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Autore: simpleGAIMAN    18/12/2013    1 recensioni
Dovahkiin. Non è solo un nome: è un destino. La più grande eredità che Skyrim abbia da offrire, ed insieme il più grande onere.
Chi è Deirdre, se non l'ennesima pedina nelle mani dei Daedra? Ma questo esula dalle possibilità dei Divini: c'è di più, nel cuore della giovane donna Nord, della semplice voglia di libertà.
C'è un'anima di Drago.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mini premessa: ho scritto questa fanfic dopo aver completato il gioco. Mi dispiaceva così tanto di aver terminato tutte le missioni che ho deciso di mettere per iscritto quello che avevo fatto. Però ho deciso di pubblicare la storia solo dopo che un mio amico l'ha letta e l'ha considerata degna di nota anche per chi conosce già la trama. Chiaramente non è andato tutto in questo modo, la fanfic è stata scritta in modo da dare molto risalto ai vari personaggi, quindi a livello introspettico è più approfondita, ma è normale che sia così. Detto questo, siate clementi!
 

«Ma io non dovrei essere qui!» esclamò Deirdre, mentre un Imperiale la spingeva su di un carro insieme ad altri quattro uomini. Avevano tutti i polsi legati, come lei, ed uno era imbavagliato. La fissarono senza entusiasmo, ma uno di loro le si avvicinò e, seppur con fatica, la aiutò a mettersi seduta. Deirdre sbuffò e cercò di scalciare, ma l'Imperiale le afferrò il piede e lo allontanò da sé come una mosca fastidiosa.

«Ci deve essere stato un equivoco» borbottò la ragazza. «Io non sono un Manto della Tempesta!»

L'uomo che la aveva aiutata rise. «E cosa saresti?»

Lei lo fissò. Aveva lunghi capelli biondi ed una folta barba che copriva la mascella pronunciata. Il naso era appuntito, gli occhi, azzurri, erano ironici, ma non crudeli, e nonostante fosse un prigioniero sembrava molto tranquillo.

«Io sono Deirdre, nipote dello jarl Balgruuf» disse a mezza voce. «E se quell'Imperiale idiota mi avesse ascoltata, ora non sarei in questa situazione!»

L'uomo fischiò. «Notevole, una prigioniera di tutto riguardo.»

Deirdre stava per replicare aspramente, quando il carro partì all'improvviso e lei rischiò di sbilanciarsi verso l'esterno. Recuperò l'equilibrio e fece qualche tentativo di liberarsi i polsi.

«Non serve» commentò l'uomo. «Non ce la faresti, ragazzina.»

Gli occhi di lei dardeggiarono nella sua direzione. «E tu chi diavolo saresti?»

«Il mio nome è Ralof» mormorò lui, non senza un certo orgoglio. «Vengo da Riverwood. Sono un Manto della Tempesta, come tutti loro.»

Lo disse indicando gli altri prigionieri: uno di loro sembrava appisolato, quello imbavagliato guardava ostinatamente il paesaggio circostante ed il terzo, che non si era perso una parola, sputò.

«Io non sono un Manto della Tempesta» esclamò. «Ma ho ucciso un Imperiale, ecco perché sono qui. Non avrei mai dovuto immischiarmi in questa faccenda, che Ulfric possa morire!»

«Bada a come parli!» ruggì Ralof. «Lo vedi quello?»

Con entrambe le mani indicò loro l'uomo imbavagliato: se ne stava in disparte, e sembrava non accorgersi neppure della loro presenza. Era come se nulla potesse scalfirlo; Deirdre non sapeva se definire il suo atteggiamento come coraggioso o stupido.

«Quello lì è Ulfric Manto della Tempesta» spiegò Ralof. «Merita il rispetto di tutti i veri Nord.»

Deirdre rimase a bocca aperta. Ulfric Manto della Tempesta era quasi una leggenda a casa sua, a Whiterun. Per un po', lei aveva perfino dubitato che potesse esistere davvero un uomo simile. Autore di numerose attività fuorilegge ai danni dell'Impero, Ulfric sosteneva che i Nord avessero perduto il loro nerbo, e reclamava per Skyrim l'indipendenza dal potere centrale. Tuttavia, non era stato questo a renderlo un nemico pubblico: in qualità di jarl di Windhelm era giunto a Solitude, dove si era presentato al cospetto del Re dei Re di Skyrim, Torygg. Nella notte lo aveva ucciso, ed era successivamente fuggito. Da allora, si era dato alla macchia.

La giovane lo scrutò a lungo, in cerca della depravazione che molti dicevano si potesse leggere nel suo sguardo. Eppure, trovò in lui solamente una profonda pena. Tutto nel suo volto sembrava parlare di dolore e sofferenze, come se il suo sogno fosse in realtà non di anarchia ma di pace, e venisse frainteso da molti. La fronte aggrottata ed i tristi occhi grigi, il volto incorniciato da lunghi capelli biondi, era un Nord a tutti gli effetti. Perfino la posa orgogliosa del mento suggeriva un carattere forte e privo di timore.

Quando Ulfric voltò di scatto lo sguardo verso di lei, Deirdre si ritrovò per un momento indecisa: sostenere il suo sguardo, o seguire l'istinto e tornare a rivolgersi a Ralof, dall'aspetto decisamente più amichevole? Dopo qualche istante in cui i due si scrutarono intensamente, la ragazza abbassò gli occhi sulle proprie mani.

Dopo qualche tempo, forse un'ora, il carro subì alcuni scossoni ed il terreno sterrato venne sostituito da una strada di ciottoli grigi, in fondo alla quale si poteva vedere la sagoma di un centro abitato perso nella nebbia.

«Dove ci stanno portando?» domandò Deirdre, maledicendosi per la nota angosciata nella sua voce.

«Probabilmente ad Helgen» commentò Ralof. «Non siamo poi così lontani da casa, io e te.»

L'uomo si spostò e si sedette accanto a lei: il calore emanato dal suo corpo fu di conforto a Deirdre più del pesante mantello azzurro che portava. Inconsciamente gli si fece più vicina. Temeva ciò che sarebbe accaduto una volta arrivati; sapeva bene quali erano gli ordini che l'Impero aveva imposto ad ogni jarl: giustiziare i Manto della Tempesta senza nemmeno un processo. Se l'esecuzione si fosse svolta a Whiterun, sotto la supervisione di suo zio, avrebbe avuto salva la vita; ma nessuno conosceva il suo volto, ad Helgen.

«Ci uccideranno» mormorò.

«Probabile» replicò Ralof.

Alzando lo sguardo su di lui, Deirdre scosse il capo. «Ma io non ho fatto nulla!»

Dopo un momento di esitazione, Ralof distolse lo sguardo. «Mi dispiace, ragazzina.»

L'Imperiale che conduceva il carro entrò in paese: se non fosse stato per le fortificazioni e per la rocca, Helgen avrebbe perso ogni ragione di esistere molto tempo prima. Tuttavia, l'Impero aveva piazzato lì una guarnigione, proprio ai piedi delle alte montagne e della Gola del Mondo.

Dentro le mura non vivevano che poche persone: un centinaio al massimo, per la maggior parte contadini. Stando a quanto lo jarl suo zio le raccontava, ad Helgen gli Imperiali non erano molto popolari, in quanto si consideravano i padroni di tutto e tutti. Deirdre dubitava fortemente, tuttavia, che qualcuno si sarebbe esposto per salvare cinque condannati.

Il carro si fermò nel cortile interno della rocca: un mastio piuttosto piccolo, ma funzionale. Il conducente ed un'Imperiale, probabilmente una dei comandanti a giudicare dalla divisa, li fecero scendere. Un terzo soldato, che agli occhi di Deirdre non sembrava nulla più che un ragazzo, reggeva una pergamena. Poco distante da loro, un boia reggeva la sua ascia vicino ad un ceppo.

Deirdre riuscì a resistere all'impulso di scappare solamente perché aveva lo stomaco in subbuglio per l'agitazione. Cercò lo sguardo di Ralof, il quale le si fece accanto, protettivo.

Il ragazzo, che era ovviamente un Imperiale pur non portando un'armatura, chiamò i loro nomi. La sua voce era limpida, cristallina, e non sembrava per nulla turbato dal fatto che di lì a poco avrebbe letto i nomi di cinque anime già morte.

«Lokir, di Rorikstead» proclamò a gran voce. Il bandito che aveva viaggiato con loro sputò a terra nuovamente e si lanciò in una fuga disperata verso quella che sembrava l'uscita dal mastio.

«Sono innocente!» gridò. «Non potete uccidermi! Voi non-»

Una freccia, scoccata da chissà dove, lo colpì proprio sulla nuca, stramazzandolo al suolo. Quando toccò terra era già morto, affondato nel basso strato di nevischio. Deirdre sobbalzò, ma non ebbe il tempo di inorridire o di meravigliarsi: la rapidità della morte di Lokir era stata tale da non lasciarle possibilità di reazione.

Il giovane si schiarì la gola e riprese, non senza un certo nervosismo nella voce. «Osamund, di Whiterun.»

Il Manto della Tempesta che aveva sonnecchiato per tutto il viaggio si fece avanti, impettito e fiero come un martire. Deirdre pensò che, forse, quei Manto della Tempesta erano solamente dei fanatici: quale sciocco si sarebbe rivolto al suo boia con tanta alterigia e tanto orgoglio?

«Ralof, di Riverwood» fece ancora il ragazzo.

Il Nord ridacchiò e si avvicinò al giovane imperiale fino a trovarglisi proprio davanti. «E così ci siamo, non è vero, Hadvar?» sibilò. «Uno di noi finalmente lascerà l'altro in pace.»

Un Imperiale afferrò Ralof per una spalla e lo scostò bruscamente. Il giovane, Hadvar, fissava il prigioniero con evidente disagio, come se fosse dispiaciuto. Deirdre non se lo spiegò.

Ripresosi dopo un paio di istanti, Hadvar scosse il capo e declamò: «Ulfric Manto della Tempesta, di Windhelm.»

Ulfric, ancora impossibilitato a parlare, si fece avanti con la stessa grigia indifferenza di prima. Non sembrava spaventato, ma nemmeno baldanzoso. La ragazza non riusciva proprio a capirlo: come faceva a non avere paura? Se non per sé, per il suo sogno, che alla sua morte sarebbe svanito nel nulla. Eppure, Ulfric si avvicinò agli altri prigionieri senza mostrare emozioni.

Finalmente, Hadvar si rivolse a lei. Per un momento, le sembrò di riconoscere una punta di discernimento nello sguardo del giovane, che non doveva essere tanto più vecchio di lei. Tuttavia non diede segno di averla riconosciuta.

«Mi dispiace» disse rivolto alla donna accanto a sé. «Non c'è il suo nome nell'elenco.»

Lei fece un gesto spazientito con la mano. «Non mi importa: l'abbiamo trovata con i Manto della Tempesta, perciò verrà giustiziata.»

Hadvar annuì e le consegnò il foglio con i nomi dei condannati. Poi si rivolse alla giovane.

«Qual'è il tuo nome?» domandò. Deirdre sperava che fosse un modo per mostrarle la sua comprensione, ma lui aggiunse: «Ci serve saperlo per i registri anagrafici.»

Lei aggrottò la fronte, tentando di mostrarsi spavalda e sicura di sé. «Mi chiamo Deirdre, vengo da Whiterun. Sono la nipote dello jarl Balgruuf il Grande. Non ho motivo di essere qui, i vostri uomini hanno commesso un terribile sbaglio!»

Hadvar lanciò un'occhiata al comandante, che non sembrava affatto colpita dalla storia della giovane. Scosse il capo: «Se potessi avere un septim per ogni storia del genere che ho sentito.. Hadvar, procedi, per favore.»

Lui si strinse nelle spalle. «Mi dispiace.»

Dopodiché si avvicinò al primo prigioniero, Osamund. Lo sospinse quasi con dolcezza verso il boia. Osamund non sembrava spaventato.

«Voi Imperiali avete perso il vostro onore!» gridò. «Vi rivedrò a Sovngarde, statene certi!»

Senza farsi pregare crollò in ginocchio ed appoggiò la testa sul ceppo. Anche a quella distanza Deirdre poteva vedere che sangue ormai vecchio impregnava il legno. Un conato di vomito involontario la scosse al pensiero di morire lì sopra. Ralof se ne accorse e le diede un colpetto con il gomito. «Stai dritta, ragazzina» mormorò con un sorriso mesto. «Fai vedere a questi molli Imperiali come muore un vero Nord.»

Deirdre interpretò quella frase come un tentativo da parte di Ralof di infonderle coraggio: un coraggio che le era improvvisamente venuto a mancare, e che lei stava cercando disperatamente.

Hadvar le si avvicinò, e Deirdre fece per scostarsi ed evitarlo, ma andò a cozzare contro Ralof e il giovane Imperiale le posò una mano sulla spalla: era calda, pesante, ma gentile.

«Coraggio» le mormorò con gentilezza. «Ci vorrà solo un momento.»

«Parli bene tu» commentò lei. Si era aspettata di piangere, una volta che fosse giunto il momento. Invece, mentre guardava il ceppo avvicinarsi man mano che procedeva, le sembrava di fluttuare. Vedeva se stessa dall'alto mentre Hadvar la accompagnava verso il boia, gli occhi asciutti e la mente insolitamente sgombra. Le sue membra avevano smesso di tremare, e quando le ginocchia toccarono terra le sembrò quasi un gesto quotidiano. Guardando in basso, vide nel cesto sotto il ceppo la testa di Osamund, gli occhi spalancati, il collo ridotto ad una massa sanguinolenta.

«Meridia, salvami» mormorò mentre la grossa mano di Hadvar calava sulla sua testa. Il ragazzo la costrinse dolcemente ad appoggiare la testa sul ceppo, lo sguardo rivolto ad oriente.

Poteva vedere una delle torri del castello: era alta, tozza, imponente ma non minacciosa. Sarebbe stata l'ultimo ricordo che avrebbe portato con sé a Sovngarde, e Deirdre tentò di imprimersi nella mente ogni mattone di quel misero edificio.

All'improvviso, la terra tremò, il che rimandò la sua esecuzione di qualche minuto.

«Cos'è stato?» gridò qualcuno. «Hadvar, non perdere di vista i prigionieri!»

Di nuovo, il suolo si agitò sotto di loro, mentre in lontananza un rumore ritmico e per nulla amichevole diventava sempre più forte, come un enorme uccello in avvicinamento. Deirdre iniziava quasi a pregare che, qualsiasi cosa fosse, le avrebbe permesso di restare viva. Forse Meridia, il principe daedrico della Vita, aveva udito la sua invocazione ed ora stava giungendo per salvarla.

Tuttavia, quello che improvvisamente piombò sulla torre davanti ai suoi occhi non assomigliava per niente a Meridia.

Deirdre gridò con quanto fiato aveva in gola: davanti a loro, un enorme drago nero aveva affondato i suoi grossi artigli nella costruzione su cui era atterrato, ed aveva il collo squamoso inarcato pronto a ruggire, o peggio.

Un'incredibile fiammata partì dalla bocca della creatura: passò sopra di loro, andando a colpire una bassa costruzione in legno dall'altra parte del cortile. Tuttavia, Deirdre avvertì un calore insolito alla schiena, che la lasciò senza fiato.

Immediatamente, si scatenò il panico.

Una mano la afferrò per i capelli rossi, costringendola ad alzarsi.

«In piedi, ragazzina» disse la voce di Ralof. «Corri verso quella torre, presto!»

Lei non se lo fece ripetere e, non appena Ralof la lasciò andare, corse a perdifiato verso l'entrata di quella che al momento le sembrava l'unico nascondiglio possibile. Tutto intorno a lei la gente correva: gli abitanti cercavano riparo dentro il forte, per poi tentare di uscirne subito dopo; alcuni prigionieri approfittavano della confusione per tentare di fuggire; gli Imperiali armati di arco e frecce cercavano di difendersi dalla bestia.

Guadagnò in fretta la torre, correndo verso le scale interne che portavano alla sommità della costruzione. Alle sue spalle, Ralof fuggiva seguito da Ulfric.

Ralof si guardò freneticamente intorno. «No» concluse infine. «Non ci sono altre porte.»

Ulfric, che nel frattempo di era liberato del bavaglio, prese la parola. «Aspettiamo qui, o quel drago ci divorerà.»

Deirdre fece per ribattere quando un frastuono assordante seguito da quello che sembrava un terremoto squarciò l'aria. Dalle scale piovvero massi, detriti e mattoni, e Ralof corse di sopra.

«Deirdre!»

Lei corse a sua volta su per i gradini e lo trovò intento a guardare l'esterno attraverso una voragine. Nei pochi minuti che erano trascorsi dall'arrivo del drago, Helgen era stata quasi interamente rasa al suolo: pinnacoli di fumo si levavano da ogni dove, il cielo era color delle fiamme e le urla di uomini agonizzanti si confondevano con i ruggiti del drago e con le urla di incitamento degli Imperiali. La distruzione era palpabile non solo fisicamente: quell'improvvisa catastrofe stava disfacendo i cuori ed il coraggio di tutti i presenti.

«Ascolta» disse Ralof, riportandola alla realtà. «Da qui con un balzo puoi arrivare al tetto di quella casa. Entraci attraverso il buco nel muro e scendi. Poi aspettami.»

Deirdre salì in piedi sul basso supporto in pietra, ultima reminiscenza della parete che un tempo aveva avvolto la torre. Il vestito blu agitato dal vento le impediva i movimenti, ed i capelli le frustavano il viso. Il balzo, da lì, sembrava infinito.

«Non posso.»

«Tu credi?» esclamò Ralof. Poi, con forza, la spinse di sotto.

Le parve di impiegare anni a raggiungere il tetto, ma quando con uno schianto atterrò sulle tegole smosse non avvertì alcun dolore tanta era la paura che ovattava i suoi sensi. Come in un sogno raggiunse il grosso cratere che Ralof le aveva indicato, dal quale si calò dentro una stanza. L'ambiente sventrato era cosparso di detriti, alcuni dei quali ancora in fiamme, ma da lì raggiungere la porta della casa fu semplice.

Tuttavia, si trovò la strada sbarrata da un Imperiale ferito che tentava di entrare per cercare riparo. Una seconda occhiata le rivelò che si trattava di Hadvar.

Stava quasi per soccorrerlo, quando avvertì sopra la sua testa i passi di Ralof al piano di sopra. Quel Manto della Tempesta la stava aiutando a fuggire: non sarebbe stato saggio farsi trovare in compagnia di un Imperiale.

«Lasciami passare» lo pregò.

Lui stava per rispondere quando Ralof li raggiunse trafelato e sporco. Il suo sguardo mutò da concentrato a divertito.

«Ah, Hadvar, mio caro amico» lo apostrofò. «Gentile ad unirti alla festa.»

«Non c'è tempo, Ralof!» ruggì l'Imperiale.

L'altro scosse il capo. «C'è sempre tempo.»

Hadvar perse la pazienza. «Bene. Spero che quel drago vi spedisca tutti a Sovngarde.»

Deirdre aveva appena preso la decisione di defilarsi senza altri indugi, visto che fuori il drago sembrava concentrato su un gruppo di soldati distanti, quando Hadvar si rivolse a lei.

«Ralof non ha idea di come uscire di qui» disse concitato.«Io si. Vuoi restare viva? Allora seguimi.»

Lei lanciò un'occhiata al suo compagno di sventura: lo sguardo di lui era più divertito che infuriato. Scosse il capo, ma confermò: «Si, ha ragione. Se vuoi salvarti la pelle, hai più possibilità con lui che con me.»

«Vieni con noi» esclamò lei, tentando di ricambiare l'aiuto che lui le aveva dato.

«Non porterei questo Manto della Tempesta da nessuna parte» intervenne Hadvar. «Ora o mai più, Deirdre. Abbiamo appena pochi secondi.»

Il drago, infatti, si era librato verso il cielo, pronto ad attaccare di nuovo e con maggior ferocia. Deirdre rivolse uno sguardo dispiaciuto a Ralof, poi si voltò e corse con Hadvar attraverso il piazzale cosparso di macerie di vario tipo, di cadaveri in fiamme e di frecce che avevano mancato il bersaglio. Lo sfacelo generale la lasciò atterrita, ma continuò a correre.

Hadvar la precedette fino ad una porta di ferro, che aprì utilizzando una grossa chiave che portava nella scarsella.

«Entra, presto!»

Deirdre varcò la soglia per prima, e lui richiuse la porta dietro di loro. Dentro, il silenzio improvviso rischiò quasi di assordarla: la stanza semibuia era evidentemente un'armeria, in disordine a causa dei continui terremoti.

«Vieni» commentò Hadvar. «Ti libero le mani.»

Con un corto pugnale, tagliò le corde che stringevano i polsi di Deirdre, segnati ormai da profondi segni rossi. Con un sospiro, la ragazza prese a massaggiarseli e cercò di riprendere il controllo delle proprie dita formicolanti.

«Ho bisogno di un'arma» commentò. «Non posso difendermi senza.»

«Qui troverai senza dubbio qualcosa che faccia al caso tuo.»

Deirdre si guardò intorno, in cerca di una spada, una daga o anche solo un pugnale. Trovò un lungo pugnale ricurvo, di foggia elfica, abbastanza leggero per le sue membra stanche, e lo impugnò in fretta. Fuori, il drago non accennava a fermare la sua opera di distruzione.

Hadvar le fu alle spalle senza quasi che lei se ne accorgesse.

«Come mai ti trovavi insieme a quei ribelli?» le domandò.

Deirdre lo osservò con attenzione per la prima volta: aveva i capelli castani, e gli occhi color nocciola. Il mento appuntito ed il naso affusolato non erano propri dei Nord, ma la corporatura robusta ed il portamento fiero erano quelli degli abitanti originari di Skyrim. A quella distanza, Deirdre distinse odore di sudore, di paglia fresca e di pino. Era un buon odore.

«Ero diretta a Falkreath» replicò. «Ero insieme al mio attendente ed alla mia fantesca, avrei dovuto incontrare il mio promesso sposo. Un gruppo di khajiit ci ha assaliti, ma siamo stati salvati da Ralof e da Osamund. Tuttavia, la mia fantesca è morta poco dopo e non c'è stato modo di salvare l'attendente.»

Hadvar annuì. «Mi dispiace.»

«Ora che ci penso, i Manto della Tempesta hanno fatto molto più di quanto abbiano fatto gli Imperiali, per me. Se non ricordo male, l'ultima volta che i soldati imperiali mi si sono avvicinati hanno cercato di giustiziarmi.»

Lui sospirò ed alzò le mani in segno di resa. «Hai tutte le ragioni per disprezzarmi. Mi dispiace realmente per ciò che stava per succedere. Spero che aiutandoti a tornare a casa potrò ripagare il mio debito.»

Deirdre lo guardò sprezzante. «Sbrigati a portarmi fuori, dunque.»

Hadvar annuì e la precedette attraverso una porta di legno, dalla quale poterono accedere ad una sala che aveva tutta l'aria di essere un refettorio. In fondo, una porta era socchiusa, mentre sotto i loro piedi c'era una botola.

«Passeremo per i sotterranei» spiegò Hadvar sollevando la botola e scoprendo una stretta scala di pietra. L'interno era rischiarato da una torcia, ma tutto ciò che Deirdre poté vedere fu un corridoio scavato nella viva roccia della montagna. «Si tratta di una via di fuga quasi mai utilizzata. È possibile che troveremo degli animali, perciò stai in guardia.»

Deirdre annuì e scese per prima. I gradini erano pochi, ed una volta arrivata giù scoprì che il corridoio proseguiva per una cinquantina di metri per poi deviare bruscamente verso nord. Ogni cinque metri c'era una torcia, la cui luce sfrigolante era appena sufficiente a non spaccarsi una gamba lungo il percorso.

Non appena Hadvar ebbe richiuso la botola sopra le loro teste, Deirdre avanzò senza attenderlo. Seguirono lo stretto passaggio lungo una via obbligata che, dopo qualche minuto, permise loro di attraversare una serie di stanze che costituivano le prigioni. C'erano alcune celle vuote, due gabbie dove si trovavano prigionieri ormai in fin di vita, ed alcune catene fissate al muro.

«Non avete molti prigionieri» commentò lei.

Hadvar annuì. «Di solito, chi arriva qui viene interrogato e poi rilasciato, oppure giustiziato.»

«E quelli?»

Deirdre indicò gli uomini nelle gabbie: uno di loro aveva tutta l'aria di essere un cadavere, mentre l'altro era in condizioni tali da farlo delirare. Hadvar scosse il capo.

«Non lo so, non mi dicono tutto.»

Entrambi valutarono se liberarli o meno. Hadvar sembrava quello meno combattuto, dopotutto se erano finiti lì avevano probabilmente infranto le leggi di Skyrim, ma Deirdre non era certa di cosa fare. Alla fine, però, rifletté che portarseli dietro avrebbe rallentato la loro fuga.

Seguì Hadvar fino alla porta successiva, che attraverso un corridoio in discesa sfociava in una grande grotta naturale. In fondo si vedeva una luce.

«Siamo quasi fuori» comunicò il ragazzo.

Tuttavia, prima che potessero attraversare l'ambiente, notarono un orso addormentato vicino all'uscita. Deirdre, involontariamente, sorrise: sembrava così docile, con la pelliccia che si alzava e si abbassava ritmicamente.

«Resta qui, ci penso io.»

Prima che potesse fermarlo, vide Hadvar scattare in direzione dell'animale. L'orso si svegliò appena prima che la grossa spada dell'Imperiale gli calasse sul muso. In due colpi, la vita della bestia fu spazzata via.

Deirdre decise di astenersi dal fare commenti: razionalmente, era meglio così, non aveva rischiato di farsi uccidere da un drago solo per finire sbranata da un orso. Tuttavia, evitò di guardare la carcassa mentre si dirigeva all'uscita.

L'aria fredda e pungente e la luce solare la colpirono come un pugno in faccia. Dovette chiudere gli occhi per un momento per abituarsi, ma si riprese quasi subito. Abbassò lo sguardo sul vestito: strappato in più punti e color cenere al fondo, era quasi irriconoscibile. Il suo mantello si era sporcato, ma almeno la manteneva al caldo. Per quel che riguardava il denaro che aveva con sé quando era partita da casa, non se sapeva nulla da quando era stata arrestata.

Intorno a loro regnava il silenzio. Dopo essere scesi sottoterra non avevano più sentito il drago, ed a giudicare dall'irreale quiete che gravava sull'ambiente circostante doveva essersene andato.

«Cosa farai?» domandò Hadvar. «Tornerai a casa o ripartirai alla volta di Falkreath?»

«Non ho mai realmente avuto intenzione di sposare quel babbeo» commentò Deirdre con un sorriso. «Un brav'uomo, ma sciocco e ignorante. No, tornerò a Whiterun. Dirò a mio zio che, a quanto pare, Mara non desidera che io mi sposi.»

«Il mio villaggio, Riverwood, è sulla strada per Whiterun» disse lui. «Perché non passi la notte lì? I miei zii potranno ospitarti per la notte, e nel frattempo li avviseremo del drago.»

Lei rifletté. «Quanto dista da qui?»

«Due ore a piedi.»

Non aveva nulla da obbiettare. Aveva fame, e non avrebbe detto di no ad un luogo in cui dormire. Da Riverwood a Whiterun c'erano appena poche miglia, ed avrebbe potuto raggiungere la città il giorno seguente.

«Fammi strada.»

   
 
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