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Autore: Laura Sparrow    11/05/2008    3 recensioni
Divorato dal kraken, Jack è intrappolato nel Locker, la prigione sconfinata di Davy Jones. Un pirata bloccato senza via d'uscita in uno sterminato deserto di... nulla.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jack Sparrow
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LOCKER
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La sensazione fu quella di risvegliarsi bruscamente da un sonno profondo, con l'impressione di precipitare. Il capitano strizzò le palpebre, rendendosi conto a malapena di essere disteso sulla schiena su qualcosa di cedevole: una luce bianca e intensa gli ferì gli occhi. “Vedo la luce, ci mancava solo questa.” pensò fra sé mentre si portava una mano alla faccia cercando di abituarsi all'improvviso biancore del paesaggio, senza però osare cercare di alzarsi.
Qualcosa non quadrava. Il suo ultimo ricordo era l'enorme bocca del kraken che calava su di lui, un migliaio di denti affilati come coltelli che si preparavano a sbranarlo, contro i quali lui aveva saputo opporre soltanto la misera difesa della propria spada. Si accorse in quel momento di stringerla ancora in pugno.
I suoi occhi si stavano abituando alla luce intensa: sopra di lui un cielo azzurrissimo. Decisamente qualcosa non quadrava.
Era appena sparito in una specie di enorme tritacarne dotato di tentacoli, dov'era il dolore atroce, i denti che avrebbero dovuto maciullarlo? Lasciata la spada -non senza esitazione: in quella strana situazione stringere qualcosa di familiare gli dava almeno un'illusione di sicurezza- inarcò appena la schiena puntellandosi sui gomiti per darsi un'occhiata: gli sembrava di essere tutto intero. Gambe, braccia, busto, carne, ossa, tutto a posto. Inarcò un sopracciglio. Ma che diavolo...?
- Sono vivo. - si azzardò a constatare, perfino la sua voce suonava innaturale. Era vivo. O così pareva. Ma lo era davvero? La gola del mostro che lo aveva inghiottito era ancora un ricordo piuttosto vivido... allungò una mano e si pizzicò forte su una gamba, provando una sorta di torvo piacere quando sussultò per il dolore: sì, decisamente non capiva come, ma doveva essere vivo. - Sono ancora qui, dopotutto. - aggiunse in tono più vivace concedendosi un mezzo sorriso. Solo allora osò darsi un'occhiata attorno e il sorriso scomparve rapidamente com'era apparso. - Certo... sebbene non abbia la minima idea di cosa diavolo sia “qui”... -
Attorno a lui non c'era niente. Era nel bel mezzo di una distesa di fine sabbia bianchissima che si allungava fino all'orizzonte, dove il cielo di un azzurro desolante si incontrava con le dune bianche. Nulla attorno. Assolutamente nulla.
Con un improvviso senso di oppressione all'altezza dello sterno, Jack si convinse a rimettersi in piedi: non era morto, non era stato fatto a pezzi dai denti del kraken; non aveva nessuna scusa per non alzarsi e cercare di capire cosa fosse successo. Si raddrizzò scrollandosi la sabbia bianca di dosso, raccolse la spada e la rinfoderò con cura sentendo una certa sicurezza nell'averla ancora al suo fianco: meglio ancora, il suo adorato tricorno era saldamente piazzato sulla sua testa. Le cose non andavano poi così male.
Il paesaggio era desolatamente piatto, eccetto alcune dune di sabbia che si innalzavano poco lontano: senza una particolare ragione Jack si diresse di buon passo verso le dune, dopotutto una direzione valeva l'altra. Cominciò a camminare, continuando fra sé a sincerarsi di essere veramente vivo: muscoli, ossa, gambe che si muovevano, tutto gli diceva che sembrava tutto a posto. Ciononostante continuava a sentire quella sensazione che fino a pochi mesi prima, prima della minaccia del kraken, prima della macchia nera e tutto il casino che ne era venuto fuori, era pressoché sconosciuta: la paura che, subdola, gli chiudeva la gola, facendolo sussultare per un nonnulla.
Peccato che in quel luogo non ci fosse neppure qualcosa per cui sussultare: ogni volta che si bloccava o si girava di scatto gettando le braccia in alto quando gli sembrava di avere scorto un movimento, poi doveva ammettere di esserselo immaginato, perché la cosa più rilevante di quel posto era un'immobilità assoluta. Nulla. Nulla. Nulla da nessuna parte.
“Se questo è l'aldilà mi hanno davvero fregato.” pensò mentre continuava a camminare. Si stava inerpicando lungo una duna, e quando arrivò in cima si bloccò di colpo e sgranò gli occhi, ma stavolta lo stupore andava pari passo con il sollievo: aveva visto l'ultima cosa che si sarebbe aspettato di vedere, e allo stesso tempo l'unica cosa che avrebbe mai potuto davvero rincuorarlo.
La Perla.
Leggermente piegata su un fianco, la chiglia in parte sprofondata nella sabbia bianca, un gioiello scuro di legno, cannoni, boccaporti, funi, sartie e vele che spiccava contro il paesaggio abbagliante come una creatura viva, ingiustamente abbandonata da sola in quel posto desolato.
Jack si precipitò giù dalla duna, un po' correndo un po' scivolando con la sua andatura barcollante, e raggiunse la nave arenata: del tutto fuori luogo in quel deserto bianco, ma gli sembrava la cosa migliore che avesse mai potuto desiderare in quel momento; se il capitano alla fine era affondato con la sua nave, la nave era stata così gentile da venirsene con lui, dopotutto. Si accostò alla fiancata della nave, inclinando la testa all'indietro per cercare di vederla fino alla coffa che proiettava la sua ombra sulla sabbia: la murata riportava ancora i danni dello scontro con l'Olandese Volante e con il kraken, ma la nave non aveva subito troppe ferite.
- Come andiamo, eh?- domandò con un sorriso mentre faceva scorrere la mano sulla chiglia in una ruvida carezza alla sua nave: forse non tutto era perduto, dato che la Perla era lì con lui. Vi girò attorno senza smettere un attimo di fissarla attentamente, quindi trovò le assi che sporgevano dalla fiancata formando la rudimentale scaletta che l'avrebbe portato a bordo: si strofinò le mani, si aggrappò al primo scalino, si diede la spinta coi piedi e cominciò a salire con agilità; in fondo quel percorso lo aveva fatto decine e decine di volte. Risalì la chiglia e si issò al di sopra della murata: i suoi grugniti di fatica erano l'unica cosa che spezzava il silenzio, da quando si trovava lì non aveva udito nemmeno il sibilo del vento. Non c'era la minima traccia di vento.
Con un balzo posò fieramente gli stivali sul ponte di legno e si guardò attorno con aria trionfante: il ponte era deserto, parte della murata opposta era stata sfondata forse da un colpo di cannone o da uno degli enormi tentacoli che si erano abbattuti su di essa durante l'ultima battaglia; le vele e il sartiame pendevano inerti contro il cielo lucido e accecante come uno specchio. L'espressione soddisfatta si cancellò lentamente dal viso di Jack: aveva poco da stare allegro, fu costretto ad ammettere, aveva una nave ma non aveva modo di muoverla, e soprattutto non aveva nemmeno un posto dove farla andare. Quel pensiero cominciò a tormentarlo pericolosamente mentre muoveva qualche passo incerto lungo il pontile abbandonato, sentendosi quasi un estraneo; non poteva andare da nessuna parte. Non c'era nessuna “parte” da cui andare. Non poteva muoversi, e anche se si fosse mosso non sarebbe arrivato in nessun posto, perché per quanto si guardasse attorno non riusciva a vedere alto che una sterminata distesa di dune bianche attorno a sé.
“Niente panico.” si impose, senza smettere di camminare avanti e indietro, mentre automaticamente controllava lo stato della sua nave: una delle lampade sul cassero di poppa era in frantumi, buona parte della cabina era stata distrutta, il timone però era ancora intero; il cordame e le vele sembravano in buone condizioni, probabilmente avrebbe potuto...
Si bloccò lì dov'era. “Avrebbe potuto” cosa?
Non poteva fare niente. Più la consapevolezza prendeva forma nella sua mente più appariva terrificante: non poteva più fare niente. Lui, il capitano Jack Sparrow, che era sempre riuscito ad andare dappertutto, a fuggire da qualsiasi cella, a liberarsi da tutte le catene con le quali avevano cercato di trattenerlo, a oltrepassare i confini dove tutti gli altri si fermavano, che era sempre riuscito ad arrivare dovunque volesse... per la prima volta non poteva più andare da nessuna parte.
Era bloccato, immobilizzato, imprigionato in una cella che non aveva pareti dalle quali si potesse uscire.
“Ci deve essere qualcosa.” si disse continuando ad andare su e giù per la sua nave arenata, rendendosi conto solo vagamente di essere l'unica cosa vagamente viva su di una nave immobile in un paesaggio deserto. “Ci deve essere per forza. Diavolo, non può non esserci... niente!”
Ma l'orizzonte vuoto e infinito, di un bianco abbagliante, sembrava essere lì apposta per contraddirlo.

*

Alla fine l'aveva fatto: non poteva più sopportare tutta quella soffocante immobilità; era sceso dalla Perla Nera e aveva proseguito il suo cammino, per vedere se ci fosse qualcosa oltre le dune che chiudevano l'orizzonte. Non era stato per niente contento di quella decisione, la nave era l'unica cosa reale in quel limbo innaturale, l'idea di separarsene era odiosa.
Si calò dalla fiancata della nave arenata con una fune, e prima di mettersi in cammino si voltò verso la Perla e agitando una mano nella sua direzione aveva raccomandato: - Non ti muovere da qui, intesi?- aveva passato forse ore a pensare come smuovere la sua amata nave dalla sabbia, se gli fosse scomparsa sotto gli occhi proprio mentre se ne allontanava probabilmente non sarebbe stato capace di rendere conto della sua reazione.
Si allontanò, continuando a voltarsi di tanto in tanto per controllare che la nave rimanesse dov'era, e ogni tanto proseguiva spedito per diversi metri prima di girare di scatto di sé stesso, giusto nel caso quella stesse pensando di scomparire a tradimento mentre lui non guardava.
Ma la Perla rimaneva quieta e immobile al suo posto, come tutto il resto attorno a lui.
Jack camminò a lungo in direzione delle dune, notando con blanda curiosità che in certi punti la sabbia assomigliava meno a sabbia: vicino alle dune era cedevole e granulosa, mentre in quelle lunghe distese piatte il suolo aveva più la consistenza del terreno arido e secco; ciononostante il paesaggio non variava di una virgola il suo bianco uniforme. Camminò senza fermarsi per lungo tempo, cominciò a preferire le direzioni che non gli richiedevano dune da superare non solo perché gli stava venendo il fiato corto, ma anche perché poteva ancora vedere la Perla Nera lontana alle sue spalle, e non gli piaceva l'idea di vedere anche quella sparire dietro a un duna.
Dopo ore di cammino ad un tratto sbuffò esasperato e si gettò a sedere per terra: era stanco, terribilmente stanco e ancora non aveva trovato nulla. Fermarsi un po' a riprendere le forze non gli avrebbe fatto male, decise incrociando le braccia sulle ginocchia. Di certo doveva avere camminato per parecchio tempo, ma il cielo non aveva mutato il suo colore: vedeva la propria ombra proiettata sul suolo bianco, ma se alzava lo sguardo a cercare il sole non lo trovava. Strano davvero. Se non altro in quel bizzarro deserto non si pativa nemmeno il caldo, pensò: non c'era caldo, non c'era freddo, non c'era vento, non c'era niente... non c'era niente... non c'era niente...
“Niente panico.” si ripeté ancora, sforzandosi di essere convincente. L'unico rumore era il suo respiro pesante: lungo tutto il cammino non aveva fatto altro che pensare, pensare, pensare, la sua testa non era stata zitta un attimo perché tutto quel silenzio lo opprimeva ma allo stesso tempo aveva paura di romperlo con la sua voce; gli sembrava che sentirsi parlare in mezzo al nulla avrebbe solo accresciuto il senso di solitudine.
Solo allora gli si affacciò alla mente, vago, il pensiero dei suoi compagni di viaggio: vi si soffermò distrattamente per qualche secondo, poi allontanò quei pensieri; troppo lontani, troppo sbiaditi e troppo patetici ora come ora in quell'abisso di silenzio dove la sua unica compagnia era quella di sé stesso. Aveva smesso da un pezzo di pensare a Davy Jones e al suo kraken, la macchia nera era sparita dalla sua mano e il vecchio Sputafuoco Turner era diventato un ricordo di secondaria importanza. Non pensava più a Will e al suo desiderio smodato di liberare il padre (gran bravo ragazzo Will, ma al diavolo la sua mania di salvare la gente...) e non pensava neanche ad Elizabeth, per quello che contava.
Gli sembrava di essersi svuotato come il deserto bianco nel quale era disperso: peggio ancora, era come se il deserto avesse svuotato lui. Tutto quello che sapeva era che si trovava lì e che non poteva uscirne.
Si rialzò dopo avere recuperato le forze, e proseguì il suo cammino: dopo un bel pezzo finalmente gli sembrò di udire qualcosa; si fermò e tese l'orecchio, aveva davvero sentito un suono in mezzo a tutto quel silenzio assordante? Sì, c'era qualcosa: un sibilo, un mormorio quasi impercettibile, ma lui conosceva bene quel suono e si sentì un tuffo al cuore. Superata l'ennesima duna, guidato da quel mormorio leggero, si trovò a spalancare gli occhi perfino più di quanto avesse fatto quando aveva visto la Perla, perché davanti a lui il deserto finiva e cominciava il mare.
Stavolta non corse verso di esso, scese la duna barcollando e incespicando, fissando il mare con una sorta di intontito stupore; gli sembrava di camminare in sogno. L'acqua si allungava sul bagnasciuga, avanti e indietro, avanti e indietro, senza fretta e senza mai cambiare di ritmo: Jack avanzò sulla sabbia bagnata e lentamente si inginocchiò, per rimanere chino sull'acqua che andava e veniva. Esitante, allungò un dito per affondarlo nell'onda che arrivava e si ritirava: sì, era vera acqua. Così pareva, almeno.
Sorprendentemente, però, la scoperta non lo rallegrava: c'era qualcosa in quel mare che lo rendeva strano e irreale come il resto del paesaggio attorno a sé. Le onde andavano e venivano, ma il loro mormorio rimaneva smorzato e a malapena udibile; questo no che non era normale. Era una distesa piatta e sconfinata tale e quale al deserto bianco, e puntare lo sguardo sull'orizzonte non gli provocava nessuna emozione né gli dava la sensazione o la speranza che dopotutto ci fosse una via d'uscita da quella gabbia priva di confini. Un mare morto e immobile al pari di tutto ciò che lo circondava.
Si rialzò con gesti lenti, gli occhi dilatai in un'espressione di sgomento, perché fissando la sconfinata massa d'acqua non faceva che rafforzare la sensazione che lo opprimeva da quando era giunto in quel posto: la sensazione di essere intrappolato fra deserto e mare, fra due sconfinate distese di niente.

*

- Muoviti!-
Il pirata si scagliò contro il legno, e quando rimbalzò all'indietro col braccio dolorante dovette ammettere che forse prendere a spallate la chiglia non avrebbe fatto muovere la Perla Nera.
- Muoviti, dannazione... devi muoverti, non possiamo restare qui, dobbiamo andare, dobbiamo andare... - girava freneticamente attorno alla nave cercando un modo per smuoverla, per spostarla anche di un solo centimetro...
Andare dove? sembrava ripetere la sua testa in un eco incessante deciso a colmare il silenzio. Andare dove? Dove, dove, dove, dove?
Il mare, sentiva che doveva essere quella la soluzione. Quanti giorni erano passati da quando aveva scoperto la riva del mare infinito? Non se lo ricordava più, non esistevano più il giorno né la notte, non esisteva nemmeno il sole, non esisteva nulla se non lui, la nave e la propria spalla indolenzita dalle botte che aveva tirato alla chiglia.
- ...Andarsene... Salpare... - borbottava continuando a camminare in tondo, cercando qualcosa da fare, una cosa, qualsiasi cosa. - ...Salpare... Muoversi... Muoviti!- se avesse raggiunto il mare con la nave almeno sarebbe stato nel suo elemento, avrebbe potuto scegliere una rotta e dirigere la Perla, muoversi era sempre un'alternativa migliore a tutta quell'immobilità forzata. Più volte preso dall'esasperazione era saltato a bordo e aveva preso a liberare le cime, si era inerpicato fin sulle sartie per spiegare le vele alla ricerca di un vento che non c'era, per mettere la nave in assetto per partire... solo per ricordarsi come per una folgorazione che la nave non poteva partire, che era nel mezzo del deserto e che nulla di quel che faceva sarebbe servito a qualcosa.
Se ne ricordava e rimaneva a lungo seduto sul ponte ad occhi sgranati, rimuginando sulla propria condizione... solo per riprendere il suo inutile affaccendarsi sulle vele non appena gli fosse tornata la smania di partire.
- Fatemi uscire... - la sua voce aveva di colpo assunto un tono lamentoso, supplichevole, mentre il pirata si aggirava come un'anima in pena attorno alla sua nave, levando gli occhi alla polena scolpita nel legno come se lo potesse ascoltare. - Fatemi uscire per favore... ne ho abbastanza di stare qui, voglio andarmene, voglio tornare a casa... -
Casa? Quale casa, dove voleva tornare?
- Da qualsiasi parte, qualsiasi, sto bene dappertutto, davvero, voglio solo andare via di qui... -
Via da lì, via da tutto quel nulla, via da quelle interminabili dune tutte uguali, tutto uguale, tutto immobile, non c'era neanche vento, neanche la minima traccia di vento...
Ebbe un sussulto improvviso e con una nuova luce nello sguardo prese di colpo a dimenarsi come un'anguilla cercando qualcosa appeso alle sue numerose cinture; per l'impazienza non riusciva nemmeno a tirare fuori quello che stava cercando e si limitava a strattonare, impigliandosi da solo nei propri pendagli, finché finalmente non riuscì a prendersi quello che voleva: se la strinse fra le mani e la sollevò davanti al viso acceso da una nuova speranza. La bussola! Come aveva fatto a non pensarci prima? Poco importava dove avesse puntato, gli bastava che gli indicasse una direzione e lui l'avrebbe seguita, qualunque fosse...
Aprì la bussola e fissò il quadrante come se tutta la sua vita dipendesse dall'ago di quella bussola. Gira, piccino, gira e mostrami una direzione, quella che vuoi, mi andrà bene... I suoi occhi si dilatarono e il cuore gli sprofondò: l'ago della bussola ruotava senza tregua; non era neppure come quando i suoi desideri non erano fissi su una cosa in particolare, allora lo vedeva scattare in più direzioni, adesso girava senza fermarsi o rallentare come se anche lui non avesse idea di cosa indicare, come se non ci fosse assolutamente niente da indicare...
Sentendosi svuotato di ogni forza come se fosse ubriaco, Jack riallacciò la bussola alla cintura con gesti automatici. Perduto. Neppure la bussola poteva tirarlo fuori da lì. Voleva uscire e non aveva neppure un muro contro il quale accanirsi chiedendo che lo tirassero fuori.
Gli tornò alla mente una frase che aveva detto una volta, o forse l'aveva solo pensata, comunque suonava pressapoco così: “bloccatemi e sono morto”. L'aveva detta, o pensata, per scherzo probabilmente. Adesso però non gli suonava più tanto innocente.
C'era qualcosa che penzolava dalla polena. La mente annebbiata di Jack impiegò un attimo a capire di cosa si trattasse: una cima che pendeva dalla polena. Una cima. Che ci faceva lì, una cima? L'aveva messa lui?
Istintivamente afferrò saldamente la fune e guardò verso la Perla. Tirare, forse? Magari si sarebbe mossa stavolta. Il pensiero era assurdo, ma ormai andava bene qualsiasi cosa, proprio qualsiasi cosa... Ma non l'aveva già fatto un tentativo del genere? si domandò mentre si voltava tenendo ben stretta la fune tra le mani. Gli pareva di stare ripetendo all'infinito le stesse cose, le stesse azioni, gli stessi gesti, gli stessi inutili stratagemmi per far muovere quella nave e portarla su quel dannato mare.
“Ci ho già provato a fare questo. Sì. No. Forse. Non ricordo.” si sentì strattonato all'indietro, aveva tirato la fune alla sua massima lunghezza. “Non lo so, ci riprovo. Guarda che non funziona. E chi lo sa. Tirare, forse...”
E tirava, ci provava a tirare quella maledetta fune, ma quella nave era terribilmente grande e drammaticamente pesante, e mentre imprecava e strattonava, una parte di sé scuoteva la testa e vedeva quanto fosse stupido lui, un minuscolo ometto da nulla in confronto a quel colosso di galeone, che sbuffava e tirava al capo di una fune illudendosi di poter muovere qualcosa.
Jack tirava, stringeva i denti, sbuffava. Lo sapeva che era inutile, era ben consapevole di quanto stupidi e senza speranza fossero i suoi sforzi ridicoli, ma metteva a tacere la propria ragione per colpa di quelle quattro parole che gli risuonavano nella testa da giorni: bloccatemi e sono morto, bloccatemi e sono morto, bloccatemi e sono morto...
Era bloccato. Non c'era altro da aggiungere, e assolutamente niente che lui potesse fare.
Jack tirò con tutte le sue forze, i piedi che scivolavano sul terreno arido senza fare presa. Aveva bisogno di un miraggio, doveva illudersi di avere un qualche potere sul corso degli eventi, doveva poter sperare che quella fune fosse lì per un motivo, forse finalmente avrebbe trovato il modo di muovere quella nave maledetta, quella fune lo doveva aiutare, forse la fune poteva essere la chiave per uscire da lì...
Le mani stanche scivolarono e persero la presa sulla fune, Jack crollò per terra, bocconi sul terreno bianco e spoglio, e il pirata non trovò nemmeno la forza per sollevare la testa. Respirò e chiuse gli occhi. Che rimaneva a lui, stupido pirata accasciato a terra, che non riusciva nemmeno ad alzarsi perché non ne aveva più voglia?
Forse anche la fune era soltanto una stupida, inutile fune.

  
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