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Autore: Hiroponchi    11/12/2013    4 recensioni
Il natale non è la caccia al regalo più costoso. Non è il cenone esagerato nè i beni materiali. E' spirito, desiderio, passione, festività. Questa one shot la dedico alle persone meno fortunate che vivono il Natale nella semplicità della bontà, piuttosto che con il cuore di un avaro.
Genere: Drammatico, Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La bambina che voleva essere l’elfo di Babbo Natale
 
21 dicembre.
Le strade di New York erano illuminate da miriadi di luci e la neve scendeva come fiocchi di cotone. Sembrava di vivere in una di quelle bolle di vetro che si vendono nei negozi. Mancava ormai poco alla vigilia, e Mary Elizabeth se ne stava seduta su una panca di legno in mezzo alla chiesa, ad ascoltare le carole. Era molto attenta nell’ascolto, sembrava voler mangiare ogni parola. Tutti la fissavano, in realtà, anche se lei era troppo attenta per accorgersene. Era una bambina troppo bella per passare inosservata. Lunghi riccioli biondi, carnagione chiara, e tondi occhi blu. Con il cappellino verde e la mantellina rossa, sembrava appena giunta dalla Lapponia. Al suo fianco sedeva la nonna. Un’amabile vecchina di settantacinque anni, vestita di lilla, le labbra ancora macchiate dal rossetto e un profondo odore di biscotti sulla pelle. La donna stringeva forte la mano della bambina, lanciando occhiatacce a chiunque la guardasse e sperando vivamente che Mary Elizabeth fosse troppo immersa nei canti per accorgersi che quell’anno non c’era spirito natalizio per loro. (“Nonna” aveva urlato la piccola bambina circa due ore prima, correndo in lacrime dalla vecchia signora che stava sfornando biscotti. “Nonna, papà l’ha fatto di nuovo”. La nonna era rimasta così di stucco e così arrabbiata che aveva ordinato a Mary Elizabeth di mettersi il cappello col ponpon in cima e di accompagnarla a messa. Per convincerla le aveva promesso di mostrarle tutti gli abeti scintillanti di Central Park e che al ritorno avrebbero visto insieme Zampa e La Magia del Natale, sedute in salotto. La piccola bambina, ingenua per i suoi sette anni, aveva accettato con un sorriso tra le lacrime e l’aveva seguita. Caroline D.Fairy, sua madre, era venuta a mancare il Natale precedente. Con il cervello metà paralizzato dal tumore aveva detto a sua figlia di credere sempre a Babbo Natale e con un sorriso smorzato si era spenta. Ma Arthur, il padre della piccola, non faceva altro che perdere lavoro, ubriacarsi e picchiare la figlia ogni volta che veniva licenziato. A casa non c’erano alberi decorati perché “mancavano soldi”. Ma la nonna, che era sempre stata intelligente e manteneva la qualità anche in vecchiaia, sapeva cosa pensava la gente. “E’ la figlia della morta” esclamavano persino in chiesa, bisbigliando. “Suo padre è ubriaco. Guarda com’è bella… sarà adottata? Ò è figlia di una prostituta con cui il padre…?”.)
A metà messa, la nonna prese Mary Elizabeth per mano e la condusse via. “Nonna, tra poco i bambini cantavano Jinggle Bells” protestò la bambina, trottorellando con la mano in quella della signora.
“Verremo a sentirla domani. Ora andiamo a casa a vedere il film, va bene?”.
Mary Elizabeth diede uno strattone e la sua manina paffuta scivolò via da quella vecchia e rugosa. “Mary” strillò terrorizzata la nonna, prima di rendersi conto che la bambina si era fermata solo un passo indietro.
“Guarda, nonna, vendono bastoncini di zucchero! Me lo compri?”.
(“Me lo compri?” aveva detto anni e anni fa Caroline, col corpicino avvolto in quella stessa mantellina rossa. A quell’epoca il tumore si stava già infiltrando in lei, ma nessun medico era stato capace di muoversi in fretta e il tumore, prima sparendo, poi ricomparendo, poi sconfitto, poi avverso, alla fine l’aveva uccisa). Con gli occhi pieni di lacrime, la nonna aveva sorriso e annuito e si era rivolta all’uomo panciuto che teneva la bancarella. “Me ne dia due”.
“Perché due?” chiese Mary Elizabeth.
“Uno è per la mamma, glielo portiamo al cimitero, ti va?”.
Un fischio annunciò l’arrivo della metropolitana. Sotto di loro si sentì lo scalpiccio di migliaia di piedi e il sottopassaggio si riempì del puzzo di vapore e di gente ammassata. “Come fa a vendere qui?” chiese la nonna all’uomo.
“C’è molta gente” rispose quello. “Ma è pericoloso, rubano diverse caramelle, devo stare sempre in allerta. Beh, grazie, e buon Natale, signora”.
“Ecco a te” esclamò la nonna, allungando il bastoncino di zucchero alla bambina ma, un secondo dopo, si accorse di starlo offrendo al vuoto. Il cappello verde col ponpon non c’era più e nemmeno traccia di un solo ricciolo biondo. La folla attorniava la bancarella ma nessuno capiva la disperazione della nonna né si interessava alle grida di una povera vecchietta.
*
Un uomo rozzo, rude, con un sacco in spalla e un solo giubbotto di pelle, spingeva Mary Elizabeth su per una scaletta di ferro. La piccola piangeva ma sapeva che se avesse continuavo le avrebbe prese. Aveva già un livido sotto l’occhio. Voleva il bastoncino di zucchero, voleva andare a vedere il film nel salotto della nonna, accanto all’albero di natale tutto illuminato. Ma, una volta in camera, si accorse che mancava proprio quest’ultimo. La stanza era vuota, buia, e un materasso sporco per terra. Non c’era una pallina rossa né le calze appese al camino. Non c’era nemmeno il fuoco acceso.
“Non c’è l’albero di natale”, disse tirando su col naso.
“A che servirebbe, eh? A un cazzo, te lo dico io”.
Afferrò la bambina e la sedette di malagrazia sul materasso sporco. Mary Elizabeth aveva paura; in tv, con suo padre, aveva visto tante brutte cose e temeva che le capitasse lo stesso ma, una volta in canottiera e mutandine, si rese conto che l’uomo stava controllando le griffe degli abiti. “Questi me li vendo”, disse ridacchiando. “Sei una bambina fortunata”.
“Non è vero”, disse. “La mamma è morta e papà è cattivo. Non ha un lavoro”.
Per la sorpresa, all’uomo venne la tosse. “E chi pagherà il riscatto?”.
“Non so cosa sia ma è la nonna a tenermi con sé”.
“Allora pagherà la vecchia”, rispose il malvivente con aria di nuovo serena. Intorno a lui aleggiava un’aria tetra, non c’era traccia di colore, né un scintillio dell’occhio né una guancia rosea. Poteva essere bello, se non per l’aria trasandata e trascurata. Aveva appena un accenno di barba e due occhiaie molto spesse sotto gli occhi oscurati da un velo di dolore. Si alzò, infilando i vestiti nel sacco, e trasportò il tutto sotto la finestra. Non c’erano termosifoni e la stanza era piena di spifferi. Mary Elizabeth tremava ma non osava mettersi a parlare perché ogni volta che lo faceva, le sembrava che l’uomo diventasse nervoso. “Che hai?”, chiese invece il ragazzo. “Freddo?”.
La piccola annuì, abbracciandosi le gambine nude. Senza avvicinarsi troppo, il rapitore le lanciò una coperta di lana. Era sporca e puzzava di fumo di sigaretta ma almeno era calda. “Non c’è il televisore?”, chiese poi. Se l’uomo le aveva dato una coperta, magari le dava anche un decoder satellitare, no?
“E che vuoi farci?” l’apostrofò l’uomo e la piccola zittì alla vista della pistola che egli stava infilando in un cassetto, al sicuro. Quando fu sparita, gli rispose “Per vedere i film di Natale”.
L’uomo scoppiò a ridere senza essere divertito. Era una risata vuota e lontanamente gli si estendeva alle guance scavate di magrezza. “Non crederai a quella roba? Babbo Natale non esiste! E nemmeno tutte le altre cazzate! Nei film ti mettono le luci, le opere di bene, i folletti, e altre sciocchezze simili. Se io avessi un paio di renne, sarei già volato ai Casinò di Montecarlo”.
Mary Elizabeth si strofinò il naso freddo con l’orlo della coperta. L’odore di fumo le andò in gola e le fece venire un bruciore fastidioso. “Invece sono belli”, protestò. “Io diventerò come Buddy”.
“Chi?”
“Buddy! Sarò l’elfo di Babbo Natale quando sarò abbastanza grande da volare fino al Polo Nord”.
L’uomo rise così forte che si accasciò sul divano bitorzoluto. Si sfilò la felpa, mostrando un corpo ossuto ricoperto di tatuaggi e un pearcing al capezzolo. “Non esiste quella robbaccia, sarà meglio che lo capisci adesso”.
Per il resto la povera Mary Elizabeth tacque e il tempo trascorse inesorabile. Il rapitore dormiva alla grande sul divano e il suo russore aleggiava lungo le pareti di pietra vuota. Non c’era un orologio né una sveglia quindi non riusciva a capire che ore erano ma la via fuori dalla finestra si era oscurata e passavano solo macchine. La cosa che le pareva più strana era che l’uomo non l’avesse ancora picchiata né toccata. Il suo papà l’avrebbe già fatto una serie di lividi, come quando perdeva il lavoro. La nonna glieli curava con il disinfettante e poi ci metteva un cerotto. Diceva che i cerotti non erano brutti e che abbellivano le braccine di una bambina come lei. La mamma invece la ricordava solo in punto di morte. Con la testa pelata (di solito si metteva la parrucca di un nero lucente ma quella mattina non riuscì a muovere un dito) si era scusata di doversi far vedere dalla figlia senza nemmeno il lucido per labbra. “Ma mamma” aveva detto Mary Elizabeth. “Le tue labbra luccicano sempre. Basta che ridi”. In quel momento una lacrima era sfuggita dall’occhio di sua madre e i fuori d’artificio erano scoppiati in strada. Le campane suonavano a più non posso. “Senti?” le aveva sussurrato. “E’ nato Gesù. Ora io andrò a trovarlo e gli dirò di farmi incontrare un angelo”. Gli occhi della bambina si erano illuminati di meraviglia e aveva urlato con voce argentina “Con le ali azzurre, vero mamma? E il viso rosa?”.
“Proprio così. Basta che tu credi alla magia e avrai fede. Babbo Natale verrà sempre a portarti un bel regalo se fai la brava, un pony eh? Buon Natale, tesoro…”
Il rapitore si svegliò con un sussulto che gli aveva causato il troppo russore e si voltò a guardare la bambina che aveva sequestrato. Non stava dormendo né singhiozzando ma fissava il vuoto e i suoi occhi grondavano lacrime amare sulle guance roventi. L’uomo si alzò, indossò una felpa, e si sedette accanto alla piccola. “Vuoi l’albero di Natale? Va bene”, esclamò in uno sbadiglio. Davanti al materasso sporco dove erano seduti, c’era un cumulo di terra. Proveniva dalle assi mal messe al posto del battiscopa e la polvere formava grossi cumuli. Con l’indice, il giovane uomo tracciò la forma di un abete e ci aggiunse qualche pallina. “Ora immagina che luccichi. Sei piccola no? Dovresti avere immaginazione”.
La sua voce era più morbida del solito e Mary Elizabeth ebbe la forza di spostare lo sguardo in direzione del disegno nella polvere. Sorrise appena, gli occhi troppo annebbiati dal pianto.
L’uomo sospirò. “Avevo un figlio, sai? Della tua età. Mi è stato portato via l’anno scorso. I genitori della mia ragazza scoprirono che non avevo nemmeno soldi per mangiare cosi si presero tutto ciò che avevo e mi ritrovai a passare il Natale da solo. Ora però ci sei tu! Siamo in compagnia, no?”.
Il sorriso gli si spense, forse ricordando un aneddoto del passato, e quando tornò ad alzarsi, non rivolse più la parola alla bambina. Passarono notti e giorni, quanti non si sapeva, ma né molte né poche. La sera della vigilia, il rapitore le disse di non muoversi e scese la scaletta malridotta, lasciandola da sola. Mary Elizabeth uscì dal groviglio di coperte di lana, spinta dal brontolio allo stomaco, e guardò fuori attraverso la finestra sbarrata. Nevicava. New York era tutta imbiancata. Le luci sembravano ghiaccioli del Polo Nord e l’aria era pervasa di canzoni e trapuntate di urla allegre. La sera era calata ma le vie continuavano ad essere piene di gente. Mary Elizabeth notò che la finestra era abbastanza grande da lasciarla passare e si spinse fuori. Si tagliò il gomito il cui sangue fuoriuscitò macchiò la neve, ma almeno ciò significava che era fuori, libera. I piedi scalzi avevano perso sensibilità e lei tremava violentemente. Una mamma la fissò sbalordita e le gridò di andare con lei e i suoi bambini ma Mary Elizabeth andò avanti per la sua strada. La canottiera era troppo leggera, come una bandierina in mezzo al nulla, sbattuta di qua e di là. Giunse in Times Square, completamente scintillante, decorata e allegra. Nessuno quasi badava a lei. Giunse al Presepe gigante dinanzi la chiesa. L’orologio digitale che dominava la piazza diceva che era mezzanotte passata. Un giovane prete, con un giubbotto imbottito sugli abiti sacri, diceva al gruppo del catechismo di mettere Gesù Bambino in mezzo alle statue dei genitori. Mary Elizabeth stette a guardare in disparte il volto cereo e senza espressione del futuro messìa. Finchè il prete si voltò e la vide. Le andò incontro con aria preoccupata e, inginocchiatosi, l’avvolse nel suo cappello. “Vuoi avvicinarti al Presepe?” le chiese.
“Lei è troppo giovane per fare il prete”, ribattè la piccola.
Il ragazzo ridacchiò. “Diciamo che lo sono appena diventato ma ho ancora tanto da imparare sui libri” le sorrise. “Come ti chiami?”.
“Mary Elizabeth”.
“E ce l’hai un desiderio, piccola Mary? Stanotte è nato Gesù, Babbo Natale sta per arrivare. Tutti i bambini sono felici”.
Mary Elizabeth aggrottò la fronte. “Cos’è un desiderio?”.
“Qualcosa che vuoi con tutto il cuore”.
“Voglio che…” ci pensò un attimo, poi si guardò intorno nell’aria gelida e il suo cuore fu inondato di una gioia che le fece salire le lacrime agli occhi, troppo grande per essere contenuta. “Che la nonna mi dia un bacio. Che la mamma mi sorrida dal cielo e che il papà mi faccia una carezza. Solo questo, poi sarò felice”. 
  
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