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Autore: lilac    12/05/2008    11 recensioni
Il mondo acclama ancora una volta l'eroe Mr. Satan, in attesa di dimenticare per sempre Majin-bu. I nostri eroi invece, sono tornati alle loro vite, a com'erano prima del torneo Tenkaichi. In realtà, per chi ha visto l'inferno tornare a casa non è così facile. E se non fosse più come prima?
Una serie di bizzarri incidenti, di paure e di dubbi, ricordi, frasi dette a metà e... un cielo stellato.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale di Dragon ball, non mi appartengono ma sono di proprietà di Akira Toriyama, che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Credits: Non mi sogno nemmeno per sbaglio di accostare una mia fan fiction a tali capolavori, ma^^’:
- Il titolo di questa fan fiction è tratto da La Divina Commedia, di Dante Alighieri. (Inferno, XXXIV, 139).
- Il sottotitolo invece è una citazione dall’Eneide (VI, 126 e 128/9), di Publio Virgilio Marone.
- Rimando alla fine della storia per una nota/credit che sarebbe uno spoiler ^_*.

Questa storia partecipa al Fictions Exchange di Dragon Ball, indetto sul Forum Writers Arena. Secondo la traccia che mi è stata assegnata, la storia avrebbe dovuto essere una Bulma/Vegeta di genere Introspettivo e Romantico, ambientata subito dopo la sconfitta di Majin-bu. La parola chiave è "Ritorno".
I miei ringraziamenti a chi ha aperto questa pagina e a chi arriverà alla parola fine, come sempre^_*
Buona lettura^_^.




E quindi uscimmo a riveder le stelle
Facile è la discesa agli inferni. Ma risalire i gradini, e ritornare a rivedere il cielo qui sta il valore, qui la fatica.



Con un gesto istintivo portò una mano sulla fronte, per ripararsi dal sole. Il cielo terso sembrava ammantare perfino la caotica Città dell’Ovest di un’insolita purezza, quella mattina; a tratti quel nitore abbagliava la vista, si rifletteva sulle superfici metalliche delle auto lungo la strada e la costringeva ad affilare lo sguardo. Una leggera brezza da nord offriva di tanto in tanto un certo refrigerio, ma l’ennesima folata di vento la indusse a fermarsi per un momento e a trattenere una ciocca scomposta di capelli sulla fronte. Il sole si oscurò per un istante e Bulma si trovò involontariamente a sollevare lo sguardo. Le falde svolazzanti di un enorme manifesto si agitavano sopra di lei, sospinte dalla corrente.
“Attenta, signora! Si sposti di lì!”. Un uomo in tuta da lavoro sbucò da dietro un’impalcatura, sporgendosi per afferrare uno dei lembi insubordinati. Bulma si scostò di qualche passo, prima di socchiudere nuovamente gli occhi e rivolgere lo sguardo verso l’alto; schermandosi con una mano, osservò vagamente incuriosita un secondo operaio, che era accorso in aiuto dell’altro. I due avevano ingaggiato una vera e propria battaglia col vento; e con il faccione sorridente di Mr. Satan, che faceva il segno della vittoria e si deformava grottescamente, sventolando in cielo come un vessillo di guerra. L’uomo che aveva parlato, occupato a ricomporre l’effige in una posa più dignitosa, la apostrofò nuovamente con noncuranza, senza rivolgerle lo sguardo. “Scusi tanto, signora”.
“Beh, fate un po’ più di attenzione!”.
Si voltò perplesso ad osservare la donna, colto alla sprovvista dal tono stridulo di quella risposta indignata. Indugiò senza volerlo sul fondoschiena di lei, che si allontanava con passo nervoso, prima di riprendere dopo un momento a lavorare con un’alzata di spalle; il motivo per cui quell’avvenente signora fosse tanto suscettibile poteva di certo rimanere un mistero.
Quella mattina, un’insolita disposizione d’animo l’aveva persuasa a non usufruire di nessuna delle sue capsule. Bulma si era ritrovata a passeggiare per le vie cittadine, più assorta nell’assaporare il tepore di quella giornata di sole che nel godersi i suoi acquisti. Sorprendentemente esigui, erano riposti in un sacchetto di medie dimensioni che le ciondolava indolente in una mano. L’ennesimo manifesto dell’eroe planetario che aveva incontrato sulla strada tuttavia, l’aveva in qualche modo distolta dall’assoluta serenità con cui osservava distratta le vetrine dei negozi. Per certi versi, quel buffo e impacciato omone ricciuto, che sorrideva trionfante ad ogni angolo della città, aveva il potere di suscitare in lei delle sensazioni inconciliabili a cui non sapeva come rapportarsi.
Era stato ancora una volta acclamato come il salvatore del mondo, com’era prevedibile, e tutti erano potuti tornare alla consuetudine delle loro vite; in fondo l’avevano sempre fatto d’altra parte. La storia in sostanza pareva ripetersi, anche se presto le sfere del drago avrebbero cancellato per sempre il ricordo di quell’eroica impresa. Ironia della sorte però, quell’uomo bizzarro probabilmente meritava davvero un riconoscimento, questa volta. Forse, il titolo di eroe che sarebbe comunque rimasto associato a quella goffa figura, retaggio delle sue vanterie passate, avrebbe avuto finalmente un senso. Eppure, un’insolita sensazione impediva a lei di dimenticare così in fretta. Quella strana eccitazione che pervadeva l’attività brulicante della Città dell’Ovest, intenta nei preparativi per i festeggiamenti, le aveva messo addosso uno strano disagio. Bulma Brief era di certo una donna felice in quel momento, una donna che aveva tutto. Era stata ancora una volta sul punto di perdere ciò che aveva di più caro, oltre alla sua stessa vita; ancora una volta però, com’era già accaduto ormai in innumerevoli circostanze, tutto si era concluso per il meglio. Persino Goku era ritornato inaspettatamente in vita! Perché, allora, si sentiva così? Che le stava succedendo?
Un’ennesima folata di brezza leggera le scompigliò i capelli. Scosse istintivamente il capo; il pensiero che quel gesto fosse più un modo per scrollarsi di dosso certi pensieri, anziché quelle ciocche ribelli, le solleticò per un momento la mente e la indusse a sorridere. Riavendosi da quella sorta di torpore come se non le appartenesse, cominciò finalmente a preoccuparsi per la sua acconciatura, ormai in balia del vento da un paio d’isolati. Senza ridurre l’andatura, con un gesto meccanico introdusse una mano nella borsetta, cercando alla cieca uno specchietto. Un’espressione vagamente sospesa tra l’incredulità e lo sconcerto apparve tuttavia sul suo volto, dopo appena un istante. Si fermò senza volerlo; e il suo sguardo accigliato si posò sul Radar Cerca Sfere nel palmo della sua mano. Persa in qualche pensiero indecifrabile, lo fissò per qualche istante, finendo per sdegnarsi ulteriormente in una smorfia beffarda, quasi sprezzante.
Complimenti, Bulma! Questa è proprio bella! Si rimproverò mentalmente. Davvero uno strumento utile, in caso di shopping! Fra le altre cose, pure se avesse sperato di trovare una sfera del drago nel reparto di biancheria intima del centro commerciale, il radar sarebbe servito a ben poco, visto che ci sarebbe voluto ancora un mucchio di tempo prima che le sfere si riattivassero.
Con tutto ciò, come se nemmeno l’ombra di un pensiero simile l’avesse mai sfiorata, il suo sguardo sembrò rabbuiarsi improvvisamente e si fece assorto. Il pollice si mosse involontariamente sul pulsante di accensione del radar e il display s’illuminò, seguito da un avviso sonoro. Negli occhi azzurri della donna, assieme alla luce verdastra del monitor, parve riflettersi per un istante anche il barlume di una fugace aspettativa. Con la stessa rapidità con cui era sorta tuttavia, quell’inspiegabile trepidazione l’abbandonò dopo solo un momento, lasciando il posto ad un estremo disappunto. Oh, al diavolo, Bulma! Ma che ti prende adesso?! Un altro rimprovero, questa volta privo d’ironia, la riscosse del tutto. Eppure, per qualche motivo, un vago desiderio si era fatto appena consistente nella sua mente; il tasto di spegnimento del radar non era stato sufficiente a dissipare anche quel pensiero, che aveva cominciato a rumoreggiare da qualche parte, sospeso fra le sue incerte congetture. Se solo avesse potuto dimenticare tutta quella storia anche lei. Se solo Majin-bu e quell’orribile mago non fossero davvero mai esistiti...
Gli occhi serrati con decisione, come a cancellare materialmente quell’ennesimo pensiero che non poteva essere suo, si dischiusero più sereni sulla vetrina del negozio davanti al quale si era fermata.
Tutta quella storia era stata dura, terrificante. Un vero incubo. Era del tutto normale che avesse un momento di cedimento. Assolutamente normale. In fondo, solo pochissimi giorni prima stava vivendo delle esperienze terribili; aveva solo bisogno di distrarsi, come aveva fatto tutte le altre volte. E sarebbe tornato tutto come prima. Era già tornato tutto come prima! Quello che le serviva in quel momento era solo un po’ di sano, gratificante shopping; ecco tutto... Certo però, quello non era proprio il negozio adatto per rinfrancare l’autostima e l’ottimismo di una ragazza.
Una smorfia le incurvò le labbra in un accenno di sorriso, mentre osservava con una certa perplessità gli abitini per neonati esposti in bella mostra di là del vetro. Senza che se ne accorgesse tuttavia, quella perplessità si riversò lentamente in un’espressione deliziata. La varietà di colori brillanti e di motivi infantili la rapì per qualche momento, contagiandole un’istintiva allegria. In quella vetrina però, qualcos’altro riuscì a catturare in un secondo momento la sua completa attenzione. La sua immagine riflessa nel vetro la indusse automaticamente ad analizzare la sua acconciatura, ricordandole all'improvviso il motivo per cui aveva finito per fermarsi. Procedendo ad un attento esame della sua figura intera, constatò di avere ancora saldamente in mano il Radar Cerca Sfere; e una strana sensazione di déjà-vu la investì improvvisamente. La levigata superficie opalescente le restituì per un istante l’immagine di una ragazzina di sedici anni, con gli stessi acuti occhi azzurri e i capelli raccolti in una treccia. Aveva in mano lo stesso oggetto e, sul volto, un’espressione completamente diversa.
Gli occhi sbarrati in un’espressione sbalordita si chiusero di scatto, abbagliati dal riflesso del sole. Si spalancarono un istante dopo, di fronte alla donna con il vestito aderente rosso scarlatto e i capelli a caschetto; non poté fare a meno di sorridere divertita, ancora una volta, per quello strano scherzo che le aveva giocato l’immaginazione. “Però, sei sempre uno splendore, mia cara!” mormorò appena, compiacendosi tra sé e sé.
“Puoi dirlo forte, bellezza!”.
La risposta volgarmente ammiccante, che si sentì rivolgere da un paio di aitanti giovani alle sue spalle, ebbe il potere di ricondurla definitivamente alla realtà. Esibendo una delle sue espressioni più minacciose si voltò brusca, agitando un pugno a mezz’aria. “Come vi permettete, rozzi maleducati?! Sono una signora, io!”.
I due malcapitati, evidentemente in imbarazzo per la reazione improvvisa e battagliera della donna, si allontanarono in tutta fretta cercando di non attirare ulteriormente l’attenzione dei passanti, che cominciavano ormai a voltarsi incuriositi; appena in tempo, per evitare una ramanzina in grande stile. Mentre Bulma, decisa a non lasciarli scappare, si apprestava infatti a rivendicare imperterrita svariate altre sue doti, tra cui la prestigiosa posizione che occupava all’interno della società, finì nondimeno per ricordare a se stessa anche le proprie responsabilità. L’edificio giallo a forma di cupola era ormai riconoscibile fra i palazzi, in fondo alla strada, e l’improvvisa voglia di tornare a casa le mise addosso una certa fretta. Ammutolita di colpo, accelerò notevolmente il passo, decisa ormai a non perdere altro tempo.

Arrivò ad afferrare la cornetta del telefono trafelata, con ancora il fiatone. “Pronto?”. Un click dall’altra parte risuonò freddamente, interrompendo la comunicazione. Era arrivata troppo tardi. “Accidenti!” imprecò sommessamente, maledicendo quell’inutile corsa e gettando i suoi acquisti e la borsetta sul divano accanto al telefono. Sospirò pesantemente, cercando di recuperare un po’ di fiato. “Ma non c’è nessuno in questa casa?!”. Leggermente irritata, gettò un’occhiata distratta allo specchio dell’ingresso, sistemandosi i capelli con un gesto nervoso. L’assoluto silenzio che rispose a quella domanda la lasciò per un momento perplessa. “Ehi, c’è nessuno?” chiese di nuovo, alzando il tono di voce. Si bloccò per un istante, in attesa di percepire un qualche segno di risposta. Silenzio. Sembrò riflettere ancora per qualche momento ma, dopo aver osservato l’orologio, la sua espressione si distese notevolmente e parve focalizzarsi su qualcos’altro.
Dopo solo un paio di minuti per l’appunto, era già diretta ai laboratori, con indosso un abbigliamento decisamente più comodo e un’aria concentrata. Nell’aprire la pesante porta di metallo finì anche per ricordarsi vagamente che, quella mattina, suo padre le aveva comunicato qualcosa riguardo alla sua assenza e quella di sua madre. Anche il laboratorio infatti, appariva completamente deserto. Il silenzio che l’avvolse impietoso anche in quel luogo parve per un istante impensierirla di nuovo. Sbuffò con noncuranza, scrollando le spalle e dissimulando un certo appagamento per quell’insolito senso di pace; il suo sguardo tuttavia, che percorreva con una certa trepidazione un tragitto immaginario al di là di quelle pareti, non riusciva a celare in realtà un’evidente inquietudine. Mentre passava in rassegna i vari progetti lasciati in sospeso sul piano di lavoro, si trovò più volte a distrarsi in qualche pensiero all’apparenza tormentato. Finì per controllare un numero imprecisato di volte l’orologio, prima di darsi definitivamente della stupida. Con un moto di disappunto accese la radio alle sue spalle, sorprendendosi estremamente sollevata nell’udire una stupida melodia, che finalmente riusciva a colmare quell’opprimente silenzio.
Il silenzio. Lo sguardo si fissò esitante nel vuoto alcuni istanti, mentre scopriva quella sensazione nuova e disarmante, per poi tornare meccanicamente al suo lavoro. Le mani indaffarate, che si muovevano in automatico impugnando strumenti complessi, parevano spostarsi veloci e sicure nella direzione opposta ai suoi pensieri, che vagavano per la prima volta in una dimensione del tutto spaventosa, indubbiamente palesati in un’espressione distante e inquieta. Un’ultima occhiata all’orologio appeso alla parete le confermò che Trunks e Vegeta non sarebbero tornati tanto presto. Erano andati al parco di buon ora e, con una giornata come quella, Trunks avrebbe insistito per restare a lungo. Vegeta probabilmente l’avrebbe accontentato, in fondo non aveva motivo per correre a chiudersi nella gravity room; non dopo soli due giorni da che... Maledizione!
L’improvvisa fitta alla mano sinistra la riportò prepotentemente alla realtà. Per un momento fissò come ipnotizzata alcune gocce di sangue sul piano di lavoro. Impiegò tuttavia solo un istante per realizzare cosa era accaduto.
“Accidenti, Bulma! Sta un po’ attenta!” imprecò ad alta voce, constatando il taglio piuttosto profondo sul palmo della mano. Un rapido sguardo alla camicetta bianca la rassicurò per un momento sull’incolumità dell’indumento. “Uff, meno male, non si è macchiata”. Non riuscì però a sostenere altrettanto del circuito su cui stava lavorando, dopo aver esaminato nuovamente il suo tavolo. “Oh no! Che guaio!”. Afferrò velocemente una tuta da lavoro appoggiata su uno sgabello, la prima cosa vagamente assorbente che le capitò a tiro, e si diresse in tutta fretta verso il bagno più vicino, continuando a borbottare frasi sconnesse.
Adesso è veramente troppo! Ma che diavolo le era preso quella mattina?! Non era riuscita a concentrarsi nemmeno per cinque minuti di seguito. Aveva del lavoro da sbrigare. E non aveva proprio alcun motivo per perdersi in queste assurde divagazioni, accidenti a lei!
Spalancò la porta del bagno con un calcio deciso, raggiungendo il lavandino con un’espressione risoluta in viso. La tuta insanguinata finì nel cesto dei panni sporchi in un istante; aprì il rubinetto dell’acqua e si sciacquò accuratamente la ferita, cercando con l’altra mano un cerotto, nell’armadietto accanto allo specchio.
“Ma dove sono?!”. Si lasciò sfuggire un commento esasperato e insofferente. “Ma tu guarda che razza di confusione in questa casa! Questa roba sarà qui dall’anno scorso!”. Lo sguardo vagò impaziente fra i medicinali per qualche momento, mentre alcune scatole e boccette finivano direttamente nel secchio della spazzatura dopo appena un’occhiata.
“Ah, ecco!”. Eppure, la sua mano si strinse debolmente a pugno sul cerotto di garza, ferma a mezz’aria, soltanto un istante dopo. Il barlume di un pensiero fulmineo le attraversò lo sguardo, posato brevemente sulla sua immagine nello specchio. L’espressione vagamente indecisa che apparve sul suo volto sembrò cedere immediatamente il passo ad una crescente risolutezza; e un’improvvisa intensità accese l’azzurro di due occhi assolutamente elettrizzati. Bulma Brief aveva appena avuto un’idea geniale...

Con un unico e rapido gesto meccanico si tolse la giacca e la poggiò indolente su una spalla, reggendola per il colletto. La canotta nera pareva arroventarsi sulla sua pelle; aderendo morbida sui muscoli scolpiti, gli infondeva un piacevole tepore, inframmezzato dai freschi sbuffi di vento, appena percettibili sul viso. L’ennesima folata, più intensa delle altre, l’aveva per qualche motivo indotto a sollevare lo sguardo; il cielo terrestre gli era sembrato insolitamente azzurro e limpido quella mattina.
Non era ancora riuscito a spiegarsi il perché avesse avuto la bizzarra idea di camminare; per un istante parve cercare quella misteriosa risposta nascosta da qualche parte in quella distesa turchese. Soltanto un momento dopo, lo sguardo imperturbabile rivolto nuovamente alla strada, aveva accelerato appena il passo, come se quella domanda non fosse mai stata formulata.
Quella mattina, una strana disposizione d’animo l’aveva perfino indotto a considerare con un vago interesse i terrestri. Spinto più da un senso d’insolita tranquillità che da una vera curiosità, Vegeta si era sorpreso per la prima volta in tutta la sua vita ad osservare davvero gli altri mocciosi al parco e i loro accompagnatori, inspiegabilmente senza la minima traccia di disprezzo. Con un’attenzione del tutto genuina, anche se non propriamente con una vera partecipazione, si era fermato a guardare suo figlio che giocava come un normale terrestre e la gente che affollava i giardini pubblici; e poi, per la prima volta, si era trovato a camminare, in strada, di ritorno verso la Capsule Corporation.
Quello che ne aveva ricavato non era stato poi così illuminante, dopotutto. I terrestri non erano di certo creature interessanti; non possedevano alcuna attrattiva peculiare o insolita rispetto a quei pochi con cui aveva avuto a che fare. Anzi, erano decisamente molto più noiosi di quanto non pensasse. Quella città... La Terra non era altro che un brulicante alveare di esistenze perlopiù insignificanti, che si davano un gran da fare per nulla e facevano un sacco di chiasso inutile.
Il rumore. La solida postura che lo muoveva deciso e inflessibile lungo la strada sembrava una corazza impenetrabile che lo isolava dal mondo; dai rumori, dagli odori e dalle cose. Lo sguardo inaccessibile che rivolgeva distrattamente all’intorno tuttavia, lasciava trasparire un sottile senso di quiete, che pareva fagocitare e assorbire ogni cosa nelle sue profondità. Si era sorpreso perfino ad ascoltare. Quel rumore caotico che era stato per anni un fastidioso, ovattato ronzio di sottofondo, quella mattina, chissà per quale assurdo motivo, non gli era parso così fastidioso, né totalmente privo di senso.
“Stai in guardia!”
“Ora ti faccio vedere io!”
Due ragazzini, all’angolo della strada, stavano simulando un combattimento immaginario. Ognuno, compreso nel proprio ruolo, sfidava minaccioso l’avversario imitando delle fantasiose pose da battaglia, mostrando i pugni e agitando calci scomposti per aria.
Due iridi cupe e assorte si mossero discrete in direzione dei due combattenti, mentre il saiyan li oltrepassava senza fretta.
“Preparati! Ora vedrai la tecnica speciale di Mr. Satan!” annunciò intimidatorio uno dei due. A quelle parole di sfida, un’impercettibile smorfia beffarda inclinò tagliente le labbra dell’uomo, ormai già a qualche metro di distanza, per scomparire poi in un istante, così com’era apparsa, scemando assorbita in qualche riflessione. Quasi automaticamente, l’oscuro sguardo del principe dei saiyan finì per sollevarsi per un breve momento sull’ennesimo manifesto celebrativo dell’uomo più popolare del pianeta, senza tradire alcuna emozione. La città era letteralmente invasa dalle gigantografie di quell’individuo e la cosa, stranamente, pareva essere riuscita in qualche modo a suscitare il suo interessamento.
Per quello che gli importava di quello stupido pianeta e dei suoi abitanti, nonché di quell’assurdo soggetto, tutto quel trambusto non era altro che l’ennesima idiozia di massa di un branco d’ignoranti. Soltanto poco tempo prima, la questione non sarebbe stata degna di un briciolo della sua considerazione. Eppure, non sapeva spiegarselo, questa volta c’era qualcosa di diverso in tutta quella faccenda. Era come se lo sguardo inebetito di quel curioso personaggio avesse il potere di suscitargli tutta una serie di sensazioni contrastanti, che non riusciva a comprendere fino in fondo.
Quel tizio era un idiota! Per lui tutto non era altro che un gioco, proprio come per quei due mocciosi. Eppure aveva sul serio rischiato la vita per il suo pianeta. Persino per salvare la sua. Per uno come lui... Era stato assolutamente stupido da parte sua, su questo non c’era alcun dubbio. Peggio per lui, se non riusciva a far funzionare il cervello! Allora perché, in qualche modo, quella maledetta storia continuava a tornargli alla mente? Perché continuava ad avere quella strana sensazione e non riusciva a voltare definitivamente pagina come aveva sempre fatto?
L’espressione imponderabile del saiyan, immutabilmente assorta in questi pensieri, non aveva mostrato nonostante tutto il minimo cenno di turbamento. Una vettura che aveva sbandato leggermente verso il marciapiede, alle sue spalle, fu evitata distrattamente e con assoluta naturalezza, come non fosse neppure un’entità corporea. L’unico segno che Vegeta fosse stato a stento distolto dalle sue elucubrazioni fu il rapido movimento degli occhi in direzione dell’auto, che l’aveva ormai oltrepassato. Un improvviso guizzo in quegli occhi e il serrarsi impercettibile dei lineamenti del volto tradirono tuttavia, un attimo dopo, un moto inaspettato di assoluta meraviglia. Per un istante, uno strano fenomeno ottico gli aveva restituito la sua immagine, riflessa sul finestrino di quell’auto, in una forma a dir poco bizzarra; una battle suit modello di ultima generazione, le spalline allungate, un rilevatore sull’occhio sinistro. E due occhi glaciali e sprezzanti, che avvampavano di rabbia e di esaltazione.
Lo sguardo del saiyan si accigliò sospettoso, per poi ritrovare la consueta imperturbabilità in meno di un secondo. Qualche strano istinto lo costrinse a voltarsi appena alla sua destra. Non aveva potuto fare a meno di rivolgere quello stesso sguardo impassibile al suo riflesso nella vetrina di un negozio. L’uomo che intravide per un momento, senza fermarsi, indossava abiti terrestri; pantaloni chiari, una maglietta scura e la giacca dello stesso colore appoggiata su una spalla. Non gli era parso poi così diverso da quel saiyan che aveva messo piede sulla Terra diversi anni prima; eppure quegli occhi non sembravano più gli stessi.
Si sorprese ancora una volta nel provare un disarmante senso d’inquietudine. Un qualche impulso naturale lo indusse ad accelerare il passo, che si fece decisamente più spedito. Quella strana sensazione gli aveva messo addosso anche una fretta improvvisa di tornare a... casa.
Quella parola gli apparteneva davvero in modo così naturale? Quando era stata la prima volta che aveva pensato ad una casa, talmente spontaneamente da non accorgersene nemmeno?
“Ti dico che è andata proprio cos...”.
Vegeta si accorse dell’uomo che era sbucato da dietro l’angolo solo nel momento in cui il suo campo visivo si oscurò, un istante appena. La pressione a stento percettibile che sentì simultaneamente sul torace e la persona a terra sul marciapiede, un paio di metri più avanti, avvalorarono semplicemente e meccanicamente l’ipotesi che un ennesimo, insignificante terrestre aveva avuto la sfortuna di intralciare il suo cammino. La cosa non sembrò difatti suscitare la minima reazione nel saiyan, che non rallentò neppure l’andatura. Un secondo uomo, visibilmente divertito, era accorso ad aiutare l’altro a risollevarsi e pareva intento a prenderlo in giro per la figura poco elegante. Sul volto dell’incidentato, era all'opposto impressa un’espressione imbarazzata e confusa. Nel rialzarsi tuttavia, e nel notare l’assoluta indifferenza del saiyan, quell’espressione sfociò ben presto e radicalmente nell’irritazione. “Ehi bello, guarda dove vai! Mi devi delle scuse, mi pare!”.
Per nulla interessato ad instaurare una conversazione e assorto in questioni all’apparenza più importanti, il principe dei saiyan si limitò ad oltrepassare i due senza ridurre il passo, gettando al contempo allo sventurato un’occhiata distratta, come unica replica alle sue vibrate proteste.
Potresti pagarla con la vita, una simile insolenza. Pareva aver letto parole del genere in quegli occhi tetri che l’avevano trafitto sfuggenti, il poveruomo che aveva tentato di ottenere soddisfazione; impallidì visibilmente e si allontanò atterrito con un sussulto improvviso, come se quell’individuo dalla strana capigliatura avesse emesso una scarica elettrica. Ancora intimorito, allo sguardo perplesso e interrogativo dell’amico rispose con un’espressione sconcertata, cercando di darsi un tono. “Ma di che accidenti era fatto quello?! Mi fa male dappertutto!”.

Solo qualche tempo prima, quell’idiota l’avrebbe pagata con la vita, una simile insolenza. Era poco più che un pensiero distratto, che aveva vagato inconsapevole nella mente del saiyan per un isolato o due. Ottenebrato da un qualche ricordo di prigioni spaziali di freddo metallo, di muti sguardi terrorizzati, false lusinghe e suppliche disperate e sangue, negli ultimi minuti, aveva cominciato ormai a farsi sempre più concreto. Quell’insolito senso d’inquietudine continuava a muovere i suoi passi decisi lungo la strada. Lo sguardo incupito, fisso davanti a sé, pareva divorare famelico la distanza che lo separava dalla Capsule Corporation; freddo e impassibile, eppure infiammato da una prepotente energia. Malgrado ciò, stava ancora procedendo a piedi. Non aveva sentito il bisogno di staccarsi da terra, di colmare quella distanza fendendo quel cielo limpido; neppure intravedendo l’edificio giallo e tondeggiante ormai vicino. Senza che se ne rendesse conto, ogni suo passo sull’acciottolato continuava a riecheggiare proprio quel suono che amplificava la sua stessa insofferenza.
Che cosa l’aveva portato a tutto questo? Il principe dei guerrieri saiyan, la razza più potente e temuta delle galassie, un leggendario super saiyan... a confondersi tra comuni terrestri. Lui, che poteva osservare quelle squallide e fragili costruzioni dall’alto, che poteva averle ai suoi piedi, minuscole, nelle loro insignificanti fattezze. In quel momento calpestava lo stesso suolo di un infimo popolo tra i più deboli della galassia; eppure non riusciva a sentirsi umiliato. Inquieto, forse. Nervoso. Eppure un tempo ne sarebbe stato furioso... Perché? Che cosa l’aveva portato a tutto questo? Il suo destino, che l’aveva costretto a intraprendere sempre strade impensabili? Quel pianeta? Che cosa? Chi?! Kakaroth? I terrestr...
Il boato improvviso di un’esplosione investì i suoi pensieri, a pochi passi dalla Capsule, annientando in un lampo ogni altra domanda. Ebbe appena il tempo di rendersi conto che si era trattato di un crollo. E di capire da dove provenisse esattamente. Si era già alzato in volo, sfrecciando in quella direzione. Bulma!

“Bulma”. La voce arrochita dall’improvvisa mancanza di salivazione rimbombò cupa nel laboratorio, completamente deserto. Pareva una brutale intimidazione, più che una richiesta apprensiva. Un inconsistente eco rimbalzò in modo singolare nella stanza, sulle pareti e sulle macerie disseminate qua e là in modo caotico. Vegeta non aveva atteso sulla porta nemmeno una frazione di secondo; prima ancora di pronunciare quel nome aveva già individuato un mucchio di detriti più consistente e aveva iniziato a spostare i blocchi di pietra più grandi, afferrandoli e gettandoseli alle spalle come fossero di cartapesta. L’estrema compostezza con cui si apprestò a materializzare una piccola sfera di energia sul palmo della mano non aveva tradito la minima emozione, eppure lo sguardo fermo e immobile su quei resti era pervaso da una tensione insolita.
“Ah, Vegeta. Sei tu?”. Bulma sbucò da dietro il cumulo di detriti un secondo dopo, il volto, i capelli e la tuta da lavoro coperti di polvere d’intonaco, con un’espressione appena imbarazzata. Osservò con una certa perplessità la sfera di energia che si stava smaterializzando nella mano del compagno, scrutando un momento dopo vagamente interrogativa il volto accigliato del saiyan.
“Che accidenti sta succedendo qui?!” Furono le parole che si sentì rivolgere per tutta risposta, in tono estremamente brusco. Lo sguardo severo dell’uomo di fronte a lei, con le braccia incrociate sul petto, parve accrescere ulteriormente il suo imbarazzo. “Ehm... Devo aver esagerato un pochino.” sì schernì, grattandosi la nuca e mordicchiandosi un labbro irrequieta. La risatina nervosa che abbozzò un secondo dopo scemò tuttavia in un istante. “Oh cielo! Che disastro!” piagnucolò agitata, constatando solo in secondo momento lo stato in cui versava. “Tu guarda come mi sono ridotta!”
Vegeta seguitava a fissarla con un’espressione in apparenza scocciata, le braccia conserte e un piede appoggiato con noncuranza su un blocco di pietra, saldamente irremovibile nella sua postura. La sua evidente mancanza di reazione fu intesa d’altra parte dalla scienziata come un invito a fornire ulteriori chiarimenti. “Ho deciso di rinnovare il laboratorio!” annunciò soddisfatta e in preda ad un crescente entusiasmo. “Vedi?”. Si voltò ad indicare un punto dietro di lei. “Quella parete voglio buttarla giù. Come questa qua. E poi voglio costruire un...”.
Un improvviso schiocco sordo e metallico la bloccò e la costrinse nuovamente a voltarsi alle sue spalle. Un secondo schiocco, più acuto, e lo sguardo della donna passò dalla perplessità alla preoccupazione. Esitò per un momento, aggrottando la fronte concentrata e lievemente in apprensione, in attesa di percepire un altro rumore e tentando di intuire da dove provenissero quella sorta di scricchiolii. Il terzo, che non si fece attendere per più di una manciata di secondi, fu un vero e proprio schianto. Un getto d’acqua eruppe da una spaccatura del muro investendola in pieno.
“Aaaaahhhh!” gridò sgomenta. “Che guaio! Si è rotto un tubo dell’acqua!”. Presa dal panico, cominciò a strillare guardandosi intorno e gesticolando come un’ossessa, nell’istintivo quanto vano tentativo di arginare la falla. “Vegeta! Che stai facendo lì impalato?! Dammi una mano!”. L’ennesimo urlo, in preda ormai ad una crisi di nervi, lo riservò all’indirizzo dell’uomo che non si era spostato di un millimetro e la osservava impassibile all’asciutto. Questi, per tutta risposta, si mosse svogliatamente, oltrepassando il cumulo di macerie con un paio di balzi. A distanza di sicurezza, si limitò ad imporre il palmo della mano con estrema calma e un secondo dopo, il getto d’acqua era stato contenuto da una provvidenziale saldatura.
L’isterismo della donna parve arginasi, come per magia, simultaneamente alla perdita. “Uff” sospirò rumorosamente con un certo sollievo. “Meno male. L’hai fermata... Accidenti! Guarda in che stato sono ridotta?! I miei capelli!” proseguì poi verificando i danni e ricominciando a piagnucolare sconsolata. “Ma come diavolo fai?! Non ti sei nemmeno bagnato!”. Completamente zuppa, lo fissava con un’espressione indispettita ed esasperata; rivoli di liquido biancastro e appiccicaticcio le colavano sul viso dalle ciocche incollate sulla fronte e sulle gote, imporporate per l’eccitazione. Un brivido di freddo la scosse e si strinse le braccia al seno, mentre la tuta, inzaccherata e appesantita dall’acqua, seguitava a gocciolare sul pavimento. “Devo chiamare anche l’idraulico adesso, oltre che i muratori!” si lagnò irritata, proseguendo imperterrita senza attendere repliche. L’unico accenno ad una replica da parte di Vegeta peraltro, fu esclusivamente il lieve affievolirsi dell’insofferenza con cui la fissava; un’occhiata in apparenza distratta alle aderenze della tuta bagnata e alle labbra arrossate della compagna, fugace, pareva aver temperato i lineamenti del suo volto. “E non posso di certo riceverli in questo stato, non ti pare?!”
Vegeta la seguì con lo sguardo, formalmente senza alcuna emozione, mentre Bulma si allontanava borbottando e gesticolando platealmente e afferrava un asciugamano gettato su una sedia. “Ma dov’è Trunks?” domandò improvvisamente, bloccandosi con le mani fra i capelli, mentre cercava di ripulirsi. Il saiyan guadagnò qualche passo, oltrepassando l’ennesimo mucchio di detriti senza troppa sollecitudine e avvicinandosi nuovamente a lei; gli occhi si mossero un istante verso il basso, sulla mano della donna, da cui s’intravedeva una macchia rossastra filtrare da una fasciatura. “Con i figli di Kakaroth”.
“Avete incontrato Gohan e Goten al parco?” domandò lei, riprendendo a sfregarsi energicamente il capo.
“Mm”.
“C’era anche Videl, non è vero?” insistette con un tono improvvisamente malizioso, osservandolo di sottecchi da sotto il telo. “Tra quei due c’è del tenero” affermò poi, senza indugiare, strizzando complice l’occhiolino con aria divertita. Il suo interlocutore, per tutta risposta, continuava ad osservarla in silenzio con un’aria ormai vagamente scocciata. La scrutò per un momento incuriosito tuttavia, quando notò il suo sguardo rabbuiarsi improvvisamente e la vide bloccarsi di nuovo, assorta in qualche pensiero. “Lei lo ama davvero.” asserì Bulma, un istante dopo, fissando il pavimento improvvisamente malinconica. “Sai...” Si rivolse nuovamente a Vegeta. “Quando eravamo al palazzo del Supremo, continuava a dire che Gohan non era... Era così sicura!”. A quelle ultime parole, una violenta emozione parve gravare di un insondabile carico di angoscia il volto della donna; i suoi occhi accesi di commozione avevano trafitto il suo interlocutore, mentre la voce le usciva di bocca debole e vibrante e le mani si serravano stringendo l’asciugamano. Quell’espressione così intensa era stata tuttavia altrettanto sfuggente e momentanea; un attimo dopo Bulma aveva ripreso a sorridere divertita, distogliendo lo sguardo e sminuendo i suoi stessi pensieri. Si sfilò rapidamente la tuta bagnata e la gettò in un angolo assieme all’asciugamano, stringendosi nuovamente nella camicetta, infreddolita. “Be’, insomma, sono proprio carini insieme, non trovi?”.
Vegeta la osservò ancora un momento in silenzio, prima di voltarsi e dirigersi verso la porta. “Tsk, pensi di perdere ancora molto tempo con questi discorsi inutili?” replicò sarcastico, mentre usciva dalla stanza.
“Uffa, sei sempre il solito!” si sentì rispondere a voce alta, con un’inflessione irritata di rimprovero. “Accidenti, è tardissimo!”. Il tono più alto e agitato, dopo un momento; quando era ormai a metà del corridoio. L’inquietudine che aveva incupito e affondato lo sguardo del saiyan tuttavia, nel momento in cui aveva voltato le spalle alla compagna, non pareva essere altrettanto sfuggente, come lo era stata quella di lei. Sembrava aver attecchito tenace in qualche anfratto profondo di sé; e sembrava non aver alcuna intenzione di abbandonarlo...

“Il computer del trainer ha qualcosa che non va”. Il tono lapidario con cui erano state bruscamente pronunciate quelle parole aveva a stento velato una certa irritazione e insofferenza. Bulma si voltò di scatto, sussultando appena per quell’apparizione improvvisa alle sue spalle. Ripose meccanicamente la spazzola sulla mensola del bagno, un attimo dopo, mentre una serie di riflessioni si palesava nel suo sguardo seguendo apparentemente un qualche filo logico. Dapprima sorpresa, parve riflettere e infine ricordare qualche cosa. Finì per restituire all’uomo accigliato in tenuta da allenamento, appoggiato a braccia conserte allo stipite della porta, un’espressione imbarazzata e vagamente stizzita. “Accidenti, me n’ero dimenticata!” esclamò guadagnando decisa l’uscita e oltrepassando Vegeta. “Che stupida! E pensare che è proprio per quello che mi sono imbarcata in tutta questa faccenda!”.
Il saiyan la osservò allontanarsi in direzione del trainer per qualche secondo, prima di decidersi a seguirla. La raggiunse, mantenendosi a debita distanza, con tutta calma.
“Non ha niente che non va.” esclamò la donna, varcando determinata la pesante porta di metallo della gravity room. “Ho fatto solo alcune modifiche funzionali. Volevo farti una sorpresa.”. Si voltò a scrutare lo sguardo del compagno, a qualche passo da lei, pronunciando le ultime parole con un tono lievemente speranzoso. “Mi è venuta questa idea...” sorrise acquistando una certa baldanza. “Ho installato un dispositivo a comando vocale, così puoi programmare il computer semplicemente impartendo i comandi a voce, senza interrompere gli allenamenti. Che ne dici?”.
“Che cosa c’entra il tuo laboratorio?” s’informò senza alcuna apparente emozione il saiyan, che non era riuscito tuttavia a nascondere un vago interesse.
La scienziata minimizzò agitando leggermente una mano a mezz’aria, concentrata sul pannello di controllo. “Oh, con questo nulla. In realtà poi mi sono lasciata prendere la mano dalla voglia di rinnovare. O meglio... Be’, ti faccio vedere!” proseguì tagliando corto e tradendo un moto di crescente entusiasmo. Vegeta la osservò assumere una posa solenne e premere un paio di pulsanti sul quadro di accensione. “Conto di installare alcuni collegamenti nel laboratorio e in altre parti della casa.” asserì compresa nel ruolo della scienziata, con aria molto professionale. “In questo modo, oltre a controllare l’attività del trainer, potrai avere accesso a tutta un’altra serie di funzioni. Sta a vedere”. Con un gesto studiatamente enfatico premette l’ennesimo pulsante e un avviso sonoro risuonò nella stanza. “Avvertimi quando la cena è pronta!” sentenziò in tono estremamente grave, voltandosi un secondo dopo verso Vegeta. Commentò con la sua stessa espressione inorgoglita la genialità di quell’invenzione, in attesa di un responso da parte dell’altro, nel momento in cui un secondo avviso sonoro rispose alla richiesta. Lo sguardo imperscrutabile del saiyan tradì nondimeno una certa esitazione di fronte all’effettiva convenienza di quell’accorgimento.
“Ovviamente questo comando non funziona ancora. Devo collegare i circuiti, ma non posso fartelo provare con l’aumento della gravità adesso, per ovvi motivi.” si affrettò a puntualizzare la donna con un tono vagamente sarcastico, intuendo lo scetticismo del compagno, senza dargli il tempo di protestare. L’espressione spazientita di Vegeta tuttavia, che si era fatta ormai palesemente contrariata, ebbe l’effetto di spegnere del tutto l’entusiasmo della scienziata in un lampo. “Insomma, sei il solito testone. Con un po’ di pazienz...”.
Le parole le morirono in gola improvvisamente; investita da una nuvola di fumo denso e da un forte odore di circuiti bruciati, Bulma si scostò appena in tempo per evitare la piccola esplosione che distrusse il pannello di controllo e, in un sol colpo, tutto il suo amor proprio e i suoi geniali propositi. Le sfuggì un grido costernato, sulla soglia della disperazione. “Nooo! Che guaio! M... ma com’è possibile?!”. Gli occhi spalancati dallo sbigottimento cercarono quelli dell’altro in cerca di appoggio, sgomenti e quasi alle lacrime.
“Maledizione, Bulma!” replicò all'opposto Vegeta, sbottando tutt’altro che comprensivo. Irrigidito in una posa che manifestava tutta la sua collera, pareva palesemente sul punto di dare in escandescenza. “Vedi di rimettere al più presto tutto a posto! E com’era prima! Sono stato chiaro?! Tu e le tue dannate, inutili idee! Non ho tempo da perdere con que...”
“La colpa è tua!”
Il tono aggressivo con cui fu interrotto bruscamente lo sorprese per un momento; si bloccò senza volerlo, squadrando la donna in cagnesco. “Mia!” commentò beffardo e visibilmente esasperato. L’ondata di prepotenti emozioni che si stavano avvicendando sul volto della compagna in quell’istante, però, avevano avuto il potere di disorientarlo. Bulma lo stava fissando con un’espressione non meno rabbiosa della sua, gli occhi lucidi e il viso arrossato per la collera. Non gli diede il tempo di replicare ulteriormente. “Sì, tua. Che bisogno avevi di allenarti oggi?! Che razza di fretta hai?!”. La voce incrinata di lei lo trapassò come una lama acuminata, un impercettibile guizzo nervoso serrò i lineamenti del suo volto e gli bloccò per un istante il respiro.
“Sono passati solo... Non è passato niente da quel maledetto torneo! Possibile che tu non riesca a goderti un po’ di pace?!”. Bulma aveva pronunciato quelle ultime parole brandendole come un’arma, eppure distogliendo lo sguardo dal saiyan come se temesse di farsi male; gli occhi colmi di lacrime e rabbia che incontrarono nuovamente quelli di lui parevano alleggeriti di un peso enorme.
Vegeta la scrutò per un tempo indefinito, in silenzio; nulla di quanto si agitava tormentato al di là di quel volto immobile e di quella postura rigida e inflessibile, aveva avuto, nemmeno per un istante, l’ardire di palesarsi. “Dì un po’, Bulma, ci tieni alla tua pellaccia?” replicò vagamente sarcastico e glaciale, apostrofandola con una smorfia sprezzante.
Gli occhi di lei, in un sussulto, sembrarono sprofondare in un ricordo lontanissimo; quando a quelle stesse parole aveva risposto con uno sguardo perplesso e confuso. Ancora in collera, un’emozione diversa apparve al contempo sul suo volto, la stessa perplessità e un sentimento nuovo, come se quella frase avesse avuto lo stesso significato anche allora; come se, anche allora, quella fosse stata tutt’altro che una minaccia. “Oh, beh... Ma che domande mi fai?! Mi prendi in giro? E’ chiaro che ci tengo!” borbottò con un filo di voce corrucciando lo sguardo e ritrovando un lieve sarcasmo.
“E allora chiudi quella bocca e mettiti a riparare questo dannato trainer!”. Fu la brusca risposta di lui, i tratti del volto induriti in uno scatto nervoso e il tono alterato dalla collera. Lasciò la stanza, senza aggiungere altro. Allo sguardo minaccioso che le aveva riservato un attimo prima di voltarle le spalle e uscire, sentì rispondere gli occhi della donna, in silenzio, parole che non gli erano mai state rivolte in tutta la vita. Non erano stati quegli occhi a turbarlo tuttavia, quanto piuttosto lo strano istinto che l’aveva pervaso per un momento soltanto, e che aveva ignorato sprezzante, di restituirle uno sguardo simile.
Era ormai lontano dalla Capsule, il vento che gli sferzava il volto mentre sfrecciava a forte velocità verso il deserto, quando notò, per la seconda volta in poche ore, quanto fosse insolitamente azzurro e limpido il cielo terrestre, quella mattina...

I saiyan erano creature selvagge, feroci. Per natura, al pari delle belve selvatiche che popolavano le zone desertiche e inospitali di quel pianeta, vivevano nutrendosi di pochi istinti primari; e le loro esistenze erano regolate da null’altro che rapporti di forza. Difficilmente finivano per sottomettersi al giogo di un padrone; mai vi si sarebbero sottomessi spontaneamente. Perché i saiyan, al pari delle belve selvatiche, onoravano un’unica legge, quella del più forte; ma erano dotati anche di qualcosa che trascendeva il puro e semplice adattamento al corso naturale delle cose. I saiyan erano creature ambiziose. E orgogliose.
Quel saiyan era cresciuto solo, lontano da quelli come lui; un sopravvissuto, in qualche modo diverso. Più forte, più orgoglioso e ambizioso di qualunque altro suo simile. Era giunto su quel pianeta ai confini della galassia del nord, spinto unicamente da quell’orgoglio e da quell’ambizione, inferocito e incattivito dalle ferite profonde che gli aveva lasciato la sua stessa natura. E sanguinante, dopo l’ennesima battaglia, si era rintanato nel suo angolo buio, quando quelle ferite si erano fatte più brucianti e dolorose, affilando gli artigli contro chiunque avesse osato avvicinarsi. Diffidente, nemico della sua stessa ombra, ignorando che non sarebbe mai riuscito a riprendersi con le proprie forze. Risoluto a farlo. E fare molto oltre.
Lei si era avvicinata a lui, ogni giorno un passo in più, incurante della sua ferocia non aveva mostrato paura. L’aveva nutrito, aveva lenito il suo dolore, guarito le sue ferite; disinteressata a quelle che lui infliggeva a lei, un giorno dopo l’altro, per la paura e la sofferenza, per istinto. Perché ferire e straziare, senza alcuna pietà, era semplicemente nella sua indole. Consapevole che mai sarebbe riuscita ad addomesticarlo, gli aveva offerto tutto ciò di cui aveva bisogno, ugualmente, senza pretendere nulla in cambio. Nemmeno gratitudine. E poi suo figlio aveva fatto lo stesso.
Il saiyan che era giunto sulla Terra a quel tempo era ancora una creatura indomita e feroce, quelle iridi scure che scrutavano il cielo stellato pareva inghiottissero la notte e si nutrissero di essa soltanto; ma il saiyan che era oggi aveva dato la sua vita per lei, con la stessa facilità con cui aveva rinunciato a lei per tutto il resto... Ancora una volta nessun senso di colpa l’aveva afflitto, aveva semplicemente assecondato la sua natura. Nessun rammarico, se non che quella stessa vita non era stata sufficiente. Ancora una volta. E, solo in seguito, la strana sensazione che quell’ennesimo fallimento non gli aveva fatto male come gli altri; che era nuovo. Diversa la ferita che gli aveva lasciato, diversi l’amarezza e il dolore.
Eppure lei era ancora lì. Ancora una volta si era lasciata ferire ed era ancora lì, sanguinante e col sorriso sulle labbra, a offrirgli qualcosa che, forse, solo adesso iniziava a comprendere. Era lì, semplicemente. Percepiva chiaramente la sua presenza, qualche metro sotto di lui, sul balcone.
Bulma era appoggiata al parapetto da qualche minuto. Una sigaretta fumata distrattamente, il tempo di un paio di boccate, era volata con uno slancio deciso sulla pavimentazione del vialetto d’accesso della Capsule, accompagnata da un estremo saluto e dall’ennesima decisione di quella giornata, che volgeva ormai al termine. Senza alcun rimpianto, né tentennamento, si era spenta stancamente sul selciato, mentre l’espressione assorta della scienziata aveva manifestato una sicurezza che pareva sormontare la semplice risoluzione a smettere di fumare.
L’aveva visto atterrare sul tetto poco prima, mentre congedava gli operai che avevano invaso i laboratori tutto il pomeriggio. Senza riflettere troppo sul perché ne avesse sentito il bisogno, si era ritrovata un attimo dopo su quel balcone. Ironia della sorte, anche in quel momento come tante volte in passato, si era scoperta a sollevare gli occhi al cielo nel domandarsi dove fosse, nonostante sentisse quasi tangibilmente la sua presenza, qualche metro soltanto sopra di lei.
Era stanca. Per tutto il pomeriggio aveva impartito ordini, supervisionato lavori compositi ed eterogenei e non aveva fatto altro che lavorare. Si era riempita la testa di calcoli, di rumore e del chiacchiericcio disordinato di svariate persone, a cui aveva dovuto rendere conto nella sua forma più smagliante.
Non aveva smesso un istante di sentirsi sola. E di domandarsi se anche Trunks, con quella sua voglia di tornare immediatamente un bambino, e Vegeta, col suo allontanarsi dal mondo, non fossero riusciti come lei a dimenticare quella strana sensazione che tutto non era più come prima.
Era stata veramente sola, quando al palazzo del Supremo aveva perso tutto; quando quell’atroce dolore aveva annientato anche il suo inguaribile ottimismo, e la fiducia e le aspettative che riponeva in quel bambino, per poco, non si erano tramutate nella paura di perdere anche lui. Aveva creduto di aver perso Vegeta. Ancor prima di separarsi da lui aveva creduto di averlo perso davvero, quando aveva visto quegli occhi dagli spalti, al torneo; glaciali, distanti. Aveva avvertito il gelo della loro malvagità sulla sua propria pelle e aveva avuto paura. Aveva avuto davvero paura di aver perso.
Eppure non era accaduto. Lui era ancora lì, a rintanarsi nella sua tana e a leccarsi quelle ferite ancora fresche; e a dirle, a modo suo, qualcosa di nuovo… Che ci sarebbe sempre stato. Per Bulma era stato sufficiente, ora ne era certa. E forse, dopotutto, quella strana sensazione che in fondo tutto non fosse più come prima non era una brutta sensazione. Forse era una sensazione addirittura meravigliosa. Forse, adesso erano soltanto loro ad essere diversi... O forse no.
E va bene! Mi sono stancata di vedere quel muso lungo. Accidenti a quel testone!
Una rinnovata fermezza sul volto imbronciato della donna, spazzò via in un lampo ogni ombra di malinconia; i suoi occhi, accesi improvvisamente di una luce determinata, si fecero concentrati e assorti. Soppesando per un istante una vaga idea, si voltò a scrutare la sommità dell’edificio sopra di sé e, dopo un breve momento in cui parve valutare qualche ipotesi, si avvicinò alla parete e cominciò ad arrampicarsi in direzione del tetto. La concentrazione d’altra parte, lasciò ben presto il posto ad un’espressione compiaciuta e sicura, nell’istante in cui cominciò a rendersi conto che l’impresa non era poi così difficile come si aspettava.
Vegeta, all'opposto, s’irrigidì improvvisamente in un moto di sorpresa e di perplessità, quando realizzò quello che stava succedendo. Ritrovò tuttavia la sua consueta imperscrutabilità in un lampo, mentre Bulma, con uno sforzo, raggiungeva l’ultimo appiglio e si sistemava accanto a lui, in una posizione più comoda. “Oh, è bellissimo quassù! Quante stelle! Ora capisco perché vieni qu...”.
“Si può sapere che stai facendo?”. Le mani appoggiate dietro la schiena e un ginocchio appena piegato in una posa evidentemente rilassata, il saiyan aveva studiato per un momento l’espressione estasiata della compagna con la coda dell’occhio, prima di parlare.
“Sono salita sul tetto, non lo vedi?”. La replica di lei, del tutto spontanea, lo indusse a voltarsi verso la donna con un’espressione infastidita. “Che credi di fare, Bulma?”
“Solo stare qui”
“Non voglio compagnia!”
“Non m’interessa. Sono io che voglio compagnia!” precisò in modo più deciso la donna. Si voltò solo un attimo dopo a guardarlo. “Voglio stare con te”. Il tono di quelle ultime parole si fece a poco a poco riflessivo. Bulma tornò a sollevare lo sguardo e a fissare un punto indefinito sopra la sua testa. “Non m’interessa nulla, capito?!”.
Vegeta la osservò per un momento. Un’impercettibile tensione nei tratti del volto, a quelle ultime parole, tradì all’improvviso un vero turbamento. Qualcosa, al di là del tono della donna, fattosi impertinente, pareva averlo centrato in pieno come un pugno ben assestato.
“Voglio stare con te e basta! Me ne infischio di quello che vuoi tu!” proseguì stizzita lei, senza voltarsi a guardarlo. “E tu non ti azzardare a lasciarmi sola... tutto il giorno... mai più! Sono stata chiara?!”. Nel pronunciare quell’ultima intimidazione, una gamma di tonalità si era avvicendata nel suo sguardo; il rancore, il dolore e la paura appena percettibili erano scemati nel tono di rimprovero indispettito e nell’occhiata minacciosa che riservò al compagno, a conclusione della ramanzina. Fu allora che Vegeta distolse per la prima volta lo sguardo, come se, fino ad un momento prima, le parole di lei l’avessero imprigionato nel giogo di una forza invisibile. Si limitò a rivolgere nuovamente gli occhi al cielo notturno, senza proferire parola.
“Ho aggiustato il trainer” aggiunse un attimo dopo Bulma, ritrovando un tono allegro. “Puoi tornare ad allenarti quando vuoi. Devo rivedere alcuni calcoli prima di aggiungere i comandi vocali. Poi mi dirai quali ti servono”.
Al silenzio del suo interlocutore rispose con un sorriso rivolto a se stessa.
“E, già, quasi dimenticavo...” annunciò con entusiasmo. “Ho pensato di dare una festa! Non ti pare una splendida idea, tesoro?”.
Il saiyan si alzò in piedi con tutta calma. “Tsk. Puoi scordartelo!” sentenziò lapidario, incrociando le braccia sul petto e levitando di qualche metro, nell’atto di andarsene. L’espressione della donna si alterò in un istante in un moto d’irritazione. “Ehi!” protestò scattando in piedi. “Tu ci vieni, chiaro?! Non voglio sent...”. Si bloccò un secondo dopo, realizzando la sua posizione e barcollando in preda alle vertigini. “Oh, povera me! Ora come faccio a scendere?!” cominciò a piagnucolare, rivolgendo uno sguardo disperato all’altro.
“Arrangiati!”.
La risposta confortante del saiyan, che si era allontanato ulteriormente, la riscosse come una scarica elettrica. Abbandonato il tono supplichevole in un lampo, cominciò a gridare isterica ad un volume assordante. “Vegeta! Dove vai?! Sei impazzito per caso?! Non vorrai lasciarmi qui?!”. L’uomo la fissò beffardo, con un’espressione di sfida. “Oh accidenti! Ti sembra divertente?! Be’, sai che ti dico? Non lo troverai tanto divertente quando finirò spiaccicata al suolo sul vialetto d’accesso! Che orrore, povera me!”. Dopo aver gettato un’occhiata furente al suo interlocutore, proseguì melodrammatica, prefigurando a ritmo incessante scenari apocalittici e immani catastrofi. Il sogghigno sarcastico del saiyan scemò appena, per un istante soltanto, in un impercettibile sorriso divertito. Un momento dopo, gli strepiti della donna che continuava a sbraitare imperterrita sembrarono infrangersi contro quella posa granitica, frantumarsi e precipitare; e perdersi in qualche pensiero diverso. Gli occhi fissi su di lei, imperturbabili, sembrarono trafiggerla inquieti.
Avrebbe potuto dirle che non era in grado prometterle nulla. Eppure probabilmente lei lo sapeva. Avrebbe rifatto tutto ciò che aveva fatto altre mille volte. Tutto... Avrebbe potuto dirglielo, sì. Ma non lo fece. Si limitò a sbuffare esasperato e con un’espressione scocciata si avvicinò di nuovo a lei. La afferrò saldamente e atterrò leggero sul pavimento del balcone, qualche metro più in basso, sciogliendo appena la solida stretta delle sue mani sui fianchi di lei.
“Ti sei deciso finalmente!” commentò indispettita Bulma, aggiustandosi la maglietta in preda ad un qualche strano nervosismo. “Bene, spero che tu ti sia divert...”. S’interruppe di colpo, un attimo prima di perdersi in quel bacio; quando incrociò solo un istante gli occhi di lui e non poté fare a meno di trasalire, il respiro spezzato in un sussulto.
Avrebbe potuto dirle che l’amava. Ma non lo fece.




FINE


Nota di fine storia: Gli intenditori (chiamiamoli così XD) avranno di certo colto al volo il riferimento alla puntata 124, dell’anime, ‘L’allenamento dei guerrieri’, in cui Vegeta riprende gli allenamenti dopo il famigerato incidente e viene “disturbato” da Bulma^^. Per chi non lo ricordasse, il dialogo originale nell’anime è questo:
-Ehi, donna, tu invece ci tieni alla tua pellaccia?
-Oh... Beh... ma che domande mi fai? Mi prendi in giro? E’ chiaro che ci tengo! Una ragazza giovane e carina come me ha il dovere di essere attaccata alla vita!
-E allora chiudi subito quella bocca!
-Oh...
Il dialogo in questione, in questa storia, è quindi liberamente tratto dall’anime e non è totalmente opera mia.


  
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