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Autore: _Fedra_    17/12/2013    3 recensioni
Il primo giorno di scuola, il Cappello Parlante assegna Edmund a Serpeverde non appena sfiora la sua testa.
Ma siamo sicuri che la Casa più famigerata di Hogwarts sforni esclusivamente maghi e streghe cattivi?
E se il ragazzo destinato ad affiancare Harry Potter nella lotta contro Voldemort si trovasse proprio lì?
* AU in cui i Pevensie sono dotati di poteri magici; nuovi pairing e personaggi per entrambe le saghe *
Genere: Fantasy, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Caspian, Edmund Pevensie, Susan Pevensie
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La profezia dell'Erede'
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CAPITOLO 3

Dissennatori al “Palace Hotel”

~

 
 
 
 
 
 
Man mano che le ore passavano, il cielo si faceva sempre più basso e grigio.
Verso le tre del pomeriggio, una pioggerellina leggera e insidiosa prese a cadere lentamente sui tetti spioventi di Victoria Street.
−Sposa bagnata, sposa fortunata – disse Peter in tono di incoraggiamento, mentre fissava quel triste paesaggio dalla finestra del soggiorno.
Lui e gli altri ragazzi erano stati i primi a prepararsi.
In fondo, a loro era bastato pettinarsi all’indietro i capelli e indossare un completo scuro per apparire presentabili.
Le ragazze, invece, erano sparite nel bagno al piano di sopra da più di un’ora e mezzo.
Ogni tanto, un grido isterico squarciava l’aria fin troppo calma.
Il più delle volte, Edmund riconobbe la voce di Jane.
−Ma che stanno combinando? – chiese a un certo punto, preoccupato.
−Diciamo che a Jane non sono mai piaciute le occasioni formali – rispose Harry sorridendo. – Prima di partire, Susan si è fatta promettere che si sarebbe messa qualcosa di elegante. A quanto pare, non si sono capite.
Un paio di strilli più tardi, Susan scese le scale con fare teatrale.
I ragazzi le andarono incontro, stentando quasi a riconoscerla.
Caspian in particolare non l’aveva mai vista così bella prima d’ora.
Sembrava molto più grande della sua età.
Una vera donna.
I lunghi capelli scuri erano acconciati elegantemente in una serie di trecce sulla sommità del capo e le curve morbide del suo corpo erano fasciate da un leggero abito celeste senza maniche, che si intonava con il colore dei suoi occhi.
−La mia principessa! – esclamò il ragazzo avvicinandosi a lei e sfiorandole la mano bianca con le labbra.
Susan sorrise, arrossendo; poi si rivolse agli altri.
–Ora voglio che mi diciate tutti che cosa ne pensate di quella ragazza lassù – disse indicando qualcuno di molto impacciato che stava scendendo le scale con tutto l’entusiasmo di una persona costretta a camminare sui carboni ardenti.
Sia Edmund che Harry dovettero sbattere più volte le palpebre per assicurarsi che fosse davvero Jane.
La sua indomabile chioma scura era stata accuratamente pettinata e domata e ora appariva in tutto il suo splendore, raccolta elegantemente sulla nuca, con le ciocche più lunghe che scendevano sinuose lungo la schiena. Indossava un rifinitissimo vestito color rosa antico, che le lasciava nude le spalle e le creava un lungo strascico ai piedi.
Un leggero velo di mascara le metteva in risalto i grandi occhi verdi e le sue labbra non erano mai state così rosse prima d’ora.
−Ho i tacchi! – strillò Jane, aggrappandosi goffamente al corrimano.
−Oh, quante storie! – la canzonò Susan sorridendo. – Sei bellissima.
Edmund provò quasi istintivamente l’impulso di venirle incontro, quando la strada gli fu sbarrata da Harry, che prese sottobraccio la sorella, sorridendo radioso.
–Se fossi andata così al Ballo del Ceppo, a quest’ora tu e Ron sareste come minimo sposati – le disse dolcemente.
−C’è sempre oggi pomeriggio, ammesso che i miracoli accadano anche per le streghe – rispose Jane facendogli una smorfia di sfida.
Tutti risero, compreso Edmund, anche se dentro di sé avvertì una leggera fitta dalle parti del torace che gli suscitò uno strano senso di fastidio.
Scrollò il capo con noncuranza, seguendo gli altri sulla veranda per scattare le prime foto.
Pochi minuti dopo, Evelyn si unì a loro, tenendo per mano la piccola Lucy.
Era così bella, che persino zia Alberta non riuscì a trovare nulla da ridire, almeno per il momento.
La mamma dei Pevensie schioccò un sonoro bacio sulle guance dei figli, gli occhi carichi di emozione.
Peter la prese dolcemente sottobraccio, accompagnandola alla macchina.
Gli altri la seguirono, accomodandosi ciascuno nelle proprie automobili decorate con fiocchi bianchi e dando inizio al corteo nuziale, mentre la pioggia si faceva sempre più gelida e intensa.
La chiesa non era molto lontana dal loro quartiere, a circa una decina di minuti di macchina.
Al loro arrivo, c’erano già tutti.
Di fronte all’ingresso Ron, Hermione e Neville attendevano con ansia i loro amici.
Jane notò subito che Hermione era più bella e radiosa che mai, di nuovo avvolta nello scintillante abito rosa che indossava al Ballo del Ceppo.
−Jane! – esclamò la ragazza gettandole le braccia al collo. – Come stai? Hai trascorso delle belle vacanze?
−Oh, sì! L’Austria è davvero bella – rispose lei, sforzandosi di non guardare Ron. – E tu?
–Indovina un po’? Sono stata da Viktor per una settimana intera! Oh, ti devo raccontare tante di quelle cose…
Quella notizia spiazzò Jane come se l’amica le avesse appena detto di essere incinta di due gemelli.
Una vampa di calore le attraversò il petto, mentre il cuore accelerava i battiti come un cavallo impazzito.
Lanciò una rapida occhiata a Ron oltre la spalla di Hermione e notò che aveva improvvisamente assunto un allarmante colorito verdastro.
Dovette mordersi la lingua per non lanciare un grido di trionfo.
Se Hermione era cotta di Viktor, significava una cosa sola: poteva di nuovo tentare di provarci con Weasley.
Questa volta sarebbe stata brava, non poteva sbagliare.
Si avvicinò quindi a Ron, stampandogli automaticamente due baci sulle guance.
–Ti trovo bene, Ronald – disse sfoggiando il suo sorriso più luminoso.
−Ciao, Jane – borbottò lui, stringendola in un goffo abbraccio.
Edmund era rimasto in disparte, contemplandosi le punte dei piedi.
Non sapeva perché, ma il senso di fastidio cresceva di attimo in attimo.
Da quando Harry aveva accennato alla cotta che Jane aveva per Ron, il suo malumore era visibilmente peggiorato.
Ma perché, poi?
Era forse geloso?
Ma cosa c’entrava lui, con Jane?
E che diritto aveva di impicciarsi nei suoi affari?
Del resto, lei conosceva Ron da quando era poco più di una bambina.
Era anche giusto che si mettessero insieme, prima o poi.
No, Jane era solo un’amica, una grande, grandissima amica, ma ci si fermava qui.
Facile, no?
−Ehi, come stai? – lo riscosse la voce cordiale di Neville alle sue spalle.
−Ciao – lo salutò Edmund, sforzandosi di sorridere.
Almeno, ora aveva una scusa per non guardare nella direzione di Jane.
Pochi minuti dopo, il corteo fece il suo ingresso in chiesa.
All’interno c’era Wendy, insieme a Dennis e Cecilia.
Albert raggiunse a grandi passi il resto della famiglia, stringendo la moglie in un abbraccio.
I gemelli Potter lo seguirono a ruota. Accanto all’altare, con l’aria più emozionata di questo mondo, stava Charlie Winston, il futuro marito di Evelyn.
Sfoggiava un elegantissimo completo nero e gli imponenti baffoni rossi e la fluente criniera fulva erano pettinati come mai prima d’ora.
La signora Pevensie fece ingresso nella chiesa, tenuta a braccetto da Peter.
In un angolo, Eustace continuava a scrivere febbrilmente sul suo taccuino.
I quattro fratelli Pevensie erano riuniti in prima fila, proprio di fronte all’altare.
Una volta terminata la marcia nuziale, la cerimonia iniziò.
La funzione fu molto lunga e solenne, intervallata di tanto in tanto dai canti arrangiati da alcuni amici di Charlie, che suonavano in un complesso jazz.
Il momento più emozionante fu certamente quello in cui Lucy, con i grandi occhi tondi colmi di emozione, arrivò all’altare portando le fedi.
Vennero pronunciate le frasi di rito e poi, finalmente, Evelyn e Charlie si scambiarono un profondo bacio d’amore, tra gli applausi concitati di tutti i presenti.
Jane intravide Susan trattenere a stento un singhiozzo.
Peter le mise una mano sulla spalla, attirandola dolcemente a sé per consolarla.
L’atmosfera all’uscita della chiesa era decisamente più rilassata.
Nel frattempo, l’intensità della pioggia era aumentata e, quando arrivò il momento di lanciare il riso, la folla venne abbagliata dai lampi.
Ci fu un disordinato fuggi fuggi verso le macchine, poi il corteo ripartì strombazzando alla volta del Palace Hotel, dove si sarebbe tenuto il rinfresco.
Il ristorante era una villa signorile degli inizi del Novecento completamente ristrutturata.
Sorgeva all’interno di un grande parco pieno di fontane e vialetti ghiaiosi, a cui si accedeva attraverso un complicato sistema di terrazze e scale di marmo.
Il ricevimento era stato allestito all’ultimo piano, in una grande sala drappeggiata di bianco solcata da lunghi tavoli.
In fondo, c’era un’ampia pista da ballo.
Ciascuno prese il proprio posto (i ragazzi si sedettero tutti vicini) e, dopo un commovente discorso tenuto dai novelli sposi, entrò un piccolo esercito di camerieri per servire gli antipasti.
−Bene, ora si mangia! – esclamò Ron, gettandosi rudemente sul suo piatto, sotto lo sguardo orripilato di Hermione.
−È stata una bella cerimonia – commentò Jane rivolta a Susan.
−Già – rispose la ragazza torva.
Sembrava così persa nei suoi pensieri, da non accorgersi neanche dalla mano di Caspian che le accarezzava la schiena.
−Quindi ora non vi chiamerete più Pevensie, giusto? – domandò Harry.
−Certo che manterranno il cognome! – disse Hermione in tono pignolo. – Fa parte del Codice Civile babbano, no?
−Non mi dire che conosci anche quello! – esclamò Ron esasperato.
−Per tua informazione, Ronald, io tra i Babbani ci vivo per almeno due mesi l’anno e per di più senza poter usare la magia!  
Come al solito, Ron non esitò a ribattere e da lì si scaturì uno dei loro soliti battibecchi, che fece calare un velo di malumore su tutta la tavolata.
Per fortuna, la tensione si stemperò non appena arrivarono i primi piatti e in breve i presenti si riappropriarono della sana parlantina di sempre.
−Avete avuto notizie dal nostro mondo? – chiese a un certo punto Harry a bassa voce.
−No, nessuna – rispose laconico Ron.
−Neanche da Silente?
−Di che cosa state parlando? – Eustace, che sedeva nell’angolo più lontano del tavolo, ascoltava piegato in avanti, gli occhi carichi di avidità.
−Niente, niente – si affrettò a rispondere Susan. – Cose di scuola.
−Già, Silente è il Preside di Hogwarts, la nostra scuola – intervenne Peter.
−Mai sentita nominare – ribatté Eustace.
−Per forza, si trova in Scozia!
−Come se il fatto che si trovi in Scozia fosse un problema, per un divoratore di libri come me! L’anno scorso ho fatto una ricerca di geografia su tutte le scuole del Regno Unito e posso assicurarvi che non ne ho trovata neanche una che si chiamasse Hogwarts.
−Ne sei sicuro? Sicuramente ti sarà sfuggita. Non è una scuola molto grande, sai? Ci sono pochi iscritti, quindi è logico che venga messa un po’ in secondo piano – commentò Hermione.
−Io invece ho un’altra versione dei fatti: mi state raccontando tutti un mucchio di balle. Che bisogno c’è di andare a studiare fino in Scozia quando siamo a Londra?
−Forse il fatto che siamo stati ammessi in una scuola di eccellenza? – incalzò Peter.
−Hogwarts esiste eccome. Hai un suo professore proprio davanti a te – disse Susan indicando Caspian.
A quell’affermazione, Eustace strabuzzò gli occhi.
Evidentemente, il giovane non corrispondeva pienamente con il suo ideale di insegnate.
–Tu? – chiese sconcertato. – Ma hai solo ventuno anni!
−Ventidue tra qualche giorno, prego. Diciamo che a scuola ero uno studente particolarmente brillante – si schermì Caspian.
−E che cosa insegneresti? – domandò Eustace sospettoso.
−Letteratura inglese – si affrettò a rispondere Susan per lui.
In fondo, era l’unico argomento babbano che avrebbe permesso al suo ragazzo di sopravvivere al bombardamento di domande teoriche che gli avrebbe rivolto il cugino di lì a poco.
Difatti, non appena Eustace riuscì a riprendere fiato, il povero Caspian dovette subire un vero e proprio interrogatorio sugli autori britannici dal poema Beowulf  fino a Tolkien.
Un paio di portate dopo, finalmente giunse il momento della musica.
Evelyn e Charlie aprirono le danze sulla pista, tra gli applausi dei presenti.
Poi, fu il turno di tutti gli altri. Caspian fu uno dei primi ad alzarsi e a invitare la sua bella a danzare.
Jane si ritrovò per un attimo in una sorta di fuoco incrociato tra gli sguardi di Harry, Edmund e Neville, tutti e tre indecisi su chi avrebbe dovuto chiederle di ballare, visto che era la cosa che la ragazza amava di più al mondo; poi, dal momento che nessuno faceva la prima mossa, suo fratello si alzò in piedi e la condusse verso la pista.
Lei gli cinse le spalle raggiante e insieme si abbandonarono alle danze.
Non appena partì il secondo pezzo, Harry invitò Hermione, mentre Jane ripeteva l’esperienza del Ballo del Ceppo insieme a Neville.
Nel frattempo, Susan aveva trascinato sulla pista anche Peter, salvandolo per un pelo dalle grinfie di zia Alberta, che non esitò a puntare Albert, acciuffato per la cravatta appena in tempo da Wendy, e Caspian, che non riuscì a trovare un’altra partner.
Anche Lucy volle unirsi agli altri, afferrando un recalcitrante Edmund per la mano e trascinandolo nella mischia.
Ron rimase seduto in disparte, preferendo concentrarsi sui dolci piuttosto che ballare.
A un certo punto, Jane provò ad avvicinarsi a lui con una scusa per chiedergli un giro di pista, ma lui declinò quasi immediatamente l’offerta, farfugliando qualcosa con la bocca piena.
Profondamente seccata, Jane si sedette in un angolo, andando a versarsi qualcosa da bere, quando si rese conto che anche Edmund aveva avuto la sua stessa identica idea.
−Te la cavi bene con le danze – scherzò lei mentre il ragazzo le versava dell’acqua nel suo bicchiere.
−Non ho saputo dire di no a Lucy – si schermì lui.
−È una ragazzina adorabile. Ti va di ballare il prossimo pezzo?
−Ehm…
−Dai, scommetto che ci divertiremo un sacco!
Gli occhi di Jane avevano assunto un’espressione così speranzosa, che Edmund non se la sentì di deluderla.
–Va bene, – disse – però ti avverto: non ho mai ballato seriamente in vita mia!
−Ti insegno io, vieni!
Jane lo accompagnò sulla pista, in mezzo alla calca di persone che danzavano a ritmo di musica.
Il ragazzo divenne di un allarmante color porpora quando lei gli prese delicatamente la mano e gliela pose sul suo fianco, mentre l’altra gli sfiorava la spalla.
Era talmente imbarazzato che all’inizio non riusciva neanche a guardarla in faccia, rischiando di inciampare nei suoi piedi.
Con sua grande sorpresa, Jane scoppiò a ridere e lo corresse, portando lei per i primi minuti, finché il ragazzo non imparò le regole del gioco e afferrò le redini delle danze.
Sentendosi finalmente a suo agio, Edmund iniziò davvero a divertirsi, lasciandosi trasportare dalla musica e dimenticando per un attimo tutto il resto.
Jane era davvero bella, pensava mentre la ragazza gli prendeva le mani e volteggiava attorno a lui.
Okay, non era quel tipo di bellezza eterea da togliere il fiato.
Era molto piccola di statura e aveva un fisico mingherlino e nodoso.
Aveva il naso leggermente aquilino e non si preoccupava di sfoltirsi le sopracciglia nere.
Però la sua era una bellezza diversa, che veniva dall’interno: il modo in cui rideva, l’espressione intensa dei suoi occhi, la leggerezza dei movimenti, il suono a un tempo dolce e squillante della sua voce.
Quasi gli dispiacque quando il pezzo finì e Harry venne nella loro direzione, chiedendo di poter parlare in privato con lei.
Anche Jane sembrava contrariata, ma seguì comunque il ragazzo all’esterno.
Edmund stava per tornare a sedersi, quando venne intercettato di nuovo da Lucy.
−Posso ballare il prossimo pezzo con te? – chiese speranzosa.
Il ragazzo le sorrise, poi si lasciò di nuovo guidare verso la pista.
 
***
 
Susan non ce la faceva davvero più.
Le sembrava di vivere nei panni di un’altra, quella sera, osservando i festeggiamenti di una famiglia che non era la sua.
Osservava sua madre e Charlie muoversi tra la folla, entrambi bellissimi e radiosi, mentre la gente si complimentava con loro.
Ovunque c’era aria di allegria.
Come avrebbe dovuto chiamarlo d’ora in poi?
Papà?
O solo Charlie?
Negli ultimi giorni, Susan aveva atteso con ansia notizie dal suo vero padre.
È vero, da quando la ragazza aveva deciso di studiare la magia, Philip Pevensie aveva troncato definitivamente ogni rapporto con lei, andando a formare a sua insaputa una nuova famiglia.
Ma almeno avrebbe potuto farsi vivo, una volta saputo che la sua ex moglie si era finalmente risposata.
O no?
Di certo, suo padre non era mai stato un cuor di leone.
Non aveva voluto prendersi le sue responsabilità con la morte di David, chiudendosi nel suo silenzio e fregandosene di tutto il resto.
Forse, se suo fratello non se ne fosse mai andato, tutto questo non sarebbe mai successo e in quel momento sarebbero stati ancora insieme, una famiglia felice.
Ma era davvero così, poi?
Anche quando le cose sembravano andare per il verso giusto, Philip non era mai stato un padre molto presente.
Tornava sempre stanco dal lavoro e non voleva sentir volare una mosca in casa.
Trascurava la moglie, che avrebbe fatto qualunque cosa pur di accontentarlo, ed era eccessivamente severo con i figli.
Soprattutto con David, il più discolo dei quattro, non era difficile vederlo assestare qualche scapaccione.
Forse era stata proprio la paura di una sgridata coi fiocchi a far allontanare il bambino da casa, sette anni prima.
Susan ricordava quel giorno come se fosse ieri.
David stava giocando a pallone in casa, tanto per cambiare, e aveva distrutto uno dei preziosi vasi della mamma.
Conoscendo bene le sfuriate di Philip, Susan lo aveva strigliato ben bene e David, intimidito e spaventato, era scappato con rabbia a nascondersi nel giardino.
Da lì era completamente sparito.
Nessuno l’aveva più rivisto, né vivo né morto.
Alhena Black, una strega squilibrata quanto sanguinaria, lo aveva scelto come sua prossima vittima.
Proprio come era avvenuto con Edmund, strappato dalla sua famiglia quando era ancora in fasce.
Susan si morse il labbro con rabbia.
Sapeva che lei sarebbe stata in grado di evitare quella tragedia.
Se solo quel pomeriggio avesse accantonato la sua rabbia per andare a cercare suo fratello, invece che lasciarlo uscire così, allo sbaraglio, e non preoccuparsi di lui fino al calare del sole…
Non è colpa tua, prese a ripetersi disperatamente.
Levò lo sguardo verso Edmund, che girava in tondo tenendo Lucy tra le mani.
La bambina strillava e rideva, incitandolo ad andare più forte.
Il ragazzo non poteva essere più diverso da David.
No, pensò Susan, Edmund non avrebbe mai preso il suo posto, per quanto fosse la persona più adorabile di questo mondo.
In quel momento, una voce pettegola la riscosse dai suoi pensieri.
Era zia Alberta, di ritorno dalla toilette in compagnia di una zia di Charlie che Susan non conosceva.
Tecnicamente, non avrebbe dovuto nemmeno conoscerla sua zia.
−Oh, Celestine, sono così felice che mia sorella abbia conosciuto suo nipote! – stava dicendo la vecchia arpia in tono melodrammatico. – Sapeste con che razza di bruto si era sposata, la poverina! Un certo Philip Pevensie, un ferroviere. Ma dico! Quel tipo non mi è mai piaciuto neanche un po’. Rozzo da morire e secondo me era anche un poco di buono. Ma lo sa che il ragazzo moro, quello con i capelli corti, non è figlio loro? Lo hanno adottato la scorsa estate. Pare che abbia subìto dei maltrattamenti, sì, una storiaccia. Sì, avevano un altro bambino dell’età di questo qua. David, si chiamava. È morto a dieci anni in circostanze misteriose. Non si è mai capito che cosa sia successo, ma conoscendo Philip non escludo che ci sia dietro qualche fattaccio che mia sorella non avrà mai il coraggio di raccontare. Ora la mia preoccupazione è Susan, la grande. Anche lei si è trovata un poco di buono, lo sa? Oggi, mentre preparavo il pranzo, mi ha aggredita senza motivo.
Zia Alberta si concesse una pausa teatrale, fingendo di essersi accorta di Susan solo in quel momento.
–Oh, eccoti qua, zuccherino – disse sfoderando un sorriso perfido.
−Sei solo una vecchia e invidiosa megera! – sibilò la ragazza con rabbia. – Me la pagherai per tutte le cattiverie che continui a sparare sulla mia famiglia!
Detto questo se ne andò di corsa, lottando contro gli occhi che le bruciavano in maniera insopportabile.
Non voleva darle la soddisfazione di vederla piangere a causa sua.
Sentì chiaramente sua zia che diceva:
−Visto? Completamente assuefatta da quel Caspian, la poverina… − prima di uscire finalmente all’esterno.
La pioggia aveva smesso di cadere e la temperatura si era abbassata di parecchi gradi.
La pallida falce di luna e le luci dei lampioni facevano brillare la vegetazione ricoperta di rugiada.
Rabbrividendo per il freddo, Susan si addentrò nel parco, lasciando che le lacrime trovassero la loro via di uscita.
Camminava a passo spedito per i sentierini ghiaiosi, soffocando singhiozzi di rabbia e di dolore ogni volta che i suoi piedi quasi completamente nudi incontravano qualche sassolino.
In pochi minuti, l’orlo del suo vestito fu completamente intriso d’acqua e fango, ma lei sembrò non accorgersene neppure.
Camminò per un tempo interminabile, fino a quando non udì due voci familiari provenire da una radura.
−Tutte le notti faccio lo stesso sogno. Sto camminando in un corridoio sotterraneo e di colpo mi trovo davanti a una porta chiusa. Vorrei aprirla, ma non ci riesco. Poi mi sveglio di colpo tutto sudato, con la cicatrice che mi fa male – stava dicendo Harry.
−Non mi piace, fratello, non mi piace neanche un po’ – rispose Jane a bassa voce. – Se la cicatrice ti fa male, vuol dire che in qualche modo c’entra Voldemort. Qualsiasi cosa sia, cerca di scacciarla.
−Lo so, ma il fatto è che…sono curioso. Un po’ come te l’anno scorso, no? Non sei stata tu a sognare Edmund, prima di scoprire che il ragazzo esiste davvero?
−Ssst, abbassa la voce. Sta arrivando qualcuno.
Ci fu un trambusto di passi affrettati sulla ghiaia, poi i volti dei due gemelli apparvero tra la vegetazione, debolmente illuminati dalla luce dei lampioni.
−Oh, sei tu, Susan – disse Jane con un sospiro di sollievo. Poi, notò il suo volto striato di lacrime e di mascara. – Che cosa è successo?
La fecero accomodare su una panchina nella radura.
Harry le porse la sua giacca, mentre sua sorella cercava di calmarla.
Susan raccontò tutto, sfogando finalmente la sua rabbia.
−La odio, quella donna! – singhiozzò la ragazza. – È venuta fin qui per rovinare tutto!
In quel momento, si udì un rumore di cespugli spostati e, dopo pochi attimi, dall’oscurità saltò fuori Edmund.
−Oh, eravate qui! – esclamò il ragazzo con un sospiro di sollievo. – Vi ho cercati dappertutto. Mi hanno mandato a chiamarvi perché tra poco c’è la torta.
−Arriviamo subito, Ed – disse Susan asciugandosi frettolosamente il viso con il gomito.
−Di che cosa stavate parlando? – squittì improvvisamente una voce pettegola alle loro spalle.
Tutti trasalirono all’unisono, ma nessuno riuscì a superare l’espressione esasperata che assunse Edmund in quel momento.
–ANCORA TU? – ruggì furibondo.
Eustace balzò fuori dai cespugli.
–Qualche problema? – domandò gonfiando il petto come un tacchino. – Di sopra mi stavo annoiando. La musica è troppo alta per i miei gusti.
−E così hai pensato bene di venire a rompere le scatole a noi, giusto? – ribatté l’altro con stizza.
−Sai una cosa, cugino? Non mi sei per niente simpatico. Anzi, direi che sei proprio un asociale disadattato, per quanto non possa biasimarti per il tuo passato. Da quando sono arrivato, non fai altro che trattarmi male, come se fossi stupido. E, credimi, questo non è l’atteggiamento giusto da avere con i parenti più stretti, specie se sono ospiti a casa tua. Perché io, che ti piaccia o no, faccio parte della tua famiglia.
−SMETTILA!
Edmund era talmente arrabbiato che i suoi occhi erano diventati più scuri che mai.
Faceva quasi paura.
−E non ho finito! Sei anche un bruto, proprio come lo zio prima di Charlie. Si vede a un miglio di distanza che ti piace Jane, anche se non è tutta questa bellezza, e non hai nemmeno il coraggio di ammetterlo in pubblico…
−ORA BASTA! – rapido come un serpente, Edmund scattò in avanti, afferrando Eustace per il bavero, la bacchetta premuta contro la gola.
Nello stesso istante, tutte le luci del parco si spensero contemporaneamente, lasciando i ragazzi nell’oscurità più totale.
−Oddio, è pazzo! – strillò l’altro. – Aiuto! AIUTO!
−Eustace, zitto! – si udì la voce di Jane sibilare nell’oscurità. – Mollalo, Ed. Ho detto mollalo!
Con riluttanza, Edmund lasciò andare il cugino.
−Sei stato tu a spegnere le luci? – chiese Susan nervosamente.
−Che cosa? No, io volevo solo…
−Lo sai che non possiamo usare…quella fuori da scuola, vero? – incalzò Harry.
−Ma io non volevo usarla! Volevo solo spaventarlo un po’ – ribatté Edmund.
−Sei sicuro, Ed? Guarda che è facile perdere il controllo, specie all’inizio. Mettila via, ti prego! – implorò Susan.
−No, non metterla via – era la voce di Harry, molto diversa dal tono di prima.
    Improvvisamente, il ragazzo si era fatto guardingo.
Anche Jane era in allarme, armeggiando febbrilmente con la sua borsetta mentre si gettava intorno occhiate impaurite.
−Che diavolo volete farmi? Perché siamo tutti al buio? Oddio, aiuto! Mamma! MAMMA!
−State tutti vicini! – esclamò Jane. – Tenete le bocche chiuse!
La temperatura si era fatta improvvisamente fredda, troppo fredda per essere agli inizi di agosto.
Dense nuvolette di vapore si sollevavano al ritmo con il loro respiro.
La notte sembrava più buia che mai, come se anche la luna e le stelle fossero state inghiottite dall’oscurità.
−Che cosa sta succedendo? – chiese Susan spaventata.
Di colpo, avvertiva le sue angosce schiacciarla come una lapide.
Immagini terribili dal passato affiorarono nella sua mente, senza che ella potesse fare nulla per scacciarle.
Susan, dov’è David?
Non lo so, ma vedrai che appena sentirà le prime gocce tornerà a casa.
Tornerà a casa…
−ESIGO DELLE SPIEGAZIONI! – continuava a sbraitare Eustace. – VOI SIETE DEI PAZZI E VIOLENTI, ECCO CHE COSA SIETE! AIUTO, AIUTO!
−EUSTACE, CHIUDI QUELLA BOCCA! – ruggì Harry spaventato, premendogli una mano sulle labbra.
Il ragazzino si divincolò con la furia di una belva in gabbia e si dileguò tra gli alberi.
−NON DEVE ALLONTANARSI! – esclamò Jane.
−Vado io! Tu tieni la bacchetta pronta, qualsiasi cosa accada – ordinò Harry lanciandosi al suo inseguimento.
−Ma che succede? – chiese Susan sul punto di mettersi di nuovo a piangere.
Al suo fianco, avvertiva il respiro affannoso di Edmund.
−Dissennatori!
−Dissenna…che?
Susan non seppe mai la risposta.
Un urlo atroce lacerò l’aria: Eustace.
Un attimo dopo, un bagliore argenteo illuminò a giorno la radura, mentre un enorme cervo perlaceo si librava alto tra gli alberi, colpendo forte qualcosa che si contorceva sibilando.
Fu lì che Susan vide per la prima volta il demone.
Alto quasi tre metri, completamente ricoperto da un mantello grigio e logoro, il Dissennatore protendeva in avanti le mani putride, mentre il cervo tornava a colpire.
Un attimo dopo, tutto ritornò buio.
Dall’oscurità era emerso un altro Dissennatore, il silenzio rotto solo dal rantolo sordo che era il suo respiro, gettandosi sui ragazzi con gli artigli protesi.
Susan urlò e si gettò a terra, coprendosi il volto con le mani.
Tutto attorno a lei era dolore e disperazione, come se tutta la felicità del mondo fosse stata improvvisamente risucchiata via.
−NO! LASCIALOOOOOO! – le urla di Jane si sommarono a quelle di Edmund, che era stato scagliato a terra dalla creatura.
Susan si costrinse a guardare.
Il ragazzo era disteso sulla schiena, gli occhi serrati, con le mani putrefatte del Dissennatore strette attorno alla gola, mentre un’impercettibile aura trasparente si staccava dal suo corpo per sparire dritta nel cappuccio del demone: la sua anima.
Edmund urlava e scalciava come se fosse di nuovo sotto la Maledizione Cruciatus, graffiando il terreno fino a sanguinare.
EXPECTO PATRONUM! – gridò Jane levando la bacchetta.
Subito un gigantesco pegaso argenteo si staccò dalla punta, galoppando contro il Dissennatore e impennandoglisi contro, le grandi ali che sbattevano con rabbia.
Il demone incespicò a cadde, mentre il Patronus continuava a infierire su di lui con i denti e gli zoccoli, fino a quando non ebbe la meglio.
Il Dissennatore scomparve nel nulla e, improvvisamente, nella radura tornarono a brillare le luci dei lampioni e delle stelle.
−Che…che cos’era? – domandò Susan, inzaccherata da capo a piedi.
Ma Jane non l’ascoltava.
Era crollata in ginocchio accanto a Edmund, cercando in tutti i modi di farlo riprendere dallo shock.
Il ragazzo era pallido come un cadavere e sudava freddo, gli occhi chiusi e il respiro affannoso.
−È tutto finito, Ed, tutto finito… − sussurrò Jane stringendolo a sé.
Susan si sedette al suo fianco, decisa a darle manforte, quando un improvviso scricchiolio attirò la loro attenzione.
Qualcuno stava venendo nella loro direzione.
Qualcuno che non era Harry.
−Stai giù e tieni la bacchetta pronta! – ordinò Jane balzando in piedi e levando la sua.
Lo Schiantesimo stava quasi per colpire, quando il volto di Caspian emerse tra gli alberi.
−Che cosa vi è saltato in mente? – esclamò questi sconvolto. – Andarvene per boschi da soli in piena notte! Ho visto il Patronus e… − lo sguardo cadde su Susan ed Edmund.
Il giovane si accovacciò al loro fianco.
Susan gli gettò d’istinto le braccia al collo, scoppiando in un pianto silenzioso.
−Dove sono Harry e Eustace? – chiese lui nervosamente.
Come a rispondere alla sua domanda, tra gli alberi si udirono una serie di imprecazioni poco gentili, fino a quando il ragazzo non comparve nella radura, trascinando malamente Eustace, che teneva la testa appoggiata contro la sua spalla e borbottava parole senza senso.
−Non voglio…non voglio… − continuava a farfugliare.
−Roba da matti! – esclamò Harry furibondo. – Dissennatori qui dentro, in un posto pieno zeppo di Babbani!
−Come sarebbe a dire Dissennatori? – chiese Caspian sgranando gli occhi.
−Due, per l’esattezza – precisò Jane. – Pensavi forse che ci fossimo messi a evocare Patronus per divertirci?
−Certo che no! Ma in ogni caso avete…
Caspian si bloccò di colpo.
Un fruscio sinistro proruppe nella semioscurità.
Il giovane Von Telmar si levò in piedi silenziosamente, la bacchetta levata, pronto a proteggere i ragazzi da qualunque cosa stesse strisciando verso di loro.
Poi, improvvisamente, dai cespugli emerse l’ultima cosa che si sarebbero aspettati in quel momento.
La luce della sua bacchetta illuminò per pochi attimi i loro volti.
−Caspian Von Telmar? – chiese la voce di una giovane donna.
Era una ragazza sui vent’anni, con due grandi occhi neri e vispi.
Indossava un lungo mantello da viaggio e, cosa difficilissima da non notare, aveva i capelli di un color rosa acceso.
−Ci conosciamo? – chiese il ragazzo sospettoso.
−Piacere, mi chiamo Tonks – rispose lei facendogli l’occhiolino. – Sono qui per ordine di Albus Silente.
 
 
 
 
Buongiorno a tutti! :) Come state?
Sono un po' preoccupata per il calo di recensioni avuto nell'ultimo capitolo...Spero che questa storia non si riveli un flop!
Ringrazio comunque tutti coloro che stanno continuando a leggere e inseriscono questa fanfiction nelle preferite/seguite/da ricordare.
Un ringraziamento particolare va a Joy_10 per tutti i consigli e gli incoraggiamenti che mi sta dando in questi ultimi mesi. Sei un'amica fantastica! <3

Come sempre, vi lascio il link della mia pagina ufficiale di Facebook, dove potrete trovare tutti gli aggiornamenti in tempo reale, oltre che a foto e indiscrezioni: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra

Ci vediamo di martedì prossimo, con il nuovo capitolo e gli auguri di Natale!
Un abbraccio.

F.



 
 
   
 
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