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Autore: _Fedra_    10/12/2013    1 recensioni
Il primo giorno di scuola, il Cappello Parlante assegna Edmund a Serpeverde non appena sfiora la sua testa.
Ma siamo sicuri che la Casa più famigerata di Hogwarts sforni esclusivamente maghi e streghe cattivi?
E se il ragazzo destinato ad affiancare Harry Potter nella lotta contro Voldemort si trovasse proprio lì?
* AU in cui i Pevensie sono dotati di poteri magici; nuovi pairing e personaggi per entrambe le saghe *
Genere: Fantasy, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Caspian, Edmund Pevensie, Susan Pevensie
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La profezia dell'Erede'
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CAPITOLO 2

Parenti ficcanaso e altri guai

~

 

 
 
 
 
 
La monovolume rosso scuro percorse Magnolia Crescent a passo d’uomo e imboccò Privet Drive, fermandosi davanti al numero 4.
−È questa? – chiese Albert affacciandosi dal finestrino.
−Sì – rispose Jane, accoccolata sul sedile del copilota.
Il suo sguardo si soffermò sulla muraglia di villette bifamiliari che si estendeva a perdita d’occhio.
Erano tutte uguali, a due piani con il tetto spiovente e i prati ben tenuti.
Quell’ordine maniacale era ben lontano dall’aspetto selvaggio degli antichi cottagedi Finchley, dove la ragazza viveva.
−Devo proprio scendere anch’io? – domandò di nuovo Albert.
−Sì, papà – disse Jane con un sospiro.
Entrambi non erano molto entusiasti di ritrovarsi faccia a faccia con quei simpaticoni dei Dursley.
Jane non riusciva ancora a farsi una ragione che quei tre fossero davvero suoi parenti.
Petunia era la sorella di Lily, la donna che avrebbe dovuto chiamare madre.
Aveva sposato Vernon, un tizio più largo che alto con un paio di minacciosi baffi da tricheco, con il quale aveva avuto Dudley, un bullo che amava trascorrere il tempo a rendere la vita un inferno al povero Harry.
I Dursley erano le persone più ordinarie e noiose che Jane avesse avuto la sfortuna di incontrare.
Ossessionati dalla mania di apparire persone perbene, avevano il terrore della magia e di tutto ciò che andasse fuori dall’ordinario.
La ragazza si era sempre chiesta perché Silente avesse spedito Harry a vivere con gente del genere, che lo odiavano con tutto il cuore, a tal punto da farlo dormire nel sottoscala e mandarlo in giro vestito di stracci.
Certo, erano i suoi parenti più stretti, ma allora perché non avevano affidato loro anche Jane?
Forse per il fatto che i Dursley non avrebbero mai accettato di occuparsi di ben due maghi?
O la verità era un’altra?
−Allora, andiamo? – incalzò Albert, riscuotendo la figlioccia dai suoi cupi pensieri.
La ragazza scrollò le spalle e si slacciò la cintura di sicurezza.
−Ti consiglio di legarti i capelli – soggiunse lui.
A quelle parole, Jane gli scoccò un’occhiata di fuoco.
–Devo proprio? – si lagnò.
−Non avevi detto che dovevamo essere presentabili? – scherzò Albert, fingendo di controllare dallo specchietto retrovisore che i suoi corti capelli biondi striati di grigio fossero sufficientemente pettinati all’indietro.
Jane gli fece la linguaccia e imprigionò la sua lunga chioma ribelle in un elastico per capelli.
−Adesso sembro una ragazza perbene? – chiese in tono di sfida.
−Direi di sì!
I due scesero dall’auto e si avviarono lungo il vialetto del numero 4.
Subito ebbero entrambi la sgradevole sensazione di essere spiati da occhi indiscreti che sbirciavano da dietro le tendine di pizzo.
Albert si fece coraggio e premette il lungo dito sul campanello di ottone.
Si sentì un rumore affrettato di passi sulla moquette, poi la porta verniciata di fresco si spalancò, rivelando il volto cavallino di zia Petunia, incorniciato da una massa di corti ricci neri.
Teneva le labbra strette come se stesse succhiando un ghiacciolo.
−Buongiorno, signora –la salutò gentilmente Albert.
−Buongiorno, signor Collins. Che piacere vederla. Prego, si accomodi – rispose lei freddamente, senza degnare Jane di un’occhiata.
I due entrarono nel pianerottolo, facendo poi ingresso nel salotto adiacente.
Non erano neanche le dieci del mattino, eppure sul tavolino era già pronto un vassoio colmo di biscotti e fumanti tazze di tè.
Lo zio Vernon li attendeva vestito di tutto punto su una poltrona color rosa confetto.
−Buongiorno, dottor Collins – salutò a sua volta, alzandosi per andargli a stringere la mano.
Anche lui non sembrò notare molto la presenza di Jane.
−Come vanno le cose in reparto? Scommetto che in questi giorni avete un mucchio di lavoro, vero? – proseguì imperterrito.
−Non ci lamentiamo, per ora – rispose Albert con gentilezza.
Jane tirò un sospiro di sollievo.
I Dursley non sembravano avere problemi con suo padre.
Forse perché credevano che il suo aspetto professionale e curato lo rendesse automaticamente simile a loro.
O forse perché era conosciuto come uno dei chirurghi più abili d’Inghilterra.
−Prendete una tazza di tè, mentre il ragazzo di prepara – disse Petunia, che era rientrata in quel momento.
I due andavano abbastanza di fretta, ma sapevano che con i Dursley era inutile opporre resistenza.
Sprofondarono quindi nel divano con aria rassegnata.
Mentre masticava una insipida galletta dietetica, Jane immaginò con orrore che razza di vita avesse condotto Harry prima di scoprire di essere un mago.
Lei non avrebbe sopportato neanche cinque minuti di convivenza forzata in quella casa.
Con i Collins era sempre stata una sorta di ragazzaccio di campagna, trascorrendo le giornate a rincorrersi insieme ai fratelli per le campagne di Finchley.
Al numero 4 di Privet Drive, invece, sembrava che qualunque cosa avesse a che fare con il correre e lo schiamazzare fosse categoricamente proibita.
Improvvisamente, un rumore di passi ovattati sulle scale annunciò l’arrivo di Harry.
Dimenticando la rigida etichetta che si era imposta negli ultimi cinque minuti, Jane scattò in piedi, correndo incontro a suo fratello.
I gemelli Potter si assomigliavano in maniera spaventosa.
Erano entrambi piccoli e mingherlini, con una massa disordinata di capelli neri e due grandi occhi verdi.
Tutti e due soffrivano di miopia, ma mentre Harry si era ormai rassegnato a portare i suoi storici occhiali rotondi, Jane, che non li sopportava per principio, era entrata da un paio d’anni nel mondo delle lenti a contatto.
−Serve una mano? – chiese la ragazza dopo aver stretto il fratello in un caloroso abbraccio.
−Magari! Non riesco a portare giù il mio baule senza usare la magia.
I due gemelli si arrampicarono fino al piano di sopra, dove Harry, pochi anni prima, aveva finalmente ottenuto una camera da letto tutta sua.
Non appena Albert aveva telefonato ai Dursley quella mattina per avvisarli del loro arrivo, il ragazzo aveva radunato le sue cose a tempo record, ansioso di lasciare una volta per tutte quell’odiosa topaia.
Rinchiusa nella sua gabbia, Edvige, la civetta bianca, lanciò uno strillo acuto a mo’ di saluto.
−Ciao, bellissima – la salutò Jane, accarezzandole il piumaggio soffice da dietro le sbarre. – Lasciala pure libera, Harry. Ci seguirà in volo.
−Fossi matto! Se fosse stato di notte, ci avrei pure pensato; ma mettiti nei panni dei nostri vicini, se mai vedessero una civetta bianca uscire dalla mia finestra…
−Ah, giusto!
La ragazza trotterellò accanto al fratello, aiutandolo a sollevare il suo pesante baule e trasportandolo al piano di sotto, con il rischio di rompersi entrambi l’osso del collo un paio di volte.
Albert venne prontamente loro incontro, salvandoli dagli ultimi gradini.
Per ultima, portarono giù Edvige, che fece scattare il becco con stizza nel momento in cui comprese che sarebbe rimasta rinchiusa ancora a lungo.
−Bene, signori, vi ringraziamo dell’ospitalità – disse il signor Collins, una volta che tutto fu pronto. – Sono felice che abbiate accettato di lasciare Harry a casa nostra per tutto il mese di agosto.
−Oh, no. Siamo noi che ringraziamo lei per tutti i sacrifici che sta facendo per occuparsi del ragazzo – rispose zio Vernon in tono formale. In realtà, si vedeva benissimo che non vedeva l’ora di sbarazzarsi di Harry per un altro anno.
−Vi faremo sapere presto – proseguì Albert.
−Non vi preoccupate a spendere soldi in telefonate – lo liquidò il signor Dursley.
Dopo essersi scambiati una rapida stretta di mano, Albert guidò i ragazzi lungo il viale, alla volta della sua auto parcheggiata.
I Dursley restarono a spiarli da dietro le tende fino a quando non furono tutti e tre a bordo, gli sguardi tesi per la paura che qualche vicino ficcanaso si affacciasse proprio in quel momento.
Una volta al sicuro sul sedile posteriore dell’abitacolo, Harry tirò un sospiro di sollievo.
–Grazie per avermi salvato anche questa estate – disse mentre si allacciava la cintura di sicurezza.
−Non c’è di che, Harry! – esclamò Albert cordiale, accendendo il motore. – Mi domando come il vostro Preside abbia potuto permettere una cosa simile. Insomma, quando Jane è arrivata avremmo potuto benissimo occuparci anche di te.
−Ma poi avete avuto Cecilia, sbaglio? Adesso avreste quattro figli – osservò il ragazzo saggiamente.
−All’epoca i medici ci avevano detto che Wendy non avrebbe potuto sostenere altre gravidanze – rispose Albert tranquillamente.
−Però è successo lo stesso.
−È vero.
−I Dursley sarebbero molto contenti di farti venire a stare da noi per sempre – intervenne Jane.
−Già, peccato che Silente continua a ripetermi fino alla nausea che devo tornare da loro ogni estate – brontolò Harry.
−Già, Silente… − Jane si era di colpo fatta pensierosa. – Hai per caso ricevuto notizie da lui, Harry?
−No, neanche una lettera. E tu?
−Idem. A parte il fatto che ero in Austria.
−Già, però scommetto che in Austria ci sarà stato qualche gufo.
−Non è facile come pensi! Ero in posto pieno di Babbani e di certo non mi sono messa ad andare tutta sola in cerca di maghi. E poi, di questi tempi non è sicuro mandare posta via gufo. Può essere intercettata.
−Avresti potuto chiamare Privet Drive, qualche volta.
−Ci ho provato, ma hanno sempre risposto i Dursley e mi dicevano che non eri in casa. A cercarti sul cellulare è pressoché impossibile, dal momento che ce l’hai sempre spento.
−I Dursley non mi comprano le ricariche, lo sai fin troppo bene, e io non posso certo pagarmele con falci e zellini.
−Però puoi sempre ricevere le chiamate, no? O per caso ti hanno tolto anche la corrente elettrica per ricaricare quel coso?
Colto in fallo, Harry sprofondò in un silenzio imbufalito.
–Almeno Ron e Hermione ti hanno cercata? – chiese dopo un po’.
−Te l’ho detto, ero all’estero.
−Anche gli altri anni sono andati all’estero, ma ci hanno sempre scritto.
−Gli altri anni la situazione era leggermente diversa. Ti ricordi che cosa ha detto Silente, quando sono partita? ‘Vai in un posto dove non ti possono rintracciare per via magica’. E così ho fatto. Ho ripreso i contatti giusto stamattina. Mi è arrivata una lettera da Susan. Ci ha pensato lei a contattare Ron, Hermione e Neville per oggi pomeriggio.
−Potevate portarmi in Austria con voi, almeno.
−Ma Silente ha detto di no.
Harry incrociò le braccia furibondo. – Là fuori gira di nuovo quel pazzo e nessuno si prende la briga di informarci. Bella roba.
−Io non ho sentito nessuna notizia strana. E tu?
–Sono sempre incollato alla finestra del salotto a origliare i telegiornali, con il rischio di essere preso per un maniaco, ma, a parte l’emergenza caldo e i pappagallini che fanno lo sci nautico, non ho ancora sentito niente di strano.
−Dunque è tornato? – chiese Albert a quel punto, gli occhi fissi sulla strada.
−Sì – rispose Harry.
Il signor Collins si fece cupo.
–Il nostro governo non ne parla – commentò a un certo punto.
−Il che è strano. Voglio dire, quando Sirius è evaso da Azkaban mi ricordo che ne parlavano anche i telegiornali Babbani. Un mago pericoloso come Voldemort dovrebbe avere un impatto mediatico ben maggiore – disse Jane.
−Ma non c’è. Il che mi preoccupa. Non so se hai ricevuto La Gazzetta del Profeta negli ultimi giorni.
−Te l’ho detto, ero…
−…fuori, giusto. Ebbene, non c’è scritto niente a riguardo. Tutto tranquillo.
Jane si morse il labbro nervosamente.
–Non vorrei che le minacce di Caramell si fossero avverate – sussurrò con timore. – Dovevi vederlo, quella volta in infermeria. Non voleva ammettere che Voldemort era tornato e ha aggredito pesantemente me e Silente. E ti ha dato del pazzo.
−Caramell mi è sempre stato antipatico, sappilo.
−Ma non vuoi capire, Harry? Stiamo parlando del Ministro della Magia! È un uomo potentissimo e non vorrei che stesse davvero cercando di mettere a tacere tutto, a costo di screditarci.
−E tu pensi che Silente non riesca a tenergli testa? In fondo, dietro ogni mossa di Caramell c’è sempre lui.
−È proprio questo a preoccuparmi. Caramell è un debole e lui lo sa. E se la paura lo spingesse a credere che Silente voglia controllarlo?
−Dai, è impossibile!
−Impossibile non è una parola ammessa tra i maghi.
Cadde di nuovo il silenzio, questa volta così cupo che Albert, per stemperare la tensione, si sentì in dovere di accendere la radio.
−Che dice Susan? – chiese a un certo punto Harry.
−Che è decisamente su di giri per oggi pomeriggio – rispose Jane. – Ah, e c’era un post scriptum per te, Harry. Dice che devi assolutamente tenere nascosta la cicatrice.
 
***
   
In casa Pevensie regnava il caos più totale, che sembrava alimentare spaventosamente il perfido buonumore di zia Alberta, che pregustava già i succulenti aneddoti che avrebbe raccontato alle sue amiche una volta ritornata a Cambridge.
Susan stava sfiorando paurosamente l’esaurimento nervoso.
Ora che il giorno della cerimonia era finalmente arrivato, la nostalgia per la sua vecchia famiglia (normale, felice e, soprattutto, integra) le era piombato alle spalle con una tale violenza da travolgerla completamente.
Nell’arco di poche ore era riuscita a litigare praticamente con tutti.
Aveva sgridato Lucy perché aveva occupato la doccia troppo a lungo, aveva avuto una bella litigata con sua madre per via del suo carattere troppo svenevole ed era persino riuscita a rispondere male a Caspian, che aveva evitato per un pelo di essere centrato in piena fronte da un battipanni.
Peter ed Edmund, almeno per le prime ore del mattino, avevano avuto l’accortezza di svignarsela, trovando scampo nel laboratorio del barbiere più vicino per farsi accorciare i capelli.
Quelli di Edmund, in particolare, non vedevano un paio di forbici da diversi mesi e molte ciocche ribelli gli arrivavano ormai alle spalle.
Quasi gli dispiacque quando le vide cadere ai suoi piedi, ma in fondo quello faceva parte del grande cambiamento che aveva imboccato la sua vita. Prima di uscire, la zia Alberta aveva suggerito malignamente di farli accompagnare da Caspian, ma la proposta era stata troncata appena in tempo da Susan, che aveva decretato che la folta chioma scura del suo ragazzo andava benissimo così com’era, anche se assomigliava spaventosamente a quella di un cantante rock anni ’80.
La fuga mattutina aveva dato un leggero sollievo ai due Pevensie, allontanandoli per un po’ dall’atmosfera domestica, che negli ultimi giorni si era fatta fin troppo pesante.
Fu quasi un tuffo all’inferno il momento in cui fecero nuovamente ingresso al numero 17 di Victoria Street, con la casa messa praticamente a soqquadro dagli ultimi preparativi e le grida isteriche che si sentivano fin dalla strada.
Nell’arco di un’ora, la zia Alberta era riuscita a distruggere per l’ennesima volta l’autostima di Evelyn, elencandole una lista interminabile di cose (tutte di infima importanza, come per esempio la marca di una tovaglia rispetto a un’altra) che secondo lei non andavano bene nella cerimonia.
Sua sorella era andata su tutte le furie e nel giro di un attimo entrambe avevano preso a litigare come due arpie assatanate.
Quando Edmund e Peter entrarono nel soggiorno, evitarono per un soffio un piatto scagliato a mo’ di fresbee dall’angolo cottura, che andò in mille pezzi sulla carta da parati a pochi centimetri dalle loro teste.
Susan arrivò di corsa armata di scopa, precipitandosi a dividere le due litiganti, mentre zio Harold leggeva il giornale come se niente fosse dalla poltrona accanto alla televisione e Eustace scriveva febbrilmente sul suo taccuino con la lingua tra i denti.
−Dov’è Caspian? – chiese Peter ad alta voce, cercando di sovrastare le urla disumane che esplodevano tutto intorno.
−Di sopra – squittì Eustace, dal momento che zio Harold non dava segni di vita.
−Vallo a chiamare, Ed – disse il ragazzo, precipitandosi poi a dare manforte a Susan.
Felice di potersi defilare da quella baraonda, Edmund si precipitò al piano di sopra, dove trovò Caspian e Lucy asserragliati nella camera delle ragazze.
−Chiudi la porta – lo invitò Caspian con un sorriso.
Nel momento in cui egli ubbidì, le urla al piano di sotto si spensero come per magia.
−Come hai fatto? – esclamò il ragazzo sgranando gli occhi.
−Incantesimo Insonorizzante. Ti consiglio di impararlo, una volta a Hogwarts – rispose l’altro.
−Peter ha detto che devi scendere – proseguì Edmund. – A quanto pare, la mamma e zia Alberta stanno cercando di ammazzarsi tra di loro.
−Per caso oggi pomeriggio inviterete anche un esorcista? È da ieri che non fanno altro che beccarsi, quelle due – sospirò Caspian facendo per andare di sotto. – Fai in modo che Lucy non scenda. Non sono un bello spettacolo, le due sorelle. Spero solo di non doverle Schiantare.
−Va bene.
Caspian si rimboccò le maniche, estraendo la bacchetta dalla tasca dei pantaloni e precipitandosi di sotto.
Edmund si accoccolò sul tappeto accanto a Lucy, tutta presa nella lettura di un grosso volume.
−Cosa leggi? – le chiese.
Storia di Hogwarts di Bathilda Bath – rispose lei orgogliosa.
Il ragazzo sorrise, prendendo a leggere insieme a lei.
La sorellina si rannicchiò al suo fianco, appoggiandogli la testa fulva sulla spalla.
A quel contatto, Edmund si irrigidì, ma non la scacciò.
Aveva come l’impressione che, in confronto a lui, la ragazzina fosse così fragile da poter andare in mille pezzi alla minima distrazione.
−Sei emozionato per oggi? – gli chiese lei.
−Sì.
−Anch’io! Finalmente avremo un padre anche noi. Sai, quando Philip e David se ne sono andati, io ero così piccola che neppure mi ricordo di loro. Ho solo le foto. Però è come se non ci fossero mai stati. Non è strano?
−Sì, stranissimo – a quel pensiero, Edmund si incupì all’istante.
−Anche tu non ti ricordi dei tuoi genitori? – chiese lei.
−Lucy, scusami, ma preferirei non parlarne. Oggi dobbiamo essere tutti felici, okay? Il passato è passato. Si va avanti.
−Giusto, hai ragione – Lucy ritornò alla sua lettura.
Edmund non riusciva a trovare il modo di liberarsi dalla stretta che gli attanagliava lo stomaco.
Vedrai, ancora poche ore e si sistemerà tutto, pensò nervosamente, cercando immaginarsi per l’ennesima, inutile volta come una persona normale.
 
***
       
−Chissà che cosa intendeva Susan quando ha detto ‘nascondi la cicatrice’ – disse Jane mentre Albert parcheggiava davanti al numero 17 di Victoria Street.
La risposta arrivò automaticamente quando il signor Collins spense l’autoradio.
Le urla e il rumore di piatti in frantumi si sentivano benissimo anche con i finestrini tirati su.
−Okay, nascondiamo la cicatrice – sentenziò Jane frettolosamente, sporgendosi verso Harry e appiattendogli la frangia sulla fronte.
−E ti consiglio di liberare Edvige. Non credo sia ben accetta qui dentro – aggiunse Albert preoccupato.
Harry annuì nervosamente, aprendo il finestrino e spalancando la gabbia di Edvige.
La civetta lanciò un fischio acuto e si defilò nel cielo grigio.
−Ho paura che lei sarà quella che si divertirà di più, stasera – bofonchiò il ragazzo.
−Dai, smettila di fare il solito asociale! I Pevensie hanno bisogno di noi per affrontare i parenti serpenti – disse Jane.
−Appunto.
−Coraggio, non saranno mica peggio di Voldemort!
−Io non ne sarei tanto sicuro.
−Non ci resta che scoprirlo – disse laconico Albert, osando uscire per primo dalla macchina.
I tre si avviarono lungo il vialetto che conduceva alla veranda, le urla che si facevano sempre più forti a ogni passo.
Dovettero scampanellare un paio di volte, prima di farsi sentire.
Il volto pallido e scarmigliato di Susan emerse da dietro la porta.
Aveva un livido violaceo che spiccava al centro della fronte e parecchi graffi sulle guance lentigginose.
−Benvenuti all’inferno – salutò in tono desolato.
−Coraggio, bella, ci siamo noi qui con te! – la rassicurò Jane, stringendola tra le sue braccia. – Ma che sta succedendo, qui dentro?
Susan sospirò.
–Vieni e lo saprai. Attenta ai piatti – rispose.
−Attenta a cosa?
Jane non aveva neppure finito la frase, che il vetro del soggiorno andò in frantumi per via dell’impatto con una grossa padella.
−Oh…santo…cielo! – esclamò Susan esasperata.
Un attimo dopo, le urla di acquietarono di colpo.
I quattro si precipitarono in cucina, dove trovarono Caspian, ritto di fronte a Evelyn e zia Alberta stese a terra.
Peter si stava riparando alla meglio dietro la porta spalancata del frigo.
−Insomma, signore, – stava dicendo Von Telmar, visibilmente arrabbiato – vi sembra questo il modo di comportarvi davanti ai vostri figli? Oggi dovrebbe essere un giorno felice, ma voi due ci state mettendo tutto l’impegno per renderlo un incubo, anche quando ci sono ospiti a casa!
Nel sentire la parola ospiti associata all’ingresso di Albert, Jane e Harry, gli occhi di zia Alberta sia accesero di cupidigia e la donna si affrettò a balzare in piedi, spolverandosi nervosamente il cardigan.
−Oh, ma voi siete i famosi Potter? Che piacere conoscervi! – si precipitò a salutarli, come se fino a trenta secondi prima non stesse gridando come un’aquila.
Susan si precipitò a fianco di sua madre.
−Ora, per favore, andatevene di sopra, tutti quanti! – proseguì Caspian severo. – Io e Peter vediamo di mettere a posto questo campo di battaglia e di preparare qualcosa da mangiare.
I presenti obbedirono all’istante, senza stare a farsi pregare; il cipiglio omicida che aveva assunto Von Telmar era fin troppo convincente.
Susan stava per guidare i gemelli al piano di sopra, quando il passo le fu sbarrato da Eustace, i cui occhietti acquosi sembravano schizzare da una parte all’altra come le palline di un flipper.
−Ehi, Susan! Lui è il famoso Harry Potter? Quello con la testa spaccata in due? – squittì.
A quelle parole, Susan sembrò gonfiarsi pericolosamente, tanto da assomigliare a un gigantesco bollitore da tè.
–EUSTACE, − ruggì – FUORI DAI PIEDI!
−Questa è matta! – strillò il ragazzo portandosi subito fuori tiro, il taccuino già sfoderato per annotare minuziosamente anche quel particolare.
−Scusatelo, è mio cugino – disse Susan mentre salivano le scale. – Un ragazzo a dir poco odioso.
Nel momento in cui raggiunsero il corridoio del piano di sopra, la porta della stanza delle ragazze si aprì piano.
Il volto di Jane si illuminò nel momento in cui scorse quel paio di occhi scuri seminascosti dalla frangia spettinata a cui aveva pensato per tutta l’estate.
−EDMUND!
In un attimo, le sue braccia avevano circondato il collo del ragazzo, stampandogli un bacio spettacolare sulla guancia lentigginosa.
Il ragazzo trasalì, travolto da un simile entusiasmo, poi, felice di avere di nuovo Jane accanto a sé, l’abbracciò a sua volta, rosso come un peperone.
−Ciao, Ed – lo salutò Harry, reprimendo a fatica una smorfia di dolore per via della fitta che gli aveva appena percorso la cicatrice.
−Harry – disse lui sorridendo. – Come stai?
−Ho visto estati migliori. E tu?
−Il solito.
−Edmund, dov’è Lucy? – chiese Susan nervosamente.
−Stai tranquilla, sta leggendo qui con me. Non ha sentito nulla dell’uragano al piano di sotto. Come avete fatto a calmarle?
−Temo che Caspian le abbia Schiantate.
−Ah, bene!
In quel preciso istante, una serie di passi affrettati sulle scale annunciarono l’arrivo di Peter.
–Il pranzo è pronto – disse con un sorriso.
–Avete già fatto? Non ci credo! – esclamò Susan titubante, precedendo gli altri al piano di sotto.
In effetti, suo fratello e Caspian erano stati davvero due razzi nel rimettere a posto tutta quella devastazione.
L’angolo cottura era di nuovo al suo posto, lindo e impeccabile come non lo era mai stato, e i piatti che fino a pochi minuti prima giacevano in frantumi nei vari angoli della casa erano impilati ordinatamente nella credenza.
Il vetro del salotto era stato riparato con un colpo di bacchetta e sul tavolo campeggiava una fila di piatti dall’aria invitante.
Caspian era persino riuscito a modificare al volo la memoria di zia Alberta, anche se il sorrisetto da squalo stirato sulle sue labbra lucenti di rossetto non prometteva nulla di buono.
Si aggirava tra i presenti mostrandosi stranamente gentile con tutti, il che, a detta di Susan, era indice che stava scegliendo con cura il punto dove affondare il prossimo colpo.
In effetti, l’essere appena sopravvissuta al suo primo Schiantesimo sembrava averla resa se possibile ancora più maligna del solito, anche se per il momento non sembrava cercare lo scontro in campo aperto. La sua lingua biforcuta continuava a fare domande a destra e a manca, cercando di sapere il più possibile sui nuovi arrivati tra una richiesta di avere un po’ più di zuppa di piselli e l’altra.
In particolar modo, Albert sembrava quello che suscitava di più il suo interesse, dal momento che la sua fama di chirurgo era arrivata anche a Cambridge.
–Ho saputo che lei è in grado di effettuare degli interventi che nessun altro medico si azzarderebbe a fare. Per esempio, quello della signorina McHills, ricordo male? Sa, è figlia di un’amica della zia di Albert, quindi ho seguito molto da vicino la vicenda…Stava cercando di scavalcare una recinzione privata insieme ad alcuni teppistelli della sua scuola, avete tutti presente quelle con gli spuntoni di ferro battuto sulla sommità? Ebbene, a un certo punto, la ragazzina è caduta su uno di questi cosi ed è rimasta sventrata come un pesce. Le si potevano vedere le budella che le uscivano dalla pancia, oh sì! E lei l’ha completamente ricucita senza doverle togliere nulla.
–Diciamo che, in casi così estremi, ho potuto contare su alcuni aiuti eccezionali della mia equipe – si schermì Albert, leggermente in imbarazzo.
–Ѐ vero che è stato l’unico a volerla operare? – incalzò implacabile la zia Alberta.
–Diciamo che è stata una scelta molto combattuta. Nessuno in reparto voleva toccarla, non in quelle condizioni agghiaccianti. Ma non potevamo lasciarla così, non so se mi spiego. È una questione di pura e semplice morale. Abbiamo sfidato la sorte e lottato contro il tempo fino alla fine. È stata più una questione di fortuna, piuttosto che di bravura. Non sono sicuro di poter ripetere un intervento del genere, un domani.
Nel soggiorno era calato un silenzio imbarazzato.
Improvvisamente, nessuno sembrava avere più tanta voglia di mangiare.
Edmund era talmente schifato dai particolari di quel racconto agghiacciante, da essere rimasto a osservare con un’aria da pesce lesso il sugo del suo pasticcio di carne gocciolargli lentamente dal cucchiaio sul piatto ancora colmo.
–Trovo che la medicina sia un argomento affascinante – intervenne disperatamente Susan, cercando disperatamente di sviare il discorso.
–Oh, sì! – squittì di rimando Eustace. – Dottor Collins, sappia che io sono uno dei suoi più grandi estimatori. Ho letto tutte le sue pubblicazioni, anche quelle per conto dell’università. Volevo chiederle, nell’articolo del 12 marzo 1999…
Jane e Susan si fissarono con aria rassegnata.
A quanto pareva, quel giorno non si sarebbero salvati dalle interminabili dissertazioni su malattie mentali di vario tipo, sezionamenti di cadaveri e altre orrende patologie senza speranza di guarigione.
Alla fine del pranzo, zia Alberta allungò un’affettuosa gomitata a Eustace, allungandogli un flaconcino privo di etichetta colmo di un liquido trasparente.
–Prendi, tesoro. È l’ora della medicina – cinguettò dolcemente. – Cinque gocce, mi raccomando.
–Che cos’è? – chiese d’istinto Albert, mentre il ragazzo si versava la sua dose di medicinale nel bicchiere davanti a sé.
–Oh, semplici precauzioni – rispose la donna. – Il povero Eustace Clarence ha avuto un’infanzia difficile, sa? Sin da piccolissimo è stato un continuo calvario tra medici e ospedali e nessuno sembrava capire che cosa avesse. Ora non le sto a raccontare tutto nei dettagli. In ogni caso, il nostro ragazzo è perfettamente guarito. Deve solo prendere qualche medicinale di tanto in tanto, così, per sicurezza.
–Capisco.
Jane non riusciva a staccare gli occhi dal liquido trasparente che spariva inesorabilmente nella gola di Eustace e dal leggero velo di rossore che si intravedeva sotto i numerosi strati di fondotinta di zia Alberta.
Quella storia non le piaceva. Sembrava quasi che gli Scrubb stessero nascondendo qualcosa, un fardello talmente imbarazzante e doloroso che spiegava molte cose sul carattere disturbato e maniacale del ragazzo.
Non vedeva l’ora di parlarne con gli altri, se mai avessero avuto un solo attimo di privacy.
Una volta che quell’interminabile pranzo fu finito e la tavola fu sparecchiata, tutti si divisero in vari gruppetti, in attesa di andarsi a preparare per la cerimonia che sarebbe avvenuta nel tardo pomeriggio.
Peter, Harry e Caspian si rifugiarono in giardino, mentre Lucy e Susan si asserragliarono in bagno per dare inizio alle grandi manovre dedicate a trucco e acconciature.
Edmund e Jane rimasero soli sul divano del salotto, entrambi senza sapere che cosa dire.
–Allora, ti piace la tua nuova famiglia? – gli chiese a un certo punto Jane, decisa a rompere il ghiaccio.
–Oh, sì! Un po’ burrascosa, alle volte, ma non mi lamento – rispose lui con un sorriso. Era davvero felice che la ragazza fosse di nuovo al suo fianco.
–Ti sta bene questo taglio di capelli – disse lei scompigliandogli la frangia per gioco.
–Avevo voglia di cambiare – fece lui arrossendo.
–Allora, ti è arrivata la lettera da Hogwarts? Io l’ho ricevuta stamattina. Devo assolutamente trovare il tempo di andare a Diagon Alley a comprare tutto.
–Io ci sono stato la settimana scorsa.
–Wow! Quindi sei già passato da Olivander per la bacchetta?
–Sì, siamo andati io e Lucy.
–Grande! E che cosa vi è capitato?
–A Lucy una bacchetta di media lunghezza, di cedro e crini di unicorno. Anche a me è capitato il crine di unicorno, ma il legno è di agrifoglio.
–Anch’io ho il nucleo di unicorno. È indice di purezza. Una simile bacchetta non dovrebbe lanciare sortilegi di Magia Nera.   A quell’affermazione, Edmund tirò un sospiro di sollievo. – E il legno? – chiese.
–Non ho mai sentito parlare di una bacchetta in agrifoglio, prima d’ora. Posso vederla?
–Oh, sì!
I due ragazzi salirono furtivamente al piano di sopra, facendo ingresso nella stanza di Edmund.
–Allora è qui che tu vivi – osservò Jane, indicando la piccola stanza in cui entravano a malapena due letti e un armadio.
–Lo so, è un po’ piccola – si schermì lui. – Però ho sempre tanta luce.
I due ragazzi si sedettero sul pavimento, accanto a uno dei letti.
Edmund estrasse la sua bacchetta dal cassetto del comodino, gelosamente conservata dentro una lunga scatoletta di cartone.
Curiosa, Jane la prese, soppesandola tra le dita sottili.
Il legno color cioccolato era finemente intagliato.
–Ne hai dovute provare molte? – chiese pensierosa.
–Abbastanza. Diciamo che non ho avuto la fortuna immediata di Lucy. Mi esplodevano tutte in mano. Alla fine, il signor Olivander mi ha dato questa. Mi ha detto che solitamente non è una bacchetta facile, ma con me voleva provare lo stesso. Funziona con i maghi che soffrono di un forte conflitto interiore e che nella vita si troveranno ad affrontare delle prove difficili, in cui dovranno mostrare tutto il loro coraggio.
–Mi sembra una bacchetta fatta apposta per te! – scherzò Jane. – E tu come stai, Edmund? – chiese poi, ritornando di colpo seria.
–Sto bene, davvero.
–Non mentirmi. Sai che me ne accorgo subito.
Il ragazzo arrossì per l’ennesima volta in quella lunga giornata.
–Non è facile come sembra – sputò lì.
–Lo so.
–Per poco Susan non mi caccia di casa. So di essere diventato insopportabile. La notte, tengo tutti svegli per colpa dei miei incubi.
–Sai che tu e Harry dovreste andare a vivere insieme? Sul serio. Lui ne fa anche tre o quattro per notte. Un vero spasso.
Edmund la fissò torvo.
–Possibile che hai sempre una battuta pronta per tutto? – domandò esterrefatto.
–Come dovrei fare altrimenti, con la vita che mi sono ritrovata? Meglio riderci su, no? Ti dà tutta un’altra prospettiva.
–Tu dici?
–Quando affronterai il tuo primo Molliccio, capirai che cosa intendo.
Il ragazzo annuì, senza riuscire a trattenere un sorriso.
Quel folletto stravagante che gli aveva salvato la vita riusciva sempre a trovare il modo di sorprenderlo.
 –Oh, ti sono piaciuti i miei CD? – chiese a quel punto Jane, indicando il lettore portatile abbandonato sul letto.
–Oh, sì! Mi piace molto la tua musica. Peccato che non potrò portarla a Hogwarts, visto che tutti i manufatti babbani impazziscono tra le sue mura.
–Mmm, non è detto. Basta saper fare l’incantesimo giusto. Tu sei vuoi portalo, il lettore, poi ci penso io.
–Grazie.
–Non c’è di che. Posso fartene degli altri, se lo desideri.
–Mi piacerebbe tanto.
I due si sorrisero.
Gli occhi di Jane brillavano come due smeraldi.
–Mi sei mancato, Ed – sussurrò.
–Anche tu.
In quel momento, la porta si spalancò di colpo, rivelando il muso da roditore di Eustace.
Lanciò loro uno sguardo di puro trionfo, come se li avesse sorpresi a fare qualcosa di tremendamente imbarazzante.
–Uuuuh, allora le cose stanno così? – sogghignò. – Un’altra bella coppia di innamorati?
A quell’affermazione, persino le lentiggini di Edmund parvero prendere fuoco.
I suoi occhi assunsero un cipiglio omicida che avrebbe terrorizzato chiunque.
–Tu…piccolo…sudicio…
Il ragazzo scattò in piedi, furibondo, muovendo un passo verso Eustace, che fuggì dalla stanza urlando: – Mi vuole picchiare! Mi vuole picchiare!
–E farebbe bene! – tuonò in quel momento la voce di Susan dal corridoio.
Un attimo dopo, la testa della ragazza, avvolta da un asciugamano, fece capolino nella stanza.
–Che diavolo succede qui? – chiese accigliata.
–Niente, era solo Eustace – si schermì Jane, mentre Edmund continuava a sbuffare come un toro inferocito.
–Bene, perché è il caso che vi andiate a preparare – gli occhi di Susan si socchiusero in una smorfia complice. – E, Jane, sbaglio o è vero quello che dice Harry?
–Cosa si è messo in testa, mio fratello? – chiese lei esasperata.
–Che stasera indosserai un vestito.



Buongiorno a tutti! :)
Spero che la lunghezza di questo capitolo non vi abbia dissuasi dalla lettura. In tal caso, fatemelo sapere, così mi regolo per la stesura di quelli che seguiranno.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito quello precedente, oltre che all'esercito di lettori silenziosi che continuano a seguire le avventure di Jane ed Edmund da ormai diversi mesi. Sono davvero felice che le mie storie, per quanto gotiche, continuino ad appassionarvi!

Per tutti coloro che non riescono ad aspettare fino al prossimo martedì, lascio il link di un piccolo spin-off dedicato a Jane:
 http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2318124&i=1
Mi è venuto di getto la settimana scorsa e spero tanto che vi piaccia!

Vi ricordo anche che ho aperto una pagina Facebook dove potrete seguire in tempo reale tutti i miei aggiornamenti, oltre che ad accedere a foto e contenuti inediti: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra 
Vi aspetto lì!

Un bacio a tutti e grazie mille a coloro che lasceranno un piccolo parere/inseriranno la storia nelle preferite o seguite!

F.

 
 
 
   
 
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