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Autore: Qant    14/12/2013    0 recensioni
Molte persone nella nostra società sono marchiate come "outsider" senza che si consideri il loro punto di vista, anche nei momenti più tragici. Mi propongo in questo racconto di esporre il punto di vista di una di queste persone.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“Breathe...Breathe in the air...Don't be afraid to care...” cantava Gilmour mentre io esalavo quello
che sembrava essere il mio ultimo respiro. La causa del decesso? Semplice, overdose. Già
immaginavo i quotidiani, pomposi di ipocrita morale, emettere sentenze sulla mia fine, lanciare
moniti ed accuse alla società deviata che loro stessi hanno contribuito a creare, alla decadenza dei
nostri tempi, da loro quotidianamente foraggiata. Che dire, l'indomani il “Giovane tossico ritrovato
morto in un attico sfitto” sarei io, cosa che mai avrei immaginato, diciamo più propriamente che
mai avrei sperato. Infatti fare notizia è l'ultima cosa che cerchi quando, come me, prendi strade che
terminano in un rovinoso incidente di percorso. In ogni caso, mi trovavo lì, con la siringa nel
braccio e i sensi che lentamente mi abbandonavano, a chiedermi: “Dovrei pentirmi di ciò che ho
fatto? Dovrei chiedere scusa a Dio o chi per lui? Dovrei forse io compiangere il mio destino e, in un
ultimo slancio di speranza, auspicare ad una celeste consolazione?” e, mentre riflettevo su tali
domande, realizzavo quanto ognuno di noi fosse ipocrita, capivo che, comportandomi così, avrei
tradito me stesso. Ogni essere umano passa infatti la maggior parte del suo tempo ad esaltare la
propria personalità e a cercare di spiccare rispetto alla massa, realtà verso la quale ogni persona
sente un innato senso di superiorità e disprezzo, ma nella morte molti di noi finiscono con il
livellarsi agli altri e diventare semplici automi penitenti. In quello che sarebbe dovuto essere il
momento più triste della mia vita non riuscivo a non peccare di superbia pensando che, almeno io,
non mi sarei pentito per i miei sbagli. Non so se fosse l'orgoglio, la stupidità o la droga a farmi
pensare ciò, ma non potevo che essere fiero di me ed abbandonarmi quindi, senza remore al dolce
torpore dell'eterno sonno. “The Dark Side Of The Moon” aveva ormai smesso di girare quando sentì
una forte fitta al petto, poi due, tre, tutte susseguirsi con brevi intervalli, ripresi quindi conoscenza e,
meravigliato, capì che uno dei miei cari compagni di particolari merende aveva chiamato
un'ambulanza. Ammetto che lì per lì rimasi piuttosto stupito, un aiuto? Davvero? Capì solo molto
tempo più tardi che quello non fu un gesto di magnanimità, ma un disperato gesto di amor proprio,
se fossi morto infatti le loro brevi carriere da principianti emuli di Tony Montana sarebbero state
macchiate da un decesso e, non essendo grandi criminali come lui. ciò le avrebbe distrutte. Cosa, sia
ben chiaro, successa comunque. In ogni caso, quei pensieri continuavano ad assillarmi e così presi a
leggere, ad informarmi su ciò che i grandi pensatori del passato scrissero sull'individualità e sulle
interazioni degli umani con i propri simili e tra tutti il testo che maggiormente mi colpì nel mio
breve periodo di studio “matto e disperatissimo”, mutuando impropriamente questi aggettivi dal
grande Leopardi, fu “Il giudizio degli altri” di Schopenhauer. Per i meni informati posso riassumere
molto brevemente ciò che il filosofo tedesco esprime nella sua opera postuma: per lui esistono due
“noi”, uno è quello che esiste nella nostra interiorità mentre l'altro esiste nella mente delle altre
persone e gli uomini cercano, attraverso svariati mezzi, di perfezionare la propria seconda identità.
Questa idea, incredibilmente veritiera, mi lasciò attonito e con l'amaro in bocca. Perché degli esseri
viventi tanto intelligenti piuttosto che migliorare se stessi preferiscono arricchire l'immagine che gli
altri hanno di loro? Perché non sfruttare i doni che la natura ci ha generosamente elargito per
giungere al massimo delle nostre capacità? La mia mente fu scossa da un brivido. L'edonismo che
fino ad allora avevo coltivato con tutte le mie forze mi appariva come un mezzo per distinguermi,
per provare piacere nell'essere diverso, creando attraverso quello che mi appariva ora come un
mezzo qualsiasi un'immagine particolare negli altri. Dovevo ora prendere le armi contro me stesso
per riuscire a comprendermi al meglio, dovevo conoscere i miei limiti e sviluppare me stesso al fine
di risultarne appagato, questo sarebbe stato il mio unico piacere. Mi dirigevo quindi verso un nuovo
cammino fatto di autocritica e determinazione, lo si può definire come una variazione del mio
edonismo effettivamente, in quanti ciò mi appagava più di ogni altra cosa, che fosse cibo, bevanda,
una donna o la mia ormai lontana amica, la droga. Questo piacere era provocato dalla
consapevolezza, finalmente acquisita, di esistere come una realtà a se stante inserita in un mondo
regolato dalla casualità e dalla malinconia delle persone che, pur di spiccare sulla massa avrebbero
rinunciato a questo sublime piacere. Non avrei cercato di diventare superiore agli altri, non sarei
stato migliore di nessuno, mi sarei semplicemente inserito nel contesto sociale che mi spettava e
l'avrei sfruttato per capire me stesso. Tutti gli sbagli compiuti in passato mi avevano finalmente
portato alla decisione più importante della mia vita, quella di non accettarmi per ciò che sono e di
non pensare al mio secondo io, ma semplicemente di sviluppare la mia essenza al fine di divenire
effettivamente me stesso, perciò non rimpiango tali errori. Superato il limbo della mia coscienza
entravo finalmente trionfante nel mio nuovo essere. Ed ora vi starete aspettando la descrizione di
quella che fu la mia vita da quel momento, ma non voglio tediarvi, ho infatti vissuto una vita
all'apparenza banale, monotona, senza eventi particolare, come la vostra. Tutto ciò ad una prima e
veloce occhiata, perché diciamocelo, benché io sia completamente solo, per mia scelta, sono molto
più appagato della mia vita di quanto voi non possiate mai essere per il soddisfacimento dei vostri
canoni sociali. Soldi, fama, case, a cosa servono se non riuscite ad amarvi? Siete solo delle pedine
sulla scacchiera della vita, che non pensano a come vincere, ma a come proiettare un'enorme ombra
sugli altri pezzi. Io che venni mangiato in gioventù tornai alla fine e, senza preoccuparmi della
vostra ombra, che timore non può incutere, attuai semplicemente la mia strategia di vittoria. Dai, so
che siete curiosi, d'altronde non vi ho nemmeno detto chi sono no? È semplice. Io sono l'invisibile,
l'inascoltato, il diverso. Io sono la coscienza.
  
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