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Autore: Euridice_    12/05/2008    4 recensioni
Per lei, a Helsinki è tutto nuovo. Lui di Helsinki ha visto tutto. Lei ha ancora molto da scoprire, e sogni da realizzare. Lui ormai non si fa più illusioni. Eppure..
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 R a i n

 

“La vidi che pagava qualcosa alla cassa dell’alimentari dove mi trovavo anch’io, per fare scorta di birre. Era così aggraziatamente impacciata nel frugare nel suo piccolo portafoglio mentre aveva per le braccia buste ed una borsetta scura, c’era una sfumatura di armonia nella sua goffaggine… come se fosse una ballerina inconsapevole. Quando finalmente ebbe trovato i soldi che la cassiera attendeva tamburellando impazientemente con le dita su una malandata calcolatrice, li consegnò rapidamente e, fattasi carico della spesa, uscì dal negozio. La seguii con lo sguardo allontanarsi lungo la strada illuminata dai lampioni, con quel suo passo rapido, dalla falcata decisa, che tagliava l’aria come un rasoio.”

 

Quella sera ero andata a fare la spesa per mio fratello e lui, al solito, aveva fatto gli occhi dolci supplicandomi di uscire di casa una volta tanto e andare ad una festa con lui. Una festicciola innocente, aveva detto, dove si ballava e c’era tanta musica, ma nulla più. Così io, stupida, avevo messo il vestito corto fin sopra il ginocchio nero ed ero andata con lui a ballare.

 

“Ero finito, non capivo nulla. Fatto al massimo, sbronzo, e con una fortissima nausea. Sgottai nel bagno del locale e poi tornai di là a bere. Girava anche fumo, e qualche striscia di droga.

Non ricordavo nemmeno perché ero lì. Mi appoggiai al muro, cercando di respirare profondamente, e gettai la testa indietro chiudendo gli occhi. Li riaprii dopo qualche minuto, e vidi qualcosa che non c’entrava assolutamente niente in quel contesto.

C’era questa ragazza esile con un vestito nero corto, i capelli selvaggi sparsi sulle spalle, immobile contro la parete di fronte, gli occhi che lanciavano fiamme. L’avevo già vista. Sì, ero convinta di averla già vista da qualche parte…”

 

Ovviamente non era una festicciola innocente. Non bastava la gente indemoniata che ballasse con foga violenta sulle note di canzoni sempre più folli. No, dovevano esserci anche barili di alcolici e droga. E ragazzi assolutamente fatti con lo sguardo perso nel vuoto, e mani che strisciavano ovunque e che improvvisamente trovavo incollate alla mia schiena… non ne potevo più, volevo andare via, odiavo mio fratello. Mi appoggiai ad una parete e mi sforzai di guardare lo spettacolo destabilizzante che era quella festa, quando incontrai gli occhi di un ragazzo di fronte a me. Era alto, vestito di nero, cappellino, e questi occhi taglienti. Era fatto anche lui, lo capii subito. Distolsi lo sguardo. Basta, ero stufa. Mi diressi verso l’uscita, decisa ad andarmene, non importava come sarei tornata a casa, avrei chiamato un taxi. Improvvisamente andai a sbattere contro un energumeno. Si voltò e mi guardò in cagnesco, poi la sua bocca si aprì in un losco sorriso e immediatamente allungò le mani.

-Eeeehi, non andartene, tesoro- disse. Mi divincolai, ma lui mi strinse a sé. Mi si gelò il sangue, avevo paura.

-Lasciami stare subito- sibilai, tentando di apparire truce.

Ovviamente non mollò, anzi strinse la presa sul mio braccio, facendomi male.

-No, tu ora vieni con me…

-Eddai, cazzone, lasciala in pace- biascicò una voce. Mi voltai, e vidi il ragazzo il cui sguardo avevo incrociato prima.

L’energumeno incredibilmente mollò la presa e si allontanò borbottando bestemmie. Ancora un po’ scossa, mi diressi a passo rapido verso l’uscita.

-Scusa, almeno potresti ringraziarmi- disse il ragazzo.

Mi voltai scocciata. –Grazie.

Ed uscii dal locale.

-Se non ci fossi stato, ora saresti in bagno con quel soggetto lì- continuò. Mi afferrò il polso.

Era troppo.

-Basta!- sbottai, -lasciami in pace, chiunque tu sia, voglio solo andarmene via di qui e non ho bisogno dell’aiuto di un drogato.

-E allora fottiti- replicò seccamente lui, -troia.

-Ma vai a quel paese- mormorai, uscendo da quell’inferno.

 

“E’ mattina?

No. Credo sia pomeriggio. Sono nel mio letto…

Credo.

Errore.

Non sono nel mio letto.

Sono su un divano che non riconosco, con una coperta addosso e qualcosa di caldo incollato su di me.

Ci metto un istante a realizzare che è un corpo. Una ragazza.

Improvvisamente ricordo. La festa. L’alcol. Io che non capisco più niente, questa bionda dal naso grosso che mi si struscia contro, e poi la cosa finisce col degenerare…

Con un vago senso di vuoto, scorgo i miei vestiti sparsi sul pavimento ed una serie di altre persone addormentate, accasciate per terra.

Scivolo giù dal divano e mi vesto lentamente, dopodichè esco da quella casa. E’ stata una festa distruttiva. Devo smetterla, mi dico.

Già.

Sono mesi ormai che dico così.

Improvvisamente, in mezzo a tanta amarezza, si staglia un ricordo, un volto, stranamente nitido rispetto a quello che rammento della serata, cioè una massa sfocata e dai colori opachi e squallidi.

Un volto bianco, puro, due occhi puliti, un polso sottile e fragile come il cristallo.

Improvvisamente ricordo. Ho detto a un gigante di lasciarla in pace. E lei mi ha anche risposto male. Rido tra me e me.”

 

Mio fratello River si sveglia alle due di pomeriggio.

Sono arrabbiata, non voglio parlargli. Voglio che smetta di frequentare queste feste, sta prendendo un andazzo che non mi piace affatto. Sono venuta qui ad Helsinki per cercarmi un lavoro e sentirmi libera dalle attenzioni soffocanti dei miei, e un po’ anche per seguire le orme di mio fratello, che è venuto a stare qui due anni fa.

Sapevo che suonava in gruppo piuttosto noto, e che si trovava bene. Ma non immaginavo che fosse degradato in questa maniera. Mi domandai quante altre feste simili avesse frequentato, e mi resi conto di non voler neanche conoscere la risposta.

Gli preparo una parca colazione e gli getto sgraziatamente il vassoio davanti, mentre lentamente riprende conoscenza e alza la testa dal divano.

-Buongiorno, sorellina- mi saluta con voce impastata e sorride. Per tutta risposta, m’infilo la giacca ed esco di casa sbattendo la porta.

 

“Sono in ritardo. Gli altri mi aspettano. Saranno furiosi, dovevo essere da loro un’ora e mezzo fa.

Quando apro la porta della sala prove, li vedo ognuno per conto suo intento ad armeggiare con il proprio strumento. Il primo ad alzare lo sguardo è Migè.

-Ma Ville, cazzo, ti aspettiamo da quasi due ore- sbotta, -abbiamo un concerto tra due sere e non siamo ancora riusciti a provare, possibile che non te ne freghi niente?

-Eddai, non rompere le palle, mi dispiace, ora sono arrivato- dico.

Linde mi osserva senza dire niente. Da quando è diventato padre è diventato un rompipalle anche lui, ma, diversamente da Migè, rimaneva sempre calmo e pacato.

-Ville, sul serio, le feste che frequenti sono deleterie- interviene Burton, senza staccare lo sguardo dalle sue tastiere. Lo fisso.

-Burton, scusa, ma ti invito gentilmente a svolgere i tuoi cazzi e non i miei- dico. –Ora, vogliamo provare, per favore?”

 

Io me ne voglio tornare a casa. Non so cosa mi abbia spinta a venire a vivere ad Helsinki, e qualunque cosa fosse, la rinnego.

Quando rientro in casa, trovo River seduto a tavola nella piccola cucina, che guarda fisso davanti a sé.

-Rain- dice.

Mi sforzo di avere un tono di voce duro. –Cosa vuoi?

-Mi dispiace.

Sospiro e lo osservo. Ha le mani intrecciate davanti al volto, i capelli biondi che gli ricadono davanti agli occhi. Sembra il bambino che giocava con me quando eravamo piccoli, che mi proteggeva da chi mi prendeva in giro. Ho una stretta al cuore, ripensando alla serata distruttiva che è stata ieri, a lui che ormai appartiene a questo mondo.

-Ma perché frequenti quelle persone?- mi torna in mente l’energumeno, e quello spostato che mi ha difesa da lui.

Lui non risponde. Improvvisamente s’illumina in volto.

-Dai, guarda che ne conosco di migliori. Dopodomani c’è un concerto in un locale, suonano alcuni amici… dai, vieni con me, così ti dimostro che non sono sballato come credi…

Ho un secco “no” sulla punta della lingua, ma i suoi occhi azzurri e supplichevoli mi guardano spalancati, e non me la sento di opporre un rifiuto.

-E va bene- dico.

 

“-Ville, cazzo, svegliati!

Ma possibile che Migè sia così tragicamente rompipalle?

-Datti una calmata, non capisco perché sei così agitato! E’ una stupida serata in un locale, abbiamo fatto concerti ovunque e tu stai qui a preoccuparti?- dico, cercando di mantenere un tono di voce pacato.

-Fai almeno finta che te ne freghi qualcosa di questo lavoro- bofonchia lui, -ultimamente hai sempre l’aria di un vegetale. Non importa dove suoniamo, voglio che tu ci metta sempre lo stesso impegno, davanti a dieci persone o ad un milione.

Sorrido. –Sì, sì… eddai, che sta iniziando ad arrivare la gente…”

 

E’ un locale carino, piuttosto grande. In effetti, non è male.

Sono qui con mio fratello ed il bassista del suo gruppo, Larry. Ho rimesso il vestito nero dell’altra sera, dopo averlo lavato (puzzava di birra in maniera abominevole), ma per il resto non sono particolarmente in tiro. Anche se forse dovrei sforzarmi di conoscere qualcuno.

Troviamo un posto vicinissimo al palco, ci sediamo e Larry ordina immediatamente da bere.

Cominciamo bene, penso, lanciando un’occhiataccia a River. Lui si stringe nelle spalle. Credo che non prenda qualche drink solo perché ci sono io a controllarlo.

Inoltre noto che Larry mi lancia delle occhiate insistenti, anche piuttosto sfacciate. Dirò a mio fratello che è il caso di trovare un bassista migliore…

Improvvisamente le luci si abbassano ed un gruppo sale sul palco, accolto da una rumorosa ovazione. Devono essere piuttosto noti…

Guardo i loro volti, così diversi tra loro, uno ha anche dei lunghissimi rasta biondi. Chissà come fa a lavarli…

Infine mi cade lo sguardo sul cantante. Trattengo il respiro, è quello della festa, il tizio che ha mandato via quel gigante che mi aveva infastidita… Ha sempre un cappellino nero calcato sulla testa, il volto piuttosto affilato, e degli occhi verdi incredibili. Sto per pensare che è davvero un gran pezzo d’uomo, quando ricordo che mi ha definita “troia” e mi ha invitata a fottermi.

Lancio un’occhiata furente a River: è questa la bella gente che ci teneva a farmi conoscere? Una band il cui frontman è un drogato sboccato?

Sto seriamente accarezzando l’idea di andarmene di qui, quando parte una canzone che in qualche modo mi cattura. Ha una melodia trascinante, e quando il drogato inizia a cantare, la voce che mi giunge alle orecchie è calda e profonda, vellutata e ipnotizzante. Rimango seduta, con gli occhi fissi su di lui. Ha un tatuaggio che gli copre tutto il braccio sinistro, chissà quanto gli avrà fatto male farlo.

Mentre canta è così diverso da come mi era apparso, sembra un giovane poeta tormentato, un artista che tenta di esternare ciò che prova… non so come definirlo, sembra che la canzone sia dentro di lui e lotti per uscire, ecco cosa fa vibrare di passione quella voce così affascinante…

 

“Mentre canto non penso a nulla. Le parole scorrono fuori dalle mie labbra come un fiume, ed io mi sento quasi fuori dal mondo, non sono qui, non ho davanti tutte queste persone.

Finiamo di suonare la nostra cover di wicked game, e guardo verso il pubblico. Il locale è piuttosto pieno. Il mio sguardo corre sotto il palco, saluto River e Larry, e mi accorgo che c’è una ragazza con loro.

Mi soffermo a contemplarla per qualche istante. Ha dei lunghi e folti capelli castani, due grandi occhi scuri e lucenti incastonati in un incarnato di porcellana. E’ esile, indossa un vestitino nero…

E’ guardando quell’abito che mi torna in mente. E’ la ragazza dell’ultima festa, che credo di aver definito “troia”…

Ed è anche la piccola ed impacciata ballerina che avevo visto all’alimentari tre giorni fa. Con quella grazia inconsapevole e l’aria smarrita.

Rido tra me. Non sembrava così smarrita alla festa. Chissà cosa ci faceva lei lì. Quel suo viso da ragazzina e quelle mani piccole ed esitanti, perché si trovavano in quell’inferno psichedelico fatto di musica, alcol e droga?

Linde parte in quarta con buried alive by love, pare quasi troppo gasato stasera.

Senza staccare gli occhi dalla mia piccola ed inconsapevole ballerina, canto.”

 

-Ville è davvero una gran testa di cazzo- sento urlare Larry, cercando di farsi sentire al di sopra della canzone.

Mi domando chi sia Ville.

-Perché?- domanda River, chinandosi verso di lui.

-Dai, guardalo, ti sembra un frontman? Sta lì con quella sua aria da artista incompreso, pare la brutta copia di Jim Morrison. E poi è l’unico della band che va ancora in giro per feste e festini…

Ho l’impressione di aver capito chi è Ville. Il cantante. Lo guardo sottecchi, e noto che il suo sguardo è fisso su di me. Oddio, che mi abbia riconosciuta? L’ho trattato abbastanza male l’altra sera, ripensandoci. In fondo, mi ha solo liberata da quel tizio, ed io l’ho strapazzato.

Aria da artista incompreso… beh, in questo momento non pare, dato che non appena incrocia il mio sguardo fa un mezzo sorriso decisamente beffardo.

Oddio, ma perché? Mi accorgo con orrore che mi sento le guance calde, segno che sono arrossita.

E se mi stesse prendendo in giro?

E perché mi fa questo effetto?

Continua a cantare facendo scivolare le labbra sul microfono, è dannatamente attizzante, e per di più i suoi occhi verdi sono fissi di me. Mi sforzo di contemplare qualcos’altro, mi concentro sui capelli del tastierista, ma Ville è come una calamita, non riesco a non guardarlo a lungo…

Non so quante canzoni trascorrano durante questo nostro gioco di sguardi, ma all’improvviso le luci si riaccendono e Ville abbandona il palco senza dire una parola, seguito dagli altri membri della band che si degnano di salutare con una mano il pubblico.

Sono un po’ frastornata. E non ho idea di perché mi senta così… ma c’è qualcosa in Ville che mi attira inesorabilmente, questo lo so. E’ come se desiderassi sporgermi troppo per vedere cosa c’è in fondo ad un baratro nero… e se ci cadessi?

Scuoto la testa e tento di liberarmi di questi pensieri ridicoli. Che diavolo mi viene in mente, non posso stare così per un drogato!

 

“-Bella serata- commenta Burton mentre ci accasciamo su delle sedie dietro le quinte, dopo l’esibizione.

-Già- fa Gas, scolandosi una birra. Gliela strappo di mano e la finisco in un sorso.

-Ho visto River e Larry tra il pubblico… con loro c’era una ragazza- comincia Linde. Mi pare di avvertire il suo sguardo insistente su di me. Io comunque non dico nulla, ma lui non si arrende.

-La conosci, Ville?

-Chi, io?- incollo immediatamente le labbra ad una lattina di birra, non mi va di rispondere.

-Sì, tu… praticamente l’hai fissata tutta la sera- Linde non mi stacca gli occhi di dosso. –Ma che, te la sei fatta?

Quasi sputo la birra.

-Ma che cazzo dici- borbotto, pulendomi la bocca col dorso della mano.

Non lo sopporto quando fa così, sembra sempre che sappia tutto.

-Beh, è piuttosto figa- mi fa notare. Grazie, me n’ero accorto da solo, vorrei rispondergli.

-Linde, ti ricordo che hai una figlia- interviene Migè, ammiccando come un deficiente.

-Beh, io vado. Ci vediamo- taglio corto. M’infilo la giacca ed esco dal camerino, senza lasciare a Linde la possibilità di replicare.

Mi dirigo verso la macchina, parcheggiata poco lontano dal locale, quando sento una risata argentina rompere il silenzio della strada buia. Mi guardo intorno, e in fondo al marciapiede vedo tre sagome che riconosco quasi subito: River, Larry e la ragazza.

Rimango immobile ad osservarli mentre si allontanano. I capelli della ragazza ondeggiano come alghe ad ogni movimento, le sue esili gambe spuntano dal vestito e si muovono rapide, sembra che cammini a passo di danza. La risata in cui era scoppiata si spegne quasi subito, e rimango colpito da come fosse stata squillante e cristallina, come quella di una bambina entusiasta.

Decido che devo decisamente curare di più l’amicizia con River.

Già. Sorrido tra me e salgo in macchina.”

 

Sono a letto.

Oggi c’è il sole, ed i suoi raggi caldi stamattina annunciano che la primavera finalmente sta arrivando anche ad Helsinki. Mi rigiro tra le lenzuola e stringo il cuscino, ad occhi chiusi, godendomi il dolce calore che penetra dal vetro della finestra.

Lo scrosciare della doccia è lontano e sommesso, e se ci provo riesco quasi a non sentire River che canta a squarciagola sotto l’acqua…

Improvvisamente il campanello suona. Un tocco solo, breve e deciso. La radiosveglia sul comodino mi informa che sono ancora le nove, chi può essere a quest’ora? Sicuramente qualche componente del gruppo di River. Scivolo giù dal letto senza curarmi di mettermi qualcosa addosso oltre al maglione con cui ho dormito, che mi arriva alle ginocchia, tanto ormai i ragazzi del gruppo li conosco.

Sbadigliando, e un po’ infastidita per l’essere stata buttata giù dal letto, vado ad aprire la porta.

Ed ho un sussulto.

 

“Stamattina mi alzo presto. Ho trovato un libro che River mi ha prestato tempo fa, ed ho intenzione di andarglielo a restituire, e magari proporgli di vederci qualche volta, così chissà, riesco a farmi presentare quella ragazza.

Arrivo sotto casa sua che sono quasi le nove, salgo sul pianerottolo e suono il campanello.

Ci vuole un po’ prima che la porta si apra, e quando accade, quasi non credo ai miei occhi.

Ho davanti l’amica di River, con addosso soltanto un maglione bianco di lana che le scende fino alle ginocchia magre, i capelli spettinati come se si fosse appena alzata dal letto.

E che cazzo. Non avevo pensato che potesse essere la ragazza di River. Da come è conciata, e a giudicare dal suono della doccia che proveniva dal bagno (River cantava sotto di essa), si direbbe che questa notte si siano divertiti.

La ragazza rimane perplessa nel vedermi, spalanca gli occhi e non dice nulla.

-Cerco River- dico, guardando oltre le sue spalle.

-E’ sotto la doccia- risponde seccamente lei.

A questo punto non so cosa dire. E’ inutile fare l’amicone con River, se lui già va a letto con lei. Sono tentato dal lasciarle il libro e andarmene, ma decido di verificare se effettivamente stanno insieme.

-Vi siete dati da fare stanotte, si direbbe- dico.

Lei solleva un sopracciglio.

-E’ mio fratello- sbotta, inviperita.

Non so perché, ma sento che un vago senso di benessere si impadronisce di me.

-Non vi somigliate- commento. Lui è biondo con gli occhi azzurri, alto e possente, e invece lei è piccola ed esile, con questi folti capelli castani e gli occhioni neri.

-Sì, lo so- risponde in tono acido. –Te lo chiamo.

Si dirige verso il bagno, ed io seguo il movimento armonioso delle sue gambe, quelle caviglie sottili ed i piedi bianchi che guizzano sulla moquette.”

 

E’ Ville.

L’iniziale eccitazione di vederlo è sparita non appena ha insinuato che io e River fossimo andati a letto insieme… evidentemente ignora che sono sua sorella. L’ho piantato lì sulla porta, con un libro in mano e il solito cappellino nero, e sono corsa in bagno da River, sentendo lo sguardo di Ville seguirmi lungo lo stretto corridoio.

Non so perché, ma mi sfugge un sorrisetto, che cerco di reprimere non appena vedo la testa sgocciolante di River fare capolino dalla porta del bagno.

-Alla buon’ora- dico, - c’è il tuo amico alla porta con un libro in mano.

Prima che possa chiedermi altre spiegazioni, mi precipito nella mia stanza chiudendo la porta e mi butto sul letto ancora sfatto.

Mio Dio, Ville è così bello, mi ritrovo a pensare. Quasi me ne vergogno. Ha quegli occhi così profondi, così puliti eppure pieni di malizia. Quel sorriso aperto e insinuante.

Affondo il viso sul cuscino cercando di non pensarci, ma ormai è fatta. E la cosa peggiore è che non ha più alcuna importanza se lui è uno sballato, un drogato o qualsiasi cosa, perché mi basta un suo sguardo per andare in tilt…

Li sento vociferare dall’altra stanza, chissà di cosa parlano…

Decido di cambiarmi, questa felpa che porto fa davvero pietà. Mi spazzolo i capelli e mi do una rapida occhiata nello specchio, già sapendo che come al solito non apprezzerò quello che vi vedrò riflesso. Ma non importa. Mi allaccio i jeans e raggiungo Ville e mio fratello.

-Rain, vieni con noi? Stiamo andando a fare un giro al negozio di CD- mi dice River.

Rimango un po’ perplessa, cosa diavolo fanno a fare due noti musicisti in un negozio di CD? In ogni caso, accetto mostrando fin troppo entusiasmo. Ville pare accorgersene e l’angolo della sua bocca si piega all’insù in quello che sembra decisamente un sorrisetto represso. Mi sento avvampare e non dico nulla, mentre m’infilo la giacca e li seguo fuori dalla porta.

 

“Siamo al negozio di CD più grande di Helsinki e ci diamo un’occhiata intorno. River si è già perso nella contemplazione… Rain, così si chiama la ragazza, è piuttosto silenziosa, squadra gli scaffali e i titoli dei CD senza troppo interesse, quando improvvisamente vedo il suo viso illuminarsi mentre si avvicina ad alcuni dischi in un angolo.”

 

Nonostante la presenza di Ville mi distragga alquanto, trovo dei CD di un gruppo che adoro e mi avvicino a guardare. Sto leggendo i titoli di alcune canzoni, quando sento un respiro tiepido carezzarmi la nuca.

-Non dirmi che ascolti queste schifezze- mi mormora Ville, sfiorandomi quasi l’orecchio con il naso.

Non so cosa rispondere, rimango immobile senza riuscire a formulare una frase nemmeno nella mia testa.

-Dai, vieni, ti faccio vedere io un po’ di buona musica.

Mi prende per il polso e mi tira in avanti, ma mi lascia subito dopo, probabilmente già sicuro che io lo seguirò. Ed è quello che faccio, logicamente.

Mi mostra CD di gruppi come Black Sabbath, Lemonheads, Metallica. Quando con il gomito mi sfiora il braccio sento come una scossa, è assurdo!

-Ehi, se ti va stasera faccio un salto da te e ti lascio qualche mio vecchio CD… hai bisogno di farti una cultura musicale, ragazzina- mi dice ad un tratto.

Deglutisco.

-Beh, se vuoi passare…- è tutto quello che riesco a dire.

 

No, non può essere. Proprio stasera, che Ville ha detto che verrà a farmi visita, mio fratello è impegnato col gruppo.

Non posso tollerare la situazione me e Ville soli in casa, sarebbe imbarazzante…

Ma a quanto pare sarà proprio così, a meno che io non decida di non aprirgli la porta… cosa che non credo sarò in grado di fare.

E’ incredibile quanto inizio ad agitarmi non appena il sole inizia a tramontare: provo un vestito sopra l’altro, non so cosa mettermi e mi sento un’idiota per questo tormentarmi con un problema così stupido. In fondo, deve solo venire a darmi dei CD.

Alla fine indosso una maglia nera aderente, consapevole che comunque, essendo piatta come una tavola, non mi renderà affatto attraente, e dei jeans di colore grigiastro a sigaretta. Mi spazzolo i capelli e cerco di spruzzarmi l’ultima goccia di profumo rimasta nel flacone, dopodichè mi siedo sul divano e cerco di guardare un po’ la televisione, fingendo di essere tranquilla e pacata.

La serata scorre lenta, lentissima, nella mia spasmodica attesa che il campanello della porta suoni di nuovo come questa mattina.

Ma lentamente si fa buio, scende la notte, fino a che intorno alle dieci, assonnata ed annoiata, non mi addormento sul divano come un sasso, di fronte alla TV che arde ormai inutilmente.

E logicamente vengo svegliata di soprassalto da un suono insistente e fastidioso. Ci metto un secondo a realizzare che è il campanello della porta, balzo giù dal divano e mi precipito ad aprire… e lui è lì davanti a me, con una bustina in mano.

Sorride timidamente.

-Scusa, ho fatto un po’ tardi.

Mi lascio sfuggire uno sbadiglio, accidenti a me, ovviamente si rende conto che fino ad un attimo fa dormivo. Devo avere i capelli in uno stato pietoso.

-Ma non dirmi che dormivi!- scoppia in una risata fragorosa. Un po’ offesa, abbasso lo sguardo e sbuffo senza dire nulla.

-Già, scusa ancora, è colpa mia. Questi sono i CD- dice, mollandomi la busta in mano.

Vedo che è rimasto sulla porta, e probabilmente sta per andarsene. Non credo di volere che se ne vada.

-Vuoi qualcosa? Un caffè…?- butto lì.

Lui mi squadra per un attimo, poi si stringe nelle spalle. –Vada per un caffè, grazie.

Mi segue in cucina, e cala un silenzio imbarazzato. Non so cosa dire, così gli do le spalle e inizio a preparare il caffè.

Dopo qualche secondo, sento che si alza e si avvicina a me con passi lenti. Trattengo il respiro.

Passa una mano sulla mia schiena, delicatamente, come una piuma, mi carezza i capelli.

Non so perché lo stia facendo. Il mio cuore accelera i suoi battiti.

-Hai un buon profumo- dice piano, avvicinando pericolosamente il volto al mio collo.

Mi sento avvampare, e quando lui posa le labbra nell’incavo della mia spalla vengo percorsa da un brivido. Mi volto di scatto. Lui solleva la testa e mi guarda.

-Cosa fai?- gli domando, cercando di non far tremare la mia voce.

-Quello che vuoi anche tu.

Si avvicina di nuovo e con delicatezza, quasi solo sfiorandomi, mi cinge i fianchi con le sue mani calde e affonda il volto tra i miei capelli. Resto immobile. Lo sento scendere, mi dà un casto bacio sul collo, e un altro, e un altro ancora. Lentamente sento la sua mano indugiare sul mio ventre, scendere fino all’orlo dei miei pantaloni, cercare di slacciare il bottone dei jeans.

Lo fermo.

-Per chi mi hai presa?- gli chiedo, evitando di guardarlo negli occhi.

-Per nessuno- risponde, allontanandosi un poco per studiare il mio volto. Poi si avvicina di nuovo. E lo respingo ancora.

-Ville, non sono come tu credi- dico.

-Cosa intendi?- si sta innervosendo.

-Non so neanche chi sei- sbotto, -non sono così facile, se è questo che pensi. Ma sicuramente lo pensi, visto come ti stai comportando…

Ville ora mi allontana con un gesto brusco.

-Lo vuoi anche tu, con tutto il tuo cuore- mormora, trafiggendomi con quegli occhi verdi, -e allora perché non farlo?

-Non sono una puttana!- sbotto, -e non vado con i drogati!

Mi pento subito di quello che ho detto. Almeno fino a che Ville non scoppia a ridere.

-E così credi che io sia un drogato.

Non rispondo.

-Come vuoi, me ne vado- borbotta. La cosa che mi distrugge è che non sembra neanche vagamente infastidito dal mio rifiuto.

Si dirige verso la porta d’ingresso, ma prima di uscire esita, si volta e dice: -Non avresti dovuto metterti in tiro, se non volevi che accadesse qualcosa.

Di nuovo quel sorriso beffardo.

-Ville, per me puoi andarti a fottere una qualsiasi prostituta che sia per strada.

Oddio, questa me la potevo risparmiare.

-Credo sarà quello che farò- ribatte. Il suo volto si è indurito. Esce di casa senza aggiungere altro.

 

“Sì, ok, ci ho provato e mi è andata male.

Ma non brucia tanto come credevo.

Lo so che anche lei lo vuole, lo so che prima o poi cederà.

Non l’ha fatto solo perché dice di non conoscermi, ma cosa importa conoscersi? Può esserci molto di più…

Sorridendo tra me mi allontano da casa sua, nel buio della notte, sotto le prime gocce di pioggia.”

 

E rimango qui, ferma, chiedendomi perché ora mi sento così.

Perché mi sento uno schifo. Perché ho questo groppo in gola.

Perché improvvisamente mi manca Ville. Con i suoi occhi, il suo odore, i suoi capelli.

Ne ho bisogno.

Finalmente realizzo che ho un disperato bisogno di lui.

E non importa di niente, delle conseguenze che ci saranno, di quello che accadrà dopo.

Esco di casa sotto la pioggia battente, corro lungo il marciapiede scivoloso, verso casa sua.

E quando arrivo, busso ripetutamente. Non apre nessuno, perché? Con gesto febbrile sbatto di nuovo le nocche sulla porta, ed ora, finalmente, apre.

Indossa la stessa maglietta nera dei Black Sabbath che aveva poco fa e dei jeans, è scalzo ed ha un bicchiere di cartone pieno di caffè in mano. Mi guarda senza parlare, una luce beffarda guizza per un attimo nei suoi occhi.

-Non dire niente- mormorò, guardandolo negli occhi, -lo so che sono una cretina.

Mi sporgo in avanti di scatto, gli getto le braccia al collo e cerco la sua bocca. Non importa che sono bagnata fino all’osso, non m’importa di avergli fatto rovesciare il caffè sul pavimento.

Ma non appena sfioro le sue labbra, mi respinge bruscamente.

Non me l’aspettavo, sento una delusione bruciante crescermi dentro, mi vergogno come una ladra. Sono una ragazzina.

-Scusa- sussurro, e mi volto per andarmene.

Ma improvvisamente mi afferra il polso e mi tira a sé.

Lo guardo negli occhi, sono così verdi e profondi, senza alcuna traccia di innocenza o inconsapevolezza. Sono occhi che sanno. Occhi che vedono, hanno visto, occhi senza illusioni o sogni scritti dentro.

Con l’altra mano chiude la porta, stringe il mio corpo bagnato al suo, caldo e asciutto. Sento il suo respiro invadermi il volto, il collo, la bocca, mentre lentamente serra le sue labbra sulle mie. Le punte delle nostre lingue si sfiorano, ancora ritrose, mentre sento le sue mani privarmi del giubbetto e carezzarmi la schiena attraverso la maglia bagnata.

Continuando a baciarmi, mi prende entrambe le mani e mi conduce in camera. L’unica luce è quella di un’abat-jour posata sul pavimento a fianco del letto.

Si stacca piano dalla mia bocca e scende piano sul collo, scaldando con piccoli baci la mia pelle infreddolita. Le sue mani corrono sulla mia maglia, la tira su fino a sfilarmela dalla testa, la posa a terra e mi carezza la schiena.

Sento il cuore che mi batte a mille, mentre vedo le mie mani che, come se non appartenessero a me, privano ville della sua maglietta nera. Affondo il viso nel suo petto, respiro il suo odore fresco. Mentre mi stringe forte a sé, sfioro con le labbra il suo torace, scendo lentamente, percependo gli addominali sotto la pelle.

Arrivo all’orlo dei jeans, alzo lo sguardo e incontro i suoi occhi. Non diciamo nulla. Con un sospiro, alza il volto al cielo chiudendo gli occhi, mentre gli sbottono i pantaloni e faccio scorrere la cerniera.

Geme.

Sento il suo sapore sulla punta di lingua, mi nutro di lui, sono lui.

All’improvvisa mi tira su quasi con violenza, mi porta contro il muro freddo e mi bacia, mi bacia. Come se volesse svuotarmi, come se volesse essere lui l’unica cosa che mi riempie.

Le sue mani ora scorrono su di me, scendiamo lentamente.

La nostra è una danza silenziosa, perversa, lussuriosa.

E’ come se non fossi io, mentre lo vedo sfilarmi gli ultimi indumenti che indosso, mentre mi vedo fare lo stesso a lui.

E poi, sospiri.

E’ dentro di me, io sono lui e lui è me, siamo un’unica cosa. Lui spinge con forza, sino a diventare doloroso, ed è deliziosamente straziante questo tormentato essere sua…

 

“Sono come un animale, mentre la sovrasto lì, sul pavimento gelato.

Lei, piccola e fragile farfalla, io, lupo. E’ mia, e nella mia testa c’è lei, lei soltanto.

Vorrei essere più delicato, vorrei non farle male, ma non riesco a fermarmi, i suoi piccoli gemiti che vanno crescendo sono la musica di cui mi sto nutrendo e di cui non posso fare a meno…”

 

Mattino.

Ieri notte ho pregato che il sole non sorgesse mai.

E invece ora è lì che sorge.

Ieri notte ho osservato Ville dormire, il lento e regolare movimento del suo petto mentre respirava, l’espressione finalmente serena, perso in chissà quale mondo, quale sogno.

Ed ora è mattino. E’ tutto finito?

 

“Mattino.

Ancora ad occhi chiusi, sento il suo profumo.

Ma quando li apro, non è lì accanto a me. Il suo profumo è ovunque, leggero e inebriante, una piccola firma che ha lasciato.

Ma lei non c’è.

Se n’è andata.

Mi alzo lentamente, sospiro ripensando a ieri notte. A come mi sono improvvisamente svegliato, a come l’ho osservata dormire. Alle sue ciglia nere e lunghe, alle labbra appena aperte nel sonno.

La cerco.”

 

Sono sul treno che mi riporterà a casa.

Helsinki non faceva per me.

Troppo frenetica, troppo surreale… troppo.

Osservo quello che sto abbandonando volare via dietro il finestrino. Case, strade, ed ora alberi, colline, il cielo grigio che sovrasta.

River c’è rimasto un po’ male. Avrebbe voluto che rimanessi un po’ di più, che mi ambientassi. Forse crede che sia colpa sua.

Sorrido tra me.

River non sa che la sua sorellina è stata con Ville.

Ville.

Chissà dove sei. Forse a casa tua, forse ti stai svegliando ora. Forse mi stai cercando, forse non ricordi nulla di ieri.

Ville.

Me ne sono andata perché non posso permetterti, Ville, di rapire così il mio cuore. Non posso permetterti di essere il mio unico pensiero. Di essere tu il mio mondo.

Voglio vivere, Ville.

E so che se ti guardassi ancora non ce la farei più a farlo.

 

“River me l’ha detto, se n’è andata.

Non ha lasciato nulla di suo qui.

Con sé ha portato via tutto.

Anche ciò che restava del mio cuore.”

 

  
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