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Autore: Meahb    11/05/2008    6 recensioni
Lei lavora in una società di pubbliche relazioni. Lei è lontana da casa. Lei odia tutto quello che fa rima con amore. Lei non vede l’ora di andarsene da Los Angels. Lui…forse riuscirà a farle cambiare idea.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DUE

CAPITOLO DUE

 

UNA STRANA SERIE DI FORTUNATE COINCIDENZE







Camilla inviò un fax all’ufficio stampa della Victoria’s Secret, per informarli che Mister Bloom aveva accettato di partecipare alla serata di gala come ospite d’onore.
Era soddisfatta di quello che era riuscita a fare, soprattutto perché Orlando aveva accettato un compenso ridicolo, rispetto a quello che Robert voleva offrirgli.
Questo le dava il permesso di chiedere un aumento. O almeno, il rimborso della benzina che aveva consumato per arrivare fino a Burbank.
“Dimmi com’è??”.
Era Gwen.
E stava saltellando per il suo ufficio con in mano il comunicato stampa per i giornali.
“Chi?”, domandò.
“Come chi? Orlando Bloom!”, rispose, sventolandole in faccia il foglio.
“Un gran bel tipo!”, asserì Camilla, sistemando la scrivania.
Gwen si lasciò cadere sulla sedia, per niente soddisfatta, “Oh andiamo! Così non mi dai nessuna soddisfazione! E’ sexy?”
Camilla annuì, con un gran sorriso, “Estremamente sexy! Occhi meravigliosi e bocca…”, ci pensò, “Credo che quando hanno inventato il peccato avevano in mente la bocca di Orlando Bloom!”
Gwen rise, “Hai detto una cosa simile anche a proposito di Colin Farrel!”, le fece notare.
Camilla sorseggiò il suo caffè, “Quando parlavo di Colin, intendevo tutto Colin!”, rise lasciva, “Con un attenzione particolare al suo fondoschiena!”
Gwen finse di guardarla con disapprovazione, “Messalina!”
“Vorrei vedere te!”, si difese Camilla.
“Io infatti non parlo mai direttamente con loro! Credo che i miei ormoni me lo impedirebbero!”
Camilla guardò l’orario degli appuntamenti. Ne aveva un paio importanti, gli altri erano normale amministrazione.
“Chi ti spari oggi?”, curiosò Gwen.
“Campagna pubblicitaria per il nuovo telefilm della Fox, e pranzo con l’agente di Josh Jackson per una serata di beneficenza!”
“Chi sarebbe costui?”, si informò.
Camilla scoppiò a ridere di gusto, “Te la rinfaccerò a vita!”, la minacciò con una matita, “Non eri tu una grande fan di Dawson’s Creek?”
“E con questo?”
“Pacey ti dice niente?”
Gwen scattò in piedi, “Incontri Pacey?”
“Si chiama Josh”, precisò Camilla.
“Come ti pare!”, sbuffò la ragazza, “Lo incontri?”
Camilla scosse il capo, “Non credo che lui ci sia. Ho appuntamento con il suo agente!”
Gwen annuì, “Comunque, se lui dovesse comparire io devo essere informata, chiaro? Mi chiami e io vengo. Dove andate a pranzo?”
“Da Sam’s, qui sotto!”
Gwen sbirciò l’orologio, quindi si appoggiò alla scrivania di Camilla, “Io devo andare, ma se lui viene tu mi avvisi, chiaro?”
Camilla annuì, “Parola di Scout!”
Gwen si incamminò verso la porta, “Fingerò di non sapere che tu non sei mai stata negli scout!”
Camilla le lanciò un tempera matite, quindi cominciò a visionare le diverse schede per gli appuntamenti della mattinata.
Mentre sistemava gli estremi per l’incontro con Marc, l’agente di Josh, il suo telefono squillò.
Era Robert.
Che la voleva urgentemente in sala riunioni.
Sbuffando, lasciò perdere la documentazione e si avviò verso la sala di ghiaccio.

 

 Lì, all’agenzia, la chiamavano così perché era una sala fatta di vetro. Completamente trasparente e insonorizzata.
Cosicché chi rimaneva fuori, non sentiva gli improperi che venivano pronunciati all’interno.
Camilla spinse la porta ed entrò.
Ad attenderla, oltre Robert, c’era Rebecca Hampton, una collega che detestava cordialmente, e un altro paio di persone che non conosceva.
Camille finalmente!”, la salutò cordiale Robert. Ma era una cordialità forzata, ormai lo conosceva abbastanza bene da intuirlo.
“Mi chiamo Camilla”, precisò dura, “Qual è il problema?”.
Robert le lanciò un’occhiataccia ma lei non ci badò.
“Loro sono i signori della Breil, ricordi?”
Camilla strinse le loro mani, sorridente, quindi si mise seduta.
“Non ho idea di che cosa tu stia parlando, boss!”
“La serata di lancio della Breil, Camille” intervenne Rebecca, “Non rammenti?”
Camilla aveva immediatamente capito dove volevano andare a parare. La serata di lancio della Breil era stata assegnata a Rebecca, nonostante le proteste di Camilla. E sicuramente Rebecca aveva combinato qualche disastro.
“Innanzitutto mi chiamo Camilla”, precisò nuovamente, “Con la –a finale”, sorrise con stizza, “Secondo poi, la campagna della Breil, per quanto ci tenessi non è stata assegnata a me ma a te, se non ricordo male”.

Rebecca ebbe un guizzo di rabbia.

“Questo lo sappiamo tutti”, disse Robert con una risatina nervosa, “Il problema è che la metà degli ospiti che Becky vuole invitare sono impegnati con te”.
Camilla aprì la sua agenda, “Puoi dirmi la data?”
“Sabato 24”, rispose prontamente Rebecca.
“Io ho solo Mister Farrell, e Miss Diaz. Gli altri non hanno nessun impegno con la nostra agenzia”, spiegò brevemente.
Uno dei due uomini la guardò, “Il problema Miss…?”
“Ardensi”, rispose lei con un sorriso.
“Ardensi”, ripeté lui nel classico modo stropicciato americano, “Il problema è che la signorina Hampton ci aveva assicurato che Mister Farrell avrebbe partecipato come testimonial alla serata di lancio e invece oggi, a poco più di venti giorni, ci dice che è impegnato. E la metà delle altre persone che ci aveva proposto, non sembrano essere intenzionate a prendere parte alla serata”.
Camilla si prese la sua rivincita, “La signorina Hampton prima di impegnare i miei clienti, dovrebbe avere l’accortezza di informarmi”, le lanciò un’occhiataccia, “Comunque, cercherò di chiamare l’agente di Colin per sapere se può presiedere alla serata, altrimenti dovrete indirizzarvi altrove!”
“Signorina Ardensi”, adesso era stato l’altro uomo a parlare, “Siamo un marchio importante che ha bisogno di un volto importante. E per ogni volto necessitiamo di uno slogan. Non possiamo chiedere ai nostri pubblicitari di preparare duecento slogan solo perché non abbiamo certezze”.
“Chiarissimo”, annuì Camilla, “Ma comunque di solito siamo in grado di occuparci dello slogan, questo non è un problema”, si alzò, “Faccio un paio di chiamate e torno da voi”, fece per uscire ma si bloccò sulla porta, “Se Colin non fosse disponibile chi vorreste?”
“Ci affidiamo a lei”, sorrise l’uomo.
Camilla annuì, quindi attraversò la hall con passi lunghi e inferociti.
Non riusciva a credere di dover riparare ai casini di Rebecca.
Di più, non ci voleva credere.

Durante i suoi primi mesi di lavoro, quell’arpia le aveva reso la vita un inferno, e adesso si trovava costretta a rimediare ai suoi errori.
E come se non bastasse, aveva fatto promesse che non era in grado di mantenere. Sapeva benissimo che il 24 Collin aveva una serata di beneficenza all’orfanotrofio e trovava inappropriato proporgli di rifiutare per prendere parte all’ennesima serata di lancio.
Soprattutto perché Collin non l’avrebbe presa bene.
Per niente.
Ci teneva veramente alle serate all’orfanotrofio che Camilla gli organizzava a cadenza mensile.
Compose il numero dell’agente, quindi attese che rispondesse.
Gli spiegò brevemente la situazione, pregando che Collin non fosse lì con lui.
Una preghiera vana, perché Collin, che invece era lì, le promise di passare in agenzia nel giro di un quarto d’ora.
Per quel poco che lo conosceva, se Collin fosse stato a conoscenza del giochino della sua collega, non ci sarebbe andato troppo leggero.
Bevve un caffè e cercò di rilassarsi. Che aspettassero pure. In fin dei conti aveva detto loro di dover fare delle telefonate, quindi aveva tutto il tempo che voleva.
Si sedette e aspettò fino ad un tempo che le sembrò appropriato.
Quando si rese conto che la stasi non faceva che agitarla ulteriormente, decise di andare in sala riunioni. Forse sarebbe riuscita a tamponare la situazione.
“Signori”, esordì una volta entrata, “La fortuna ha voluto che Colin fosse nei paraggi e che quindi sarà qui da noi più o meno…”
“Ora!”
Era Colin, con la sua faccia da impunito che sorrideva strafottente appoggiato alla porta.
Tutt’intorno gli astanti si alzarono per stringergli la mano. Un rito che lui eseguì con noia e vaga ironia, quindi abbracciò Camilla depositandogli un bacio in fronte.
“Ciao fottuta italiana!”, la salutò.
Camilla ridacchiò, “Ciao fottuto irlandese!”, ricambiò, “Ti trovo in forma. Cos’hai fatto?”
“Bevo meno e faccio più sesso!”, bisbigliò.
Camilla scoppiò a ridere, “Non ho dubbi a tal proposito!”
“E fai bene”, asserì lui con un sorrisino malizioso.
“Signor Farrell”, lo chiamò Robert.
“Ciao Boss, come va?”
“Benone, grazie!”, sorrise Robert più a suo agio, “Camilla ti avrà detto perché sei qui”.
Collin guardò Camilla, “Ha parlato di sovrapposizione di date ma è strano. L’unica data che ho è per il ventiquattro, giusto Cam?”
Lei, suo malgrado, annuì.
“E proprio per questo che l’abbiamo chiamata signor Farrell”, intervenne Rebecca, “Il ventiquattro avevamo pensato di farla partecipare ad una serata di lancio per la Breil”, le sorrise seducente, “Come testimonial!”
Lui scosse la testa, “Mi dispiace micetta ma devo rifiutare!”
“Per una serata in un orfanotrofio?” domandò lei allibita.
Colin fece per rispondere, ma fu preceduto da Camilla. Infuriata.
“Tu lo sapevi!”, l’additò, “Sapevi dell’impegno di Colin e te ne sei fregata!”
“Pensavo che si potesse rimandare”, si difese Rebecca con freddezza.
“E invece no!”, obbiettò Camilla, “Non si rimanda niente. Quei bambini aspettano con ansia quel giorno e non sarai di certo tu a rovinargli la festa!”
Colin guardò Rebecca con compassione.
“Potrebbe andare prima”, propose la Hampton, “O dopo. Potremmo incastrare gli orari!”
Questa volta Colin fu lesto a prevenire il rilancio di Camilla.
“Signori”, si rivolse ai due uomini seduti accanto a lui, “E’ raro che sia io ad occuparmi di queste cose, di solito ci pensa quello stronzo del mio agente, ma stavolta sono qui e si fa come dico io. Il ventiquattro ho un impegno. E non lo anticipo né posticipo. Voi fate dei bellissimi pezzi ma non me ne frega un cazzo, chiaro? Quei bambini sanno che io andrò e che mi fermerò a cena e dopo cena e così sarà. Ci sono tante altre persone che la signorina Hampton potrà trovare, ne sono sicuro!”
“Ma Camille ha detto che forse saresti riuscito a venire”.
Camilla è troppo gentile con te. Ti meriteresti una mazzata in bocca per come lavori. Ti dico solo che Jared non ti sopporta più!”
Camilla toccò un braccio a Colin, quindi sorrise ai clienti.
“Signori, mi dispiace per il disguido, ma purtroppo non posso aiutarvi”, guardò Colin, “Forza andiamo!”, quindi si rivolse a Robert, “Boss ti posso parlare un secondo? Mi serve una tua firma per un agente che devo incontrare tra dieci minuti”.
Abboccando alla richiesta Robert la seguì nel suo ufficio.
Solo dopo si rese conto dell’errore che aveva fatto.

 

Camilla uscì a grandi passi dalla sede dell’agenzia.
Era infuriata.
E in ritardo mostruoso.
Aveva chiamato Marc, l’agente con cui aveva appuntamento e aveva rimandato tutto al giorno successivo. In quelle condizioni non se la sentiva di lavorare.
Era troppo adirata.
Entrò da Starbuck’s e si prese un caffè. Avrebbe preferito berlo seduta ad un tavolino, ma erano tutti occupati.
Di sicuro non era la sua giornata fortunata.
Optò per una passeggiata, augurandosi che l’avrebbe aiutata a calmare i nervi. Sapeva che non sarebbe stato così, ma voleva tentare.
Di più, voleva allontanarsi da quel dannato edificio.
Era incredibile come, nonostante il suo lavoro accurato e pieno di successi, nessuno la prendesse davvero sul serio. In primo luogo quella dannata Hampton.
E poi Robert. Ah Robert!
Il capo dei capi.
Quello che la sfruttava fin quando riusciva a fruttare quattrini all’agenzia. Se gli impegni dei clienti non si orientavano in tal senso, allora andavano cancellati.
O sovrapposti.
Non poteva crederci che Robert le avesse fatto una cosa del genere.
Camminava a capo chino, la testa piena di pensieri, tanto che non si accorse dell’uomo davanti a lei.
Che la travolse, rovesciandole addosso tutto il caffè.
“Dannazione!”, imprecò lei, guardandosi la camicetta celeste completamente macchiata.
“Sono mortificato!”, si scusò lui.
Camilla lo guardò, furente. E riconobbe il volto imbronciato di Orlando. Istintivamente gli sorrise, salvo poi fissare la macchia informe che si allargava sulla sua camicia.
“Ciao Camille”, la salutò.
Lei sospirò contando mentalmente fino ad un numero che le sembrò appropriato e che, probabilmente, le avrebbe evitato di saltargli alla gola.
“Ciao…”, lo salutò senza troppo slancio.
“Camminavi a testa bassa”, si difese lui, comprendendo la sua neanche troppo velata ira.
“Se mi avevi visto potevi evitarmi no?”
Lui scrollò le spalle, “Me ne sono accorto tardi”, spiegò, “Ti pago la lavanderia”, si offrì.
Camilla lo guardò.
 “Il problema non è la lavanderia. Il problema è che non posso andare a lavoro conciata così”, borbottò.
Lui sorrise, “Ok, allora ti pago una nuova camicia”.
Camilla sorrise a sua volta, “Grazie ma non ce n’è bisogno”.
“Almeno lascia che ti offra un altro caffè!”, propose lui.
Era veramente dispiaciuto e Camilla non se la sentiva di deluderlo. Ed era un suo cliente…tutti punti a suo favore, dannazione a lui.
 “Vada per il caffè”, gli concesse poi.
Lui sorrise soddisfatto, quindi le porse la mano che Camilla fu lesta ad afferrare.
Camminarono silenziosamente verso Starbuck’s ad un ritmo pressoché identico e con gli sguardi decisamente cupi.
 “Allora Camille, come va?”, domandò lui.
“Camilla”, precisò lei.
Lui annuì, “Scusami”, sorrise.
“Non preoccuparti, ormai ho la correzione automatica”, lo seguì, camminandogli a fianco, “Voi americani non siete in grado di pronunciare correttamente il mio nome, quindi vi correggo. O mi rassegno!”
“Io sono inglese”, disse lui.
“Non si direbbe”, sorrise lei.
Orlando si chinò per sbirciarla, “E perché mai?” domandò curioso.
Camilla scrollò le spalle, “Probabilmente perché non hai né l’aspetto da damerino ne quello da rocker punk!”
“Bella osservazione, ma sai, per il lavoro che faccio non posso permettermi troppe stravaganze”, spiegò lui, “E comunque, anche tu non sembri di queste parti”.
“Esatto”, confermò lei, “Vengo da lontano lontano, come la fidanzata di Shrek!”
Lo fece ridere, e venne da ridere anche a lei.
Orlando aveva una risata penetrante, contagiosa. Sembrava che provenisse dal profondo dell’anima.
“Mi auguro che almeno il tuo fidanzato non sia verde!”
Camilla negò, “Nessun fidanzato. Meno che mai verde. E nessun ciuchino che mi fa ridere!”
“Questo è un peccato!”, mormorò lui aprendole la porta di Starbuck’s.
Quando entrarono Camilla si aspettò che le persone sedute ai tavoli scattassero in piedi a chiedere autografi, ma non accadde nulla.
Nessuno lo notò.
Nessuno si accorse di loro.
Nessuno tranne Amy, la ragazza che lavorava al bancone che guardò divertita la sua camicetta.
“Problemi con il caffè, Cam?”, le domandò.
Camilla sorrise, “Ne voleva un po’ anche la mia camicia e non ho saputo rifiutare!”
Amy scoppiò a ridere, “Per lo meno hai trovato qualcuno che si prende cura dei tuoi bisogni”, disse accennando a Orlando, “Per lei, signore, cosa porto?”
“Un caffè nero”, ordinò lui.
Amy si voltò e riempì due bicchieri medi di caffè. Li consegnò ad Orlando e li salutò, augurando loro una buona giornata.
“Quindi hai vinto. Conoscono te e non conoscono me”, osservò lui, mentre bevevano il caffè seduti su una panchina del parco.
“Sembri dispiaciuto”, disse lei, soffiando nel suo bicchiere.
“Affatto! Sono estremamente contento!”, ridacchiò, “Avanti Camille, dimmi cosa fai nella vita!”
“Lavoro con quelli come te”, disse lei, evitando di correggere la pronuncia del nome.
“Ti sei rassegnata”, disse lui.
“Prego?”
“Ti sei rassegnata. Non mi hai corretto quando ti ho chiamato Camille”.
Lei lo guardò con interesse, “Non lo faccio più di una volta al giorno con la stessa persona”, disse lei, evitando di dargliela vinta.
“Bene”, annuì lui, “Quindi, lavori per quelli come me, questo già lo sapevo. Cosa fai in generale però non lo so”.
“Suono la chitarra, leggo, penso, scrivo…”, spiegò, “Ma comunque non ho mai tempo a sufficienza per dedicarmi ai miei hobby”
Lui la guardò senza particolare reazione, “Il tempo…Dio mio, non sembra mai veramente abbastanza per fare nulla”, constatò.
“Stiamo filosofeggiando?”, ribatté lei.
“E’ una cosa brutta?”, domandò lui.
“Non lo so, dimmelo te! Quando voi star cominciate a filosofeggiare mi si accendono tutti i campanelli d’allarme ed una vocina stridula mi grida nelle orecchie: attacco isterico in corso Cam, dattela a gambe!”
Lui la guardò sorridendo, “Abbiamo questo strano modo di fare, noi star?”, utilizzò un tono sarcastico mentre pronuciava "star".
Lei si strinse nelle spalle, “Non siete veramente reali”
“Certo che lo siamo”, ribatté lui risentito.
“Non me la raccontare!”
“Non lo faccio”, rispose lui fissandola.
“Oh per piacere, hai una vaga idea di come funzioni il mondo? Quello vero?”
“Naturale che ce l’ho!”, replicò lui stupefatto.
“Io dico di no”.
“E io invece ti dico di si”.
“Dici di si perché te la racconti!”
Lui ridacchiò, scuotendo in capo, “Hai sempre l’ultima parola?”
“Se posso preferisco”, disse lei alzandosi e gettando il suo bicchiere.
Camilla guardò l’orologio. Erano passate da poco le quattro del pomeriggio e doveva necessariamente tornare in agenzia per l’incontro con i produttori della Fox.
“Devi andare perché hai un appuntamento e non puoi fare tardi”, disse Orlando.
“Esatto”, sorrise lei. Gli porse la mano, che lui strinse in una presa salda e asciutta, “Mi ha fatto piacere bere questo caffè con te, Mr. Bloom”.
Lui le sorrise, “Anche a me”.
Camilla rimase un po’ con la mano di lui nella sua, quindi si decise a staccarsi.
“Ora vado”
“Vai!”
“Ci vediamo!”
“E’ probabile”
“Ciao!”
“Ciao Camille”.
Lei rise, facendo di no con il dito ma senza correggerlo.

Si era rassegnata.





                                                                                                                    CONTINUA…..

 

 

 

Ragazze vi ringrazio davvero di cuore per la calda accoglienza!!

Anzi, vi dirò di più, mi fa immensamente piacere aver svegliato l’interesse di fan accanite come voi. Mi lusinga proprio!! Non che io non lo sia, beninteso, ma diciamo che la vera fan è la mia amica la quale (puntandomi gentilmente un coltello alla gola!!!!), mi ha imposto di scrivere qualcosa sul suo O.D. (No no…nn è un errore! OD sta per Oggetto Del Desiderio!!). Invece per i problemi che si troveranno ad affrontare prendetevela pure con me!!!!!!!

Strowberry sono io a dover ringraziare te…scrivi divinamente ed è un piacere immenso leggere le tue parole. Se qualcuno ha talento, bhè quella sei decisamente tu!!

Moon spendo due parole per ringraziare anche te. Mi auguro di essere all’altezza delle tue aspettative senza scendere troppo nel banale e nel “fanciullesco”, (come dice la mia amica!!)

E grazie quindi anche a Bebe e Michi….grazie grazie grazie!!!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto tanto quanto il primo!

Intorno a venerdì dovremmo aver già pronto il terzo!! Purtroppo riesco a connettermi solo nei week end quindi  perdonatemi se vi lascio a bocca asciutta per l'intera settimana! Prometto che mi farò perdonare ;)

 

Un abbraccio a tutte

Amaranta

  
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