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Autore: Hewa    18/12/2013    0 recensioni
[...] Alzai lo sguardo verso l'immutato panorama che ero solita godermi da quel punto del parco. Alberi, tanti e spogli, poi il nulla, forse qualche binario del treno, rumori soffusi di vento e versi lontani di cani abbandonati, poi ancora il niente.
Ero rimasta sola, io, l'alba e il silenzio.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cosa racconterai di me?

 

"In sostanza chiedevo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedevo la pace nel mondo, chiedevo la mia.”

-La casa in collina,Cesare Pavese.

 

Andavo spesso dalle parti di Brixton di sera. Era diventata quasi un'abitudine girovagare in cerca di dettagli emozionanti, rivelativi, mancati agli occhi di altri. I miei compagni di classe ripetevano quanto quella zona di Londra si pienasse dei peggiori personaggi al calar del sole, eppure la sensazione di vuoto che mi pervadeva ogni volta che varcavo il limite delle staccionate del parco giochi mi liberava da tutti quegli sporchi pensieri giornalieri, regalandomi attimi di pace.
Salii sullo scivolo e mi accovacciai sulla parte iniziale della discesa in lamiera. Era fredda. Fredda come l'aria pesante di Londra, fredda come il gelato che i bambini mangiavano prima di salire su quello scivolo, fredda come la pelle di Neave steso sul tavolo dell'obitorio, fredda come lo sguardo di mia madre. Fredda come mi sentivo io da quando anche l'ultima foglia rinseccolita era caduta dall'albero difronte casa.
Alzai lo sguardo verso l'immutato panorama che ero solita godermi da quel punto del parco. Alberi, tanti e spogli, poi il nulla, forse qualche binario del treno, rumori soffusi di vento e versi lontani di cani abbandonati, poi ancora il niente.
Ero rimasta sola, io, l'alba e il silenzio.

 

Tom

Erano solamente immagini sfuggenti quelle che avevo di Hazel. Capelli rosati, rovinati dalle tante tinte “fai da te” che si ostinava a provare, mani tremanti, occhi dispersivi e velati da una nebbiolina nerastra che sembrava estendersi su tutto ciò che vedeva: rendendo, il suo, un mondo grigio e privo di speranze. Frequentava il corso di filosofia e letteratura nella classe del professor Elinger. Due anni fa vedevo le sue esili gambe attraversare il corridoio al fianco di Neave, suo fratello. Erano uguali, lui giocava con me nella squadra di basket della scuola, era un tipo apposto. È morto da un anno e poco più per colpa di un incidente stradale. Adesso non vedo più le gambe esili di Hazel camminare velocemente verso l'aula di filosofia, non la vedo più confabulare con il suo gruppetto di amici, tutte persone nate nell'epoca sbagliata, ragazzi venuti al mondo per sbaglio e cresciuti da soli. Potrei dire di non averla vista più e di non averci mai parlato se non fosse per la volta in cui le caddero alcuni libri a terra e mentre la sua amica la aiutava a raccoglierli io inciampai su di lei, le chiesi scusa, poi svoltai l'angolo del corridoio.

Non ne conosco il motivo, ma credo comunque di conoscerla bene: so che tutte le mattine da un anno a questa parte scende due fermate prima dal bus, non capisco il perché, forse odia il traffico e i suoni dei clacson di prima mattina, o forse come me odia i genitori che accompagnano i loro figli in auto, spesso infuriati e in ritardo. Oppure perché le piace godersi l'aria mattutina londinese, l'asfalto umido e l'odore delle foglie gocciolanti e bagnate che sono rimaste sugli alberi. So che segue corsi umanistici a scuola, deduco che sia una persona con cui puoi ragionare su discorsi importanti, in un dialogo tra pari. So che le piace l'indie rock e che la sua band preferita è quella degli Arcade Fire, nonostante sulla borsa di scuola ci siano scritti i nomi dei Black Eyes e degli Artic Monkeys. So che le piace avventurarsi in posti deserti e deturpati; suo fratello Neave mi raccontava sempre di quando Hazel usciva in tarda notte e andava in giro per strada per poi rientrare dopo l'alba, con le occhiaie in viso e un colorito pallido. Ho da poco scoperto che si recava in un parco giochi di Brixton, l'ho vista lì, prima dondolava sull'altalena, poi fissava il vuoto sullo scivolo, senza sapere se buttarsi o no. Era un martedì notte e faceva freddo, io stavo portando fuori il cane, preso da una turbolente insonnia. La guardai, mi guardò. Ci fissammo a lungo per poi voltarci e andarcene. Fu così anche la sera dopo, e quella dopo ancora. Sono passati due mesi da quando l'ho vista in quel parco, due mesi da quando non riesco a togliermela dalla testa. La fisso da lontano. Voglio di più e lo voglio all'istante. Mi avvicino allo scivolo, la guardo.

-Sei venuto qui per importunarmi?
-No.
-Sei venuto qui per giocare?
-No.
-Vattene.
-No.

Restiamo in silenzio per un po. È piena di dettagli mancati, come gli orecchini in argento, il neo sopra al labbro e quello nel lobo dell'orecchio.

Hazel

-Cosa ci fai qui?
-Nulla, tu?
-Anche io.
-Credi che potremmo restare qui a non far nulla insieme?
-Non lo so. Non dovrei fidarmi degli sconosciuti.
-È vero, non dovresti.

Rimane ancora in silenzio, poco dopo accenna una risposta soffiata.

-Credo che tu possa restare.

Tom

È passato un altro mese, sto andando da Hezel a guardare l'alba sorgere lentamente. Sono in ritardo, spero che mi abbia aspettato.

Hazel

Finalmente scorgo la sua giacca marrone nel nulla, gli occhi assonnati, lo sguardo stanco. Forse dovrei rispedirlo a casa, per colpa mia non dorme molto, forse dovrei fermarlo, non lasciarlo avvicinare; forse dovrei, ma ho bisogno della sua freddezza sui problemi del mondo, la sua continua positività irritante, le sue gote rosse per il freddo e il vapore che gli esce dalle labbra quando parla. Forse dovrei dirgli che ho sbagliato a farlo restare quella notte, dirgli che mi sto innamorando, forse dovrei avvertirlo.
Si avvicina e mi sorride. Io non perdo tempo.

-Cosa siamo?
-In che senso?
-Perché continui a venire qui?

-E tu perché continui a non mandarmi via?

Tom

Mi guarda spazientita, vuole risposte non domande.

-Penso che questo posto ci leghi, ci appartenga.
-Perché?

Era curiosamente nervosa.

-Perché siamo due cose opposte, noi due. Mi piace questo legame distratto, casuale, mi piace come ti siedi in quel punto preciso dello scivolo tutte le notti, mi piace la tua coerenza, mi piace l'idea che stiamo condividendo un piccolo pezzo di mondo, mi piace l'idea che forse un giorno lo racconterò ai miei figli.
-Cosa gli dirai?
-Ancora non lo so.
-Cosa racconterai di me?
-Forse parlerò dei tuoi capelli colorati e degli anfibi sporchi di fango. Tu ai tuoi parlerai di me?
-Forse.
-E se adesso ti baciassi?
-Avremmo entrambi qualcosa da raccontare ai nostri figli.

Restiamo in silenzio.

-Penso di amarti.

Glielo dico, poi le do un bacio innocente.

-L'ho pensato prima io.

Mi risponde. La guardo ancora, lei si scansa, scendo dallo scivolo, mi volto, mi allontano ancora.

Hazel

Si gira lentamente e mi guarda. Eccoci al punto di partenza. Mi fissa in silenzio poi guarda per terra e muove le scarpe. Se ne va. Non mi spaventa, so che riguarderemo assieme questo sole sorgere ma nel frattempo ecco l'alba, sono di nuovo sola, io e il silenzio.  




*Spazio autrice*
Tom ed Hazel, non credo ci sia molto da aggiungere su di loro. Un'amore freddo come la lamiera degli scivoli, affrontato con un'aria da bambini che solo due persone come loro possono avere.
Sentivo di doverla scrivere, un po per Hazel, un po per Tom, un po per me. Spero vi piaccia.
A presto,
Hewa.

   
 
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