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Autore: ShanHoward    13/12/2013    4 recensioni
Ero riuscita finalmente a vederli dal vivo, avevo scritto su un calendario quanto mancasse giorno per giorno; li avevo sognati quasi tutte le notti…ma nulla di tutto quello che avevo pensato e sognato era minimamente paragonabile a quella serata.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedico questa one-shot alla mia Rockstar e al suo Live Manager =) Torno con una breve one-shot che per me significa molto...speri vi piaccia, e se si, lasciate un commento...Buona lettura =) 
 

You are my Muse…

 


Sarebbe sciocco e banale dirvi che questa è la storia della mia vita. Sarebbe altrettanto sciocco, dirvi che è bastata una manciata di minuti per cambiare molte cose.
Voglio condividere con chiunque abbia voglia di leggere, o semplicemente dare uno sguardo per poi andarsene, una parte di me stessa che mi caratterizza fortemente. Vorrei  che chi leggesse questa storia, capisca appieno che cosa vuol dire per una persona, essere totalmente dipendente dalla musica; provare quel senso di leggerezza e soddisfazione quando una giornata va storta o si è solo felici e le melodie ti aiutano ad esserlo ancora di più; quanto possa essere gratificante ascoltare quel qualcosa che in qualche modo sembra scritto apposta per te; quanto quelle semplici strofe accompagnino ogni momento vissuto. Positivo o negativo che sia.


Ecco, la mia vita è caratterizzata proprio da questo…


Quando sono triste, persa, felice, ispirata o semplicemente ho bisogno di sfogare in qualche maniera le mie emozioni, io scelgo la musica. In tutte le sue sfaccettature.
Ascolto di tutto, principalmente rock, ma se anche la più strana delle canzoni contenesse una semplice frase che valga la pena di essere ricordata, io la ascolto…e qualche volta la scrivo da qualche parte.
Insomma, convivo con la musica quasi come in una storia d’amore.


E proprio di questo voglio parlarvi, di una storia d’amore. Ma non il classico amore; si tratta di un amore  platonico; un amore che supera i confini di ogni essenza; un amore fatto di sensazioni ed emozioni pure e fuori dall’ordinario.
Come ogni storia d’amore dovrebbe essere…e la mia, dura da ben otto anni.

Ma prima, bisogna fare un passo indietro…





Era il 2005, ed il mondo della musica non smetteva mai di sorprendermi.
I The Killers ironizzavano sull’amore con “Somebody told me”; i Linkin Park proponevano un’elettrizzante “Numb/Encore” ed i Green Day spopolavano con “Wake me up when September ends”.
La Tv che incassava soldi a palate proponendo canali solo ed esclusivamente di generi musicali, aveva preso il sopravvento in casa mia. Non facevo altro che starmene lì davanti dopo la scuola, ad imparare ed assimilare come una spugna, quanti più testi mi era possibile. Lo facevo in ogni momento libero che avevo.


Poi, un giorno, indaffarata a terminare un progetto scolastico, una melodia molto leggera arrivò alle mie orecchie, seguita da una voce altrettanto leggera.
Una chitarra acustica introdusse quello che piano piano, con l’aggiungersi lento e costante di basso e batteria, creò quella melodia che rimase impressa da quel giorno nella mia mente. Non curandomi di sapere nemmeno il titolo, lasciai che il video scorresse sullo schermo e che la canzone terminasse, portando via con sé tutta la magia.


Nei giorni a seguire, non feci altro che canticchiare quella melodia di cui non conoscevo assolutamente  nulla, se non che non avevo smesso di pensarci nemmeno per un secondo. Chiedevo a chiunque dei miei amici se riconoscessero vagamente la melodia che tentavo di riprodurre; restando delusa ogni volta che qualcuno mi rispondeva negativamente.

Avrei potuto semplicemente accomodarmi davanti la Tv ed attendere finché non l’avessi riconosciuta.
E lo feci…per ben tre giorni.
Ma chiedendo a mia madre, rispose che ricordava che su quel canale, proprio quel giorno, stavano dando vecchi singoli di qualche anno. Così, triste e rassegnata, lasciai perdere.


I giorni trascorrevano, e con una sorta di tristezza nel cuore, purtroppo dimenticai a poco a poco la canzone, ma ogni giorno tentavo comunque di ritrovarla, da qualche parte, in un angoletto della mia memoria.
Ero quasi sull’orlo della disperazione, se volevo trovarla su internet dovevo avere almeno un briciolo di parola o altro a cui aggrapparmi, ma nulla…

Non sapevo chi fosse a cantarla, non ricordavo nessun genere di parola se non una melodia biascicata e a mio avviso anche male. Disperate ricerche giorno e notte. Di giorno, esortavo i miei amici ad aiutarmi in qualche modo;  di notte, spesso restavo sveglia cercando di canticchiare qualcosa che potesse somigliargli anche solo vagamente.



In quel periodo della mia vita, ero circondata da persone che avevano in mente solo ed esclusivamente discoteche, party, vestirsi in una certa maniera, comportarsi in un certo modo.
Svariate volte sono stata allontanata o derisa oppure marchiata come “quella fuori dall’ordinario”.

Sia chiaro, non mi è mai importato nulla, ne sono sempre uscita con un’alzata di spalle ed un sorriso, mentre pensavo a che razza di persone limitate frequentassi.
Perciò, capirete il mio disappunto nel non riversare troppe speranze nella ricerca di quella canzone, in base alle loro conoscenze.
Cercai comunque di non arrendermi, tentando in ogni modo di riportare alla memoria anche un solo insignificante dettaglio.
Finii per arrovellarmi il cervello per un’altra settimana, disperandomi all’ennesima potenza, arrivando a piangere anche di notte per la rabbia ed il nervosismo.


Durante il giorno andavo a scuola; il pomeriggio studiavo o passavo del tempo con gli amici e la sera ero molto spesso stanca.
Un pomeriggio, riuscii addirittura ad addormentarmi sul divano del salotto, circondata dai libri, con una penna in mano ed un canale di musica a caso che sputava video su video senza sosta.
Ricordo di essermi riscossa all’improvviso, rendendomi conto di essermi addormentata. Raggruppai tutti i miei e quaderni ed andai a riporli in camera. Dopodiché andai in cucina per prendere un bicchiere d’acqua, per poi tornare a sedermi sul divano. Dopo qualche minuto, afferrai il telecomando, con tutte le intenzioni di cambiare canale, ma resistetti sperando che il video successivo fosse uno di quelli che vedevo quasi tutti i giorni.


Un’immagine sfocata di un’auto apparve sullo schermo, il lento ritmo iniziale mi fece quasi premere il tasto del telecomando , ma qualcosa mi disse di attendere.


Un cielo grigio, alberi di un nero pece…


E poi, un tuffo al cuore. Un moto di tenerezza verso le immagini del video che scorrevano, rivelando la fine di ogni notte insonne; ogni lacrima versata; ogni risposta negativa ricevuta.
Un esile corpicino avvolto in una striminzita camicetta gialla, cantava di un amore involontario ed inaspettato, con quella sua voce leggera e lo sguardo perso nel vuoto…una mano fra i capelli.
Poi, un altro ragazzo col volto da ragazzino, suonava imbracciando una sorta di basso, anche lui con sguardo perso. La canzone divenne l’essenza della perfezione, solo quando l’ennesimo corpicino mingherlino si faceva strada in una stanza con un paio di drumsticks in mano, ed un viso angelico.
Fu così, che nel più totale gesto involontario, iniziai a piangere silenziosamente, sotto quegli occhi azzurri e verdi.


Era lei!!! La tanto bramata canzone che mi aveva sconvolto la vita.


Ma altrettanto sconvolgente, fu la rapidità con la quale, capii che da lì non sarei più tornata indietro.
Una manciata di minuti e tutto cambia.
Una manciata di secondi e niente è più come prima.
Fu così, che quasi senza accorgermene, mi innamorai di “Unintended”.


Cercai ogni tipo di informazione che li riguardasse.
“Muse” si facevano chiamare, tre ragazzi del Devon, cresciuti a suon di pianoforte, corde pizzicate e batterie devastate. Camicia gialla, bianca e nera, divennero Matthew Bellamy, Chris Wolstenholme e Dominic Howard.
Tre semplici ragazzi che stavano rincorrendo  il loro sogno inconsapevoli del fatto che da quel giorno, avrebbero assunto un ruolo importante nella mia vita.


Me ne andavo in giro anno dopo anno con quelle cuffie nelle orecchie, imparando testi su testi a memoria che divennero momenti di condivisione con tutto quello che mi accadeva. Non si trattava solo di parole buttate qua e là su degli accordi; erano sensazioni e momenti in cui mi rispecchiavo; si trattava dell’esatta descrizione di tutte le esperienze che mi accadevano. Come se fossero sempre e costantemente al corrente di ciò che stessi affrontando; come se i testi di alcune canzoni fossero state scritte per me come una sorta di valvola di sfogo. E non potevo che essere grata di un sostegno così importante. Bastava premere un tasto e tutto prendeva forma.


Showbiz, quando mi rendevo conto di aver sopportato troppe cose e troppo a lungo.
Plug in baby, quando avevo bisogno di urlare tutto ciò che avevo dentro.
Starlight, quando avevo bisogno di sognare, e così via  per ogni singola traccia prodotta, lasciando che mi innamorassi di loro nella maniera più  assoluta. I loro occhi , le loro facce buffe e la loro maestria;  le interviste divertenti e le gaffe sul palco; il loro spirito da eterni Peter Pan e le più svariate tonalità di tinte per capelli nel corso degli anni.
Anni in cui terminarono amori ed amicizie…e per mia fortuna ne iniziarono ben altri, di tutt’altro genere.



 
Ci vollero ben otto anni, prima di riuscire a vederli dal vivo; otto fottutissimi anni a seguire concerti in streaming e video gentilmente offerti da coloro che li riprendevano con un cellulare.
Ed eccomi qui, ad oggi, a raccontarvi di quella data che porterò sempre nel cuore. Quell’evento che attendevo, come altri insieme a me, da un’eternità: Stadio Olimpico di Roma, 6 Luglio 2013.



Ebbi la certezza di non aver immaginato nulla, solo nel momento in cui toccai con mano quel biglietto verso la dannazione eterna. Non riuscivo a capacitarmi della potenza e dell’adrenalina che una misera striscia di carta gialla, potesse sprigionare. In quel piccolo foglio, c’era l’occasione di poter finalmente realizzare uno dei miei sogni. Acquistai il biglietto insieme ai miei amici non appena furono resi disponibili. E fra migliaia e migliaia di persone, ci riuscimmo.
Sarei dovuta essere al settimo cielo, e invece da lì iniziarono mesi e mesi di ansie giornaliere, ripasso di ogni testo possibile ed immaginabile, memorizzazione delle scalette nelle altre città, conto alla rovescia altamente interminabile, tanto da portarci quasi tutti sull’orlo di una crisi di nervi.
Quando mancava solo un giorno, il panico dilagò; ed il mattino dopo ero fuori di me!!!



Arrivammo all’esterno dello Stadio verso le 7.30 del mattino: in nove, con gli zainetti in spalla, il cuore palpitante ed una voglia irrefrenabile di varcare quei cancelli.
Seduti a terra in mezzo ad una folla infinita, non ci restava altro che aspettare e aspettare e aspettare sotto il sole cocente. Svariate ore dopo, ci trovavamo nel primo settore con biglietti in mano e magliette indossate.
Perlomeno io, che finalmente potei sfoggiare la mia T-shirt gialla con su scritto “I <3 Dominic Howard”. Povera scapestrata direte voi. Ma non dipende da me…ho solo perso un po’ la testa per quel batterista da strapazzo; come anche per gli altri due.  


Non feci nemmeno in tempo a sistemare  la T-shirt che partì subito la corsa contro il tempo per accaparrarsi i posti migliori; e dopo esserci persi di vista ed aver spezzato il gruppo a metà; con il fiato grosso ed un’immensa tachicardia, riuscimmo a raggiungere  rispettivamente  la postazione di Bellamy in seconda o terza fila e la fatidica passerella. Eravamo distanti ma tutti uniti e frementi per lo stesso sogno che diventava realtà.


Eravamo elettrizzati a più non posso mentre sul palco i tecnici stavano sistemando tutto al meglio, prima dell’ingresso dei gruppi spalla. Andava tutto alla perfezione. Eravamo dentro, praticamente di fronte a dove di lì a qualche ora si sarebbe posizionato Matthew Bellamy. Ma come tutti i momenti importati che si rispettino, deve esserci sempre quel piccolo particolare semi negativo che ti spinge a dire “Dopotutto è solo un piccolo inconveniente, poteva andare peggio, ma sono qui”.
E quel piccolo dettaglio altri non era che un tremendo temporale che ci colpì quasi dal nulla. Ogni persona presente in quel momento cercava un misero strumento per proteggersi dall’enorme quantità d’acqua che gli si stava riversando addosso. Noi eravamo in sei, sotto un misero ombrellino, stretti il più possibile, con l’acqua che colava in ogni dove. In pochi secondi eravamo completamente fradici, dalla testa fino ai piedi, con i vestiti appiccicati addosso.
Una pioggia salata che lasciò piccoli granelli di sabbia sui miei polpacci.


Avevamo un gran sonno; eravamo esausti per le svariate ore sotto il sole; ancora intontiti dall’acqua che avevamo preso. Ma mettemmo tutto da parte, perchè la migliore serata della nostra vita stava per iniziare.
Dopo aver ascoltato, sostenuto e cantato insieme ai We are the Ocean ed agli Arcane Roots, non ci rimaneva altro da fare che prendere un respiro profondo e prepararsi per il finimondo. Lo stadio era stracolmo di persone e dalle tribune erano tutti eccitati mentre improvvisavano una ola.
Tutti con in mano macchine fotografiche, cellulari e videocamere, mentre lo Stadio calava lentamente nell’ombra ed una voce annunciava che i Muse avevano scelto il concerto di Roma per la registrazione di un dvd.
E fu allora che lo Stadio Olimpico rimase letteralmente spiazzato da quelle parole.


Dopodiché, il buio più totale…


All’improvviso, tre teleschermi posti rispettivamente al centro, a destra ed a sinistra del palco, proiettarono l’immagine di tre televisori tormentati dalle interferenze, per poi visualizzare un occhio azzurro, seguito poi da quello che sarebbe diventato l’apertura del concerto.
Tutto lo Stadio brillava di una potente luce rossa, e nel momento in cui il video portò tutti noi  ad urlare la parola “Unsustainable”, una breve, seppure immensa fiammata, partì dalla fine della passerella, aprendo definitivamente le porte dell’inferno e lasciando che Matt, Dom e Chris ci conducessero verso il punto di non ritorno. Ancora qualche secondo ed eccoli apparire tutti e tre, ognuno nella propria postazione. Eccola lì la mia fonte di felicità.
Quei tre mostri del rock a qualche metro da me, ed io ancora non riuscivo a rendermene pienamente conto…
Matt indossava la classica giacca bianca a strisce nere e pantaloni meticolosamente rossi come la sua glitterati; Chris totalmente in nero con le sue immancabili Converse e Dom, nonostante facesse un caldo bestiale, indossava pantaloni di pelle e la sua inseparabile T-shirt squamata.



La prescelta che diede inizio alle danze fu “Supremacy”. La grancassa di Dom che dava il tempo, iniziò ad echeggiare nelle nostre orecchie. E quando Matt e Chris si avvicinarono verso la batteria, un’enorme ondata di calore ci travolse, quando realizzando che sul punto più alto dell’intero impianto scenografico, erano stati montati quei sei favolosi lanciafiamme che avevamo visto in altri concerti in streaming. Non appena Matt afferrò il microfono calò il silenzio che poco a poco diventò un unico urlo al momento del “Your Supremacy”.
Tra assoli e passeggiate avanti e indietro, la prima canzone andò via.
E la mia consapevolezza della realtà arrivò solamente quando sentii Matt esordire con “Buonasera Roooma” .

E tutto divenne fottutamente perfetto...



“Dance like the Papa”, fu l’introduzione verso la canzone a cui nessuno si sarebbe astenuto dal ballare. Quella base trascinante che chiedeva solo di essere canticchiata, corrispondeva al nome di “Panic Station”.
E mentre un’immagine cartonizzata con le figure del Papa e vari presidenti riempivano la scenografia sui maxi schermi, Bellamy ed il suo sorriso imperfetto ringraziavano la folla.



Un veloce cambio di basso e chitarra, ed ecco Bellamy scendere le scalette per poi prendere a correre come un forsennato, distorcendo il suono della sua chitarra nera, mentre io ed i miei amici avevamo già compreso quale sarebbe stato il prossimo capolavoro. Affrontato l’intro, tornò a posizionarsi dietro il microfono per dare voce all’inestimabile “Plug in Baby”.
Uno spettacolo unico, da poter essere gustato al meglio anche grazie ai maxi schermi. E poi, dopo la seconda strofa, migliaia di persone andarono in delirio quando Bellamy, portando una mano all’orecchio, ci incitò a cantare; e credetemi fu una sensazione a dir poco indescrivibile.
Urla a più non posso, gole secche per il troppo sforzarsi, bottiglie d’acqua che giravano da persona a persona, luci ad intermittenza ovunque, e dei Muse coordinatissimi sulle note finali, nell’attimo in cui Bellamy indicò la telecamera.



Da lì in poi, negli attimi di silenzio che precedettero il brano successivo, mi resi conto che nessuno aveva la vaga idea di cosa stessero per suonare.
Voci che pregavano per “Bliss”, altre per “Sunburn”, altri ancora più estremisti volevano “Citizen Erased”. 
Io, Alessandro e Niccolò ci guardavamo in faccia, più dubbiosi che mai.


“E se facessero Map of the Problematique?”  disse all’improvviso Alessandro
“Magari” risposi io “ma non accadrà mai” conclusi un po’ delusa.


Ancora qualche secondo per prolungare l’apnea, quando Matt imbracciò di nuovo la chitarra. Le bacchette di Dom diedero il tempo per l’attacco.
Bastò una nota sola per riconoscere quella dannata canzone, prima di voltarmi indietro verso Alessandro ed urlargli con un sorriso un sonoro “Fottuto Bastardo!!!”.


E “Map of the Problematique”, impregnò l’aria di urla e battiti di mani che accompagnavano l’intro.
“I can’t get it right, since I lost you…” Matt ed i suoi testi modificati all’occorrenza.

Ma andava più che bene. Per me poteva anche sedersi a terra ed annunciare che il concerto era finito. Se non fosse che decise di concludere con una nota infinita subito seguita da qualche puro secondo di omaggio ad “Heartbreakers” dei Led Zeppelin.




Lentamente, Matt sparì dalla mia vista, riuscendo poi a visualizzarlo dal maxi schermo, mentre Chris lo raggiungeva sulla passerella in maniera pacata, pizzicando le corde del suo basso verde petrolio.
E mentre lo schermo di fronte a me proiettava le mani di Morgan che premevano sui tasti, Bells incitò “Let me hear you scream”, intanto che noi accompagnavamo con un coro “Resistance”.
Riuscii a vedere ben poco dallo schermo, ma mi accontentai di vedere a rotazione, fotogrammi del pubblico e del mio adorato Dom, ultra concentrato. 
Nel finale furono le dita veloci di Bellamy ad occupare il maxi schermo, suscitando in me forti emozioni.
Avrei sfidato qualunque Muser a tentare di affermare di non essersi innamorato della sue mani almeno una volta nella propria vita...



Altro cambio di strumenti, ed “Animals” prese forma lentamente.
Un uomo potente e materialista occupava il video dello schermo posto alle spalle di Dom. Fin quando, dalla parte in cui suonava Chris, l’uomo prese vita, passeggiando e gettando banconote di tanto in tanto.
Poi, una volta raggiunto il centro della passerella, l’intero Stadio si riempì di miliardi di banconote sparate dalle varie postazioni in mezzo al prato.
Muso erano chiamate, e riportavano quasi in maniera veritiera i loro volti. Dopodiché, l’uomo si accasciò a terra, nel più che comprensibile messaggio che i soldi, a volte, distruggono le persone.



Immediatamente dopo, Chris attraversò la passerella per dare vita all’intro di quella canzone definita come LA canzone per eccellenza. 
Mentre la scena era occupata da Chris che sognava con la sua armonica, dal lato sinistro del palco, dove eravamo noi semplicemente Matt, di dilettava a far fare girotondo al suo amplificatore.
Poi, Dom con il suo ritmo, ci portò tutti indietro nel Far West, ed un’esplosione di fuoco fece urlare i presenti che attendevano con ansia niente di meno che “Knights of Cydonia”. La canzone che dava una carica eccezionale, se solo ad un certo punto non iniziavo a pensare a quanto sforzo e sovrumana determinazione, ci mettesse quel biondino. Non riuscivo a non provare un moto di tenerezza ogni volta che vedevo il suo viso bramare la nota finale per il dolore alle braccia.



Terminata la canzone, sul palco rimasero solo Dom e Chris, che diedero vita alla base trascinante di “Dracula Mountain”, prima che Bellamy si sedesse ad un piccolo pianoforte posizionato alla fine della passerella.
Lo stadio calò in una nuova atmosfera piena di luci di cellulari ed accendini.
Nessuno che non cantasse, anche chi la magia di “Explorers” non l’aveva ancora conosciuta o sperimentata. Sognavamo tutti ad occhi aperti, sotto la tenue luce viola, ed il fascio di luce bianca puntato su Matt. Concluse il momento magico con un semplice “Grazie” ed un inchino.



Nemmeno il tempo di prendere la chitarra che un favoloso intro creò l’atmosfera giusta per far scoppiare cuori e cervelli al suono di Chris che introduceva “Hysteria”.
E tra gli assoli più belli del mondo, Matt ci regalò la sua figura inginocchiata a terra e le sopracciglia aggrottate nella più totale estasi.
Poi, si allontanò dalla passerella, lasciando spazio ad un nuovo momento per Chris e Dom, questa volta con la mia favorita: la “Monty Jam”. 

Lenta ed abbastanza tranquilla, ma che mi faceva sorridere ogni volta che la ascoltavo, per non so quale motivo.
Si divertivano da morire; era un momento importante, nel quale ogni volta, ci tenevano a ribadire che i Muse non erano solo Matthew Bellamy; ma c’erano anche Chris Wolstenholme e Dominic Howard. L’accoppiata basso-batteria che faceva tremare il mondo intero...



Il turno di Matt tornò di lì a poco.
Si sedette nuovamente sullo sgabello del pianoforte, questa volta su quello posizionato di fronte a noi.


“Come state stasera???”


Lui e quella sua R moscia mi mandavano in visibilio.
Urlavo ogni volta che lo sentivo rivolgerci qualunque affermazione.
Qualche breve nota, e “Feeling Good” fece alzare l’ennesimo urlo di massa per poi finire in un testo cantato all’unisono con Bellamy.
Una ragazza con uno chignon ed un tailleur, sbraitava al telefono fungendo da coreografia, mentre percorreva la passerella , prima di fermarsi nei pressi di una pompa di benzina e trasformare l’atto in qualcosa di palesemente spinto. 
Tutti quelli intorno a me la guardavano affascinati, mentre io combattevo contro la fatica di tenermi in punta di piedi per guardare Matt suonare.



Ricordo perfettamente che terminata Feeling Good, mi distrassi un secondo per strizzare la mia T-shirt ancora zuppa d’acqua. Non mi resi conto nemmeno che la canzone fosse effettivamente terminata.


“La prossima canzone è per mio figlio!!!”


Alzai la testa improvvisamente come ipnotizzata ed urlai “Bingham!!!”.

Talmente presa dalla smania, che credo che il ragazzo alla mia destra abbia perso definitivamente l’uso dell’udito.
Niente di più bello che vedere Matt percorrere la passerella, mentre cantava con profonda devozione, quella magnifica canzone scritta per quell’ometto che non fa che somigliargli sempre di più.
Cantavano tutti estremamente emozionati, urlando poi a squarciagola quando arrivati al ritornello, ed in contemporanea con la parola “Follow Me”, nuvole di fumo bianco furono sparate dal palco riconfermando che loro erano semplicemente i migliori.



Di seguito, il basso di Chris anticipò l’apocalisse che stava per scatenarsi con “Liquid State”. Non facevamo altro che saltare di continuo, mentre Dom e Matt facevano da sfondo.


“Warm my heart tonight”.


Sarà stata anche concepita come un brano molto personale, ma quella canzone stava veramente riscaldando i cuori di tutti i presenti.
O perlomeno, il mio stava bruciando.



Poi arrivò il turno di “Madness”, e via con i famosi occhialetti di Matt. Tutti noi che lo accompagnavamo cantando mentre il suo viso veniva proiettato sugli schermi.

“And i have finally realised, what you fucking mean” 


Dopodiché, altra passeggiata sulla passerella, prima di ucciderci con quell’assolo ultra terreno che quella canzone riusciva a contenere.
Il culmine degli urli arrivò quando tutti i presenti urlammo “I need your love”.



Erano capaci di riempire ogni singolo istante di quella favolosa serata.
Qualche accordo sparso qua e là, ci trascinò a cantare qualche parola di un’altra perla della musica “House of the rising sun”.
Una frazione di secondo dopo, Dom diede il tempo con le drumsticks, ed una delle mie canzoni preferite echeggiò dagli amplificatori.
“Time is running out” dava la carica giusta per ogni evenienza.


“Bury it…Come on Roma!!!” 


Come si poteva non dargli retta? Ci lasciò cantare il pezzo mentre lui restava in religioso silenzio. Sprizzavo gioia da tutti i pori mentre saltavo e cantavo abbracciata al povero tizio a cui ho spaccato il timpano. Io che sentivo la gola raschiare per lo sforzo…


“Eddaje Roma”.


Giuro che dopo questa affermazione risi come una deficiente.



Dopo un breve  assenteismo di qualche secondo, la chitarra di Matt tornò a richiamare la nostra attenzione; e con la specifica nota che distrugge i timpani ma ti fa vibrare l’anima, ecco che il panico tornò a dilagare quando si fa viva “Stockholm Syndrome” .
Uno svariato numero di mini televisori che componevano le figure dei tre membri dei Muse, risultavano sulla parete dei maxi schermi. La cantai, come tutte le altre, dalla prima all’ultima parola, faticando a respirare quando la telecamera puntò la figura di Dom che si sbracciava durante l’esecuzione; Matt che cantava con la fronte corrugata e Chris che gli faceva da coro di sottofondo.



Si passò dal panico, al momento che attendevo da otto anni.
Molto lentamente vidi Matt e Chris raggiungere la passerella, facendomi sobbalzare quando mi resi conto che Chris aveva abbandonato il suo fedele basso per imbracciare una chitarra. Calò un breve silenzio, che mi riportò alla realtà, quando Matt urlò


“Sing Roma…Let me see you mobile phones”


Tutto scese in una dolce atmosfera, dove anche il più silenzioso o il più affannato dei respiri, contribuiva a rendere perfetto tutto ciò che di perfetto c’era già.
Le luci si abbassarono;  gli schermi dei cellulari illuminati; io strinsi le dita intorno alla collana che portavo al collo e tentai con tutta me stessa di non piangere.


“You, could be my Unintended…”


Un tuffo al cuore che rimbombò nel mio petto; una morsa allo stomaco che mi impediva di respirare; il cuore a 15 milioni di battiti al secondo; le lacrime trattenute a stento. Da che iniziai ad ascoltarli, avevo pregato con tutta l’anima affinché, quando fossi riuscita a vederli dal vivo, suonassero  “Unintended”.
A quanto pare le mie preghiere furono ascoltate; e non c’era cosa migliore che cantarla insieme a lui chiudendo gli occhi di tanto in tanto e isolandomi da tutto il mondo.



Tornarono poi di nuovo carichi, mentre Dom introduceva la meravigliosa “Guiding Light”. Purtroppo dovetti di nuovo accontentarmi dello schermo. Dalla folla iniziarono a volare palloncini di tutti i colori che venivano lanciati in ogni dove per il solo gusto di creare un bell’effetto.
Nello scorrere della canzone, un’enorme lampadina pilotata da fili, sorvolò l’intero prato dello stadio. E nel momento epico dell’assolo, dalla lampadina fuoriuscì una ballerina, ed una montagna di striscioline di carta bianca, furono sparati per l’ennesima volta sul pubblico creando un momento a dir poco ipnotizzante.



Terminato anche quel brano, semplicemente Bells si sdraiò a terra iniziando a cantare la sua “Blackout”. La ballerina continuava a volteggiare nell’aria creando infinite capriole e piroette varie, mentre veniva trasportata da una parte all’altra. Fin quando venne avvicinata a tal punto da stringere per un paio di secondi la mano di Matt, prima di tornare a volare verso l’alto. Una scena veramente stupenda.



“Come va ragazzi?” urlò al microfono mentre la gente si sbracciava solo per attirare la sua attenzione. 
E così, sulle prime note di “Undisclosed Desires”, con molta nonchalance, scese dal palco ed iniziò a passeggiare stringendo e sfiorando le mani di coloro che si trovavano sul lato destro del palco.
Dopodiché, sparì sotto di esso, ed il cameraman lo riprese mentre in ginocchio pregava di fronte due bare contenenti la ragazza di Feeling Good e l’uomo presente in Animals. Uscì dall’altro lato e tornò a stringere altre mani, ed afferrando la bandiera dei ragazzi davanti a me.

“Viva l’Italia!!!” proruppe prima di terminare il brano e sparire nuovamente, mentre fra il pubblico si lanciavano addosso acqua a non finire.



Dal lato destro del palco, dopo circa un minuto, sentii degli urli immensi. E quando il concerto riprese, ecco che sul palco apparve Charles; segno più che evidente che la prossima canzone sarebbe stata “Unsustainable”.

Mentre lui faceva il protagonista muovendosi da sinistra a destra e viceversa, i Muse erano a dir poco mostruosi. Si dimenavano così energicamente che per un attimo temetti che il palco sarebbe crollato.
E a rendere il tutto estremamente euforico, nuove ondate di calore sparate da quegli immensi lanciafiamme, e le orecchie di Charles che sputavano fumo.



Un battito di ciglia, e “Supermassive Black Hole” provocò il miliardesimo urlo. Poi Bellamy iniziò a mostrare il suo egocentrismo suonando la chitarra poggiata sulla sua testa e spostandosi con quella sua camminata inimitabile.
Non serve a nulla dirvi che lo stadio inneggiava urli che ripetevano “Supermassive Black Hole” insieme a Chris...



Ennesimo cambio di chitarra, e Matt si sedette nuovamente al pianoforte per iniziare “Survival” ,mentre Dom e Chris incitavano a tenere il tempo tutti insieme. Il resto dilagò nel corso dello scorrere del brano: fumo, lanciafiamme, urla e assoli da togliere il fiato con quella maledetta chitarra a 7 corde.
Rischiai l’infarto, quando, tornando a guardare sul palco dopo aver tentato di vere Bells sulla passerella, mi accorsi che difronte a noi in perfetta posizione davanti i miei occhi, troneggiava quella montagna umana di Chris.
E di riflesso non potei che arrossire.
Sfoggiava il suo basso con i led rossi, e terminato il brano, sparirono dietro il palco.



Ma come ogni live dei Muse che si rispetti, la fine non era ancora arrivata. Infatti, dagli schermi partì il video di “Isolated System”, creando l’atmosfera adatta per riprendere un po’ di respiro.
La spider cam sorvolava lo stadio riprendendo ogni cosa, ma ero fremente di attesa da non riuscire a scrollare gli occhi dal palco. E poi, finalmente, il mio biondino e la sua tutina rossa vennero illuminati per concludere il brano.



Tornati poi gli altri due, partirono al contrattacco dando libero sfogo ad “Uprising”. Avevano fatto un piccolo cambio d’abito anche loro. Per Matt giacca rossa e pantaloni neri. Per Chris giacca nera e rossa. Mentre noi battevamo le mani a tempo, sullo sfondo innumerevoli doppioni di ognuno di loro, suonava rigorosamente il rispettivo strumento.


“They will not con-fucking-trol us…We will be victorious”


E ovviamente non poteva mancare il momento di estasi, nel quale Matt iniziò a violentare letteralmente l’amplificatore, fino a che riuscì a gettarlo a terra.
“Grazie mille Roma!”.

Di seguito prese il microfono e disse “You guys are Amazing!!!” .


“Put your hands in the air…”, continuò poco dopo, un attimo prima che partisse “Starlight”.
Lentamente scese le scalette e con estrema disinvoltura percorse la passerella socchiudendo gli occhi e preparandosi a quel momento di incantevole bellezza. Seguendo il suo rituale, richiamò l’attenzione della telecamera per puntarla sul pubblico delirante, che in un coro fuori dal mondo cantò 


“Our hopes and expectations, black holes and revelations”


Si saltava, si cantava, si urlava…ed io mi godevo il tutto dallo schermo, con gli occhi che brillavano. Dom e Chris raggiunsero Matt che per l’ennesima volta gridava “Grazie mille Roma”.

“Vi amo Roma!”, continuava mentre Dom scattava foto con il cellulare. Risalirono sul palco e…


“We love you…Viva l’Italia!!!” poi, fecero un inchino e sparirono tutti e tre.




Un enorme vociare prese il sopravvento.
Le luci dello stadio si riaccesero per invitare i presenti ad uscire. Era volato tutto nell’arco di un secondo. Uscimmo lentamente dalla struttura con il cuore in fiamme e la consapevolezza di ciò che avevamo vissuto.
Facemmo un’ulteriore fila immensa per comprare gadget dagli stand, ancora incapaci di intendere e di volere.



Dopo otto anni, mi ritenni molto fortunata. Ero riuscita finalmente a vederli dal vivo, avevo scritto su un calendario quanto mancasse giorno per giorno; li avevo sognati quasi tutte le notti…ma nulla di tutto quello che avevo pensato e sognato era minimamente paragonabile a quella serata.
Durante il viaggio di ritorno, mi tornavano continuamente in testa i più assurdi particolari: la R moscia di Matt; la faccia pornografica che attendevo di Dom durante Starlight; lo sguardo d’intesa scoccato da Chris verso Dom…




Mi sentivo finalmente viva, pienamente soddisfatta, e con un pizzico di malinconia per averli dovuti lasciare così presto. Erano riusciti a portarmi in un’altra dimensione. Ero entrata nel loro mondo, dove anche la canzone più triste ti scuoteva l’anima. E come se un interruttore fosse stato spento a fine concerto, iniziò a crollarmi addosso la stanchezza; mi  faceva male la schiena; a causa dell’acqua le scarpe erano un po’ più strette e restando in punta di piedi per molto tempo mi facevano male le caviglie.
Ma poco importava. Quella sera, per la seconda volta, la mia vita era stata sconvolta nuovamente dai Muse.
I giorni che seguirono furono atroci; lacrime in ogni istante e flashback di ogni attimo.


Quel pomeriggio di otto anni fa mi avevano salvata e dato un enorme schiaffo morale. Con le loro canzoni mi avevano insegnato le cose più disparate, come il potere dell’amore e la bontà d’animo, ed il semplice auto ironizzarsi.
Mi hanno insegnato che la vita non è propriamente una passeggiata, ma un percorso dove si alternano momenti felici a quelli nei quali bisogna stringere un po’ i denti e lottare. Mi hanno insegnato il valore dell’amicizia e della complicità. Il senso di appartenenza a qualcosa o qualcuno. Oppure, che nella vita ci sarà sempre qualcuno che tenterà di sminuirti o buttarti giù.


Quando li ascolto, è come se nelle mie orecchie e nei miei occhi, scorressero frammenti delle loro vite che condividono con me.
Come a voler dire “Ehy, se sei arrabbiata, triste, nervosa o strafelice; premi il tasto Play, e fa che le nostre vite si fondano con la tua e tutto funzionerà per il meglio”.


Ecco, è proprio così che vanno le cose. Io vivo e loro mi aiutano a vivere.
Dopo tutti questi anni.
Dopo tutto questo tempo.
Devo a loro più di quanto immagini.

E seduta davanti questo Pc in questo preciso istante, mentre sto scrivendo, non riesco a fare a meno di rivolgere un pensiero a voi. Si, proprio voi.
A voi che in questo istante state leggendo questa storia. 
A voi che, come me, amate in modo spropositato quei tre individui.
A voi che non appena riconoscete in Tv una loro canzone, iniziate a cantarla infischiandovene di chiunque abbiate intorno.
A voi che se poteste li seguireste in capo al mondo.
A chi, come me, imbratterebbe la stanza di poster e foto.
A chi conserva gelosamente tutti gli album.
A chi, quegli stessi album, li ha ascoltati una volta sola e poi riposti su una mensola per paura che si rovinino.
A chi ogni qualvolta viene nominato Wembley, ha un tuffo al cuore.
A chi li ascolta da una vita e a chi lo fa da poco.
A chi nonostante sia stato a questo concerto, fa ancora fatica a trattenere le lacrime quando riguarda i video.
A chi ha iniziato a suonare grazie a loro e a chi si limita ad imitarli con qualunque oggetto.


Di storie come la mia ce ne saranno a milioni, o forse nessuna.
Ma tutto questo; quello che sono e come sono, lo devo a quei tre idioti che non smettono mai di sorprendermi.
A quell’imponente bassista; a quel depravato biondo platino di un batterista e quel pazzo schizofrenico maniaco del controllo di un chitarrista/pianista.
Vederli finalmente con i miei occhi e comprendere fino alla fine che cosa voglia dire dipendere dalla voce di Matt, farsi trasportare dalle corde di Chris, ed avere i battiti del cuore scanditi dalla batteria di Dom…la serata più bella della mia vita!!! E come ringraziarli se non piangendo come una bambina pensando, come ogni singolo giorno, a quei tre pazzi che la mia vita, l’hanno cambiata sul serio.
Una vita racchiusa in una sola ed immensa parola…MUSE. 

   
 
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