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Autore: iaia97    12/12/2013    0 recensioni
E se Orfeo fosse stato una femmina e Euridice un maschio? E se fossero vissuti ai giorni nostri?
Perché, per quanto tu possa combatterlo, l'inferno fa paura e uscirne ti parallizza.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L'inferno fa' paura


~Orfie aveva sempre avuto una sola certezza nella vita, la musica, da quando, a sei anni i suoi le avevano regalato un I-pod a natale, aveva vissuto la sua intera vita costantemente con delle note di sottofondo e quando si era resa conto che in quella avrebbe trovato il suo futuro era stato quasi consolante, la musica era la sua migliore amica ed averla affianco nel salto tra il mondo dei ragazzini e quello degli adulti le aveva dato coraggio.
La sua carriera era stata facile e indolore, scriveva canzoni dai sette anni, ci aveva preso la mano, si era fatta assumere dalla prima casa discografica che aveva trovato: Le Baccanti, e l’aveva resa la più famosa del mondo.
Aveva sempre avuto una sola certezza nella vita.
Fino ad ora.
Non aveva mai sopportato avere un tema, delle restrizioni su cui scrivere, la musica era poesia e la poesia rappresentava i suoi sentimenti, facile come l’olio, ma diventava meno facile quando le tue canzoni smettono di vendere come dovrebbero e  le tre Presidentesse della casa discografica ti danno un ultimatum.
Doveva scrivere qualcosa  di più forte, dicevano, ma lei non capiva, perché non vendevano più? Era sempre stata apprezzata, sempre, nella musica almeno, a volte solo in quella, le dava sicurezza essere apprezzata, come la inquietava non esserlo, probabilmente erano i problemi psicologici che derivavano dal fatto che i suoi la avevano abbandonata quando aveva meno di cinque anni, abbastanza piccola per non protestare, abbastanza grande per ricordare. I loro volti ancora popolavano i suoi sogni, non erano più incubi, però.
Grazie al cielo.
Era guarita, per quanto si potesse guarire.
Sentì una leggera pressione sui fianchi e si girò, come c’era da aspettarsi era Euro, il suo ragazzo,  suo.
Non mi abituerò mai, mio.
“Una sterlina per i tuoi pensieri”
“Siamo in Italia, si usa l’euro” La guardò storto, non aveva abboccato, voleva una risposta, se la meritava, anche solo per il fatto che fosse lì con lei.
“Stavo pensando al fatto che le mie canzoni non vendono più” Non era una bugia, in fin dei conti. Sorrise, grazie al cielo. E mentre sorrise si accorse che era quello che la preoccupava veramente, avrebbe sorriso ancora quando l’avrebbero cacciata?
“Tranquilla, migliorerà, le tue canzoni sono perfette” Forse era proprio quello il punto, la gente aveva smesso di cercare la perfezione nella musica, aveva smesso di cercarla  ovunque, cercava una distrazione, e lei non poteva dargliela, perché lei cantava dei sentimenti da cui volevano sfuggire, che volevano rinnegare.
“Mi fido”
“Brava, fallo sempre”
“Promesso”
Se ne andò a casa e appena varcò quella porta sentì un vuoto, sentiva che aveva bisogno di lui, smise di pensarci e andò a dormire, a volte era l’unica cosa che funzionava.
Ma a volte no.
La voce della sua coscienza stava cominciando a essere irritante, la zittì e spense la luce, il buio esterno aiutava a spegnere i pensieri.

La mattina dopo si rese subito conto che qualcosa non andava, sentiva una strana pressione, appena sopra alla bocca dello stomaco.
E’ successo qualcosa.
Fece tutto secondo la sua sacra routine, accese lo stereo, fece colazione, si lavò prese i primi vestiti intonati dall’armadio, niente sembrava diverso, ma la sensazione non passava. Poi suonarono al campanello, quello non era normale, non la cercava mai nessuno prima delle 11 di mattina.
Aprì e capì, la polizia, e le loro facce non erano da “Ha il volume troppo alto della musica”, ma erano delle vere e proprie facce da funerale, era morto qualcuno.
Chi?
La risposta non tardò ad arrivare, Euro, appena pronunciarono il suo nome spense il cervello, non si ricordò mai la conversazione con i due poliziotti, fatto sta che praticamente li caccio di casa e scappò, si sentiva persa, voleva perdersi, solo dopo che aveva corso per dieci minuti si ricordò di non aver preso l’I-pod, stranamente non le importò, ma insieme a questa rivelazione le tornò un briciolo di senno.
Dove sono?
Era al parco, neanche si ricordava come ci fosse finita ma era lì per un motivo, lo sentiva sottopelle, il pensiero di Euro non la lasciava in pace, riprese a correre.
Sentiva che avrebbe potuto non fermarsi più, continuare a correre, perché il rumore del fiato pesante copriva la sua voce e il dolore ai muscoli riempiva l’abisso che si era aperto nel suo stomaco e che non accennava a guarire da solo. Ironia della sorte pensò che potesse essere una buona strofa.
Poi sentì una voce chiamarla, per un attimo pensò di ignorarla, ma l’aveva già sentita, nei suoi incubi peggiori, rappresentava la morte.
Si girò e di certo non si aspettava un vecchio dagli occhi ormai spenti per i tormenti passati e di cui si poteva capire la sua storia solo guardando le rughe sul suo volto.
Una volta doveva essere un uomo dal sorriso facile.
Adesso no adesso, se avesse dovuto trovare un aggettivo adatto, magari in una canzone, l’avrebbe descritto austero e saggio, sicuramente saggio.
Parlarono, fu un discorso quasi a senso unico in effetti, le chiese se era disposta a tutto pus di rivedere Euro, la risposta era scontata, annuì, poi blaterò qualcosa sul fatto che le sue canzoni erano ammirabili e che non avrebbe dovuto guardare Euro in faccia fino a quando non sarebbero usciti, annuì di nuovo, e poi sparì.
***
Euro non si ricordava assolutamente nulla di ciò che era successo, solo che erano riapparsi nel prato di un parco, e che Orfie era svenuta, poi nient’altro. Adesso era in ospedale, e lui aveva sempre odiato gli ospedali, almeno, dai suoi undici anni.
I brutti ricordi fanno questo effetto, tendi ad evitare tutto ciò che te li possa far rivivere.
Passò un uomo, in barella, per qualche istante si ricordò di suo padre su una barella simile, morto, scosse la testa, era li per Orfie  e lei se la sarebbe cavata.
Deve cavarsela, mi ha salvato, non può lasciarmi solo.
Quando uscì l’infermiera, per dirgli che poteva vederla si alzò di scatto, si rese conto di aver bisogno di vederla, di accertarsi che stesse bene. Poi la vide, e il peso suo cuore sparì.
Sta bene, starà bene.
Ma non gli ci volle più di un attimo per capire che qualcosa in lei era cambiato, la luce che sfolgorava ogni volta che gli faceva sentire una canzone si era spenta, assopita completamente, per un istante gli mancò come se fosse stata l’essenza stessa di Orfie.

Era passato un mese ed era cambiato tutto, dopo che aveva smesso di fare incubi credeva che non avrebbe mai più rivisto Orfie in quello stato ma si sbagliava, erano andati a vivere insieme, aveva insistito lui, sentendosi meschino fino al midollo perché voleva trasferirsi solo per controllarla, ma zittiva la sua coscienza a bastonate perché in questo momento lei aveva bisogno di qualcuno affianco.
Le Baccanti l’avevano abbandonata e questo le aveva dato il colpo di grazia, c’era ricaduta, nella droga, come quando erano ragazzi e come quando erano ragazzi lui l’avrebbe salvata, sempre.
Era sparita, di nuovo, la stava cercando da più di un’ora e non aveva più idee poi capì.
Il parco…
Accelerò, sicuro che l’avrebbe trovata, e così successe, era appoggiata ad un albero, un ulivo, forse, non aveva neanche più la forza di alzarsi, le si avvicinò e la guardò negli occhi: vi lesse una tristezza infinita. Poi parlò, la sua voce gli sembrò incredibilmente roca:
“Non riesco a uscirne…” Non capiva, non capiva, da dove non voleva uscire? Cacciò indietro la rabbia per il fatto che si fosse ridotta così e glielo chiese.
“Da dove? Ti aiuto io, fidati, ricordi? L’avevi promesso”
“Dall’inferno, è qui dentro- si indicò il capo- e non riesco ad uscirne, tu non ti ricordi, ma io non potevo guardarti, non potevo perché ti dovevo tirare fuori di lì, ma potevo guardare tutto il resto.” Aveva capito, il ricordo di ciò che l’aspettava non le lasciava via di scampo, temette, per un attimo di non poterla aiutare, zittì la paura, non era ciò di cui lei aveva bisogno e indossò i panni di quello sicuro di sé, gli andavano stretti.
“Ti aiuto io, con me e la musica andrai avanti” Era convinto che la musica sarebbe stato un buon ricordo a cui attingere, non si sarebbe mai aspettato quella reazione, perché lei iniziò ad urlare.
Si è arrabbiata?
“La musica, la poesia, le storie, non servono a nulla, solo ad illuderci, a non farci pensare a quello che ci aspetta, la musica non serve a nulla se non ha farci distrarre” A quel punto ne era certo, non sarebbe tornata la stessa Orfie, e di fronte a tutte le certezze della ragazza distrutte sentì vacillare anche le sue.
“Ok, ok, niente musica, solo io e te.”
“Solo io e te, sembra un sogno”
“E scacceremo gli incubi, promesso” Sembrava ancora incredula così insistette.
“Starai bene” E, mentre lo disse, iniziò a crederci veramente.

   Angolo autrice: Anche questo, come "Pentirsi" nasce da un tema, devo dire che col senno di poi ne ne sono poi così fiera, ma dopo un giorno di ripensamenti mi sono fatta convincere dal voto ottenuto e dai miei compagni, ditemi se avevano ragione o torto!!
  
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