Era sempre stata una bambina vivace, Oscar Françoise. Dal temperamento forte e dai comportamenti atipici come il suo nome. Il suo compagno di giochi, il piccolo André Grandier, aveva un gran daffare nel starle dietro. Era autoritaria, curiosa e rompiscatole. Ma aveva anche un grande cuore; e il piccolo André lo sapeva bene, soprattutto quando divideva con lui i dolci che preparava la servitù, o quando la vedeva obbedire senza indugi, per far contento il padre un po' matto.
Mai un capriccio, Oscar Françoise.
La sua vita scorreva come un allegro motivo musicale.

Ci fu un giorno, però, in cui si concesse un capriccio. Davanti agli occhi di André Grandier passava ancora quel ricordo, mentre, appoggiato distrattamente su una poltrona, la ascoltava suonare un pezzo difficile. E a ogni errore ricominciare, ancora e ancora e ancora. Andava sempre a sbattere su quella nota. Ma lei, testarda, continuava a suonare.

Testarda, come quel giorno in cui, quasi per caso, capì che del fortepiano della madre non se ne faceva nulla, e allora si precipitò nello studio del padre, gridando: “Voglio un violino! Voglio suonare il violino!”.
Il padre si oppose, ma il giovane André e lui concordarono che l'archetto somigliava vagamente a una spada, perciò alla fine, eccolo! Un meraviglioso violino di Cremona! Certo, non era del grande Antonio Stradivari, ma del figlio Francesco, creato poco prima della sua morte, prima ancora che Oscar nascesse.

“André! Ora ho ben tre amici! Il mio violino, Cesar e tu!”

“E te. Si dice “e te”. Ma davvero vengo dopo il cavallo e quello stupido violino?”. Quello fu il primo di una serie di archetti che si ruppero in testa ad André Grandier. Tanto che il generale, sfiancato, ne comprò una scorta da tenere in casa.

Oscar era diventata negli anni un'ottima musicista. André la osservava, rapito, chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalle note. Ed era grato al destino che non voleva che altri la vedessero suonare, perché in qualsiasi partitura suonasse, Oscar raccontava di sé.
Gliel'aveva detto, una sera che un allegro ma non troppo lo aveva esortato a bere, rendendoli allegri fin troppo:

“Oscar, tu suoni solo cose belle, perché tu sei bella”.
“Quando bevi diventi scemo, André” e gli ruppe l'archetto in testa.

Quando cambiò archetto e riprese a suonare, André giurò di aver visto un luccichio sull'angolo dell'occhio. Ma poteva essere anche il vino.


Con il tempo, André Grandier imparò che non tutte le note sono belle. Ma che, se uscivano dal violino di Oscar, poteva amarle tutte. Lei era come le melodie che sceglieva: vivaci, difficili, ma soprattutto mettevano alla prova sia chi le suonava, sia chi ascoltava. Qualche volta una nota stonata le scappava ancora, e André sorrideva, perché erano le sue preferite. Gli ricordavano che la vita non è perfetta, ma qualche volta un sorriso te lo puoi concedere, se la vita ti concede di guardare il suono di Oscar e sentire la sua vera immagine.

“Sveglia, André! Quale ti suono, adesso? Scusa, e l'applauso al musicista, non lo fai?”

Decisamente, non era solo della musica che si era innamorato.    


Piccola nota: non sono una musicista, ma amo la musica, specie quella del periodo di Oscar. L'ispirazione per questa brevissima fic nasce da un libro "Il violino nero", di cui ci saranno citazioni o ricordi nei prossimi capitoli.
Aspetto le vostre recensioni, ma soprattutto spero vi piaccia la mia piccola "riflessione" sul rapporto di Oscar e André con la musica.
A bientot!