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Autore: lilysdreams    09/12/2013    0 recensioni
Il miglior modo per scrivere è quello di lasciarsi trasportare da eventi che ai più possano sembrare insignificanti ma che racchiudono un senso inimmaginabile di vita, passioni e sentimenti. E' bastata la pioggia e una vecchia bicicletta a scaturire tutto ciò. Potere della mente e delle parole.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il ticchettio della pioggia era incessante, cadeva rumorosa sull’asfalto, sui tendoni dei bar tirati a coprire due giovani che sorseggiavano una bibita stuzzicando l’appetito. Da terra saliva quell’odore di autunno appena arrivato che ti coglie di sorpresa con un po’ di venticello fresco quasi da farti desiderare il maglioncino piegato nell’armadio.

Sulla bici legata ai pali adibiti a parcheggio delle due ruote la pioggia scivolava giù dal sellino nero per andare a mescolarsi tra grasso e chilometri percorsi.

Il telaio era di un rosa tenue, di quelli che piacciono tanto alle bambine, ma era troppo grande per essere guidata da una ragazzina. Il cestino incastrato nel manubrio era pregno d’acqua e foglie cadute dall’albero che avrebbe dovuto ripararla, ma che con il vento e la tempesta sembrava quasi un alleato del maltempo.

Era estate, anche se le condizioni del cielo tutto facevano presagire tranne che quella era una sera di luglio.

La gente correva a ripararsi quasi a piedi nudi, con l’acqua e il fango che insudiciavano la pelle ambrata divorata dal sole.

Ma la bici restava lì mentre un mondo frenetico le passava accanto incurante. Sembrava quasi ferma in religioso silenzio, in attesa che qualcuno, che proprio lei potesse venirla a prendere per portarla via.

I giorni passarono, il rosa della canna si faceva sempre più sbiadito, quasi cancellato dalla memoria, il sellino era macchiato d’acqua asciugata al sole e bruciava ora che l’estate era entrata prepotentemente nelle vite di tutti.

L’ira del tempo era niente in confronto all’ira degli esseri umani, avidi ladri di pezzi di vita altrui che sventrano anche il più piccolo ed intangibile dei ricordi. I giorni scorrevano e di quella bici rimaneva sempre meno. Una ruota, due ruote, la catena. Sembrava quasi che un qualche dio ne avesse decretato la morte cerebrale autorizzando l’espianto degli organi.

Mi chiedevo cosa avrebbe fatto la proprietaria se un giorno fosse tornata a reclamare ciò che era suo, quale sarebbe stata la sua reazione alla vista del suo amico fedele sventrato e disossato come l’ultimo degli animali da macello.

La pioggia ricominciò a ticchettare e le foglie gialle dell’albero a cadere, il bar ormai era chiuso, non c’erano più ragazzi a sorseggiare qualcosa di fresco.

Ma la bici rosa era sempre lì.

  
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