramo.
Per
fortuna non cadde, atterrò però di slancio ed andò a colpire l’altro, finendo
entrambi a rotolare sul prato verde lontani dai frutti, fortunatamente.
I
bambini guardarono la piccola montagna di frutti accanto a loro, sorridendosi
con aria complice.
-Certo
che siamo una bella squadra!- sentenziò il più piccolo –A proposito, come ti
chiami?-
-Saga.
E tu?-
-Io
sono Kendeas-
Si
presentò, sedendosi poi a gambe incrociate sotto l’albero, con la schiena
appoggiata al tronco, iniziando a sbucciare un fico.
Saga si
unì a lui, e per un po’ nessuno ruppe il silenzio.
Entrambi,
però, si scrutavano a vicenda, incuriositi come solo i bambini sanno essere,
chiedendosi mentalmente molte cose l’uno sull’altro, con tutta l’intenzione di
approfondire la conoscenza del nuovo amico una volta che avrebbero avuto la
bocca libera.
Intanto
la montagna di fichi diminuiva e quella di bucce andava via via aumentando,
fino a quando i ragazzini rimasero indecisi a lanciare occhiate furtive
all’ultimo frutto rimasto alla base della piramide.
Iniziarono
a farsi domande basilari per soddisfare almeno in parte la loro curiosità.
Kendeas
aveva ragione: Saga era di un solo anno più grande di lui.
Eppure
dall’aspetto gli sembrava in qualche modo molto più maturo rispetto alla
maggior parte dei ragazzi loro coetanei: saranno state le spalle più larghe, la
schiena ben dritta, o quell’insolita serietà nello sguardo, fatto sta che agli
occhi del bambino biondo Saga appariva di gran lunga più cresciuto rispetto
alla sua età.
Gli
chiese se abitava in un villaggio vicino al suo; gli sembrava insolito di non
averlo mai incontrato prima di allora.
Saga
gli rispose di no.
-E
allora dove stai?-
-Oh,
bè…- e fece un gesto con la mano, molto più ampio di quello che avrebbe fatto
Kendeas per indicare il suo villaggio –lontano da qui. Non ci posso venire
sempre-
-Perché
no?- chiese Kendeas, incuriosito –Devi aiutare la tua mamma a lavorare?-
A Saga
scappò una mezza risata, priva però di cattiveria.
Non
voleva prenderlo in giro.
-No-
Rispose
solo.
Poi
allungò una mano verso l’ultimo frutto e lo divise in due metà esatte,
porgendone una a Kendeas.
Il
ragazzino accettò di buon grado, colpito almeno in parte dalla generosità
dell’amico: di solito, la gente non amava dividere i propri averi con gli
sconosciuti.
Ma questo
era quello che succedeva nei villaggi più poveri –non in quello in cui lui
viveva-, lì dove nessuno può permettersi di avere buon cuore con il prossimo.
Kendeas
stava per chiedere cosa mai impedisse a Saga di andare in giro come tutti i
ragazzi, quando una lontana voce di uomo lo interruppe, sbraitando a gran voce
qualcosa.
-Ops-
fece Saga scattando in piedi –mi sa che la mia pausa è finita-
La voce
era indubbiamente arrabbiata, e si avvicinava al campo dove i due bambini si
erano sistemati.
Kendeas
scrutò tra gli alberi, ma non vide nessuno nonostante i richiami continuassero
a farsi sempre più distinti.
-Saga!
Dove sei finito?! Ti ho detto che non puoi interrompere l’allenamento quando ti
pare e piace!-
Saga si
spazzolò via l’erba dai pantaloni –Devo andare-
-Ma chi
è? Tuo padre?-
-No. Il
mio maestro-
-Hai un
insegnante privato?-
-Hum…
sì e no. Bè, allora ciao-
-Aspetta!-
Kendeas
si alzò in piedi rincorrendo il bambino dai capelli blu, rischiando di
scivolare sulle bucce viscide dei fichi.
Saga si
voltò, e sembrava avere fretta.
-Io posso
venire quando voglio qui. Domani torni?-
-No-
Aveva
usato un tono perentorio, non adatto ad un bambino della sua età.
Sembrava
abituato a farsi obbedire ad un minimo cenno, aveva assunto una vaga espressione
di minaccia.
Kendeas
ci rimase male, ma non si perse d’animo.
-E
dopodomani?-
-No.
Mai più. Mai più fino a quando non avrò terminato il mio addestramento-
Kendeas
emise un verso deluso; non era facile farsi nuovi amici, in genere nei villaggi
tutti lavoravano e non avevano tempo per giocare, e tra poco anche lui avrebbe
dovuto darsi da fare ed iniziare a dare una mano in casa.
Saga
dovette intuire il suo disappunto, perché, incurante dell’uomo che lo chiamava,
sia avvicinò al bambino.
-Tra sei
anni- disse –avrò finito. Vediamoci qui, stesso giorno, stessa ora. Va bene?-
“Sei
anni?” pensò stupefatto Kendeas. Gli sembravano un’infinità “Cosa dovrà fare in
tanto tempo?”.
Sebbene
la curiosità facesse di tutto per fargli porre quella domanda, il timore di far
perdere la pazienza al ragazzino dagli occhi azzurri la ricacciava indietro.
Era
tanto tempo, sì, ma era pur sempre meglio aspettare che non rivedersi più.
-Va
bene. Tra sei anni qui-
-Bene-
Saga
annuì e corse via ad una velocità stupefacente.
Poco
dopo era già sparito tra gli alberi.
“Che
strano…” si ritrovò a pensare Kendeas sulla via del ritorno “sei anni… cosa mai
dovrà fare una persona in sei anni? Ha parlato di allenamento. Chiederò allo
zio”.
Il
bambino entrò nel cortile di casa sua oltrepassando lo steccato in legno,
vedendo subito suo zio Kostas intento a lavorare, concentrato come al suo
solito; poco distante da lui, un asino brucava un rado cespuglio d’erba quasi
al limitare con la staccionata.
-Ciao,
zio!-
Salutò
Kendeas sedendosi su una panca in legno vicino al parente.
Stette
un po’ ad osservare le mani ormai esperte dello zio lavorare quello che alla
fine avrebbe dovuto essere un vaso di argilla, bagnarlo intingendo le mani in
una ciotola d’acqua accanto a lui e ritornare a modellarlo con estrema
attenzione.
Lo zio
Kostas aveva barba e capelli scuri, e la pelle scottata dal sole per via della
sua abitudine di lavorare all’aperto nei giorni d’estate.
Il viso
e le mani erano increspati da piccole rughe, e la schiena gli si era con il
tempo incurvata a causa della posizione che assumeva nel lavorare, chino sulla
sua opera quasi cercasse di nasconderla da occhi indiscreti.
-Ciao,
nipote-
Gli
rispose.
Aggrottò
le folte sopracciglia per un attino, rifinendo il bordo del vaso con un
particolare arnese fino a ridurlo di spessore.
Appoggiò
la sua nuova creazione accanto ad altre già messe ad asciugare e si voltò a
guardare il nipote.
-Dove
sei stato? Ti ho visto uscire-
Kendeas
annuì, e gli raccontò del proprio incontro con Saga, della sua promessa di
rivedersi tra sei anni, e gli chiese cosa mai poteva tenere una persona
impegnata per tanto tempo.
Lo zio
lo ascoltò con interesse, passandosi alla fine una mano sulla barba.
Si
appoggiò allo schienale della sedia con un lungo sospiro.
Sul
viso aveva un sorriso appena accennato.
-Ragazzo,
credo che tu abbia appena incontrato un apprendista Saint-
-Un
apprendista cosa?-
-E’ una
storia lunga, Kendeas- lo zio si appoggiò i gomiti sulle ginocchia, sporgendosi
verso di lui –immagino tu sappia che, spesso e volentieri, gli Dèi amano
immischiarsi nelle sorti degli umani, far parte delle battaglie mortali
lottando in modo da portare la vittoria ai loro favoriti e modificare il corso
degli eventi secondo il loro volere. Si dice che una Dea in particolare scenda
sulla terra ogni qualvolta il male minacci il pianeta: si tratta di Athena, la
Dea della guerra e della saggezza, dell’arte strategica in battaglia. Con la
sua comparsa anche un buon numero di ragazzi destinati a formare il suo esercito
si fa avanti. Non si tratta di uomini come gli altri: i Saint, così vengono
chiamati, Santi capaci di riportare la pace, possiedono una forza fuori dal
comune, sono capaci di disintegrare intere montagne con la sola forza di un pugno, e di molto
altro-
“Accidenti!”
venne da pensare al bambino mentre il racconto proseguiva “Davvero Saga sarà
capace di fare tutto questo?”.
-Ma
allora, zio, quando tra sei anni rivedrò quel ragazzo lui sarà in grado di fare
quello che hai appena detto? Non mi prendi in giro?-
-Certo
che no. Suppongo che, trascorso il tempo stabilito, scoprirai da solo di quali
poteri il tuo amico sarà dotato-
***
A volte
quei sei anni erano sembrati un’eternità, altre invece scorrevano con una
velocità impressionante.
Non
passava giorno in cui, complici i racconti di Kostas, Kendeas non si ritrovasse
a pensare a Saga, a come sarebbe stato il loro incontro dopo tanto tempo, a
come l’avrebbe rivisto tanto cambiato dopo il lungo addestramento.
Spesso
ci rifletteva con trepidante attesa, altre invece con imbarazzo: messo a
confronto con uno dei leggendari Saint di Athena, lui non era altro che una
nullità; Saga avrebbe davvero voluto perdere tempo con lui?
E se si
fosse dimenticato dell’appuntamento?
Avrebbe
di certo avuto altro a cui pensare, che ad una promessa fatta tra bambini.
Con
quel pensiero, il giorno stabilito Kendeas si avviò verso il luogo
dell’appuntamento.
Arrivato
sotto il vecchio albero di fichi si ritrovò a sorridere ripensando all’incontro
con Saga; si sedette con la schiena appoggiata contro la corteccia ruvida, in
attesa.
Lui
stesso era cambiato dal giorno in cui si erano conosciuti: non si pensava
robusto come l’amico avrebbe dovuto di certo essere, eppure il lavoro appreso
nel laboratorio dello zio gli aveva fatto sviluppare i muscoli delle braccia,
sempre in movimento nel lavorare i blocchi di argilla, e le sue mani erano
diventate col tempo veloci e robuste ma al contempo delicate e dal tocco
leggero.
I
capelli gli erano cresciuti diventando folte onde scomposte formate da ciocche
bionde; gli occhi verdi cambiavano sfumatura in base al tempo: si scurivano
virando verso incredibili sfumature grigio-azzurro quando il cielo
preannunciava pioggia, mentre se la giornata era serena il verde chiaro prendeva
il sopravvento su ogni altro colore.
“Non
verrà” si disse ancora una volta, staccando un filo d’erba e rigirandoselo tra
le dita “lo aspetto solo perché gliel’ho promesso, ma non posso certo sperare
che un Saint possa venire meno ai suoi doveri solo per un appuntamento dato da
bambini”.
Il
tempo passava, si stava avvicinando l’orario stabilito.
Kendeas
aveva spezzettato il filo d’erba e l’aveva gettato via con fare distratto,
staccandone subito dopo un altro per metterlo fra le labbra e rigirarselo nervosamente
tra i denti.
L’orario
era più o meno quello, e nessuno si faceva avanti, come già previsto dal
ragazzo.
Passarono
altri minuti, e neanche un lontano rumore di passi, non una voce, convinse
Kendeas dell’arrivo di Saga.
Attorno
a lui regnava la pace sovrana, interrotta di tanto in tanto dal volo di un
uccello tra le foglie degli alberi o dal movimento di queste ultime ad un raro
soffio di vento.
E,
proprio quando il ragazzo aveva abbandonato un po’ le speranze, si sentirono
dei passi avvicinarsi ed una voce calda e familiare provenire dalle sue spalle.
-Allora
sei venuto davvero-
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Siete giunti fin qui?
Ma bravi, allora la storia non è un fiasco totale xD
Ora vi spieghiamo un po’ com’è nata l’idea: dunque, abbiamo
notato che quando si tratta di storie romantiche i Saint sono sempre accoppiati
tra di loro (coppie canoniche Saga x Aioros, Milo x Camus ecc…), oppure se ci
sono personaggi originali che si innamorano o che finiscono accoppiati come le
carte del Memory sono sempre femmine; allora abbiamo pensato: “Ecco cosa manca!
Una storia dove il personaggio originale sia un altro maschietto *fiocco blu*”.
E così abbiamo creato Kendeas(: non è carino? xD -> idea
stupida di Mako).
Ovviamente se qualcuno avesse già scritto una storia come questa
fatecelo sapere, perché noi non ne abbiamo notate, ma potrebbero sempre esserci
sfuggite.
Va bene, grazie per l’attenzione, al prossimo capitolo.
P.S: Il titolo è una citazione di Confrontation, che è una canzone del musical “Les Misèrables”, dato
che Mako è una pazza fissata con quella roba lì <.<
Mako e Rory