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Autore: Echadwen    15/12/2013    7 recensioni
Freddo, impassibile, calcolatore, codardo...
Molte parole erano state spese per descrivere il Signore di Bosco Atro ma molti non sapevano che quel disprezzo e quei commenti maligni erano, in realtà, rivolti ad una maschera...
Una maschera che Sire Thranduil aveva indossato molti secoli prima, prima della Guerra dell'Anello, prima della nascita di suo figlio ed anche della venuta del Re senza la Montagna.
[Micro spoiler di La desolazione di Smaug. Quindi chi non l'abbia ancora visto, giri a largo e si fiondi nel primo cinema disponibile.]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Angolino autrice: Questa piccola OS nasce da una scena che ho visto ieri nella Desolazione di Smaug. Mi ha sconvolto a dir poco ed ho cercato di immaginare cosa ci fosse dietro.
Spero solo di aver reso il personaggio di Thranduil come merita.
Se, invece, vi risulterà uno scempio (come temo XD) mi offro spontaneamente per la lapidazione.

La scena è questa:



Grazie a tutti coloro che vorranno leggere e/o commentare.
Un bacio a tutti.
Echadwen

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La notte stava calando su quello che una volta era chiamato Bosco Tetro, ora non vi era più nulla di oscuro tra quegli alberi antichi quanto gli Eldar stessi.

Sauron era stato sconfitto molti secoli addietro così come l'altra grande calamità che un tempo minacciava la Terra di Mezzo: il drago Smaug.

Il tempo per il dominio degli Uomini era giunto e poche creature della luce avevano deciso di restare a dimorare nei luoghi a loro cari, tra questi vi era il signore dell'ultimo regno elfico rimasto: Thranduil.

L'unico sovrano a poter vedere il mondo creato da Eru, privo di ogni male eppure, nemmeno rivedere la sua amata foresta risplendere e crescere rigogliosa come quando era un fanciullo, avrebbe curato il suo spirito.

Troppa sofferenza albergava in esso, aveva visto il potere del male e da esso era stato marchiato, l'oscurità gli aveva strappato il padre costringendolo a divenire sovrano troppo presto. Il fardello e la responsabilità di un regno gravarono sulle sue spalle, non vi fu il tempo per versare lacrime, solo quello di richiudere il dolore in un angolo remoto del cuore ed indossare una maschera nel momento stesso in cui la corona venne posata sul suo capo.

Maschera, dietro alla quale nascose Thranduil perché il popolo doveva vedere solo il sovrano; un'altra cosa, però, celò dietro di essa, un errore, una sconfitta che mise a ferro e fuoco il suo cuore ed il suo animo. Un artifizio per nascondere il marchio che quella disfatta gli aveva lasciato.

 

 

Le mani perfette del Re si posasono sulla fredda pietra che una volta furono le mura dietro alle quali confinò e nascose il proprio popolo per proteggerlo dal male che dilagava.

Con tocco leggero le delineò una ad una, scostando di tanto in tanto il muschio che nel corso dei secoli le aveva ricoperte. Ogni segno che le sue mani incontravano, ogni crepa o scheggiatura che i suoi occhi scorgevano raccontavano una storia, un evento indelebile nella sua mente.

Ricordava perfettamente il giorno in cui diede ordine di far erigere quelle mura, fu anche la prima volta in cui il suo artifizio cedette e rivelò ciò che a tutti voleva nascondere.

 

"Avremmo presto un bambino"

 

Con queste parole, la sua compagna gli aveva annunciato che sarebbe diventato padre. Lo aveva preso per mano e portato sul balcone della loro camera da letto. Il sorriso non le aveva abbandonato il viso nemmeno per un'istante, posò la mano di lui, che non aveva mai lasciato, sul proprio ventre ed alzandosi sulle punte, gli aveva sussurrato quelle parole.

Le sue mani formicolarono al ricordo, proprio come fecero allora.

L'annuncio dell'imminente paternità scatenò una vera e propria tempesta nell'animo del giovane sovrano. Il cuore in tumulto ed il respiro accelerato. Strinse forte le dita attorno a quelle dell'amata, l'altra mano si posò sulla sua guancia ed un sorriso splendente quanto l'intera volta celeste illuminò il suo viso.

Fu un attimo. La luce della luna si abbatté sul marchio che Thranduil aveva cercato di nasconderle. Lei gli sorrise comprensiva.
Capì subito che avrebbe fatto di tutto per proteggere la nuova vita che presto sarebbe arrivata, per proteggere suo figlio.
Il buio dei corridoi del palazzo, quella notte, eccolse la figura del sovrano che ad uno ad uno svegliò i propri consiglieri.

"Erigeremo delle mura e dietro di esse, noi sopravvivremo"

All'alba venne posata la prima pietra.



Alzò gli occhi al cielo. La gioia che provò in quel momento gli era sembrata la più grande di tutte, non credeva che avrebbe potuto essercene una maggiore. Si sbagliò e se ne rese conto quando le sue braccia strinsero un piccolo fagottino dai radi capelli dorati come il sole e due grandi occhi che sembravano aver rubato la limpidezza del cielo.

Nel momento in cui quelle gemme brillarono per la prima volta, una lacrima solitaria solcò la carne vivida. Bruciò e fece male ma, in quel momento, pensò che non vi fosse dolore più dolce al mondo.

 

 

Proseguì con il suo cammino ed incrociò una leva di legno oramai ricoperta di rampicanti. La riconobbe immediatamente. La usavano per chiudere ed aprire il cancello che regolava il traffico dei barili di vino verso Elsgaroth; la stessa che avevano usato Thorin Scudodiquercia ed i suoi compagni per fuggire.

"Thorin..." si lasciò sfuggire. Fu lui la causa dell'ultima volta in cui il marchio comparve sul suo viso.

 

 

"Non parlarmi dell'ira del drago!"

 

 

Gli aveva urlato. Lui l'ira del drago la conosceva bene. Ogni notte rivedeva quelle fiamme e le urla strazianti dei suoi soldati risuonavano nella sua mente, talmente vivide che ogni volta aveva paura di aprire gli occhi e di ritrovarsi in mezzo alle fiamme come quella notte.

Ogni notte lo stesso sogno. La sua maledizione.

 

 

Venne, poi, il tempo della redenzione; l'occasione di cancellare definitivamente la parola codardo accanto al proprio nome. Thranduil capì che nemmeno nella loro fortezza sarebbero sopravvissuti al male del mondo.

Ci fu la Battaglia. Un'altra volta schierato contro le forze dell'Oscuro Signore.

Si batté con coraggio il Signore degli Elfi ed, insieme agli Uomini ed ai Nani, ebbe la meglio.

 

 

Quel giorno glorioso divenne ricordo, poi memoria ed infine leggenda ma non per lui.

Con quella battaglia aveva riconquistato un po' di stima per sé stesso, aveva dato prova di non essere un codardo egoista ma non si era liberato della macchia, del peso delle vite che si erano spezzate a causa sua millenni fa.

Con un battito di ciglia spezzò l'icantesimo e si portò una mano alla guancia in attesa di sentire quel dolore così intenso da togliergli il respiro.

I polpastrelli entrarono a contatto con la sua pelle ma, invece di avvertire solchi profondi e il dolore bruciante delle ustioni, sentì un'inattesa compattezza e morbidezza. D'istinto si affacciò per poter rimirare l'immagine riflessa nelle acque che scorrevano calme.

Niente... Non vi era alcuna traccia di ciò che era stato. Nessuna ferita, nessuna cicatrice.

Alzò nuovamente gli occhi al cielo.

I Valar lo avevano perdonato, forse, anche lui poteva perdonarsi.

   
 
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