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Autore: EtErNaL_DrEaMEr    11/05/2008    8 recensioni
Edward Anthony Masen nacque il 20 giugno del 1901.
Edward Masen ebbe solo un fugace assaggio della vita, a cui la spagnola lo sottrasse a soli diciassette anni, nel 1918.
Eppure, ora, Edward Anthony Masen Cullen vive ancora i suoi diciassette anni.
.. Non pensate anche voi che valga la pena di sapere come è morto Edward Masen... e come è nato Edward Cullen?
..... Perché Edward Anthony Masen Cullen non potrà mai essere ricordato.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bittersweet memories

Disclaimer:
I personaggi sotto citati non mi appartengono, ma sono esclusiva proprietà della loro creatrice. Nessun scopo di lucro.



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Genesis and Catastrophe


[Bittersweet Memories]




«Ti va di ascoltare la mia storia? Non ha un lieto fine... Del resto, quale fra le nostre storie ce l'ha? Se ci fosse stato un lieto fine, a quest'ora saremmo tutti sotto terra.»



[Genesi]



20 giugno 1901


Quel caldo mattino lasciava già presagire una giornata altrettanto calda e afosa.
La fitta coperta di nuvole di un cupo blu rendeva l'atmosfera ancora più soffocante e umida.
Strano giorno, per la nascita di un bambino.
Nell'immaginario comune, la nascita è un evento misericordioso, bellissimo.
Ci vorrebbe il sole. Un bel sole luminoso capace di irradiare con il suo calore e i suoi raggi tutta la città. Ma forse, se quel giorno del sole non si scorgeva nemmeno l'ombra, un motivo c'era.


"Ecco qui, tesoro. Ecco il nostro bambino!" disse un giovane uomo. La voce incrinata per l'emozione, mentre porgeva tra le braccia di quella che era sua moglie un piccolo fagotto.


La giovane donna tese le braccia tremanti, fino ad accogliere quel neonato.
Voleva stringerlo a sè; stringerlo tanto forte da avere la certezza e la sicurezza che mai e poi mai, per nulla al mondo, gliel'avrebbero portato via... ma aveva paura di fargli del male. Così piccolo e indifeso le sembrava la cosa più fragile e preziosa che mai uomo avesse potuto toccare. Allora avvicinò il corpicino al suo petto, abbracciandolo dolcemente e adagiando appena il proprio capo
su quello del figlio neonato.
Era felice, felice come mai era stata.


"E' nostro figlio, Edward, nostro figlio!!"


Non ce la faceva. Continuava a piangere, anche se aveva paura che da un momento all'altro il suo cuore potesse scoppiare di gioia. Piangeva, e le sue calde lacrime bagnavano la testolina di quel fagottino che stringeva amorevolmente a sè.
Alzò il capo solo quando sentì la voce di suo marito giungerle alle orecchie.


"Come lo chiameremo?" chiese, guardando intensamente sua moglie e suo figlio.

"Edward" rispose lei, senza esitazioni.

L'uomo la guardò emozionandosi ancora di più. "Ed Edward sia." disse, sedendosi sulla sponda del letto e accarrezzando dolcemente i capelli della moglie.

"Edward Anthony Masen" ripetè lei, in tono quasi solenne, fissando il volto del neonato che, con gli occhi ancora chiusi, agitava i pugnetti in aria, menando il vuoto.


Dalla finestra aperta, filtrarono i primi, timidi raggi del sole. Una luce debole, ma presente.

L'alba di una nuova vita.

Nessuno dei presenti in quella camera ne avrebbe visto il tramonto.



* * * * * * * * *


20 giugno 1910



Quel giorno sì, quel giorno c'era il sole.
Un clima caldo, appena mitigato da una leggera brezza.

In un'elegante villetta poco fuori dal centro di Chicago una dozzina di bambini scorazzava libera per il giardino. I
n un angolo del prato, riparati dall'ombra di un grande faggio, sedevano una decina di genitori. Gente elegante, vestita in maniera impeccabile, accanto a gente che, a differenza dei primi, non conduceva certo una vita di lusso, come testimoniavano i loro stessi indumenti. Eppure si erano ritrovati tutti insieme, allo stesso tavolo.


"Hai fatto veramente un ottimo lavoro con questo giardino, Edward!"


A parlare era stato un uomo in giacca, mentre si guardava attorno e sorseggiava un drink dal bicchiere che teneva nella mano destra.
Alla sua sinistra, un uomo sorrise, scambiandosi un'occhiata divertita con la donna che era seduta sulle sue ginocchia, sua moglie.


"Grazie, Tim. Merito anche di Elizabeth, ovviamente!" disse, sorridendo a sua moglie.

"Mamma, mamma, abbiamo fame!!" esclamò un bimbo, giungendo a pochi passi dal cappannello di genitori.

"Di già?!" chiese scherzosa la donna, alzandosi dalle gambe del marito e sistemandosi la gonna stropicciata. "Finirete per divorare l'intera scorta di cibo dell'Illinois!!" fece, scherzosa, scompigliando i capelli del figlio con una mano, mentre gli passava davanti, entrando in casa.


Ne uscì portando tra le mani una grande torta, seguita da una domestica che portava piatti e stoviglie.

Quel giorno, si festeggiava il nono compleanno di Edward Anthony Masen, figlio dell'importante avvocato Edward Masen e della bella Elizabeth Masen.

Bambino forte e intelligente.
Bambino fortunato e circondato dall'amore dei suoi genitori e di chi gli stava accanto.

Bambino i cui capelli bronzei risplendevano brillanti al sole.


* * * * * * * * *



20 giugno 1918


Quella mattina la strada battuta davanti alla sua casa era piuttosto trafficata.
Il rumore degli zoccoli dei cavalli che correvano sulla terra trainando carrozze, e il vociare di uomini che, pedalando sulle loro bici salutavano donne
composte che passeggiavano coprendosi con i loro parasole, accompagnò il suo risveglio.


"Edward, dormi ancora?" chiese sua madre, fintamente scocciata, entrando nella stanza del figlio e avvicinandosi alla finestra.


Scostò le pesanti tende, così da lasciar filtrare i raggi del sole, mentre alle sue spalle giungeva un brontolio sommesso di Edward che si era girato dall'altra parte.
Sua madre si voltò, appoggiando le mani sui fianchi e guardandolo, sconsolata. Si avvicinò a lui e, senza preavviso, afferrò le lenzuola, lasciando scoperto il figlio.


"Mamma!" brontolò l'altro, alzandosi
finalmente a sedere.

"Ormai sei un uomo! Non dovresti dormire fino a queste ore!!" lo rimproverò, ridendo e guardandolo dai piedi del letto.


Diciassette anni.

Oggi il suo bambino compiva diciassette anni.
E le sembrava ieri che lo teneva in braccio, piccolo e fragile, con gli occhi chiusi e i pugnetti in aria.
Invece ora stava diventando un uomo, e presto se ne sarebbe andato di casa, si sarebbe trovato una compagna.

Pensando ciò, si rattristò, immaginandosi la casa senza di lui. Si avvicinò al materasso, sedendosi su un lato di esso.
E si ricordò anche della notizia diffusa pochi giorni fa, che aveva già messo in allarme e in uno stato di preoccupazione ed ansia molte madri a Chicago, e non solo.
La chiamata per le armi era stata abbassata a diciotto anni.
Finora, avevano avuto la fortuna di non essere stati particolarmente toccati dalla Grande Guerra che devastava gran parte del mondo da tre anni a quella parte. E perché la loro zona era stata, per ora, risparmiata, e perché gli abbondanti guadagni del marito permettevano loro una vita piuttosto agiata e, anche in periodo di aumento dei prezzi, avevano comunque la possibilità di avere almeno i beni di prima necessità.
..... Ma lei se lo immaginava. Se lo immaginava il suo Edward a combattere impugnando un'arma, difeso dal solo volere della sorte.

Cosa... cosa avrebbe fatto se glielo avessero portato via?


Chiuse gli occhi, cercando di scacciare quelle imamgini moleste dalla sua mente.


"Qualcosa ti turba, mamma?"


Edward le si avvicinò; quando Elizabeth si girò il ragazzo era a poca distanza da lei, che la guardava con la testa inclinata di poco di lato e uno sguardo interrogativo dipinto in volto. Teneva le gambe incrociate e il sole si rifletteva sulla sua pelle chiara.
La donna sorrise, scompigliandogli affettuosamente i capelli come gli faceva sempre quando era piccolo.


"No. Ora, va tutto bene." disse, sincera.

"Ne sono felice. Mia madre non può essere triste il giorno del mio compleanno! Del mio diciassettesimo compleanno!!" ribadì, entusiasta.

"Sai, prima pensavo che mi sembra ieri che eri un fagottino.. e ora, guaradati, Edward, sei già così grande...." disse, e nella sua voce si fece risentire una nota di tristezza.

"Non sarò mai grande abbasatanza da fare a meno di voi, di te e papà." fece, sincero, stampando un bacio in fronte alla madre e alzandosi per andare a vestirsi.


Nel frattempo, anche sua madre si alzò in piedi, dirigendosi verso la grande rampa di scale che portava al pian terreno.


"Sbrigati, e poi raggiungici in sala da pranzo. Maria ha già preparato la colazione da un pezzo!" e, dicendo questo, scomparì oltre la porta.



Pochi minuti dopo, Edward, indossando dei pantaloni scuri ed una camicia, fece la sua comparsa nell'elegante sala da pranzo della casa.
Di fronte a lui, seduto a capotavola, suo padre faceva colazione, leggendo il giornale del venti giugno. Alla sua destra, sedeva sua madre, intenta solamente a mangiare. Accanto alla porta che dava sulla cucina, stava la loro unica domestica e governante -un po' il fac-totum della casa- Maria.
Se ne stava in piedi, pronta ad esaudire le eventuali richieste dei suoi datori di lavoro.
Era una donna simpatica, Maria. Arrivata dalla Spagna una ventina d'anni prima, aveva una lunga carriera da domestica alle spalle. E poi era una signora gentile, sempe disponibile.
Edward non se ne sarebbe mai dimenticato. Ne era sicuro.


"Ragazzo mio" esclamò suo padre, alzando gli occhi dal giornale, non appena lo vide oltrepassare la soglia della sala " Tanti auguri!" disse forte, sorridendo radioso al suo unico figlio.

"Grazie!" disse gentile Edward, prendendo posto dalla parte opposta del lungo tavolo.

"Accidenti!!" sbottò subito dopo l'uomo, appoggiando poco elegantemene il giornale sul tavolo.

"Che c'è, caro?" chiese sua madre, guardando il marito preoccupata.

"Nel Sud America ci sono stati vari casi di spagnola e temono che possa arrivare fin qui." disse, osservando di sbieco il giornale "Ma qui a Chicago abbiamo i migliori medici, sono sicuro che quest'epidemia non ci toccherà neppure!"

"Infatti, non è il caso di preoccuparsi." ribadì sua madre, con voce meno sicura del marito.


Dopo quella frase calò il silenzio.
Silenzio interrotto dal suonare del campanello.
Maria si affrettò ad andare ad accogliere gli inattesi ospiti.


"Prego" disse, spostandosi di fianco così da lasciare libero il passaggio alla due donne appena entrate in casa Masen.

"Grazie" esclamò la più grande delle due, porgendo alla domestica il suo parasole e quello della figlia.


Maria le accompangò fino alla sala da pranzo, dove Elizabeth si alzò subito da tavola, raggiungendo le ospiti.


"Liz, scusa la nostra visita improvvisa, ma volevamo passare per il compleanno di Edward e ci sarebbe stato impossibile farlo più tardi!" fece la donna, prendendo fra le sue le mani di Elizabeth "Questo pomeriggio dobbiamo partire per Springfield! John ha un appuntamento di lavoro e ha insistito perché io e Sue lo accompagnassimo. Non ti dico che viaggio stancante sarà!" concluse la donna, alzando gli occhi al cielo.

"Non preoccuparti, Patricia. La tua visita non è affatto inopportuna!" si affrettò a dire Elizabeth, portando le due ospiti verso il tavolo dove sedevano Edward e il marito.

"Eccolo, qui, il festeggiato!" esclamò Patricia, di fianco ad Edward. "Tanti auguri, caro!" gli disse, schioccandogli due baci, uno per guancia.

"Auguri" disse più semplicemente Sue, alzandosi in punta dei piedi per andare incontro ad Edward, che già si era un po' chinato verso di lei, e gli diede anche lei due veloci baci.


Non avevano nemmeno fatto in tempo a sedersi a tavola, che Elizabeth, Edward e Patricia avevano già cominciato a parlare tra loro. Patricia era preoccupata per la guerra, Edward per la spagnola ed Elizabeth per entrambe le cose.
Ma non voleva che suo figlio si riempisse la testa di tutte quelle preoccupazioni. Era un ragazzo molto sensibile, Edward, e non voleva turbarlo. Almeno, non nel giorno del suo compleanno.


"Edward, accompanga Sue in giardino." gli suggerì, indicando la porta-finestra che dava sullo spazio verde nel retro della casa.


Edward obbeddì, invitando elegantmente la giovane Sue a precederlo in giardino.

Fuori faceva caldo, il sole batteva forte, nonostante fossero appena le dieci e mezzo del mattino. Per trovare un po' di riparo, dovettero spostarsi sotto l'ombra di un grande faggio all'angolo del giardino.
Sue era rimasta accanto all'albero, in piedi. Sembrava quasi imbarazzata.
Edward si era appoggiato con la schiena al tronco. Guardava il cielo pensieroso.
Forse quello era il suo primo compleanno in cui non v'erano nuvole sin dal mattino. Il cielo era di un azzurro intenso, quasi surreale ed era completamente limpido. Il sole alto e abbagliante.
Dopo qualche minuto di silenzio si girò verso Sue. Anche il suo sguardo era rivolto verso il cielo. Il sole creava strani giochi di luce sui suoi capelli biondo cenere -ora raccolti in un sobrio chignon- donando loro ancora più sfumature.
Era bella, Sue.
Non una bellezza canonica.
Era piuttosto bassa ed esile. Le guancie che, d'estate, si riempivano di piccole lentiggini e gli occhi neri come la pece.
Eppure, ai suoi occhi, lei gli era sempre parsa molto bella.
Quel giorno, però, sembrava strana. Parlava poco, stava sulle sue. Era come se qualcosa la turbasse.


"Qualcosa non va, Sue?" le chiese, gentile, attirando la sua attenzione.

Lei sorrise appena, scuotendo lentamente la testa. "No, va tutto bene"

"Ne sei sicura?" insistè lui, più deciso che mai a scoprire cosa potesse aver tolto il sorriso da quelle labbra rosee.

Sue esitò qualche secondo prima di rispondere, giocherellando con il bordo di pizzo di una manica del suo vestito celeste. "E' solo che.... sai, ieri mia madre mi ha parlato della chiamata per le armi...." disse, ma non finì il discorso.

Edward capì. Si avvicinò a lei, guardandola intensamente negli occhi. "... E' per me?" provò a chiedere, quasi titubante.

Sue lottò, provò, ma non riuscì a non perdersi in quelle iridi verdi incredibilmente profonde. "... Sì..." sussurrò, riuscendo ad abbassare il capo.


Edward le prese il mento con due dita, facendole sollevare la testa. Quando lo vide in faccia, vi trovò dipinto un sorriso dolce, come sapeva essere solo il suo.


"Non devi aver paura Sue. Non c'è niente di cui temere. " le bisbigliò, senza staccare gli occhi dai suoi.


Poi, le toccò le guancie con i polpastrelli.
Aveva un buon profumo, Sue. Riconoscibile ovunque.
Lei lo guardò: vide i suoi capelli color del bronzo risplendere alla luce del sole; vide la sua pelle bianca creare un contrasto quasi surreale con la corteccia dell'albero che stava dietro di lui; vide i suoi occhi verdi risplendere.
I loro visi si avvicinarono ancora di più. Sue aveva appoggiato le sue mani sulle braccia di Edward, che ancora le accarezzava le guancie.

Poi, mentre solo un soffio divideva le loro labbra, cadde una lacrima dal cielo, bagnando una gota del ragazzo.

Una, due, tre, quattro, cinque.....

Cominciò a piovere sempre più forte.
Edward rise, accompangato da Sue.
Subito si guardarono, si presero per mano e corsero verso casa, bagnandosi tutti.
Edward correva, avvolgendo Sue con le sue braccia, coprendola come meglio poteva.
Quando raggiunsero il portico della casa, restarono così, vicini l'uno all'altra. Offesi per quell'attimo rubato, grati per quel momento guadagnato per una beffa del cielo.


"Sue, Edward! Rientrate in casa, prima di prendervi un accidente!"


La voce di Elizabeth li giunse forte dal soggiorno, da dove stava arrivando con Patricia.
Scambiandosi un ultimo sorriso, aprirono la porta-finestra, andando incontro alle loro madri.


Anche quell'anno, il cielo non ne voleva sapere di starsene limpido.

Perché, perché aveva così tanta voglia di piangere?



* * * * * * * * *


[Catastrofe]



15 agosto 1918



"Mamma, va tutto bene?"

"Sì, caro... stai tranquillo. Devo solo aver preso freddo la scorsa settimana" disse la donna, tossendo di nuovo.



Edward la guardò incerto per qualche secondo, poi tornò ad occuparsi della lettura del giornale che aveva tra le mani.
L'anno prossimo -Guerra permettendo- avrebbe frequentato il college, e per suo padre era fondamentale che un uomo fosse informato su ciò che accadeva attorno a lui. E lui ogni giorno leggeva quel giornale, perché sapeva che ciò che diceva suo padre era vero, ma attorno a lui succedevano sempre le stesse cose da quasi tre anni ormai.
L'Europa era sempre più devastata dalla Grande Guerra e, dall'aprile del 1917, anche gli Stati Uniti erano ufficialmente entrati in guerra.
E di certo non avrebbe visto il college l'anno successivo, anzi, avrebbe visto armi, armi e ancora armi.

In più, ora si era aggiunta anche la spagnola.

"Qui a Chicago abbiamo i migliori medici, sono sicuro che quest'epidemia non ci toccherà neppure!"

Così aveva parlato suo padre quando gli erano giunte le prime notizie dell'epidemia.
Ma ora, alcuni casi di spagnola si erano verificati anche nel vicino Nebraska, e perfino dal Minnesota era arrivata notizia del contagio.
Ed Edward aveva paura.
Riusciva a cercare di essere ottimista per la guerra, eppure -non ne sapeva neanche lui il motivo- era quasi terrorizzato dall'idea che il contagio della spagnola potesse arrivare fin nell'Illinois.


E sua madre tossiva.



* * * * * * * * *

 

5 settemebre 1918



Sua madre stava sempre peggio.

Dall'inizio di agosto, non si era più completamente ripresa.
Prima la tosse sembrava quasi scomparsa, ma poi era ritornata, più forte e sfibrante di prima. La febbre c'aveva messo poco meno di una settimana ad arrivare, e da lì in poi, Elizabeth aveva iniziato un sempre maggior declino.

Ora era distesa a letto.
Secondo il loro medico di famiglia -il dottor Wilson- sua madre avrebbe dovuto restare a letto, ma ora aveva deciso di portarla all'ospedale. Le cure degli antibiotici non erano più sufficienti.


"Edward, per favore, mi passi quella coperta?" gli chiese, indicando un punto nell'angolo della grande camera da letto.


Edward si alzò dalla sedia a dondolo su cui era seduto, prese la coperta, e la portò alla madre, distendendola sopra quella che già la ricopriva.
Era appena inizio settembre, l'aria era ancora piuttosto calda. E lei aveva freddo.


"Vedrai, appena me ne andrò in ospedale, starò meglio. E' solo questione di tempo." disse la donna, lanciandogli un debole sorriso che voleva essere d'incoraggiamento.


In quel momento, nella stanza entrò suo padre, appena tornato dal lavoro.


Tossiva.



* * * * * * * * *



23 settembre 1918



La situazione era precipitata nuovamente.

Dopo il ricovero di sua madre, anche suo padre era stato contagiato, e ora erano in tre in quei letti bianchi e scomodi.
Anzi, due.
Quella mattina, suo padre aveva smesso di lottare. La spagnola l'aveva attaccato ancora più crudelmente di quanto avesse fatto con sua madre e con lui. Se n'era andato in meno di tre settimane.

Suo padre era morto.
Guardava il soffitto bianco e anonimo sopra di lui e non riusciva a capacitarsi di una cosa simile.
Semplicemente, non gli sembrava possibile.
Girò piano la testa di lato, era stanco.
Vide, nel letto accanto al suo, Elizabeth piangere. Lo faceva da quando un'infermiera sconsolata era entrata nella loro camera -che dividevano con altri due malati, visto la scarsità di spazio e l'enorme numero dei contagiati- con lo sguardo dispiaciuto e senza suo padre.
Avrebbe voluto consolarla. Avrebbe voluto alzarsi e andare ad abbracciarla forte, asciugando le sue lacrime.
Ma non ne aveva le forze. Era stanco, distrutto, senza aver fatto niente.
E aveva paura. Una paura che mai prima aveva provato. Paura che per lui la vita sarebbe finita troppo presto.

Lui voleva andare al college.

Lui voleva farsi una famiglia.

Lui voleva vivere.


Osservò sua madre ancora per qualche istante, ma poi cedette al sonno, addormentandosi.




Quel pomeriggio, quando si svegliò, si ritrovò circondato da due braccia esili e pallide.
Distesa accanto a lui, sua madre lo cullava, sussurandogli all'orecchio quella ninna nanna che sempre gli cantava quand'era bambino.
La guardò in volto. Le g
uancie scavate, il colorito bianchiccio e gli occhi spenti.
Aveva pianto tutta la mattina, sua madre.
Aveva perso l'uomo che amava, sua madre.
E ora era lì a consolare lui, sua madre.
Che donna forte.
Anche quando era lei la più debole, la più bisognosa di cure, si preoccupava sempre di lui.
Edward le posò una mano sul braccio, carezzandolo.
Si sentiva morire.
Sia fisicamente che mentalmente.
Perché vedere chi più amava in quello stato, era come ricevere una ferita mortale dritta al cuore.


..... Forse, andare in guerra sarebbe stato meno doloroso.


Di nuovo, fu Morfeo ad accogliere Edward nel suo mondo.




Quella notte, entrò nella camera d'ospedale il dottore che aveva in cura -tra gli altri pazienti- anche la famiglia Masen.


"Signora Masen... dovrebbe riposarsi. Edward riceve tutte le cure che possiamo offrirgli... e ora anche lei deve dormire" non aveva il coraggio di dirle che, tra madre e figlio, era lei quella più in là che in qua.


Elizabeth alzò di poco -e con gran fatica- la testa e lo guardò.
Era un uomo alto e biondo.
Bello come nessuno, escluso suo marito.


"Dottore, ho una richiesta da farle" disse Elizabeth, con voce appena udibile, guardando intensamente gli occhi dorati del medico di fronte a lei "Venga qui, per favore" lo invitò, agitando una mano nello spazio vuoto accanto a lei.


L'uomo la raggiunse, chinandosi per sentire meglio ciò che aveva da dirgli.
Scattò istintivamente indietro di qualche centimetro, quando una mano fredda e tetramente bianca lo afferrò per il polso. Elizabeth lo guardava con occhi imploranti, che però non accennavano a perdere la loro dignità.


"Deve promettermi una cosa, dottor Cullen" inziò, sempre a bassavoce -l'unico volume che poteva permettersi- "non le chiedo di salvare me, ma Edward sì" si interruppe, venendo scossa dalla tosse, poi tornò a guardare negli occhi l'uomo vicino a lei "Lei lo deve salvare!"



..... Che quella donna avesse capito tutto?
I suoi segreti, la sua vera natura?
Eppure, lo riteneva impossibile. Perché aveva fatto tutto con scrupolo
incredibile. I turni di notte, gli occhi sempre dorati, mai nessuno l'aveva visto alla luce del sole, tantomeno i suoi pazienti.

..... Che quella donna avesse capito che Carlisle Cullen era un vampiro?



"... Signora Masen... io... io farò del mio meglio. Offrifò ad Edward tutte le cure possibili.. ma non posso prometterle che lui sopravviverà senza alcun dubbio." disse, titubante.

"Io so che lei lo può salvare!" ripetè Elizabeth, gli occhi verdi ancora fissi in quelli dorati di Carlisle.

".. Elizabeth..." ricominciò "... davvero... non so come io possa mantenere una promessa del gener...." ma non finì di parlare.

Elizabet aumentò la sua stretta, e i suoi occhi divennero incredibilmente duri e severi. "Io so che lei lo può salvare!" ripetè, decisa.


Un altro colpo di tosse le fece mollare la presa dal polso del dottor Cullen. I suoi polmoni erano ormai inconsistenti e probabilmente, non avrebbe assistito ad un'altra alba.
L'ultima occhiata che lanciò a quell'uomo surrealmente bello e pallido di fronte a lei, non fu più severa, ma disperata.
La disperazione di una madre che ha paura di perdere il proprio figlio.
La disperazione di una madre che sa di stare per morire e di non potere niente per evitare la stessa sorte al proprio figlio.
La disperazione di una madre che sa di aver condannato il proprio figlio alla possibile dannazione eterna, pur di tenerlo in vita.



* * * * * * * * *



Quella notte, Elizabeth Masen chiuse gli occhi per non riaprirli mai più.
Quella notte, il diciassettenne Edward Masen fu dichiarato morto.
Di lui, non si ebbe più alcuna traccia.


Altri due morti da piangere, a cui quella notte si aggiunse un'altra giovane diciassettenne: Sue Parker.


Altre vite rubate troppo presto.

 
 * * *


Quella notte di settembre pioveva.

Quella notte Edward Anthony Masen morì.

Quella notte nacque Edward Anthony Masen Cullen.




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Buongiorno a tutti!=)

Beh, comunque, non ho niente da dire su questa ff.... se non che volevo dare "un'occhiata" alla vita di Edward prima che cominciasse la sua nuova vita. Prima che diventasse vampiro. Quando ancora era un essere umano.
Spero davvero che vi sia piaciuta e che mi lasciate qualche recensione. Intanto ringrazio coloro che hanno recensito "Don't Cry". Grazie mille^^'!!

Solo una precisazione: il titolo "Genesis and Catastrophe" prende il nome dall'omonimo racconto di Roald Dahl.  La frase all'inizio del racconto -non penso abbia bisogno di presentazioni- è quella che dce Rosalie a Bella prima di raccontarle la sua storia.



Ok, ho finito!!

Un bacio, gente=*


  
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