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Autore: frances bruise    07/12/2013    1 recensioni
Spoiler da "Il canto della rivolta"!
Questa storia narra il punto di vista di Gale Hawthorne e il suo addio definitivo al Distretto 12, in un giorno di autunno, in cui le foglie hanno già cominciato ad imbrunire il terreno su cui, una volta, si posavano i piedi dei due grandi amici, Katniss e Gale.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gale Hawthorne
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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L'ADDIO AL DISTRETTO 12.
 

Non mi sono mai piaciuti gli addii.
Né alle persone. Né ai luoghi natali.
Ma ci sono dei momenti, nella vita, in cui bisogna fare un passo avanti, protendersi al futuro e capire una volta per tutte che il passato è passato e che non torna più indietro.
 
Il giorno in cui lasciai il Distretto 12, c’era una lieve brezza.
Mi scompigliava i capelli, mentre – col naso all’insù – rimanevo fermo a fissare quello che – per tanti anni – era stato il luogo in cui sorgeva la mia vecchia casa e in cui ne avevano costruita una nuova.
Ricordavo ancora l’odore che c’era tra le mura di casa mia, un miscuglio di fuliggine (per via del mio lavoro in miniera) e di minestra, quella che preparava mia madre a me e ai miei fratelli. E, anche se quell’odore non mi era mai piaciuto, in quel momento ne sentii la mancanza.
Perché, anche se era un odore sgradevole, sapeva comunque di casa.
 
Percorrendo con lo sguardo il nuovo edificio, nato dalle ceneri di quello vecchio, mi venne in mente il giorno in cui mio fratello minore Rory venne da me a chiedermi di insegnargli a tendere trappole per i piccoli animali. Nella sua ingenuità, non capiva che era illegale cacciare nel bosco, oltre i confini del Distretto; eppure io avevo voluto accontentarlo e gli avevo insegnato a tendere le trappole per i conigli. Per quelli un po’ più fessi che si facevano acchiappare con facilità.
 
Fissai lo sguardo sulla porta del nuovo edificio e mi ricordai una delle tante giornate in cui, esausto, tornai dal lavoro in miniera e mia madre mi fece trovare un dolce fatto con le sue stesse mani.
Era una brava donna, mia madre. Anzi no, avrei potuto dire di meglio: lei era stata una vera madre, sia per me che per i miei fratelli minori, ed una donna autentica.
Era sempre rimasta fedele a mio padre, anche quando costui era morto. E mi aveva sempre guardato con profondo dolore, quando – alle luci dell’alba – tornavo col bottino di caccia: perché lei sapeva che ciò che facevo era illegale, ma non aveva il coraggio di chiedermi di smettere. Se io avessi smesso, saremmo morti tutti. Nessuno escluso.
Oppure, non le piaceva vedermi di ritorno dalla miniera. Non le piaceva che io stessi male, in generale.
Ma era mia madre.
 
Il mio ultimo ricordo, spostando lo sguardo sulla strada, fu Katniss, la mia migliore amica. 

Come ho detto, non mi piacciono gli addii.
 
Katniss costituiva il mio più grande dolore, il mio più grande rimorso, il mio più grande rimpianto.
Perché, nonostante la consapevolezza di aver commesso un gesto terribile nei suoi confronti  [avevo ucciso sua sorella, seppur involontariamente.  Ma la sua morte era un mio senso di colpa.
Ero stato io a lavorare a quelle bombe, anche se assieme a Beetee. Ero stato io a premere il pulsante per farle esplodere, seppur ignorando la presenza di Prim. Ero stato io ad uccidere quella povera bambina.
Come potevo perdonarmelo?
 ] sentivo che non le avevo detto tutto ciò che avevo da dirle.
Ed avrei voluto dirle tutto ciò che mi veniva in mente. Solo che temevo il suo disprezzo.
Dalla morte di Prim, Katniss non aveva più avuto il coraggio di rivolgermi la parola e – quando, per caso, i nostri sguardi si incrociavano – sentivo che il legame che ci aveva tenuti uniti per una vita si era sciolto. E per sempre.
Non avevamo più quell’intesa di un tempo, quell’intesa che ci faceva convivere nei boschi. Eravamo lontani, soprattutto col cuore.
E, proprio per questo motivo, io accettavo la sua decisione di ignorarmi. Anche se, a mia volta, ignoravo quali fossero i suoi veri pensieri.

Lasciai finalmente la via in cui, un tempo, si trovava la mia vecchia casa; e mi avviai verso la piazza cittadina, con la brezza mattutina che mi scompigliava ancora i capelli.
Con me, avevo solo una piccola valigia con le quattro cose che mi erano rimaste: alcuni abiti, qualche foto ricordo, e altre cianfrusaglie del genere. Avevo deliberatamente deciso di lasciare nel Distretto tutto ciò che avrebbe potuto tenermi legato al mio passato.
In particolare, tutto ciò che mi aveva legato a Katniss. Non lo facevo perché ero amareggiato, ma perché volevo che lei fosse felice, alla fin fine: non importava cosa avrebbe scelto di fare della sua vita, io l’avrei sempre appoggiata. Lei faceva sempre la cosa giusta, ed io non sapevo come ne fosse capace.
Anche scegliere Peeta doveva essere stata una scelta più che giusta.
Non mi azzardavo mai a mettere becco sulle decisioni di Katniss, nemmeno su quelle che mi estraniavano dalla sua vita.
Così, finalmente, lasciai la vecchia via e – allo stesso tempo – lasciai alle mie spalle quello che era il mio passato, tutto ciò che era avvenuto in casa mia.
Giunto in piazza, il mio sguardo si spostò sulla vecchia colonna per le fustigazioni pubbliche, e notai – con profonda sorpresa – il sangue che per tanto tempo l’aveva ricoperta era scomparso. E, al suo posto, vi erano ghirlande di fiori.
La guerra in opposizione alla pace.
Sì, rimasi stupito, ma ancora di più felice di quel cambiamento. Significava che Panem stava cambiando, che le persone stavano cambiando.
E, che lo volessi o meno, sarei cambiato anche io.

Mi sentii fuori dal mio passato solo quando, una volta lontano dalle abitazioni, mi chinai per oltrepassare il vecchio recinto in filo elettrico. Scarico. 

 
   
 
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