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Autore: SerMisty    16/12/2013    4 recensioni
Henry abbassa la testa e riflette. Poi scuote la testa.
«No… Non la penso così.» dichiara «Penso che se siamo felici è perché qualcuno ci ha permesso di esserlo. Se non può esserci felicità per tutti, allora qualcuno deve aver rinunciato alla propria per darla a noi.»

Sclero necessario dopo il winter finale. Spoiler per la 3x11. Lieve Swan Queen, ma dovete essere proprio dei detective per notarla.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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My gift for you is good memories, a good life for you and Henry
- Regina.




 
 
 
«Mamma, mi racconti di quando ero piccolo?»
«Sei ancora piccolo, ragazzino.»
«Sai che cosa intendo.»
Emma alza gli occhi al cielo, posando la tazza vuota sul tavolo. Si lecca le labbra sporche di cioccolata e cannella.
«Beh…» mormora, la lingua schiocca rumorosamente contro il palato «Non saprei da dove cominciare.»
«Prova?» chiede Henry, sedendosi accanto a lei. Le sorride, in attesa.
Emma tamburella le dita sul legno lucido.
«Quando sei nato, io ero molto giovane.» comincia «E molto spaventata.»
«Tu? Spaventata?» Henry ride.
«Già, ragazzino. Avevo una paura folle di essere madre.» decide all’ultimo secondo di soprassedere sul momento in cui ha pensato di darlo in adozione, prende un respiro e riprende «Poi però ti ho visto, ti ho preso in braccio… E ho capito che non dovevo aver paura. Che tu eri lì con me e che era questo l’importante.»
Henry fa una smorfia.
«Sei troppo dolce.» si lamenta.
«Ehi, sei tu che hai messo in mezzo il discorso!» replica la bionda «Se proprio vuoi che sia meno dolce posso raccontarti di quando eri un neonato pestifero, e piangevi in continuazione. Mi hai fatto passare nottate terribili, non ti stancavi mai di urlare!»
«Forse avevo fame.» Henry scrolla le spalle.
«Credi che ti lasciassi morir di fame?»
«E che ne so, ma’? Non me lo ricordo.»
Emma gli scompiglia dolcemente i capelli bruni.
«Vai a fare i compiti, ragazzino.»
«Uffa…»
Henry salta giù dalla sedia, ma si ferma dopo pochi passi.
«E quand’è che ho smesso di piangere?»
«Quando ti ho chiesto di darmi una possibilità.»
Smorfia.
«Troppo dolce.»
E se ne va.
Emma resta seduta al tavolo, scuote la testa e sorride. Non darebbe via quelle memorie per nulla al mondo, sono tutte racchiuse in un cofanetto speciale nella sua mente che si apre solo per aggiungerne di nuove.
È strano, però.
A volte, solo a volte, ha la sensazione che qualcuno lo abbia aperto, quel cofanetto, e abbia scombussolato i ricordi al suo interno. Senza darle fastidio, senza provocarle dolore – anzi, addirittura migliorandoli. Come se ci fosse qualcosa da migliorare, poi.
È strano.


 
Emma non può credere di essere finita in questa situazione. Non può credere di avere un figlio dodicenne a cui ancora piacciono le favole. Non può credere che è davvero seduta su uno stupido divano a guardare “Biancaneve” di Walt Disney in televisione.
«Henry, avrai visto diecimila volte questo film.»
«Ma mi piace!»
«E a me piace la cannella, ma non fa parte dei miei bisogni primari.»
«Davvero?»
«D’accordo, pessimo paragone.»
Emma sbuffa ed Henry ride, vittorioso. Sullo schermo della televisione il film va avanti, la regina domanda allo Specchio Magico chi sia “la più bella del reame”, e la risposta non la aggrada, come sempre. La furia si dipinge sul suo volto mentre decide di eliminare Biancaneve, fosse l’ultima cosa che farà.
«Stronzate.» commenta Emma.
«Mamma!» scatta il ragazzino «Devi mettere cinquanta centesimi nel mio salvadanaio!»
«Metto tutti i soldi che vuoi, ma è una stronzata! Non è possibile che una come quella se la prenda tanto a male solo per essere arrivata seconda a un concorso di bellezza.»
«Beh, è la Regina Cattiva.»
«Balle. È solo per far scena nel film. Probabilmente Biancaneve le ha fatto qualcosa di terribile.»
«Tipo?»
«Boh, le avrà ucciso il fidanzato, che ne so.»
Henry scoppia a ridere.
«Ma’, da dove ti escono queste idee?»
Emma aggrotta le sopracciglia per qualche istante.
«Non lo so.» ammette.
Mentre Henry si accoccola per bene fra i cuscini per continuare a seguire il film, Emma cerca di scavare a fondo nei vari cofanetti che compongono la sua memoria, alla ricerca di quello dal quale ha tirato fuori quella bizzarra teoria.
Non trova niente.
 


«Ma’, fai mai dei sogni strani?»
Emma si volta confusa verso il figlio, ancora in pigiama, e per poco non rovescia la colazione.
«Sogni strani?» ripete «Tipo incubi?»
«No. Cioè, non lo so. Sogni strani.»
Lei gli fa cenno di sedersi mentre gli posa davanti il piatto.
«A volte.» risponde.
«E su cosa sono?»
«Perché queste domande, ragazzino?»
Henry scrolla le spalle, evasivo.
«Niente.»
«Guarda che il mio superpotere rivela che stai mentendo.»
Lui alza gli occhi al cielo.
«È che a volte sogno di vivere da qualche altra parte.» confessa «In un’altra città, con un’altra mamma. E non lo so, è vero che dovrei essere triste perché tu non ci sei, ma mi sento bene, ed è strano! Così volevo sapere se succedeva anche a te. Sogni mai di vivere in un’altra città con un altro figlio?»
Emma rimane immobile per qualche secondo, sorpresa.
«No.» ammette «Nei miei sogni tu ci sei sempre.»
Il volto di Henry si incupisce, così si affretta ad aggiungere: «Ma questo non significa niente. Sono solo sogni, ragazzino. Magari l’altra mamma sono io con una parrucca.»
Henry ride, divertito dall’idea.
«Mangia la colazione.»
Il ragazzo si avventa sulle uova strapazzate, ed Emma sorride. Tenta di ignorare quella strana sensazione alla bocca dello stomaco, il ricordo che sbuca fuori dal cofanetto sbagliato, il sogno che ha fatto la notte scorsa in cui viveva in un’altra città, con un’altra famiglia, con Henry, e doveva dire addio a tutti e a una donna in particolare e questo la devastava.
Non ci riesce molto bene.


 
«Mamma, credi che ti sposerai mai?»
Il boccone le va di traverso. Emma tossisce forte e ha bisogno di un sorso d’acqua per riuscire a respirare di nuovo.
«A-Accidenti, ragazzino, aspetta che abbia ingoiato prima di fare una domanda simile.»
«Ma che ne pensi?»
La prima reazione di Emma sarebbe quella di cambiare completamente discorso, ma il figlio la fissa curioso e lei semplicemente sa che non si arrenderà finché non otterrà una risposta.
«Non… Non lo so.» dice.
«Perché no?» Henry è evidentemente insoddisfatto.
«P-Perché non ci ho ancora pensato.»
Il ragazzo annuisce piano e riprende a mangiare. Emma tira un sospiro di sollievo e, convinta che sia finita, si accinge a bere un altro sorso d’acqua.
«Non ti vedi mai con nessuno.»
Stavolta Emma sputa tutto prima di strozzarsi di nuovo.
«Henry!» ansima.
«Scusa – è che sono preoccupato per te! Sei sempre sola…»
«Forse voglio stare sola.»
Henry abbassa lo sguardo, risentito.
«Oh, ragazzino – senti, mi dispiace, d’accordo? È che non sento il bisogno di lanciarmi in una relazione. Per ora io ho te e tu hai me, questa è tutta la famiglia che ci serve.»
«Ma se trovassi la persona giusta, la sposeresti?» incalza Henry nuovamente.
Emma si agita sulla sedia, a disagio.
«Forse.» risponde «Non lo so. Credo. Insomma, non l’ho ancora trovata.  Possiamo mangiare, adesso?»
Henry annuisce. La stanza cade nel silenzio, riempita solo dal tintinnare delle posate contro il piatto.
La testa di Emma, invece, è rumorosissima. Da qualche parte nella sua memoria sente invece di averla trovata, la persona giusta, e si concentra nella speranza di averne la prova.
Questa volta, però, i cofanetti rimangono ben chiusi.
 


«Perché noi siamo felici?»
Emma solleva lo sguardo dalla lista della spesa che sta compilando, confusa. Fra tutte le domande che suo figlio le ha mai fatto, questa è certamente la più strana.
«Che cosa intendi?»
Henry saltella da un piede all’altro.
«Un sacco di gente non lo è.» le fa notare «C’è chi è povero, chi è senza casa, chi è sempre malato… Noi invece siamo felici. Perché?»
Dentro di sé, Emma trattiene una risata. I più grandi filosofi del mondo hanno cercato una risposta a questa domanda senza riuscirsi, e ora suo figlio la pretende da lei.
«Non lo so.» ammette «Credo che siamo stati semplicemente fortunati. Non ci può essere felicità per tutti.»
«E perché per noi sì e per altri no?»
Emma cammina sui carboni ardenti.
«Forse… Forse noi ce lo meritavamo più di altri.»
Henry abbassa la testa e riflette. Poi scuote la testa.
«No… Non la penso così.» dichiara «Penso che se siamo felici è perché qualcuno ci ha permesso di esserlo. Se non può esserci felicità per tutti, allora qualcuno deve aver rinunciato alla propria per darla a noi.»
La penna scivola dalle dita di Emma. Nemmeno in milioni di anni avrebbe potuto giungere a un’ipotesi più profonda.
«Può… Può darsi.» farfuglia, senza sapere se essere ammirata o sconvolta.
«Perché credi che lo abbia fatto?» chiede Henry.
Emma agita le mani, alla ricerca di una risposta che soddisfi il ragazzo e la salvi dal fare la figura dell’idiota.
«Forse ci voleva bene.» afferma alla fine «Le persone fanno grandi sacrifici quando vogliono bene.»
Henry, miracolosamente, sembra accettare l’idea. Annuisce più volte e poi si allontana, aggiungendo qualcosa riguardo all’ultimo livello di un videogioco che deve ancora completare.
Emma tira un sospiro di sollievo. Ci sono quei giorni in cui Henry si pone quesiti così complicati che mettono a seria prova la sua povera mente di madre single.
Apre la finestra e prende una profonda boccata d’aria. New York si espande verso l’orizzonte ambrato del tramonto, un confine che a quanto pare non ha fine per la fantasia di Henry.
Se non può esserci felicità per tutti, allora qualcuno deve aver rinunciato alla propria per darla a noi.
«Grazie.» mormora Emma. L’ipotesi del ragazzo è pazzesca e poco credibile, ma se c’è anche solo una minuscola percentuale che sia vera, allora sente il dovere di ringraziare quella misteriosa persona che ha sacrificato la propria felicità per la loro. Perché lei è felice, lo è davvero. E quella persona deve averla amata proprio tanto, se anche una come lei può esserlo.
Mentre richiude la finestra, un’ultima folata di vento le scompiglia i capelli dorati.  E a Emma sembra quasi di sentirla, la voce di quella persona, una mesta risata che soffoca le lacrime:
«Prego, signorina Swan.»
 
 








Angolino dell’autrice: Hahahaha, ma come amiamo Adam ed Eddy, vero?
NO. Non è vero. Li odiamo con tutto il cuore. Perché bisogna proprio essere sadici per prendere tutto ciò che i fan desiderano e distruggerli davanti ai loro occhi.
Io sto male. Mi dovete credere, male. La Swan Queen in questo episodio è stata eccelsa, ma più di tutto Regina. Regina, che sacrifica la sua felicità per donarla a Henry ed Emma. Che rinuncia al proprio lieto fine per darlo a loro. IL MIO CUORE PORCA PUTTANA.
E quindi eccomi qui, a scrivere questa robetta. Non è niente di che. Solo qualche scena della nuova vita di Emma e Henry che non ho nemmeno riguardato prima di pubblicare. Giusto per sfogare il mio dolore. Ho tre mesi avanti a me per farlo, del resto, sempre che sopravviva fino a Marzo.
Alla prossima, allora! Mi lasciate un commentino?
Ser <3 
  
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