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Autore: pizzaforniall09    11/12/2013    0 recensioni
C'è buio intorno a me, troppo buio. E mi spaventa, perchè il buio non porta niente di buono. Il nero non porta niente di buono. Come quando nei film horror c'è buio, e tu ti copri gli occhi perchè sai già che ti apparirà un mostro orripilante che ti urla contro. Il buio è sempre pronto ad assorbire ogni tua paura e tramutarla in qualcosa di grande, troppo grande per sconfiggerla. E tu non puoi fare niente, perchè non sai dove aggrapparti. Perchè se ti appoggi a qualcosa non sai mai cos'è realmente. E intorno a me c'è solo buio, e non quello della notte, dove puoi ancora vedere almeno un particolare, uno spiraglio di luce che ti da la speranza. E un buio che non ti permette di vedere niente, come quando di chiudi in cantina. Senza finestre, senza porta, senza lampada, senza luce.
Genere: Fluff, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C'è buio intorno a me, troppo buio. E mi spaventa, perchè il buio non porta niente di buono. Il nero non porta niente di buono. Come quando nei film horror c'è buio, e tu ti copri gli occhi perchè sai già che ti apparirà un mostro orripilante che ti urla contro. Il buio è sempre pronto ad assorbire ogni tua paura e tramutarla in qualcosa di grande, troppo grande per sconfiggerla. E tu non puoi fare niente, perchè non sai dove aggrapparti. Perchè se ti appoggi a qualcosa non sai mai cos'è realmente. E intorno a me c'è solo buio, e non quello della notte, dove puoi ancora vedere almeno un particolare, uno spiraglio di luce che ti da la speranza. E un buio che non ti permette di vedere niente, come quando di chiudi in cantina. Senza finestre, senza porta, senza lampada, senza luce. E la vedo, poi. Con gli occhi chiusi, le ustioni troppo gravi per essere curate. E' morta. Io lo so, nonostante la vista nitida. Forse per le lacrime che non sapevo stessi versando, forse perchè è solo un brutto ricordo, o ancora meglio, un incubo. E ora di nuovo buio. Come se non vedesse l'ora di starmi accanto, aumentando la paura, il desiderio di correre via. Però non posso perchè, dove potrei correre? E' come correre verso la morte in persona. E' come correre verso il tuo incubo peggiore. E sarebbe strano, insolito, stupido. Quindi rimango ferma, con le braccia tremanti lungo i fianchi e i piedi nudi che toccano il vuoto. Il buio. Il nero. E poi di nuovo una luce. Che però non porta a niente. Non è la salvezza che cerchiamo, che cerco. Perchè lui è lì, con gli occhi chiusi, il livido rosso sul collo che spunta leggermente dalla spessa corda. Lo sgabello spostato di lato, così che i piedi toccassero l'aria. E poi buio, come sempre. E, come ogni volta, un altra persona della mia vita. Che mi ha lasciato. Lui è disteso a terra, sul nostro parco, con il suo sangue che cola da ogni parte, lividi sul corpo semi nudo. E poi di nuovo il buio. Questa volta c'è un uomo. Non ha il viso, ha una faccia ma non ha il viso. Non ha labbra, non ha occhi, non ha capelli. E' solo una faccia. Però riesce a parlare. "Non mi sfuggirai."

Mi svegliai urlando. Ma ormai ci avevo fatto l'abitudine, perchè ogni notte facevo sempre lo stesso sogno. Che poi, sogno non era. Era un ricordo, il ricordo di quando qualcuno decise di distruggere la mia famiglia. Uno a uno. Ma allora perchè io non ero morta? Me lo chiedevo spesso, ma non avevo soluzione. Non era giusto, pensavo, perchè se doveva morire la mia famiglia dovevo morire anche io.
"Winter, stai bene?" Arrivò Alan, con il suo solito fare preoccupato pur sapendo che era la stessa storia ogni singola notte, ad ogni singola ora. Alan era un uomo splendido. Mi aveva preso in custodia quando, oltre ai miei genitori e mio fratello, morì mia nonna. E così, abitavo da un anno in quella casa. Nella casa dello stesso poliziotto che ancora oggi cercava l'assassino che avrei voluto uccidere con le mie stesse mani. Alan era dolce, protettivo, gentile. Diciamo che ci mancava poco che lo chiamassi 'papà'. Scossi la testa alla sua domanda e mi precipitai sulle sue braccia muscolose e calde. C'era sempre per me. Avevo solo diciassette anni, e voleva proteggermi. Non gli bastava il figlio che era sempre pronto a fare qualche guaio, voleva anche me. Perché ero come una figlia per lui. Lo diceva sempre.
"Alan, perchè a me? Perchè non posso essere felice come tutte le altre adolescenti?" Ma non rispose. Perchè nemmeno lui lo sapeva. Nemmeno lui l'aveva capito, nonostante fosse una delle persone più intelligenti che abbia mai incontrato.

***

Ero seduta sul tavolo a gambe incrociate a leggere un libro con il sottofondo di Alan che urlava come un pazzo contro l'albitro di una partita, probabilmente di calcio. E, per darmi ancora più fastidio, c'erano i miei occhiali - grandi più del mio viso, per di più - a scendere dal mio naso. E ogni volta, dovevo tirarli su. E ogni volta, perdevo il segno. Lasciai stare il libro quando suonarono il campanello, e ancora una volta mi chiesi se quel libro l'avrei mai letto per bene. Così, incurante di avere solo un maglione addosso che arrivava fino a metà coscia, scesi dal tavolo di legno e mi diressi verso la porta, consapevole che Alan probabilmente non l'aveva neanche sentito, il campanello. Quando aprii, però, non mi trovai il postino, o la vicina, o magari anche un bambino che si era perso. C'era un ragazzo. Alto più di me, molto più alto di me, con un fisico da paura. Aveva un paio di jeans neri a vita bassa e delle vans nere, quelle che preferivo io. A coprire i suoi addominali c'era una camicia a maniche corte, coperta però da un cardigan grigio. Aveva un sorriso sfacciato e quasi.. malizioso stampato sul viso, e la voglia di prenderlo a schiaffi era tanta. Poi però passai agli occhi, azzurri come il mare in tempesta, cristallini e puri. Erano gli occhi più belli che abbia mai visto in vita mia.
"E tu sei?" Chiesi.
"No oddio, non dirmi che ha iniziato a sfondare la figa di diciassettenni arrapate!" Esclamò ignorando la mia domanda e facendomi infuriare. Mi aveva per caso dato della puttana? Insomma, ma come si permetteva?
"Ma come accipicchia di permetti? Non mi conosci e.." Venni interrotta da Alan che quasi urlò il nome 'Louis' per la sorpresa. Io ancora guardavo il ragazzo davanti a me fulminandolo con lo sguardo. Avevo detto che poteva sembrare simpatico? No? Bene, ecco il perchè. Gli schiaffi? Oh no, spariti dalla mia mente. L'avrei preso per i capelli e l'avrei sbattuto contro il muro più e più volte fino a mandarlo in coma. Sorrisi credendo che forse era la mia migliore idea che mi fosse venuta in diciassette anni.
"Che ci fai qui, figliolo?" Feci sparire il mio sorriso quando disse la parola figliolo. Insomma, lui doveva essere al college. In California. Perchè era tornato? E se voleva tornare a vivere qui? Mi sarei sentita solo un intrusa, mi avrebbero cacciato di casa, e io dove potevo andare a vivere?
"Poi ne parliamo. Prima dimmi, chi è questa splendida ragazza che va in giro in mutande?" Che sfacciato. Ero pronta per prenderlo a pugni quando le braccia forti di Alan mi strinsero a me. Sorrisi perchè era sempre pronto, per me. Anche per le cose più stupide. Come quella.
"Louis lei è Winter. Vive con me da un po', ti spiegherò. Andiamo in cucina, così io ti racconto un po' di cose e tu racconti un po' di cose a me." Disse finendo la frase con uno strano tono di rimprovero che con me non aveva mai usato.
"P-posso venire anche io?" Mi intromisi titubante, sistemandomi per l'ennesima volta gli occhiali che avevo ancora sul naso.
"Louis, vai di là." Quasi sussurrò. Poi, quando il figlio obbedì, si voltò verso di me e prese il mio volto tra le sue grandi mani, facendo alzare di poco gli occhiali neri e grandi. "Devo spiegarli perchè sei qui. Parleremo della tua situazione e non credo che.." Lo interruppi con un gesto della mano. Sapevo a cosa si riferiva. Alla mia famiglia, e all'uomo o alla donna che aveva distrutto un intera vita. Si riferiva alla situazione di merda in cui mi ritrovavo, al buco nero che qualcuno mi aveva scavato dentro l'anima. 'Sono forte', e dissi solo quello prima di entrare in cucina dove Louis stava già bevendo un bicchiere di latte e mangiando i miei biscotti.
"Allora Louis, perchè sei qui?" Entrò Alan dalla cucina. Lo vedevo dai suoi occhi che era un misto di emozioni. Arrabbiato, curioso, sconcertato, probabilmente sapeva che quello che stava per dire il figlio non era di certo una bellissima notizia. Insomma, non erano le vacanze di Natale ne tanto meno quelle estive.
"Mi-mi hanno espulso." Balbettò visibilmente preoccupato dalla reazione del padre. 
"E questo perchè?" Lo fulminò Alan. E se gli sguardi potessero uccidere, Louis sarebbe morto da un pezzo.
"Beh, mi hanno trovato nei bagni a fare cose non proprio idonee a una scuola." Rispose senza nascondere il sorriso compiaciuto e soddisfatto che si formò su quel bellissimo e perfetto viso. E la paura? La preoccupazione? Spariti per il ricordo di una scena che a parer mio, avrebbero mandato anche sui siti porno.
"E ti senti soddisfatto?" Questa volta Alan stava urlando. "Perchè non puoi essere come Winter? Perchè non puoi essere come tua madre o come me? Non so se credere che non ti applichi o che sei tu un cretino patentato!" Mi spaventarono quelle parole. Mio padre non le avrebbe mai dette. La cosa peggiore che un genitore può fare è paragonare suo figlio a qualcun'altro o chiamarlo addirittura cretino.
"Ma la pianti, dio cane!" Anche Louis aveva alzato la voce, e non di poco. "Credi sia bello essere così? Credi sia bello avere una madre che non ti cerca neanche per il tuo compleanno e un padre che ti paragona ogni fottuta volta a qualcun'altro!?" E aveva ragione. Era Alan che, quella volta, aveva tremendamente torto. "Che poi chi è questa Winter? Il rimpiazzo di mamma? Ti sei dato alla pedofilia e ora vai in giro a comprare prostitute?" Non mi offesi più di tanto perchè comunque, lui era arrabbiato. Perchè il padre l'aveva paragonato a una sconosciuta. E, a quanto vedevo, la madre non lo cercava affatto. Poi se ne andò, corse in camera sua come quando un bambino fa qualcosa di sbagliato, e, colpevole, si rifugia in camera sua. Però Louis non era colpevole, era la vittima. Come i miei, come mio fratello. Magari anche come me. Anche io ero una vittima? In quel momento tutte le cose che mi avevano detto erano sparite. Aveva sofferto anche lui, non proprio come me, ma lo aveva fatto. E forse era per questo che era diventato.. così. Magari voleva ricevere attenzioni dal padre e, perchè no, dalla madre. Lo inseguii senza curarmi dei richiami confusi e sorpresi di Alan, avremo chiarito dopo. Prima dovevo chiarire con Louis.
"Hey." E lo trovai lì, disteso sul letto, con le gambe perfettamente dritte e le braccia incrociate sotto la testa. Sussurrai così tanto che credevo non mi avesse sentito, così mi avvicinai. Da vicino era ancora più bello. Mi distesi accanto a lui e, per una volta, misi da parte la timidezza e il dolore che le parole che stavo per pronunciare.
"Quindici giugno. Avevo tredici anni. Era stranamente caldo per il solito clima londinese. Io vivevo in una bella e gigantesca villa. E come ogni villa che si rispetti, avevamo una piscina." Mi guardava confuso ma non gli diedi retta, lasciando che il dolore mi lacerasse dentro. Ma se volevo costruire quel minimo rapporto tra noi due, dovevo farlo. "Tornavo a casa da scuola. Avevo portato due mie amiche della mia stessa età e un ragazzo di due anni più grande di me. Anne, Michelle e Harry. Quando arrivammo in piscina, c'era la polizia. All'inizio non capivo, ma poi vidi mia madre. Era dentro la piscina e alcuni uomini cercavano di prenderla. Era nuda, piena di ustioni su tutto il corpo. Era.." Feci una pausa per asciugare alcune lacrime scese dai miei occhi. "Morta. Mio padre mi disse che c'era stato un omicidio. Lei era, come dire, stata buttata in piscina e poi riempita con l'acido. Che schifo, la scena era orribile." Mi abbracciò. Non ci conoscevamo, avevamo avuto i nostri problemi ma comunque ero tra le sue braccia. "Due settembre. Avevo quattordici anni. Arrivai a casa con mio fratello e Harry, che dalla morte di mia madre era sempre stato vicino. Entrammo e, nel salotto, c'era mio padre. E si, morto. L'avevano impiccato, capisci? Un altro omicidio. Morivo dalla paura. Caddi in depressione, non mangiavo, non dormivo. Ancora oggi gli incubi mi assalgono. E poi, l'anno scorso. Avevo sedici anni, era il 17 gennaio. Passeggiavo e questa volta sola. Le mie due amiche mi avevano scaricato. Dicevano che ero troppo depressa. Harry, invece, ha seguito il suo sogno ed è andato in California. Così presi il mio zaino e andai al parco, dove di solito ci andavo con mio fratello. E lo trovai lì. Era ricoperto di sangue e lividi. L'avevano lasciato mezzo nudo in mezzo a un parco." E piangevo. Piangevo perchè io ero solo una ragazzina e avevo visto tutte quelle scene. Mi avevano rovinato l'infanzia, mi avevano buttato al cesso un intera vita. E questo perchè? Per vendetta? Ma cosa gli avevo fatto? Ero una bambina, cosa avevo potuto fare di così tanto grave? "Io non sapevo dove andare. I miei nonni non mi volevano, non volevano avere il ricordo dei loro figli e nipoti. Così tuo padre decise di farmi vivere da lui, almeno fin che non si trova l'assassino. Perchè si Louis, stanno ancora cercando la persona che mi ha rovinato la vita. E io so che è colpa mia. So che è successo qualcosa, solo che non mi ricordo cosa! Ed è brutto, tanto Lou." Piangeva anche lui, ormai. Perchè io prendevo le persone e le buttavo nel buco nero che mi logorava dentro per cercare un modo di chiudere quel vortice immaginario che avevo nell'anima. Io mi affezionavo alle persone per non soffrire più, ma in qualche modo il dolore c'era ancora. E facevo l'egoista, perchè se io avrei lasciato in pace Lou, lui non si sarebbe sentito in dovere di proteggermi. Come del resto Alan, come del resto tutti i poliziotti che dopo quattro anni ancora cercavano di mettere in prigione chi ha voluto distruggere me e tutte le persone che mi stavano accanto. "Louis io voglio morire anche io. Perchè tutta la mia famiglia, e io no? Io non ho niente di speciale. Io sono un fottuto errore e gli errori devono essere cancellati. E' come se Dio mi avesse scritta a matita, ed ora non sa se cancellarmi o no. Come quando sei indeciso se un espressione di matematica è giusta o no, o quando stai facendo un tema di italiano e non sai se aggiungere una frase perchè non sei sicuro sia giusta."

Sarei mai riuscita ad essere felice?


 
SPAZIO AUTRICE:
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E' la mia prima fan fiction su efp, e essendo abituata alle lunghezze di facebook, abbiate pietà di me. Perchè, me ne rendo conto, è troppo corta. Vedrò di rimediare con il passare del tempo. Comunque, sinceramente? Non so cosa dire di questo capitolo. Spero vi piaccia tanto, e spero ancora di più che recensiate. Anche insultatemi, guardate, non mi fa alcuna differenza. Comunque una recensione è,no? e.e Diceeeevo, se volete fare qualche critica fate pure così miglioro anche il modo di scrivere. SONO TROPPO SERIA? SI, LO SONO. Ma dettagli. Dai che se recensite vi regalo o un castoro o un unicorno (multicolor,eh ouo). Scegliete voi. :) Zao belle bimbe!
-Ale 
  
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