CAPITOLO DUE
UNA STRANA SERIE DI
FORTUNATE COINCIDENZE
Era
soddisfatta di quello che era riuscita a fare, soprattutto perché Orlando aveva
accettato un compenso ridicolo, rispetto a quello che Robert voleva offrirgli.
Questo le
dava il permesso di chiedere un aumento. O almeno, il rimborso della benzina
che aveva consumato per arrivare fino a Burbank.
“Dimmi
com’è??”.
Era Gwen.
E stava
saltellando per il suo ufficio con in mano il comunicato stampa per i giornali.
“Chi?”,
domandò.
“Come
chi? Orlando Bloom!”, rispose, sventolandole in faccia il foglio.
“Un gran
bel tipo!”, asserì Camilla, sistemando la scrivania.
Gwen si
lasciò cadere sulla sedia, per niente soddisfatta, “Oh andiamo! Così non mi dai
nessuna soddisfazione! E’ sexy?”
Camilla
annuì, con un gran sorriso, “Estremamente sexy! Occhi meravigliosi e bocca…”,
ci pensò, “Credo che quando hanno inventato il peccato avevano in mente la
bocca di Orlando Bloom!”
Gwen
rise, “Hai detto una cosa simile anche a proposito di Colin Farrel!”, le fece
notare.
Camilla
sorseggiò il suo caffè, “Quando parlavo di Colin, intendevo tutto Colin!”, rise
lasciva, “Con un attenzione particolare al suo fondoschiena!”
Gwen
finse di guardarla con disapprovazione, “Messalina!”
“Vorrei
vedere te!”, si difese Camilla.
“Io
infatti non parlo mai direttamente con loro! Credo che i miei ormoni me lo
impedirebbero!”
Camilla
guardò l’orario degli appuntamenti. Ne aveva un paio importanti, gli altri
erano normale amministrazione.
“Chi ti
spari oggi?”, curiosò Gwen.
“Campagna
pubblicitaria per il nuovo telefilm della Fox, e pranzo con l’agente di Josh
Jackson per una serata di beneficenza!”
“Chi
sarebbe costui?”, si informò.
Camilla
scoppiò a ridere di gusto, “Te la rinfaccerò a vita!”, la minacciò con una
matita, “Non eri tu una grande fan di Dawson’s Creek?”
“E con
questo?”
“Pacey ti
dice niente?”
Gwen
scattò in piedi, “Incontri Pacey?”
“Si
chiama Josh”, precisò Camilla.
“Come ti
pare!”, sbuffò la ragazza, “Lo incontri?”
Camilla
scosse il capo, “Non credo che lui ci sia. Ho appuntamento con il suo agente!”
Gwen
annuì, “Comunque, se lui dovesse comparire io devo essere informata, chiaro? Mi
chiami e io vengo. Dove andate a pranzo?”
“Da
Sam’s, qui sotto!”
Gwen
sbirciò l’orologio, quindi si appoggiò alla
scrivania di Camilla, “Io devo andare, ma se lui viene tu mi
avvisi, chiaro?”
Camilla
annuì, “Parola di Scout!”
Gwen si
incamminò verso la porta, “Fingerò di non sapere che tu non sei mai stata negli
scout!”
Camilla
le lanciò un tempera matite, quindi cominciò a visionare le diverse schede per
gli appuntamenti della mattinata.
Mentre
sistemava gli estremi per l’incontro con Marc, l’agente di Josh, il suo
telefono squillò.
Era
Robert.
Che la
voleva urgentemente in sala riunioni.
Sbuffando,
lasciò perdere la documentazione e si avviò verso la sala di ghiaccio.
Cosicché
chi rimaneva fuori, non sentiva gli improperi che venivano pronunciati
all’interno.
Camilla
spinse la porta ed entrò.
Ad
attenderla, oltre Robert, c’era Rebecca Hampton, una collega che detestava cordialmente,
e un altro paio di persone che non conosceva.
“Camille finalmente!”, la salutò cordiale
Robert. Ma era una cordialità forzata, ormai lo conosceva abbastanza bene da
intuirlo.
“Mi
chiamo Camilla”, precisò dura, “Qual è il problema?”.
Robert le
lanciò un’occhiataccia ma lei non ci badò.
“Loro
sono i signori della Breil, ricordi?”
Camilla
strinse le loro mani, sorridente, quindi si mise seduta.
“Non ho
idea di che cosa tu stia parlando, boss!”
“La
serata di lancio della Breil, Camille”
intervenne Rebecca, “Non rammenti?”
Camilla
aveva immediatamente capito dove volevano andare a parare. La serata di lancio
della Breil era stata assegnata a Rebecca, nonostante le proteste di Camilla. E
sicuramente Rebecca aveva combinato qualche disastro.
“Innanzitutto
mi chiamo Camilla”, precisò nuovamente, “Con la –a finale”, sorrise con stizza,
“Secondo poi, la campagna della Breil, per quanto ci tenessi non è stata
assegnata a me ma a te, se non ricordo male”.
Rebecca
ebbe un guizzo di rabbia.
“Questo
lo sappiamo tutti”, disse Robert con una risatina nervosa, “Il problema è che
la metà degli ospiti che Becky vuole invitare sono impegnati con te”.
Camilla
aprì la sua agenda, “Puoi dirmi la data?”
“Sabato
“Io ho
solo Mister Farrell, e Miss Diaz. Gli altri non hanno nessun impegno con la
nostra agenzia”, spiegò brevemente.
Uno dei
due uomini la guardò, “Il problema Miss…?”
“Ardensi”,
rispose lei con un sorriso.
“Ardensi”,
ripeté lui nel classico modo stropicciato americano, “Il problema è che la
signorina Hampton ci aveva assicurato che Mister Farrell avrebbe partecipato
come testimonial alla serata di lancio e invece oggi, a poco più di venti
giorni, ci dice che è impegnato. E la metà delle altre persone che ci aveva
proposto, non sembrano essere intenzionate a prendere parte alla serata”.
Camilla
si prese la sua rivincita, “La signorina Hampton prima di impegnare i miei clienti, dovrebbe avere
l’accortezza di informarmi”, le lanciò un’occhiataccia, “Comunque, cercherò di
chiamare l’agente di Colin per sapere se può presiedere alla serata, altrimenti
dovrete indirizzarvi altrove!”
“Signorina
Ardensi”, adesso era stato l’altro uomo a parlare, “Siamo un marchio importante
che ha bisogno di un volto importante. E per ogni volto necessitiamo di uno
slogan. Non possiamo chiedere ai nostri pubblicitari di preparare duecento
slogan solo perché non abbiamo certezze”.
“Chiarissimo”,
annuì Camilla, “Ma comunque di solito siamo in grado di occuparci dello slogan,
questo non è un problema”, si alzò, “Faccio un paio di chiamate e torno da
voi”, fece per uscire ma si bloccò sulla porta, “Se Colin non fosse disponibile
chi vorreste?”
“Ci
affidiamo a lei”, sorrise l’uomo.
Camilla
annuì, quindi attraversò la hall con passi lunghi e inferociti.
Non
riusciva a credere di dover riparare ai casini di Rebecca.
Di più,
non ci voleva credere.
Durante i
suoi primi mesi di lavoro, quell’arpia le aveva reso la vita un inferno, e
adesso si trovava costretta a rimediare ai suoi errori.
E come se
non bastasse, aveva fatto promesse che non era in grado di mantenere. Sapeva
benissimo che il 24 Collin aveva una serata di beneficenza all’orfanotrofio e
trovava inappropriato proporgli di rifiutare per prendere parte all’ennesima
serata di lancio.
Soprattutto
perché Collin non l’avrebbe presa bene.
Per
niente.
Ci teneva
veramente alle serate all’orfanotrofio che Camilla gli organizzava a cadenza
mensile.
Compose
il numero dell’agente, quindi attese che rispondesse.
Gli
spiegò brevemente la situazione, pregando che Collin non fosse lì con lui.
Una
preghiera vana, perché Collin, che invece era lì, le promise di passare in
agenzia nel giro di un quarto d’ora.
Per quel
poco che lo conosceva, se Collin fosse stato a conoscenza del giochino della
sua collega, non ci sarebbe andato troppo leggero.
Bevve un
caffè e cercò di rilassarsi. Che aspettassero pure. In fin dei conti aveva
detto loro di dover fare delle telefonate, quindi aveva tutto il tempo che
voleva.
Si
sedette e aspettò fino ad un tempo che le sembrò appropriato.
Quando si
rese conto che la stasi non faceva che agitarla ulteriormente, decise di andare
in sala riunioni. Forse sarebbe riuscita a tamponare la situazione.
“Signori”,
esordì una volta entrata, “La fortuna ha voluto che Colin fosse nei paraggi e
che quindi sarà qui da noi più o meno…”
“Ora!”
Era
Colin, con la sua faccia da impunito che sorrideva strafottente appoggiato alla
porta.
Tutt’intorno
gli astanti si alzarono per stringergli la mano. Un rito che lui eseguì con
noia e vaga ironia, quindi abbracciò Camilla depositandogli un bacio in fronte.
“Ciao
fottuta italiana!”, la salutò.
Camilla
ridacchiò, “Ciao fottuto irlandese!”, ricambiò, “Ti trovo in forma. Cos’hai
fatto?”
“Bevo
meno e faccio più sesso!”, bisbigliò.
Camilla
scoppiò a ridere, “Non ho dubbi a tal proposito!”
“E fai
bene”, asserì lui con un sorrisino malizioso.
“Signor
Farrell”, lo chiamò Robert.
“Ciao
Boss, come va?”
“Benone,
grazie!”, sorrise Robert più a suo agio, “Camilla ti avrà detto perché sei
qui”.
Collin
guardò Camilla, “Ha parlato di sovrapposizione di date ma è strano. L’unica
data che ho è per il ventiquattro, giusto Cam?”
Lei, suo
malgrado, annuì.
“E
proprio per questo che l’abbiamo chiamata signor Farrell”,
intervenne Rebecca, “Il ventiquattro avevamo pensato di farla
partecipare ad una serata di lancio
per
Lui
scosse la testa, “Mi dispiace micetta ma devo rifiutare!”
“Per una
serata in un orfanotrofio?” domandò lei allibita.
Colin
fece per rispondere, ma fu preceduto da Camilla. Infuriata.
“Tu lo
sapevi!”, l’additò, “Sapevi dell’impegno di Colin e te ne sei fregata!”
“Pensavo
che si potesse rimandare”, si difese Rebecca con freddezza.
“E invece
no!”, obbiettò Camilla, “Non si rimanda niente. Quei bambini aspettano con
ansia quel giorno e non sarai di certo tu a rovinargli la festa!”
Colin
guardò Rebecca con compassione.
“Potrebbe
andare prima”, propose
Questa
volta Colin fu lesto a prevenire il rilancio di Camilla.
“Signori”,
si rivolse ai due uomini seduti accanto a lui, “E’ raro che sia io ad occuparmi
di queste cose, di solito ci pensa quello stronzo del mio agente, ma stavolta
sono qui e si fa come dico io. Il ventiquattro ho un impegno. E non lo anticipo
né posticipo. Voi fate dei bellissimi pezzi ma non me ne frega un cazzo,
chiaro? Quei bambini sanno che io andrò e che mi fermerò a cena e dopo cena e
così sarà. Ci sono tante altre persone che la signorina Hampton potrà trovare,
ne sono sicuro!”
“Ma Camille ha detto che forse saresti riuscito
a venire”.
“Camilla è troppo gentile con te. Ti
meriteresti una mazzata in bocca per come lavori. Ti dico solo che Jared non ti
sopporta più!”
Camilla
toccò un braccio a Colin, quindi sorrise ai clienti.
“Signori,
mi dispiace per il disguido, ma purtroppo non posso aiutarvi”, guardò Colin,
“Forza andiamo!”, quindi si rivolse a Robert, “Boss ti posso parlare un
secondo? Mi serve una tua firma per un agente che devo incontrare tra dieci
minuti”.
Abboccando
alla richiesta Robert la seguì nel suo ufficio.
Solo dopo
si rese conto dell’errore che aveva fatto.
Camilla uscì
a grandi passi dalla sede dell’agenzia.
Era
infuriata.
E in
ritardo mostruoso.
Aveva
chiamato Marc, l’agente con cui aveva appuntamento e aveva rimandato tutto al
giorno successivo. In quelle condizioni non se la sentiva di lavorare.
Era
troppo adirata.
Entrò da
Starbuck’s e si prese un caffè. Avrebbe preferito berlo seduta ad un tavolino,
ma erano tutti occupati.
Di sicuro
non era la sua giornata fortunata.
Optò per
una passeggiata, augurandosi che l’avrebbe aiutata a calmare i nervi. Sapeva
che non sarebbe stato così, ma voleva tentare.
Di più,
voleva allontanarsi da quel dannato edificio.
Era
incredibile come, nonostante il suo lavoro accurato e pieno di successi,
nessuno la prendesse davvero sul serio. In primo luogo quella dannata Hampton.
E poi
Robert. Ah Robert!
Il capo
dei capi.
Quello
che la sfruttava fin quando riusciva a fruttare quattrini all’agenzia. Se gli
impegni dei clienti non si orientavano in tal senso, allora andavano cancellati.
O
sovrapposti.
Non
poteva crederci che Robert le avesse fatto una cosa del genere.
Camminava
a capo chino, la testa piena di pensieri, tanto che non si accorse dell’uomo
davanti a lei.
Che la
travolse, rovesciandole addosso tutto il caffè.
“Dannazione!”,
imprecò lei, guardandosi la camicetta celeste completamente macchiata.
“Sono
mortificato!”, si scusò lui.
Camilla
lo guardò, furente. E riconobbe il volto imbronciato di Orlando. Istintivamente
gli sorrise, salvo poi fissare la macchia informe che si allargava sulla sua
camicia.
“Ciao
Camille”, la salutò.
Lei
sospirò contando mentalmente fino ad un numero che le sembrò appropriato e che,
probabilmente, le avrebbe evitato di saltargli alla gola.
“Ciao…”,
lo salutò senza troppo slancio.
“Camminavi
a testa bassa”, si difese lui, comprendendo la sua neanche troppo velata ira.
“Se mi
avevi visto potevi evitarmi no?”
Lui
scrollò le spalle, “Me ne sono accorto tardi”, spiegò, “Ti pago la lavanderia”,
si offrì.
Camilla
lo guardò.
“Il problema non è la lavanderia. Il problema
è che non posso andare a lavoro conciata così”, borbottò.
Lui
sorrise, “Ok, allora ti pago una nuova camicia”.
Camilla
sorrise a sua volta, “Grazie ma non ce n’è bisogno”.
“Almeno
lascia che ti offra un altro caffè!”, propose lui.
Era veramente
dispiaciuto e Camilla non se la sentiva di deluderlo. Ed era un suo
cliente…tutti punti a suo favore, dannazione a lui.
“Vada per il caffè”, gli concesse poi.
Lui
sorrise soddisfatto, quindi le porse la mano che Camilla fu lesta ad afferrare.
Camminarono
silenziosamente verso Starbuck’s ad un ritmo pressoché identico e con gli
sguardi decisamente cupi.
“Allora Camille, come va?”, domandò lui.
“Camilla”,
precisò lei.
Lui
annuì, “Scusami”, sorrise.
“Non
preoccuparti, ormai ho la correzione automatica”, lo seguì, camminandogli a
fianco, “Voi americani non siete in grado di pronunciare correttamente il mio
nome, quindi vi correggo. O mi rassegno!”
“Io sono
inglese”, disse lui.
“Non si
direbbe”, sorrise lei.
Orlando
si chinò per sbirciarla, “E perché mai?” domandò curioso.
Camilla
scrollò le spalle, “Probabilmente perché non hai né l’aspetto da damerino ne
quello da rocker punk!”
“Bella
osservazione, ma sai, per il lavoro che faccio non posso permettermi troppe
stravaganze”, spiegò lui, “E comunque, anche tu non sembri di queste parti”.
“Esatto”,
confermò lei, “Vengo da lontano lontano, come la fidanzata di Shrek!”
Lo fece
ridere, e venne da ridere anche a lei.
Orlando
aveva una risata penetrante, contagiosa. Sembrava che provenisse dal profondo
dell’anima.
“Mi
auguro che almeno il tuo fidanzato non sia verde!”
Camilla
negò, “Nessun fidanzato. Meno che mai verde. E nessun ciuchino che mi fa
ridere!”
“Questo è
un peccato!”, mormorò lui aprendole la porta di Starbuck’s.
Quando
entrarono Camilla si aspettò che le persone sedute ai tavoli scattassero in
piedi a chiedere autografi, ma non accadde nulla.
Nessuno
lo notò.
Nessuno
si accorse di loro.
Nessuno
tranne Amy, la ragazza che lavorava al bancone che guardò divertita la sua
camicetta.
“Problemi
con il caffè, Cam?”, le domandò.
Camilla
sorrise, “Ne voleva un po’ anche la mia camicia e non ho saputo rifiutare!”
Amy
scoppiò a ridere, “Per lo meno hai trovato qualcuno che si prende cura dei tuoi
bisogni”, disse accennando a Orlando, “Per lei, signore, cosa porto?”
“Un caffè
nero”, ordinò lui.
Amy si
voltò e riempì due bicchieri medi di caffè. Li consegnò ad Orlando e li salutò,
augurando loro una buona giornata.
“Quindi
hai vinto. Conoscono te e non conoscono me”, osservò lui, mentre bevevano il
caffè seduti su una panchina del parco.
“Sembri
dispiaciuto”, disse lei, soffiando nel suo bicchiere.
“Affatto!
Sono estremamente contento!”, ridacchiò, “Avanti Camille, dimmi cosa fai nella
vita!”
“Lavoro
con quelli come te”, disse lei, evitando di correggere la pronuncia del nome.
“Ti sei
rassegnata”, disse lui.
“Prego?”
“Ti sei
rassegnata. Non mi hai corretto quando ti ho chiamato Camille”.
Lei lo
guardò con interesse, “Non lo faccio più di una volta al giorno con la stessa
persona”, disse lei, evitando di dargliela vinta.
“Bene”,
annuì lui, “Quindi, lavori per quelli come me, questo già lo sapevo. Cosa fai
in generale però non lo so”.
“Suono la
chitarra, leggo, penso, scrivo…”, spiegò, “Ma comunque non ho mai tempo a
sufficienza per dedicarmi ai miei hobby”
Lui la
guardò senza particolare reazione, “Il tempo…Dio mio, non sembra mai veramente
abbastanza per fare nulla”, constatò.
“Stiamo
filosofeggiando?”, ribatté lei.
“E’ una
cosa brutta?”, domandò lui.
“Non lo
so, dimmelo te! Quando voi star cominciate a filosofeggiare mi si accendono
tutti i campanelli d’allarme ed una vocina stridula mi grida nelle orecchie:
attacco isterico in corso Cam, dattela a gambe!”
Lui la
guardò sorridendo, “Abbiamo questo strano modo di fare,
noi star?”, utilizzò un tono sarcastico mentre pronuciava
"star".
Lei si
strinse nelle spalle, “Non siete veramente reali”
“Certo
che lo siamo”, ribatté lui risentito.
“Non me
la raccontare!”
“Non lo
faccio”, rispose lui fissandola.
“Oh per
piacere, hai una vaga idea di come funzioni il mondo? Quello vero?”
“Naturale
che ce l’ho!”, replicò lui stupefatto.
“Io dico
di no”.
“E io
invece ti dico di si”.
“Dici di
si perché te la racconti!”
Lui
ridacchiò, scuotendo in capo, “Hai sempre l’ultima parola?”
“Se posso
preferisco”, disse lei alzandosi e gettando il suo bicchiere.
Camilla
guardò l’orologio. Erano passate da poco le quattro del pomeriggio e doveva
necessariamente tornare in agenzia per l’incontro con i produttori della Fox.
“Devi
andare perché hai un appuntamento e non puoi fare tardi”, disse Orlando.
“Esatto”,
sorrise lei. Gli porse la mano, che lui strinse in una presa salda e asciutta,
“Mi ha fatto piacere bere questo caffè con te, Mr. Bloom”.
Lui le
sorrise, “Anche a me”.
Camilla
rimase un po’ con la mano di lui nella sua, quindi si decise a staccarsi.
“Ora
vado”
“Vai!”
“Ci
vediamo!”
“E’
probabile”
“Ciao!”
“Ciao
Camille”.
Lei rise,
facendo di no con il dito ma senza correggerlo.
Si era rassegnata.
Ragazze
vi ringrazio davvero di cuore per la calda accoglienza!!
Anzi,
vi dirò di più, mi fa immensamente piacere aver svegliato l’interesse di fan
accanite come voi. Mi lusinga proprio!! Non che io non lo sia, beninteso, ma
diciamo che la vera fan è la mia amica la quale (puntandomi gentilmente un
coltello alla gola!!!!), mi ha imposto di scrivere qualcosa sul suo O.D. (No
no…nn è un errore! OD sta per Oggetto Del Desiderio!!). Invece per i problemi
che si troveranno ad affrontare prendetevela pure con me!!!!!!!
Strowberry
sono io a dover ringraziare te…scrivi divinamente ed è un piacere immenso
leggere le tue parole. Se qualcuno ha talento, bhè quella sei decisamente tu!!
Moon
spendo due parole per ringraziare anche te. Mi auguro di essere all’altezza
delle tue aspettative senza scendere troppo nel banale e nel “fanciullesco”,
(come dice la mia amica!!)
E
grazie quindi anche a Bebe e Michi….grazie grazie grazie!!!
Spero
che questo capitolo vi sia piaciuto tanto quanto il primo!
Intorno
a venerdì dovremmo aver già pronto il terzo!! Purtroppo
riesco a connettermi solo nei week end quindi perdonatemi se vi
lascio a bocca asciutta per l'intera settimana! Prometto che mi
farò perdonare ;)
Un
abbraccio a tutte
Amaranta