Fandom: Black Friars.
Pairing/Personaggi: Jordan Vandenberg;
Jerome Sinclair; Jordan/Jerome.
Rating: giallo.
Chapters: 1/1.
Genere: Romantico.
Words: 3301
Note: Non
ho resistito. Non ce l’ho fatta proprio, mi dispiace. Studiavo per il mio esame
e pensavo a loro, andavo a dormire e pensavo a loro, mi lavavo i denti e SBAM!
Pensavo ancora a loro. E sì, devo aggiornare, proprio con loro, l’altra mia ff, ma questa cosa non poteva essere collegata, quindi… Ma,
tranquilli (anche se reputo improbabile che qualcuno possa agitarsi per la mia
ipotetica assenza o.o), a breve arriverà anche
l’altra!
So che il marchio di Jordanino mio si è presentato mentre lui andava a prendere
il controllo dell’esercito, quindi dopo il viaggio verso Aldenor… infatti mi sono premurata di sottolineare che ancora non è
totalmente comparso, cosa che farà dopo v.v Concedetemi questa piccola licenza,
su…
Non so se è chiaro, ma
io mi sono eletta a presidentessa del “Jerdan fan club” e sono aperte le iscrizioni. Come to the Jerdan
side, we have biscuits and hot gay boys.
Il titolo arriva da questa
bellissima ninnananna, vi consiglio proprio di ascoltarla!
Grazie in anticipo per
chiunque passerà a leggere! Vi amo tutti, dal primo all’ultimo!
Anche
questa è per te, Noe!
Il
primo membro del mio fan club se la merita.
Blue in an ocean of grey.
You are the dawn of a new day that's
waking
A masterpiece still in the making
The blue in an ocean of grey
You are right where you need to be.
« Altezza, forse dovremmo fermarci un paio
di ore. » la voce di Jerome Sinclair, che fino a quel
momento era stato un’ombra silenziosa al suo fianco, lo raggiunse
all’improvviso, interrompendo il turbinio incessante dei suoi pensieri, delle
sue preoccupazioni. Quando il più giovane fra i Vandemberg lo guardò, sembrò
mostrare un lieve imbarazzo nell’increspatura delle labbra. «
I cavalli non ce la fanno più. E… » Jerome tossicchiò
leggermente, quasi stesse decidendo se avesse davvero potuto azzardarsi a
parlare.
« Cosa? » Jordan
rallentò, tirando leggermente le redini fino a far fermare il purosangue che,
se ne rendeva conto solo in quel momento, era davvero, davvero stremato. Non si
fermavano a riposare da quasi quattro ore, il sole stava per sorgere,
all’orizzonte.
Il
giovane ufficiale di Altieres esitò per qualche istante, fermandosi a sua
volta, prima di decidersi ad aprire la bocca e parlare. «
E voi mi sembrate pallido. Siete certo di stare bene? »
chiese, con un accenno vagamente preoccupato nella voce generalmente seria e
piatta. Una voce che, nelle rare volte in cui l’aveva sentita, lo aveva incuriosito molto. Non condivideva l’esuberanza dei
gemelli, il freddo distacco di Gabriel Stuart o l’allegria che lui era abituato
a trovare in Julian. Era… calma.
« Sto benissimo, il pallore è normale, per
noi del nord. » fu la sua unica risposta, accompagnata
da uno scrollare leggero delle spalle. Non l’avrebbe mai ammesso, ma, in
realtà, non stava un granché bene da qualche giorno. Dolori al capo, ai
muscoli… dolori inspiegabili iniziati all’improvviso e che, ormai, erano
diventati parte integrante della sua giornata. Forse avrebbe dovuto farsi
vedere da Eloise o da Stephen, ma quello non era proprio il momento per
mostrarsi deboli come ragazzine e piagnucolanti come bambini. Aveva detto ai
suoi fratelli, appena poche ore prima, di essere un uomo con abbastanza
indipendenza e responsabilità da affrontare un viaggio fino ad Aldenor, per
avvisare il fratello ed il padre adottivo del concilio fra le Nationes. Non poteva mettersi a frignare per qualche
sciocco ed insensato dolorino.
« Non se tende al verdognolo, maestà. » borbottò l’altro ragazzo, con un sospiro quasi rassegnato,
smontando dal cavallo - imitato prontamente dal giovane principe - e
dirigendosi verso un angolo nascosto dietro delle rocce e degli alberi, dove
ancora l’oscurità era fitta e potevano difendersi al meglio da attacchi
improvvisi.
« Forse non sei abbastanza abituato a noi
di Aldenor, Sinclair. » Jordan sorrise leggermente,
raggiungendolo ed accomodandosi con le spalle poggiate all’alta roccia che li
nascondeva, per poter rilassare, almeno in parte, la schiena dolorante a causa
delle lunghe ore a cavallo. Con gli occhi socchiusi, notò l’altro sedersi poco
lontano, lo sguardo rivolto verso i cavalli, che si stavano abbeverando al
fiume lontano pochi metri da loro. Dovevano essere ad un paio di ore dal
confine con Aldenor.
« Non ho avuto modo, Maestà. » Jerome gli dedicò uno sguardo vagamente divertito - una
novità, in effetti - e si voltò nuovamente verso i cavalli. «
Ma vi assicuro che riconosco un colorito poco sano, a prescindere dalla
tonalità dalla pelle. Non vedo un Vandemberg così pallido da quando mia sorella
ha sporcato il mantello nuovo al Principe Bryce. »
aggiunse, con un tono lugubre che il compagno di viaggio comprendeva
totalmente. Dopotutto,
entrambi sapevano cosa aveva comportato la lotta al mantello più
sporco, fra il Principe Bryce e Lady Margot Sinclair. C’erano state vittime
innocenti, in quella faida.
«
Ancora mi chiedo come abbia fatto, tua sorella, a non morire »
« Io
mi chiedo come abbia fatto lui a non essere fulminato sul posto »
Si
scambiarono un sorriso complice, prima che un’ombra attraversasse lo sguardo
del giovane Sinclair, spingendolo a distogliere gli occhi da lui, ancora una
volta. Era un atteggiamento strano, che incuriosì molto il Principe Vandemberg.
Avrebbe voluto chiedergli se fosse tutto a posto, ma frenò la propria lingua. Come
poteva essere tutto a posto? Suo fratello maggiore faceva parte dell’Ordine
della Spada, sua sorella era sprovvista di protezione contro i presidiales, molto più che le sue cugine più vicine a
Sophia. Probabilmente aveva realizzato che, al loro
ritorno, avrebbe potuto non riabbracciare uno dei due. O entrambi.
Restarono
in silenzio, per qualche minuto, persi entrambi nei loro pensieri, prima che
Jordan decidesse di interrompere il momento di calma. «
Grazie per avermi accompagnato. Non credo che mi avrebbero lasciato andare, da
solo. » sussurrò, quasi avesse avuto paura di
svegliare un bambino dormiente. « I miei fratelli
sanno essere degli stupidi dalla mentalità chiusa, a volte. Mi vedono ancora
come un bambino da accudire » sbottò, forse con troppa
acidità, strappando qualche ciuffo d’erba dal terreno.
« Non è stato un problema, Maestà. Dopotutto, siete un Vandemberg
come loro… anche voi potete essere uno stupido, a volte » fu la criptica
risposta del ragazzo, accompagnata da un sorrisino vagamente divertito. Jordan,
per un istante, si ritrovò a rievocare quel suono, nella sua mente, totalmente
affascinato. Jerome aveva una bellissima risata. Davvero, una delle risate più
belle e musicali che lui avesse mai sentito in vita sua. Ed un sorriso molto
caldo, senza il lato freddo che caratterizzava quello di Axel, quello
canzonatorio di Bryce o quello malizioso di Julian. Era bello, caldo e
confortante come un tramonto estivo.
« Sai che una simile affermazione, qualche
secolo fa, ti avrebbe causato un’accusa di lesa maestà? »
sbottò, fra il divertito e l’offeso, incrociando le braccia al petto ed
inarcando le sopracciglia in una posa che ricordava, in modo tutt’altro che
vago, suo fratello Axel quando scopriva l’ennesima bugia della sua fidanzata.
« Ma quei tempi sono finiti, no?
Fortunatamente la società si è evoluta. » ribatté
l’altro, con un cipiglio ironico e vagamente irriverente, mostrando un sorriso
amaro, scurito da un’ombra che l’altro non riuscì ad identificare. C’era forse
qualcosa, oltre lo scampato pericolo di essere accusato di lesa maestà, a
renderlo così ironico? Nascondevano qualcosa, i suoi occhi grigioverdi?
« Beh, di sicuro non pretenderò che tu sia
incatenato nelle mie stanze per subire ogni genere di tortura e saziare il mio
onore ferito, questo è certo. Preferirei una bella ragazza, se fosse proprio
necessario » provò a scherzare il principe del nord,
con una risatina nervosa e, forse, un po’ forzata, che si spense allo sguardo
improvvisamente più acceso di Jerome che, però, lo distolse immediatamente. « Ehi, amico, tutto a posto? »
« Certamente, maestà. Perché qualcosa non dovrebbe
essere a posto? » il tono impertinente del giovane
ufficiale di Altieres praticamente lo gelò sul posto. Aveva
detto qualcosa di sbagliato? Perché, all’improvviso, lo stava trattando in modo
tanto brusco? Era abituato all’educato distacco emotivo che lui dedicava a
tutti, tranne che, forse, al suo migliore amico. Si stava abituando anche al
tono di vaga confidenza che stavano entrambi imparando ad usare, in quel lungo
viaggio. Ma nelle sue parole c’era ironia, c’era quasi delusione. Lo aveva
deluso?
Con
una morsa allo stomaco, Jordan si rese conto che l’idea di ferirlo lo
destabilizzava, facendolo confondere. Era una sensazione nuova e strana, per
lui, sorta in modo improvviso e prepotente, insieme alla voglia di trovare un
modo per far passare quell’astio nei propri confronti.
Lo
osservò alzarsi in piedi, con uno scatto veloce, per poi dirigersi a grandi
passi verso i due cavalli. « Vado a controllare che
stiano bene. Voi non muovetevi, siete ancora pallido e non voglio dover dare
spiegazioni, se qualcuno dovesse trovarmi a trasportare un principe reale mezzo
svenuto. » gli disse, facendolo quasi gelare sul posto
e senza neppure guardarlo in faccia. No, qualcosa che non andava c’era davvero
ed era qualcosa che riguardava lui in prima persona. Doveva averlo offeso, in
qualche modo. Doveva… Doveva aver detto qualcosa di terribilmente sbagliato. Ma
cosa? Cosa aveva detto? Come poteva rimediare? Come poteva far tornare il
sorriso sulle sue labbra?
Jordan
lo seguì, realizzando improvvisamente di avere serie difficoltà a muoversi,
senza provare un dolore lancinante al fianco destro. Un dolore talmente forte da essere
sopportabile solo per i primi dieci passi, lasciandolo, poi, mezzo tramortito.
Crollò al suolo, trattenendo a stento un urlo davvero, davvero poco virile. Si rese
conto di aver perso i sensi solo quando, riaperti gli occhi, vide il viso di
Jerome, contratto in una smorfia colma di terrore. Era a terra, sdraiato
sul’erba umida, il viso bagnato - probabilmente era opera del compagno, per
fargli riprendere i sensi - e con un dolore simile a stilettate nel fianco
destro.
« Cosa vi fa male? Dove? » chiese l’ufficiale di Altieres, con un tremito febbrile
nella voce, guardandosi intorno come se temesse che il tutto fosse opera di un
qualche assalitore improvviso e letale. Quando Jordan si limitò ad indicare il fianco destro,
all’altezza dell’osso iliaco, fu con una certa esitazione che lui allungò le
mani verso il corpo del ragazzo, il viso contorto in un’espressione a metà fra
il preoccupato e l’imbarazzato.
« Voglio solo… solo vedere cosa sta
succedendo, Maestà, lo giuro. » si premurò di
specificare, lasciando l’altro interdetto, per qualche secondo. Fu solo quando
le dita d Jerome si posarono sulla patta dei suoi pantaloni, che lui comprese.
Fu come un’illuminazione, in effetti.
Se
Julian fosse stato al suo posto, probabilmente gli avrebbe semplicemente tirato
giù le braghe, senza tanti complimenti, tirando fuori qualche commentino
malizioso per farlo imbarazzare a morte. Se ci fosse stato Gabriel Stuart, in
una malaugurata ipotesi, avrebbe imitato il quasi cognato, senza i commenti scaltri.
Qualsiasi ragazzo non avrebbe dato tante spiegazioni, limitandosi a spogliarlo
il più velocemente possibile, per evitare un reciproco imbarazzo. Ma Jerome no,
lui aveva voluto precisare le proprie intenzioni. Lui lo aveva specificato, per
paura che potesse fraintendere. Perché chiunque fosse stato abbastanza sveglio
avrebbe capito cosa stava succedendo fra loro due, dal loro discorso, dal modo
in cui gli si era posto prima di scattare come una molla ed allontanarsi.
Jerome
era saltato via quando lui aveva nominato la bella ragazza da portare in
camera.
« Non preoccuparti. »
cercò di rassicurarlo, troppo pieno di dolore anche solo per concentrarsi
abbastanza da arrossire. Dopotutto, non era cambiato nulla, dal momento in cui
aveva compreso. Jerome era sempre Jerome e lui non lo avrebbe trattato
diversamente.
Il
ragazzo del sud annuì, tirando fuori l’espressione più rassicurante che gli
avesse mai visto in volto, stringendo i denti e tirando giù, solo leggermente, i pantaloni
dell’altro, sollevando anche la maglia. Quando posò una mano sulla carne
scoperta e dolorante del fianco, Jordan si sentì come attraversato da una
saetta di fuoco. All’inizio fu solo il dolore a raggiungere il suo cervello,
più forte di quanto avesse potuto immaginare. Riprese il controllo di sé, dopo
qualche minuto, concentrandosi sul calore che le dita dell’altro ragazzo
emanavano. Era un calore piacevole, totalmente diverso dal gelo delle proprie
mani da giovane uomo del nord. Un calore lieve, coinvolgente, delicato come le
ali di una farfalla appena uscita dal suo bozzolo.
« La
Croce » sussurrò Jerome, all’improvviso, senza, però, ritrarre le mani. Puntò
gli occhi screziati su Jordan, trasmettendogli un carico di ansia e rispetto, misti ad un certo imbarazzo. «
Siete stato chiamato dalla Croce, maestà. Come… come Gabriel e come Julian
Lord. Anche se ancora non è del tutto formata. Probabilmente provate più
fastidio, rispetto al vostro amico, a causa del punto delicato in cui si sta
presentando. » spiegò, riabbassando gli occhi sul
fianco ferito del giovane, sfiorando i contorni della croce appena evidente con
la punta delle dita e perdendosi in qualche pensiero precluso all’altro.
« Jordan. »
sussurrò quest’ultimo, prendendo un brusco respiro a causa del dolore che
sembrava peggiorare di minuto in minuto. « Jordan, non
maestà. » gli disse, quasi ordinandoglielo,
accennando un lieve sorriso quando Jerome annuì. «
Cosa… cosa puoi fare? Devo… devo andare ad Aldenor… »
« Non parlare troppo, sprechi energie
utili. » lo zittì immediatamente il giovane ufficiale,
dedicandogli uno sguardo severo, prima di tirare fuori dalla tasca una fiala di
liquido trasparente, probabilmente acqua santa. «
Posso fare un impacco, ma non durerà molto. Dovresti tornare indietro. Posso
andare io ad Aldenor. » propose, strappandosi un
brandello di camicia - il rumore del tessuto lacerato fece venire i brividi al
giovane Vandemberg, senza alcuna ragione - e bagnandolo con l’acqua santa, prima
di poggiarlo sulla carne martoriata del nuovo Cavaliere.
Jordan
scosse la testa, gli occhi chiusi sia per il dolore che per l’imbarazzo,
sospirando di piacere quando l’acqua benedetta gli diede un po’ di sollievo. « No, devo essere io ad andare. Puoi accompagnarmi, ma non
prendere il mio posto. Questo è compito mio. » sbottò,
schiudendo le palpebre, per guardare l’altro.
Jerome, però, aveva gli occhi puntati sulla medicazione in corso, le
agili e calde mani impegnate nel creare una fasciatura resistente ed efficace.
« Sei un testardo, principe Jordan. Degno
fratello di Axel Vandemberg. » sbuffò, contrito,
dedicandogli una sola, lunga occhiata carica di qualcosa che Jordan non riuscì
a comprendere. Uno sguardo strano, che lui aveva già visto negli occhi di altre
persone e mai rivolto a lui. Uno sguardo piacevole, da un certo punto di vista, ma capace di lasciarlo interdetto, facendolo sentire
in colpa.
Poi,
all’improvviso, dopo aver riabbassato lo sguardo sulla medicazione, Jordan lo
vide arrossire furiosamente ed iniziare a schiarirsi la voce, le mani, che fino
a quel momento erano state lente e delicate, ammaliatrici del suo corpo,
improvvisamente erano diventate nervose e scattanti, molto più circospette nei
movimenti. Il principe non riuscì a comprendere il motivo di tale cambiamento,
finché non si rese conto del fatto che il suo corpo avesse reagito in maniera
fin troppo entusiasta alle attenzioni del ragazzo. Fu il suo turno, a quel
punto, di arrossire furiosamente. Non gli era mai successo nulla di simile -
non con un ragazzo, almeno - e non aveva la più pallida idea di come
comportarsi. La mattina, quando sia lui che Julian si risvegliavano con
evidenti problemi, non esistevano motivi di imbarazzo: erano soliti ignorare il
tutto e sbrigarsi per potersi recare a lezione. In quel momento, invece, Jordan
sentiva di essere sul punto di morire, ben conscio che l’altro ragazzo fosse
nelle sue stesse condizioni.
« Posso arrivare ad Aldenor, non sto così
male. » schiaritosi la voce, il principe del Nord provò
ad allentare la tensione, sperando di poter mettere fine a quel momento tanto
tragico. Ma della stessa opinione non doveva essere il ragazzo, che si limitò
ad annuire, sempre più rosso in volto, finendo di sistemare la medicazione ed
allontanandosi, sempre in ginocchio al suo fianco. Non lo guardava in viso e
sembrava sul punto di mettersi ad urlare.
« Come… come desideri. Io ti accompagnerò.
» fu la sua unica risposta, un attimo prima che
un’altra ombra gli oscurasse gli occhi grigioverdi. «
Sempre se lo vorrai. Comprendo che… che tu possa aver cambiato idea. Non
sarebbe poi così strano. » le palpebre socchiuse ed
una lieve smorfia carica di un antico dolore accompagnarono le parole del
giovane uomo del sud, insieme al pugno serrato lungo la coscia. E allora Jordan
si rese conto che Jerome - quel ragazzo che gli era
sempre sembrato così lontano dall’avere emozioni, che sembrava una piccola
vedetta agli ordini di suo cugino, - dovesse aver sofferto molto più di quanto
lui avrebbe mai potuto immaginare, nella sua breve vita da principe rispettato.
Con una stretta al cuore, desiderò cancellare quelle ombre da lui con un
semplice colpo della mano. Ma non era possibile.
« Sarò felice di continuare il mio viaggio
con te. » sbottò, interrompendo le parole di Jerome e
sollevandosi a sedere, seppur con qualche difficoltà. Gli tenne il braccio
fermo, senza lasciarlo andare. « Non so chi ti abbia
inculcato certe idee, ma non è affatto normale desiderare di non averti al mio
fianco in questo viaggio solo per quello che ho scoperto. Non sei cambiato da
quando siamo partiti, non ai miei occhi. » continuò,
con gli occhi fiammeggianti fissi in quelli del ragazzo, sgranati per la
sorpresa. « Non vedo perché non dovresti essere il
coraggioso cavaliere che sei sempre stato, ai miei occhi, solo per questa
piccola scoperta. Sei e resterai sempre un uomo di grande valore e io- » Jordan non riuscì a finire la frase, perché trovò le
labbra di Jerome a fermare le sue.
Fu un
bacio veloce, distratto, saltato fuori quasi per caso, come se Jerome si fosse
spinto in avanti e, per errore, si fosse scontrato con lui. Il giovane
Vandemberg non ebbe il tempo di riflettere, di rendersi conto di cosa diamine
fosse successo, perché la sua mente ebbe giusto il tempo di elaborare la
sensazione di estrema morbidezza data da quel contatto, che lui si spostò di
colpo, fissandolo come se gli fosse appena spuntata un’altra testa. Che nella
sua mente si stesse maledicendo in almeno otto dialetti diversi, non v’era
alcun dubbio.
« Dio!
» Jerome, pallido come uno spettro, allontanò le mani
dalle spalle del giovane principe, come se fossero diventate incandescenti. «
Maestà, sono spiacente… io… non ho idea di cosa mi sia preso, deve essere
stata… io… » esalava, costernato, gesticolando come un matto e con la voce
rotta, come se fosse stato sul punto di scoppiare a piangere o a vomitare il
cuore. Jordan non l’aveva mai visto così sperduto, così confuso come in
quell’istante. Non sembrava neppure lui, a dire il vero, con gli occhi lucidi e
carichi di angoscia ed il viso pallido chiazzato di rosso, come se avesse
contratto all’improvviso una qualche strana malattia. Era così diverso, così… indifeso, rispetto all’immagine di lui
che, nell’ultimo anno, si era creato, che il suo corpo reagì da solo, quasi
fosse stato mosso da mani invisibili.
Un
attimo prima lo ascoltava delirare in preda al panico più assoluto, poi,
improvvisamente, si era ritrovato a premere nuovamente le sue labbra sulle sue,
gli occhi bene aperti e fissi in quelli dell’altro ragazzo. Ragazzo che impiegò,
probabilmente, meno di due secondi per bloccare l’attacco di ansia che l’aveva
colpito e rispondere a quel piccolo assalto con davvero tanto, tanto
entusiasmo.
« Jordan? »
pigolò Jerome, quando si separarono, con gli occhi ancora socchiusi, il viso
rosso ed i capelli vagamente sconvolti, lasciando scivolare le proprie mani
dalle spalle del compagno al suolo, quasi come se stesse cercando di non
perdere l’equilibrio. Il principe, dal suo canto, non spostò le proprie dalle
guance dell’altro, forse troppo agghiacciato per muoversi o troppo sconvolto
dall’essersi reso conto che quel bacio gli fosse piaciuto. Piaciuto parecchio.
« Questa è una cosa che non avevo
previsto. » fu tutto ciò che sussurrò, gli occhi
ridotti a due fessure ed il viso chiazzato di rosso, incandescente. « Davvero, non avevo previsto una cosa simile. Mai e poi
mai. » aggiunse, con un filo di voce, talmente
sconvolto da preoccupare il giovane ufficiale di Altieres.
Per
un attimo, Jerome aveva pensato che, forse, il suo cuore quella volta non
sarebbe stato ridotto in mille pezzi. Era già successo con Gabriel, quando
erano più piccoli e soffriva all’idea che lui dovesse sposare la sua unica
sorella, prima di accettare la situazione ed andare avanti. Era successo, si
era illuso e non voleva che accadesse di nuovo. « Ed è
un male? » domandò, quindi, sentendo già un forte
dolore all’altezza del petto.
Il
fatto stesso che, nel rispondergli, Jordan non avesse staccato gli occhi dalle
sue labbra, la disse lunga su quanto, in effetti, quel contatto gli fosse
dispiaciuto. « Non ne sono affatto sicuro » gli disse, sussurrando,
avvicinandosi ancora una volta, più lentamente, più delicatamente,
coinvolgendolo in un bacio che non era una reazione involontaria, ma,
piuttosto, la soddisfazione del desiderio di scoprire qualcosa di nuovo ed
assolutamente affascinante.
«
Jordan… »
« Chi
è là? Nel nome della Nazione Sovrana di Aldenor e del Gran Cancelliere del
Regno, mostratevi! »