A/N: L’ho pensata come
seguito dell’altra mia fanfic “Clean your body of him (I can’t)” ma è comprensibile ed apprezzabile anche senza aver
letto quella.
Scritta per il contest di Immaginaria e de I Diari Degli Eroi, sul tema ‘Veleno’.
Veleno
Sono ancora qui.
A contare ogni più piccolo oggetto che testimoni che lei fa parte della mia
vita, non di quella di qualcun altro. Di quell’uomo che, nonostante non fosse
più il nostro capo da diverso tempo, influenzava come un morbo le nostre
esistenze dal giorno in cui avevamo messo piede al PPTH.
Io posso dire di aver smesso di cercare la sua approvazione
quando ho ricevuto un bel pugno sulla mascella, e francamente ritornare
tra i suoi ranghi mi sembra un bel passo indietro: un insulto stesso alla stima
che ha voluto accordarmi mandandomi per la mia strada. Per lei è diverso. Lui
l’ha lasciata andare, non l’ha mandata via.
Proprio quando ero pronto a fare lo stesso, a lasciarla andare ed ammettere che
i nostri martedì non erano che uno stupido passatempo cui ero l’unico a voler
attribuire un qualsiasi significato, m’ha preso in contropiede presentandosi
alla mia porta.
Avrei potuto dire “No, grazie. Sappiamo entrambi che non funzionerà, tu non ami
me.” Ed altre belle frasi traboccanti della
consapevolezza che non intendevo essere una seconda scelta.
Non l’ho fatto. Perché, per quanto mi accorga delle tante cose che non vanno tra di noi non riesco
ad allontanarmi. Non negherò di essere stato in grado di chiudere la nostra
storia, per qualche ora, ma c’è da considerare che l’avevo
fatto pensando che avrei cambiato stato, continente e forse pure pianeta
quando House m’aveva licenziato.
Tra il continuare a lavorare nel medesimo ospedale e lo spendere il nostro
tempo libero l’uno a casa dell’altra - e viceversa – la rinuncia diventa
tutt’altro paio di maniche. Non ne sono capace ed in fondo mi va bene così.
Sono, infatti, indubbiamente attratto dalla componente distruttiva che la
nostra relazione conserva; nonostante sia diventata qualcosa di più che
semplice ginnastica da letto.
Solo ultimamente credo di aver realizzato che c’è
qualcosa che mi differenzia dagli uomini che ha avuto prima di me o di quelli
di cui si è interessata.
Sono assolutamente certo che in me non cerchi nulla da riparare, anzi sono
convinto che voglia annientarmi. Inconsapevolmente o meno, è quello che spesso
finisce per fare ed io mi sento quasi… Onorato.
Perciò finisco sempre con il perdonarla, qualsiasi torto mi faccia.
Al contrario, quando mormora il mio nome come una litania
mentre facciamo l’amore o nel modo in cui, anche dopo averlo fatto,
entrambi continuiamo a cercare un contatto con l’altro… Ne sono quasi
spaventato.
Nel sentirla appoggiarsi con la testa sulla mia spalla, con una tenerezza che
non c’eravamo mai concessi, io sudo freddo.
Quella frase che si sente tanto spesso “stai attento a
quello che desideri, perché potresti ottenerlo” l’avevo sempre ritenuta un
commento acido di chi s’era costruito l’ideale di qualcosa o qualcuno e poi
s’era ritrovato a conti fatti con la realtà ed aveva scoperto quanto poco
valesse ciò che aveva inseguito. Invece aveva un fondo di verità. Volevo che
lei mi desse la possibilità di essere una vera e propria coppia ed ora che lo siamo
vivo in uno stato d’ansia perenne.
Mi serve essere spinto oltre i miei limiti, fino a che il dolore non si fa
insopportabile. Provare frustrazione, umiliazione e trarre forza da queste
emozioni.
Non riposare sugli allori, crogiolarmi in una vita di coppia che sembra essere
la replica di uno spot per S. Valentino.
Ciò che non t’uccide ti fortifica, per tirare fuori un altro luogo comune.
Guardandomi alle spalle, riportando alla mente la strada che c’ha portato fin
qui, mi rendo conto che è il fondamento stesso su cui è nata e poi proseguita
la nostra storia.
Nei primi giorni dopo la fatidica notte in cui si è presentata a casa mia sotto
effetto di droghe, Allison era capace di inaridirmi la bocca, farmi battere il
cuore a mille e di stringermi lo stomaco fin quasi alla nausea. Con la stessa,
inesorabile, lentezza della belladonna.
A poco a poco ho aumentato la mia resistenza, sviluppato antidoti
ma lei è sempre stata più veloce di me nel trovare nuovi modi di essere
letale.
La freddezza che mi riservava dopo le nostre notti insieme,m’immobilizzava
mi faceva provare un’angoscia immensa, come se fosse aconito. Non
differentemente dalla cicuta poteva agire indirettamente, facendomi soffrire
tramite l’amore non ricambiato che provava per lui. Mi bastava accorgermi di
quanto in fondo fosse simile ciò lei provava per lui e
quello di cui io m’accontentavo da parte sua.
Ed avrei potuto benissimo essere stato intossicato da
un albero dei paternostri, giacché tra i miei primi sintomi posso contare anche
la progressiva perdita dell’appetito.
Sull’ipotetica lavagna di House, poi, segnerei pure la digitale purpurea ed il
vischio. È nel sovradosaggio, infatti, che sta la chiave del suo effetto
devastante. Standole accanto, man mano che passano le ore, ciò che ho intorno
comincia ad assumere contorni confusi fino a farsi indistinguibile. L’unica a
restare nitida ai miei occhi è lei.
Con la nocività del vischio, invece, ha in comune il lasciarmi con una
spropositata sete. Di assaggiare nuovamente il sapore della sua pelle, delle
sue labbra.
Qualcuno la definirebbe una droga, ma si sbaglierebbe. Non ne ho il chiodo
fisso. Non penso a lei ininterrottamente, da quando ci
lasciamo per andare ognuno a lavorare nel proprio reparto a quando
c’incontriamo finiti i nostri turni. Essere divisi è spiacevole, ma non
m’impedisce di concentrarmi e di operare al meglio delle mie possibilità.
Non è neppure una di queste sostanze in particolare. Nella sua persona ne
racchiude tutte le proprietà deleterie e questo la rende unica nel suo genere.
Sicuramente rabbrividirebbe a sentire tali paragoni, lei che crede di essere terapeutica per chi ha la fortuna di ricevere il
suo aiuto. Di lenire la sofferenza e quietare gli animi.
Può darsi che per gli altri sia così, ma non per me.
Ed ora, nel timore di restarne privo, mi tormento nel fantasma di una persona che
lei dice d’aver scacciato. Ogni cosa che trovo è un vero e proprio trofeo.
L’emblema del fatto che lei sia mia. Ma questa non è una sfida, e seppure lo fosse al mio avversario non potrebbe importare di meno di
vincerla.
Questo, in realtà, è l’aspetto più frustrante. Lui non deve fare nulla per
averla, anzi peggio si comporta più lei cade ai suoi piedi.
Non posso intimargli di starle lontano, perché so che non è lui a cercarla. E
potrei quasi ridere di come si ritrovi invischiata con
House ancor più di quanto non lo fosse quando lavoravamo alle sue dipendenze,
se non fosse che ne tesse le lodi perfino di fronte a me.
Il massimo è stato raggiunto un paio di giorni fa, quando una troupe è venuta a
riprendere al seguito del novello Elephant Man.
Nessuno di noi era a proprio agio davanti alle telecamere: eravamo falsi o
finivamo per esaltare lati di noi che nemmeno avremmo voluto fossero visti. Le
parole che abbiamo detto sapendo di essere ripresi hanno un peso relativo,
quindi posso passare sopra al fatto che lei abbia detto di “amarlo”. Una
sfortunata scelta di termini, un errore, un lapsus… Può capitare.
Più difficile, invece, è da digerire il
suo arrampicarsi sugli specchi per redigere quell’affermazione.
Quasi non volesse che in giro si sappia la verità: è ancora
follemente innamorata dello scorbutico genio della diagnostica.
Paradossalmente, però, l’unico che non si premura di tenere all’oscuro di quei
sentimenti sono io.
Chi credete sia stato scelto per soppesare la sua
risposta, quando doveva accertarsi che non si capisse che in realtà avrebbe
voluto dire che lei lo ama disperatamente?
Il sottoscritto, naturalmente.
A chiunque verrebbe da pensare “Ma che cazzo! C’ho scritto in fronte ‘Zerbino
umano. Per favore, calpestatemi’ ?”
Tuttavia, è talmente evidente che la risposta è sì che nemmeno vale la pena di
porsela questa domanda.
Se non mi lasciassi mettere i piedi
in testa, avrei preteso delle scuse. Non avrei accettato che, la stessa Allison
Cameron che crede di avere l’empatia sufficiente a capire i sentimenti di
chiunque si trovi davanti, in quell’occasione non avesse saputo vedere più in
là del proprio naso.
Invece, a dispetto dell’espressione scazzata sul mio volto, dentro di me ho
tirato un lungo sospiro di sollievo. Sa
ancora dove colpire, in che modo rigirare il coltello nella piaga, tutto
sommato.
Intanto la protagonista delle mie riflessioni mi compare di
fianco, senza che io me ne sia minimamente accorto.
M’accorgo che si sta chiedendo cosa io stia facendo, senza però dare voce al
suo pensiero. Aspetta che sia io stesso a spiegarmi.
“Faresti meglio a preparare un astuccio con tutto quello che ti può essere
utile, in modo da non dovertelo portare avanti e indietro ogni volta che ti
fermi qui. Tipo lo spazzolino, sai?” Chiaramente mi stava osservando già da un
po’, perché mi guarda come se fossi un alieno: non è possibile che abbia
riflettuto tanto a lungo su una banalità simile. “Mi piace trovare tracce di te
in giro per casa.”
Ammetto. Sorride: le confessioni le piacciono, specie
quando le permettono di riconoscere quanto io abbia bisogno di lei. Indipendentemente dal male che il mettermi a
nudo mi provoca, io lo faccio volentieri.
Ciò nonostante non sembra ancora convinta. Torna seria e mi domanda “Sei ancora
arrabbiato per l’altro giorno, vero?”
“Perché dovrei esserlo, scusa?” Mi complimento con me stesso, quando sento il
tono di sorpresa nella mia voce. “So che non sei più innamorata di lui. Si è
trattato di un malinteso.” Le bacio la tempia, scendendo poi sulle labbra.
“Avrei dovuto aspettarmi che avresti capito.” Sospira,
interrompendo il bacio ed abbracciandomi. Crisi arginata. Chiarimento
scongiurato.
Il mio veleno è rimasto tale ed io posso avvicinarmi nuovamente alla sua bocca.
Per vedere fin dove riusciamo a spingerci, prima di distruggerci.
Alla tua bocca mi avvicinerò
E un’altra volta mi avvelenerò
Del tuo veleno… Mi avvelenerò.
(Veleno, Subsonica)