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Autore: nosebleeding    10/12/2013    1 recensioni
"Io continuo a chiedermelo. Perché mi trovo qui? Perché non sono morto?"
Hey guys! Questo è il mio primo racconto pubblicato su efp. Non era nemmeno destinato al sito :')
Mi sono basata su una immagine che mi hanno mandato. c:
Spero vi piaccia ~
Genere: Azione, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi chiamo Elijah. Si, penso di chiamarmi così. Non sono mai stato un essere molto sveglio, e penso non lo sarò mai. Poco importa, però, dato che di gente capace tra gli umani ve ne sono tanti: filosofi, insegnanti, artisti, scrittori. Cosa ci fa un guerriero, un uomo che vive di sangue e di teste mozzate, di armature lucenti, di spade affilate, con un pensiero tanto vasto e aperto?
Ho ricevuto dagli Dei il mio destino, e se sono nato con questo marchio impresso, non mi interessa granché. Viaggio molto insieme al mio adorato destriero, vedo molte terre, distruggo molte terre, e quando torno nella mia dimora trovo delle ricompense generose per i miei atti crudeli.
Non adesso, però. Adesso mi trovo in una steppa sconfinata, il firmamento stellato dietro a me, e il sole in faccia. Lo sento battere sui miei zigomi, e il vento soffiare tra gli spifferi dell' armatura grigiastra, dello stesso grigio dei topi che vedevo in grembo a delle bambine. Bambine che ho ucciso con la stessa lama di adesso.
Non l' ho voluto io, sia chiaro.
Mi era stato incaricato di impossessarmi di quelle terre, e -cito testuali parole- "se qualcuno avesse provato a fermarmi sarebbe morto all' istante". Così fu. Me ne pento, ma i doveri portano denaro. E il denaro porta felicità.
Io continuo a chiedermelo. “Perché mi trovo quì? Perché non sono morto?” Anche perché un giorno mi ritroverò vecchio, sul letto, senza respiri tra i polmoni, e la Morte Incappucciata ad aspettare vicino a me, con le sue magre dita ad accarezzarmi la guancia, aspettando che io chiuda gli occhi per rapirmi e portarmi tra gli Inferi. Nel frattempo, il mio sguardo incontra questo enorme burrone in lontananza. Come se il mondo finisse.
La mia intelligenza, come già acccennato, non è tra le migliori. D’ istinto, faccio cenno al mio cavallo, potente, dal pelo scuro e folto, di proseguire verso il distacco. Non riuscivo a vedere la terra al di là di quell’ enorme burrone, ma la mia curiosità si era risvegliata da un lungo sonno, aveva bisogno di saziarsi. E davanti a me, oltre al sole, vi era un piatto per lei a dir poco abbondante.
Mi fermo vicino al fosso, qualche centimetro a separarmi dal vuoto assoluto. A quanto pare, non si riesce tutt’ ora a vedere cosa vi è dall’ altra parte. E’ veramente questa la fine del mondo? E sotto a quel nero, vi era qualcosa? Volevo saperlo.
E il destino eccolo, che mi accontenta.
Il cavallo comincia a grugnire, fa un passo indietro, e sento il suolo sotto di me sgretolarsi: vedo solo questa enorme crepa che circonda me e il suolo staccarsi, il mio compagno di avventure liberarsi da me e il nero prendermi in braccio, come il vestito della giovine che dovrebbe prendersi la mia vita.
Sento una voce nella mia testa. “E’ veramente questa la fine? E’ veramente questa la MIA fine?” E una lacrima mi bagna lo zigomo, fermandosi là, e staccandosi dalla mia essanza, come un animo.
E poi un dolore tanto acuto da farmi strillare tutta la voce che ho trattenuto nel corso degli anni passati.
Mi sento schiacciato a terra, l’ armatura che fa da peso aggiuntivo, la mia carne scoppiare. Apro gli occhi, ed ecco sopra a me l’ azzurro terso dei cieli.
Sono arrivato in fondo.
In fondo al burrone.
E sono ancora vivo.
O meglio. Credo di essere ancora vivo. Il dolore è paragonabile a quello degli Inferi, ne sono sicuro. Eppure vi sono due pareti, vi è il cielo, sento il mio petto allargarsi, anche se a fatica.
Poi la mia mente si sveglia quel minimo che mi serve.
Sono ferito.
Lo noto quando provo ad alzarmi, e non ce la faccio. Le mie braccia però sono ancora usabili, quindi decido di strisciare. Questo mi aiuta, anche perchè voglio cercare il mio cavallo. L’ unico vivente che mi è stato sempre vicino. Il mio migliore amico, se vogliamo dirla tutta.
Ruoto la testa e vedo il suo folto pelo. Sospiro, l’ho trovato, mi dico.
Avvicinandomi a gomitate, poi a gattoni, verso il corpo steso a terra. Le mie unghie spezzare, le mie dita tagliate per via di un’ armatura rovinata ai bordi e laminata come un coltello, tutta ammiccata e sporca di sangue ancora fresco, cominciano a toccare qualcosa di liquido, caldo, e rosso. Mi metto in ginocchia –ci provo, almeno- e lo vedo. Il corpo senza vita del mio destriero in una pozza di sangue.
Il mio migliore amico era morto al posto mio. La fanciulla incappucciata di nero ha preso lui.
“Perché mai?” Voglio urlare, ma non ce la faccio, il grido precedente mi ha tolto la voce. E quel che mi resta è guardare il corpo, e cercare di alzarmi, invano, e proseguire senza meta. A quanto pare sono riuscito ad alzarmi, dato che sono in piedi, ma non a camminare: il massimo che posso fare è zoppicare goffamente verso un luogo che non conosco. Goffamente, perchè inciampo subito dopo su un sassolino, chiudo gli occhi, respiro, e quando mi rialzo il terreno ciottoloso si è fatto spazio e mi trovo su una sabbia morbida e scura, le labbra bagnate da una pozza d’ acqua che mi accarezza, e questa sensazione di essere osservati che mi fa subito alzare, tentennante.
Ed è lì che lo vedo.
Questa creatura mitologica, sporca di sangue tanto quanto me, con gli occhi di un eroe pentito che non conosce sconfitta, con i segni della vecchiaia e di una probabile caduta, il respiro affannato, il sorriso di una persona che ha combattuto, ma il corpo enorme, di almeno un metro, con le squame di un colore sbiadito e sporco –che forse tempo fa era anche molto acceso-, le ali enormi, la coda sinuosa e il muso proteso verso di me, vicinissimo, quasi al contatto.
Davanti a me vi era un drago.
Davanti a me vi ero io.
  
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