A
radioactive,
che mi ha ispirata
e
mi ha dato il permesso.
.
«Non
sarà il canto delle sirene che ci innamorerà, noi lo conosciamo bene, l'abbiamo
sentito già, e nemmeno la mano affilata, di un uomo o di una divinità. Non sarà il canto delle sirene in una notte
senza lume, a riportarci sulle nostre tracce, dove l'oceano risale il fiume,
dove si calmano le onde, dove si spegne il rumore».
| Francesco De Gregori |
Le onde si avvolgevano piano
sulla riva in una soffice schiuma candida, facendo dondolare lentamente il
peschereccio, ormeggiato al piccolo porto. L’odore acre del pesce gli riempiva
le narici mentre immergeva lo spazzolone nel secchio, ripulendo il ponte della
barca sulle quali era costretto a lavorare da quando ne aveva memoria.
«Il mio nome è Maria | ed il mio è un destino amaro | io volevo farmi
amare | ed ho perso il mio denaro | C'è un audace marinaio | che attendo dentro
al cuore | non so niente di quell'uomo | ma ho bisogno del suo amore». La canzone lo cullò,
giungendo dolce e soave alle sue orecchie, obbligandolo ad abbandonare per
qualche secondo il suo incarico. Fu allora che la vide, la proprietaria di
quella voce gradevole intenta ad intrecciare una rete sul molo: aveva i capelli
del colore del tramonto, di un ramato pallido che si mischiava al cielo, al
colore delle nuvole tinte dal sole, intento ad immergersi nell’acqua.
Era bella, sembrava una sirena.
Sopra, sotto ed infine dentro, si disse osservando i movimenti delle dita della
ragazza.
Conosceva la tecnica a
memoria, bisognava solo creare dei nodi a
bocca di lupo e prestare attenzione a non sfilacciare le varie fibre –
glielo aveva insegnato suo padre.
«C'è un audace marinaio | che attendo dentro al cuore | non conosco il
suo nome | ma ho bisogno del suo amore| Oh, fanciulle
innamorate | venite tutte qua | L'allegro audace marinaio | un giorno arriverà» continuò imperterrita la ragazza, intrecciando
lentamente le corde che teneva legate ad un vecchio e marcio bastone.
Non era la prima volta che
gli capitava di vederla, di essere rapito da quel triste canto, da quegli occhi
castani concentrati sulla maglia sottile. Non avrebbe saputo dire da quanto
tempo lei lo accompagnasse con la sua voce: non era una costante, cambiava come
il mare, veniva e se ne andava senza mai guardarlo, senza rivolgergli un
sorriso o una parola. Sembrava assorta nel suo lavoro, impegnata a tessere una
rete che probabilmente avrebbe cercato di vendere la mattina seguente.
I marinai più anziani e
superstiziosi la definivano un mostro del mare, una sirena che aspettava il
calare della notte per immergersi nelle acque e rapire qualche uomo solo,
annegandolo e divorandolo. Ma Narek no: lui non
credeva a queste leggende, e trovava che quegli occhi e quel viso malinconico
non sarebbero stati in grado di ferire nemmeno una piccola formica.
Era troppo bella per essere
vera, troppo dolce per essere una sirena.
«Oh, fanciulle innamorate | venite tutte qua | L'allegro audace marinaio
| un giorno arriverà | solo lui può consolare | questo cuore spezzato a metà |
il mio audace marinaio | un giorno arriverà» intonò,
e Narek immerse di nuovo lo spazzolone, chiedendosi
se quel marinaio potesse essere lui.
La Mietitura era la stessa
tutti gli anni: lunga e terribilmente straziante.
Narek non aveva paura di essere
estratto, eppure – ogni volta che la stramba Capitolina immergeva la mano in
quel mare di foglietti – un nodo gli si stringeva in gola, ed il cuore iniziava
a battere sempre più velocemente.
Correvano i 18th Hunger Games, e come ogni volta
qualche madre avrebbe pianto e gridato il nome del frutto dei suoi seni, di un
figlio morto ancora prima di partire. Era così da quando ne aveva memoria, da
quando era nato, e sarebbe stato così per sempre.
Osservò una ragazzina di
sedici anni avviarsi verso il palco mentre una donna strillava, incapace anche
solo di immaginare che cosa Capitol City avrebbe
fatto di sua figlia – gliel’avrebbero ridotta in pezzi, e quella signora lo
sapeva.
Esistevano i Vincenti,
quelli nati per trionfare, quei Tributi che – dopo una sola occhiata – facevano
affermare a tutti quanti “Ecco, sarà lui
che tornerà a casa”; e poi c’erano i Perdenti, quelli che di certo
sarebbero morti dopo il Countdown.
La mano avvolta nel guanto
di velluto rosso s’immerse nell’ampolla, naufragò per qualche secondo e, alla
fine, riemerse stringendo il pezzo di carta fra l’indice e il medio. «Jostein Seiren»
strillò la voce squillante della capitolina, invitando un ragazzino minuto con
un capello ad avvicinarsi al palco.
Narek lo esaminò attentamente: i
capelli arancioni che sbucavano dal copricapo, e la camicia troppo larga,
probabilmente di qualche taglia più grande. Lo aveva già visto, o così gli
sembrava, ma non avrebbe saputo dire dove e quando.
Fu questione di secondi, il
tempo che le labbra del Tributo si schiudessero e pronunciassero il suo nome
con un tono decisamente effeminato, con la stessa voce dolce che ogni giorno lo
accompagnava cantando la stessa identica canzone: era lei, la sirena.
La smascherarono subito. I
Pacificatori la presero e la portarono via.
Fu l’ultima volta in cui la
vide: l’ultima volta che vide una sirena.
Continuò a lavorare sul
peschereccio di suo padre, ma pulire al tramonto non era più la stessa cosa
senza quella melodia che lo attirava e coccolava per ore – senza la magnifica
visione di lei, di cui nemmeno conosceva il nome.
Gli anziani alla Bettola
dicevano che se n’era tornata in mare, al suo elemento naturale, altri
fantasticavano sul fatto che il suo audace
marinaio fosse finalmente arrivato a prenderla. Ma a Narek
piaceva pensare che si fosse sciolta diventando quella leggera schiuma pallida
che gli accarezzava il viso, che si avvolgeva su se stessa lungo la spiaggia e
gli scogli. Eppure – dentro di sé – sapeva che Capitol
City l’aveva punita, l’aveva uccisa e condannata per il suo vano tentativo di
proteggere il fratello malato.
Era morta prima che lui potesse dirle che era lui, quel marinaio.
E non era e non sarebbe mai
stata di nessuno, esattamente come il mare.
“Il mare spesso parla con
parole lontane, dice cose che nessuno sa. Soltanto quelli che conoscono l'amore
possono apprendere la lezione dalle onde, che hanno il movimento del cuore.
ROMANO BATTAGLIA”
• Una rosa dal mare •
• NdA;
Sono io, lo so che non mi potete più vedere.
Questa è una piccola Shot senza impegno su Narek, OC di radioactive
che mi ha concesso di scrivere questa cosa.
Non so proprio cosa dire, quindi vi informo che potete trovare Narek qui: Quando si muore,
si muore soli. 19th Hunger Games.
E che la canzone – per chi non l’avesse riconosciuta – che canta la
ragazza è: L’Audace
Allegro Marinaio, dei Pirati dei Caraibi.
La ragazza senza nome si chiama Marja, ve lo
dico io, e ve la mostro anche: Marja Seiren.
Il suo cognome significa “Sirena”
in gallese, lo so che sono priva di fantasia: perdonatemi.
E insomma, Narek si era innamorato, eh già.
Il resto verrà da sé. ~ Vi invito calorosamente – puntandovi una
pistola alla tempia – a leggere l’Edizione di radioactive,
e per il resto vi saluto sperando che vi sia piaciuta e che – soprattutto – sia
piaciuta a radioactive.
Per chi non lo avesse capito, Marja si è
finta il fratello malato, gli ha semplicemente fatto fare il riconoscimento con
il sangue e poi lo ha nascosto, presentandosi lei al posto suo quando lo hanno
chiamato. Quindi non ditemi che è impossibile perché ti fanno il controllo
delle impronte/DNA/esame del capello e quant’altro, sì. ;u;
In più ne approfitto per informarvi che ho creato un gruppo su Facebook dove parlare/condividere pensieri e storie su Hunger Games. Se qualcuno volesse
unirsi al girone, ecco qui: Il Forno [Hunger Games Efpfanfic].
Buon pomeriggio a tutti quanti.
~yingsu.